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Autore: M4RT1    05/09/2014    4 recensioni
[The Maze Runner]
Il giorno in cui Newt cercò di morire fu lo stesso in cui Alby lo chiamò, disperato, cercando di incrociare il suo sguardo e convincerlo a non abbandonarlo. Fu quello in cui gli gridò tutte le imprecazioni che la sua memoria danneggiata aveva conservato e poi pianse, sedendosi con la schiena appoggiata alla parete di fronte, solo per tenergli compagnia.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'And I would have stayed up with you all night'
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Il giorno in cui Newt tentò di farla finita era uno come tanti altri.

Non c’era la pioggia a deprimerlo, il caldo a farlo impazzire o gli amici a deluderlo. C’era solo il solito cielo azzurro, riempito di luce dal sole; c’erano le solite mura, tanto utili quanto claustrofobiche, e c’erano i soliti Radurai. Le attività del mattino erano sempre le stesse.

Il giorno in cui Newt decise di morire era il quarantaseiesimo dal suo arrivo. Una mattina di routine, con i Velocisti impegnati a prepararsi a correre e gli Spalatori che pulivano i tavoli da picnic. Alby era pensieroso come sempre, le spalle contro il muro del Casale. Minho stava distribuendo zainetti a coloro che avrebbero passato il giorno nel Labirinto.

Il giorno in cui Newt tentò di uccidersi fu lo stesso in cui un ragazzo di nome Luke venne ritrovato appena fuori alla Porta Occidentale, morto. Era sparito il giorno prima, durante la solita perlustrazione della Zona assegnatagli. Newt se lo ricordava, l’aveva visto mentre svoltava dalla parte opposta: un ragazzotto non troppo grande, dalle mani robuste e lo sguardo simpatico. L’aveva salutato proprio prima che- prima che lui-

Il giorno in cui Newt decise di non essere tagliato per il Labirinto fu il quarto dopo il suo primo scontro contro un Dolente. Le immagini della creatura erano vividamente stampate nella sua mente, nelle sue retine e nella sua pancia. Per tre notti si era svegliato urlando, calmandosi solo quando le imprecazioni di Alby e di almeno un’altra decina di Radurai svegliati dalle sue grida lo informavano di essere ancora con loro.

Il giorno in cui Newt volle morire fu quello in cui, appena uscito dalla Porta Nord, abbandonò lo zainetto a terra e si arrampicò su per una delle Mura, grigia e ghiacciata nonostante la temperatura tiepida dell’aria attorno a lui. Le mani erano sudate, gli occhi velati da uno strano di lacrime. I piedi si muovevano agilmente, allenati da settimane di corsa. Voleva salire in cima, su fino a poter osservare quel caspio di posto dov’erano. Voleva vedere il
Labirinto, controllare eventuali vie d’uscita, salutare i suoi amici per l’ultima volta. E poi voleva morire.

Il giorno in cui Newt cercò di ammazzarsi fu quello in cui arrivò solo a metà muro prima di cedere, voltandosi verso l’esterno e puntando lo sguardo a terra. Il sole era così forte da far tremolare i contorni di tutto ciò che lo circondava. Fu il giorno in cui il suo zaino, poggiato alla meglio contro una parete, cadde e attirò i Radurai.

Il giorno in cui Newt quasi morì fu il quarantesimo dalla nomina di Alby come capo. Fu lui ad accorgersi dello zaino riverso sull’asfalto, a poco più di un metro dalla porta. Fu lui a correre per primo, violando le sue stesse regole pur di salvare l’amico. Fu lui a guardarsi intorno, gridando il nome di Newt
finchè a quest’ultimo non sfuggì un singhiozzo. E fu sempre lui, pietrificato dal terrore, a spostare lo sguardo in alto, fino a metà muro, imprecando contro il mondo e contro l’edera che forniva un appiglio così facile da sfruttare.

Il giorno in cui Newt cercò di morire fu lo stesso in cui Alby lo chiamò, disperato, cercando di incrociare il suo sguardo e convincerlo a non
abbandonarlo. Fu quello in cui gli gridò tutte le imprecazioni che la sua memoria danneggiata aveva conservato e poi pianse, sedendosi con la schiena appoggiata alla parete di fronte, solo per tenergli compagnia.

Il giorno in cui Newt cadde riverso sull’asfalto fu quello in cui i Velocisti tornarono prima, attirati dalle grida dei Radurai. Il primo fu un certo Nick, che rientrando notò un capannello di ragazzi con la testa china all’ingiù. Fu il giorno in cui Alby gridò fino a perdere la voce e, alla fine, ammutolì alla vista di Newt che scuoteva la testa e lasciava penzolare un piede, deglutendo. Cinque, sei metri d’altezza, forse molti di più. Sarebbe morto. E poi cadde e Alby non capì se l’avesse fatto di proposito o avesse semplicemente perso l’equilibrio fino a piombare a pochi centimetri dall’altro, supino, la bocca semiaperta e gli occhi chiusi, un piede piegato in maniera innaturale sull’asfalto.

Il giorno in cui Newt capì di non voler morire fu quello in cui svenne. Fu quello in cui vide Alby piangere davvero per la prima volta dal giorno in cui avevano pianto tutti. Fu quello in cui capì che, se anche la loro vita faceva schifo, almeno non erano soli.

 
― La tua testa è più inutile degli Spalatori, caspio! Come hai potuto pensare che fosse una scelta saggia? Hai un sacco di sploff in quella capoccia, eh? Potevi morire!
― Lo so.
― Volevi farlo, caspio! Che caspio di idee hai in quella testa, eh?
― Lo so.
― Certo che lo sai, adesso! Ma non lo sapevi quando io e Minho abbiamo dovuto prenderti per i piedi e trascinarti dai Medicali, eh? Non lo sapevi, allora.
― Puoi smetterla di piangere, Alby, sono qui.
― Oh, sta’ zitto!
  
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