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Autore: MisfitSoul    05/09/2014    5 recensioni
“Capisco perché dici di essere uguale a lei. Solo che non lo sei” sussurrò, ma nel silenzio la sua voce risuonò come amplificata. Si appoggiava allo stipite della porta ancora socchiusa e il suo viso era completamente in ombra, l'unica fonte di illuminazione era la luce soffusa proveniente dal corridoio. Gerard pensò che non avrebbe mai saputo se lo stava guardando negli occhi, mentre parlava.
“Dovresti guardarti quando sei in mezzo agli altri, ogni tanto. Come parli, come ti muovi. Quasi mi spaventi da quanto sembri distaccato, sai? Fai così con tutti, persino con tuo fratello, a volte. Se non sapessi che stai solo fingendo...”
“Cosa ti rende così sicuro?” Gerard si sentiva la vista appannata da un'emozione devastante, che identificò, in qualche modo, come commozione, “Come sai che è finzione, che non lo sono davvero?”
“Perché lo sento, lo vedo quando siamo solo noi due. È il modo in cui sorridi, quello che dici.
Non voglio credere che tu abbia finto con me.
Perché voglio credere che tu non sia come lei, Gerard, ma come me.”
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Okay, ciao a tutti.
Premetto che non sono nemmeno io sicura di stare realizzando quello che sto facendo, ma ho deciso di pubblicare questa storia.
Come penso avrete notato, sono nuova, o meglio, sono su efp già da un po' ma non ho mai pubblicato niente. Scrivere, invece, è una cosa che ho sempre fatto, anche se non faccio mai leggere le mie storie a nessuno. Così ho pensato che postare qualcosa di mio, sentire i pareri degli altri (se qualcuno vorrà darmene), mi avrebbe aiutata a migliorare, ed eccomi qui. Dopo un tempo non indifferente passato a ripetermi "lo faccio, non lo faccio" in un conflitto con me stessa, mi sono detta: proviamo, tanto che cos'ho da perdere?

Alcuni capitoli sono già scritti, perché questa storia l'avevo già iniziata un po' per piacere, un po' per esercizio, e in generale ho un'idea piuttosto precisa della trama, ma non so quanto mi ci vorrà per finire di scriverla.
Questo è forse il capitolo più "confuso" tra quelli esistenti, ma spero che in qualche modo possa piacere, che la lunghezza sia decente e che non sia noioso.
Se qualche anima vorrà essere così gentile da dirmi cosa ne pensa, perché, come ho già detto, ci tengo molto a fare le cose per bene e migliorare nella scrittura., lo apprezzerei moltissimo. Amerò alla follia chiunque voglia spendere un po' del suo tempo a leggere questa fanfiction.

Ora me ne vado, grazie comunque (vi avevo già annoiato, vero?)
Pace, amore & empatia.
- M.


1.First Day Of My Life (Bright Eyes)

This is the first day of my life

I'm glad I didn't die before I met you”

 

 

Ripensava spesso a quel giorno, quando l'aveva visto per la prima volta.

Doveva ammettere che non l'aveva notato subito.

 

Era seduto sull'erba, il blocco da disegno appoggiato sulle gambe incrociate, nelle orecchie il vociare indistinto degli studenti e lo scambio animato di battute tra Lindsey e suo fratello che, di fianco a lui, si erano appena tuffati in uno dei loro soliti dibattiti senza senso del quale a Gerard non sarebbe potuto interessare di meno.

Il giovane appoggiò la matita alla carta, poi sbuffò sonoramente prima di ritrarla e storcere le labbra in una smorfia seccata. Non aveva ispirazione.

Erano parecchi giorni che andava così, pensò sconsolato. Ogni volta che prendeva in mano la matita o il pennello che fosse, sentiva la creatività abbandonarlo improvvisamente. Non era più come un tempo, quando l'arte era la sua via di fuga, il suo sfogo, il suo rifugio.

Non creava più con la facilità e la spontaneità di un tempo, e la cosa lo innervosiva.

Sospirando, alzò la testa dal foglio e si guardò intorno, sentendosi più inutile del solito.

Se non riusciva neanche a fare quello che gli era sempre venuto più naturale in vita sua, allora che senso aveva lui? Fece vagare lo sguardo sull'ambiente che lo circondava e gli sembrò tutto senza senso, gli alberi, l'erba, i muri di mattone dell'edificio scolastico, i corpi di decine di adolescenti che parlavano e camminavano come se niente al mondo potesse disturbarli; solo insensate presenze buttate lì per caso da qualcuno che non aveva proprio le idee chiare. E lui, cosa ci faceva lì?

 

Allora lo vide.

All'improvviso, provò una strana sensazione, gli sembrò che tutti i suoi sensi si affievolissero per qualche istante; la confusione intorno a lui tutto a un tratto non era altro che un fragile brusio in sottofondo, qualcosa che non lo riguardava.

In quel momento, qualcos'altro, qualcun altro era al centro del suo universo.

Era in piedi di fianco alla fontana, da solo, lo zaino sulle spalle e l'aria smarrita. Sembrava essere davvero a disagio, a giudicare da quanto spesso spostava il peso da una gamba all'altra e da come si guardava costantemente intorno, spaesato. Era nuovo.

Non che il fatto che lo fosse potesse considerarsi una cosa eccezionale, essendo il giorno del rientro, era piuttosto normale che ci fossero nuovi studenti. Eppure, qualcosa di lui lo colpì.

Gerard non poté fare a meno di notare il modo in cui il sole pomeridiano di metà settembre lo colpiva in modo quasi perfetto, creando un effetto di luci che lo faceva apparire su un piano diverso, lontano da tutti gli altri. Pensò che era molto bello in quella dimensione.

Sembrava anche molto fuori posto.

Forse perché era appena arrivato, ma dava l'impressione di uno che è proprio nel luogo sbagliato.

Ma in ogni caso, non era così anche per Gerard? O per tutti gli altri?

D'altronde, la scuola non è qualcosa a cui puoi appartenere, e nessun adolescente è mai nel posto in cui dovrebbe o vorrebbe stare.

Il ragazzo, forse sentendosi lo sguardo di qualcuno addosso, si girò dalla sua parte, e lui si ritrovò sulla terra di nuovo. Stranamente, Gerard si stupì. Non si aspettava di essere notato.

Due occhi nocciola (o almeno così gli parve, da quella distanza non poteva dirlo con esattezza) incrociarono quelli verdi di Gerard, il quale però distolse lo sguardo quasi subito. Non gli piaceva guardare negli occhi la gente che non conosceva, era una delle cose che lo metteva più a disagio in assoluto. Realizzò che si era appena fatto beccare mentre fissava uno sconosciuto, e da lui in persona per di più. Arrossì, e per placare l'imbarazzo si voltò verso il fratello, dando la schiena all'altro ragazzo. A quel punto, ce la mise tutta per trovare un argomento a caso con cui inserirsi nella conversazione. Fece la prima domanda che gli passo per la testa.

“Allora, Mikey, hai già pensato che cosa regalare ad Alicia per il suo compleanno?” disse.

Il fratello lo squadrò per un attimo con un sopracciglio alzato, probabilmente domandandosi il perché di quella improvvisa uscita, anche considerando che Gerard non gli chiedeva quasi mai di Alicia. Di lei sapeva solo che usciva con Mikey da un po' di tempo, che le piaceva la musica e che era... beh, una ragazza? Che cos'altro c'era da sapere, poi? L'aveva vista solo qualche volta con il fratello, le aveva anche parlato, ma senza riservarle troppa attenzione. Non lo interessava. “Sai com'è, Gee, di solito uno se lo aspetta un po' di interessamento riguardo le sue relazioni sentimentali, specialmente da parte del proprio fratello” gli aveva detto Mikey una volta a proposito della sua indifferenza quasi totale. Era sembrato parecchio deluso mentre lo diceva, così da allora il ragazzo si era sforzato di mostrare maggiore coinvolgimento riguardo Alicia.

Era quello che stava facendo in quel momento, faceva progressi. Probabilmente il fratello colse e apprezzò il gesto, perché dopo un attimo iniziale di perplessità, scosse la testa e sorrise.

“Le ho scritto una canzone” disse, e sembrava parecchio orgoglioso, anche, della sua scelta di regalo, a giudicare dal sorriso a trentadue denti che fece.

Doveva piacergli davvero molto quella ragazza, constatò Gerard tra sé e sé.

Che fortunato, pensò, non senza un briciolo di amarezza, e forse anche di invidia.

“Gee?”

“Sì?”

“Ne avevo già parlato dieci minuti fa. Della canzone, dico. ”

“Ah. Scusa.”

Gerard guardò il fratello, mortificato. Aveva fatto proprio la domanda sbagliata, non voleva che pensassero che non aveva prestato loro attenzione, anche se era esattamente la verità. Mikey, però, non sembrava avercela con lui. Sorrise e accennò a un gesto con la mano per fargli capire che non importava. Poi qualcuno ridacchiò e disse (con una voce particolarmente, eccessivamente femminile): “Ma dove avevi la testa, finora?”

Alla sua sinistra, Lindsey giochicchiava con un filo d'erba staccato da terra e lo guardava con un sorriso che, ad un osservatore esterno, sarebbe parso esattamente uguale a quello di Mikey.

Ma Gerard non era, ovviamente, un qualunque osservatore esterno, e sapeva che quel sorriso sulle labbra di lei avrebbe potuto significare qualsiasi cosa. Si concesse un secondo per essere preoccupato. Avrebbe potuto averlo visto guardare un altro ragazzo. E allora, quello cosa significava? Avrebbe conosciuto forse un altro particolare scomodo su di lui. Ma ancora, c'era qualcosa che lei non sapeva di Gerard? La guardò di nuovo, sorrise, lei ricambiò. Un semplice sorriso, da amica. Non c'era traccia di nessuna emozione particolare sul suo volto. Come al solito.

Forse quella volta non era stata attenta e si era lasciata sfuggire qualcosa.

“Penso che sia una buona idea, Mikey” disse invece Gerard, ignorando la domanda della ragazza

“sicuramente Alicia impazzirà. Me la farai sentire, la canzone?”.

A quelle parole, il volto del più piccolo si illuminò. Annuì vigorosamente esclamando un “Certo!” a voce squillante. Gerard ne fu felice. Era bello avere un fratello minore che era così facile mettere di buon umore. E poi era davvero curioso di sentire la canzone per Alicia. Pensò che era vero che si interessava poco al fratello, e si ripromise che avrebbe tentato seriamente di rimediare.

Gli avrebbe fatto, ad esempio, almeno una domanda personale al giorno.

Sarebbe dovuto bastare, no?

 

Solo pochi minuti dopo, quando tutti e tre si alzarono dal punto ombreggiato sotto l'albero dove si erano fermati a parlare, per dirigersi alle loro camere, Gerard si ricordò del ragazzo. Si guardò intorno ma, come era prevedibile, lui non c'era più. Gerard non sapeva se desiderare di rivederlo o no. Certo, aveva catturato la sua attenzione all'inizio, ma non lo conosceva, forse non l'avrebbe mai fatto. Forse era semplicemente uno come tutti gli altri, si disse, forse non sarebbero neanche andati d'accordo. In ogni caso, non aveva senso perdere tempo a immaginare “cosa sarebbe successo se...”, dal momento che Gerard sapeva benissimo che, anche se fosse apparso davanti a lui in quel preciso momento, molto probabilmente non gli avrebbe rivolto la parola. E andava bene così.

Si riscosse dai suoi pensieri e vide che l'amica e il fratello si erano già allontanati.

Raccolse la sua borsa e il suo album da terra e fece altrettanto.

 

 

Il sole stava tramontando, e il cielo dipinto di rosa e arancio sarebbe sicuramente stato un bel panorama da ammirare. Il tramonto rende ogni luogo più bello, come è noto, e in quel momento della giornata perfino lo spoglio parco scolastico sarebbe potuto apparire romantico.

Eppure Gerard aspettava la sera.

Era quello l'orario che preferiva, quando il buio cominciava a calare e le prime stelle a comparire in cielo.

Quando non era ancora tenebra, ma blu intenso, un colore perfetto che ogni artista avrebbe voluto avere nella sua tavolozza.

Quando non era abbastanza buio perché la realtà sparisse, ma sufficiente perché la si potesse confondere.

Gerard amava stare lì, nel suo posto preferito, che altro non era che il misero anfiteatro per gli spettacoli in fondo al cortile dell'istituto, seduto da solo nella penombra.

Era l'unico momento in cui si sentiva come se andasse tutto bene, come se le cose fossero a posto e non fosse davvero prigioniero in quel luogo.

Durava poco, certo, ed era più un'illusione che altro, ma lui pensava di potersela fare bastare.

Anche il tramonto era piuttosto suggestivo, comunque, per quel motivo aveva con sé il blocco da disegno, nella speranza che l'ispirazione lo sorprendesse. Non fu così, perché, naturalmente, le cose non succedono mai quando vorresti che lo facessero. Quelle che preferiresti evitare, al contrario, capitano molto più di frequente. Di questo ne ebbe la riprova di lì a poco, quando udì un fruscio tra le foglie, e poi un sottile rumore di passi alle sue spalle.

Decise di fare finta di niente, e quando sentì un corpo scivolare a sedere di fianco a lui non si voltò a guardare chi fosse. Lo sapeva già, naturalmente. Non c'erano molte alternative.

Era l'unica persona a conoscere il luogo dove Gerard si rifugiava tutte le volte che spariva (ma solo perché l'aveva seguito una volta, lui si domandava ancora come avesse fatto a non accorgersene).

Nessun altro l'aveva mai scoperto, neppure suo fratello. Per questo non si stupì nel sentire una voce, limpida e squillante, parlare a pochi, (sconvenientemente pochi), centimetri dal suo viso.

“Stavo pensando” esordì la ragazza, “che non abbiamo ancora avuto occasione di parlare da quando siamo tornati. Da soli, intendo.”

Gerard stava ancora guardando dritto di fronte a sé, rifiutandosi di incrociare lo sguardo di lei, ma con la coda dell'occhio poté vedere che sorrideva e che si era portata una ciocca di capelli dietro le orecchie, dopo aver parlato, lo sguardo basso. Se c'era una cosa certa, era che Lindsey non era mai stata timida, eppure quel gesto rivelava insicurezza.

Gerard si sentì male nel pensare alla ragazza che conosceva, quella che per niente al mondo avrebbe lasciato intravedere il minimo segno di debolezza. Il suo viso era sempre una maschera di autocontrollo di fronte a chiunque.

Eccetto Gerard.

Non poteva evitare di sentirsi in colpa anche per quello. Ma quando finalmente si girò a guardare la ragazza, dal suo volto era sparito ogni segnale di imbarazzo, sostituito da nient'altro che un sorriso amichevole. Gerard sorrise a sua volta.

Perché era quello che erano, amici.

“Hai ragione” disse “di che cosa parliamo, dunque?” chiese poi, sperando di non sembrare in qualche modo maleducato. Lei si strinse nelle spalle, senza lasciare cadere quel sorriso sornione.

“Per esempio, come sono state le tue vacanze?”

“Normali” tagliò corto Gerard. Non aveva voglia di conversazioni vuote, non erano da loro.

Lindsey esitò un attimo (un'altra delle cose che non erano da lei, pensò Gerard, odiando il modo in cui si stava comportando con lui).

Gli chiese se aveva conosciuto qualcuno.

Gerard sospirò. Avrebbe voluto rispondere di no, se non fosse stato sicuro di sapere quello che la ragazza avrebbe davvero voluto domandargli.

Non provi ancora niente per me?

Non ricordava nemmeno dove fosse iniziato.

Era quello, era sempre quello, ogni volta che si ritrovavano loro due da soli.

Gerard si ritrovò a riflettere, con leggera amarezza, che gli piaceva di più esserle amico insieme ad altre persone.

Per un attimo considerò che avrebbe potuto mentirle. La avrebbe ferita comunque, certo, ma il suo orgoglio ne avrebbe risentito di meno se avesse pensato che la stava rifiutando perché aveva un'altra? La conosceva abbastanza bene per supporre di avere ragione.

Ma conosceva anche l'indubbia abilità dell'amica di capire al volo quando lui mentiva.

Così preferì non rispondere, confidando nel fatto che Lindsey avesse ormai imparato ad interpretare i suoi silenzi.

Forse non era così, o più probabilmente non le importava e basta. Ad ogni modo, non seppe mai cosa la spinse, in quel momento, ad avvicinare le labbra a quelle di Gerard.

Né Gerard seppe mai se gli sarebbe piaciuto, perché fece in tempo a ritrarsi prima che i loro visi fossero abbastanza vicini perché lui sentisse il profumo del lucidalabbra alla ciliegia di Lindsey.

La sentì sospirare, in quello che non era del tutto sicuro fosse imbarazzo o frustrazione, ma era un sospiro che diceva che, dopotutto, se l'aspettava.

“Lyn, senti, io...” Gerard iniziò ad arrancare in cerca di una valida giustificazione, anche se, come spesso succede in questi casi, non ne aveva davvero una.

“Non dire niente” lo interruppe subito lei.

All'improvviso Gerard fu colpito da una realizzazione che gli fece contorcere le budella e girare la testa, tanto che fu costretto a chiudere gli occhi per un'istante.

Lo sentiva fin dentro le ossa.

La consapevolezza che lei lo odiava.

Forse non lo dava a vedere, o forse non riusciva nemmeno ad ammetterlo. Ma era così, doveva esserlo per forza.

Non gli piaceva la sensazione che gli aveva messo addosso quella scoperta.

Ancora leggermente sconvolto, riportò gli occhi sulla ragazza.

Lindsey si era alzata, in piedi di fronte a lui sulle gradinate. Guardò i suoi bei capelli neri che danzavano nel vento (erano più lunghi, le erano cresciuti durante l'estate) e i suoi occhi puntati su di lui, imperscrutabili e scuri. Era bella davvero, non poteva negarlo.

Era anche dotata di una straordinaria intelligenza, del tipo che Gerard non aveva mai visto in nessun ragazzo o ragazza. Controllata ma senza scrupoli. Era così perfetta esternamente che spesso la gente si dimenticava che fosse anche una persona.

Forse Gerard se ne stava rendendo conto troppo tardi.

Si sentì di nuovo schifosamente quando alla fine lei si strinse semplicemente nelle spalle. Gli disse che si sarebbero visti a cena e lo salutò.

Come se non fosse successo nulla. Come se lui non l'avesse appena fatta sentire insignificante.

Nel profondo, pensò, doveva davvero odiarlo.

Gerard si voltò e mentre guardava il profilo oscillante di Lindsey andare via, illuminato da quello che restava del sole in procinto di tramontare, pensò: non è una vergogna, che io guardi l'unica ragazza per la quale sia mai esistito, e non provi assolutamente nulla?

E si sentì ancora più vuoto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aveva questa strana emozione nel petto, mentre percorreva il lungo corridoio dalla tappezzeria rossa, lungo il quale si trovavano gli alloggi di alcuni degli studenti del terzo anno, tra cui il suo.

Non sapeva come definirla esattamente, ma era simile a quella sensazione che si prova quando si ha avuto nostalgia di qualcosa. Quindi, quando arrivò finalmente davanti alla conosciuta porta di legno chiaro, contrassegnata dal numero 286 che era ormai abituato a vedere, gli spuntò un piccolo sorriso sulle labbra nel realizzare che, nonostante tutto, quel posto gli era mancato.

Non lo vedeva come una casa, ma era pur sempre il luogo in cui aveva trascorso la maggior parte degli ultimi tre anni. Era la cosa più familiare che conoscesse.

Prese dalla tasca esterna dello zaino la chiave con il numero della stanza e aprì, tirando un sospiro perché quella strana forma di malinconia che aveva addosso defluisse dal suo corpo.

 

Come spieghiamo le coincidenze? Non lo facciamo. Ci sono cose che succedono e basta.

La prima cosa che provò quando entrò fu, di questo ne era certo, la sorpresa.

Ma lo stupore per non trovarsi di fronte al suo solito compagno di stanza, David (il ragazzino strano con i capelli biondicci che girava sempre con un cappellino rosso) scemò quasi subito, sostituita da qualcosa di nuovo. Lui era di spalle quando Gerard entrò, ma si voltò appena lo sentì.

Lo riconobbe subito, e subito gli successe la cosa strana di quel pomeriggio; all'improvviso, tutto annebbiato, quasi come in un sogno. I pensieri si affollavano nella sua testa troppo velocemente perché potesse dare loro un senso. Era quel ragazzo, aveva un effetto allucinogeno su di lui.

Finché, come poco prima, fu riportato bruscamente alla realtà, da una voce che non aveva mai sentito. Era morbida e quasi troppo delicata per essere maschile, ma che comunque si addiceva alla sua persona, pensò Gerard. Il ragazzo aveva capelli scuri e spettinati, e occhi castani notevolmente grandi striati di verde (particolare che si notava solo da una distanza ravvicinata, puntualizzò), e in quel momento gli tendeva amichevolmente la mano.

“Frank” disse con un sorriso “sono Frank. Siamo compagni di stanza. Almeno, così mi è stato detto” fece una sottile risata.

Gerard fece mentalmente un esercizio, cercando di scegliere un unico aggettivo con cui descrivere il ragazzo che aveva di fronte. Non era facile, ma gli veniva da dire che lui, con il suo sorriso, i suoi occhi, la sua voce e anche il suone del suo nome, era davvero... rassicurante. Infatti, Gerard si sorprese a sentirsi fin da subito rilassato, a suo agio con lui, esattamente il contrario di come si sentiva di solito quando doveva conoscere persone nuove.

“E tu sei...?” richiamò la sua attenzione Frank.

Il ragazzo ripensò alla prima volta che l'aveva visto, nel cortile scolastico, e a come aveva pensato che fosse fuori posto. Era strano, perché in quel momento gli dava un'impressione totalmente diversa. Sicuramente non era a disagio, anzi, sembrava molto sicuro di sé, tuttavia, non in modo fastidioso, e nemmeno in quel modo che ti faceva sentire inferiore (come Lindsey). La sua sicurezza aveva un sapore agrodolce, come qualcosa che ti piace ma non riesci bene a capire perché.

Si accorse di essersi perso di nuovo nei suoi pensieri, ed era anche probabile che stesse fissando Frank in modo poco appropriato, così si affrettò a rispondergli.

“Gerard. Il mio nome è Gerard” riuscì a dire in qualche maniera, e sorrise perfino.

Gerard” ripeté Frank, scandendo lentamente la parola con la sua voce calda, “è un nome... particolare. Mi piace” concluse poi, allargando il sorriso sul suo viso.

Come lo guardava... a Gerard fece venire brividi lungo la schiena. Lo guardava in un modo che non riusciva a classificare, come se stesse leggendo il futuro nei suoi occhi verdi. Come se sapesse già perfettamente come sarebbe andata finire quella storia, e gli piacesse.

Spesso Gerard si era ritrovato a fantasticare che avrebbe dato qualsiasi cosa per poter guardare, anche solo per un'ora, attraverso gli occhi di qualcun altro. In quel caso, per esempio, gli occhi di Frank non gli sarebbero dispiaciuti. Sembravano vedere il mondo molto meglio di quanto i suoi avrebbero mai fatto.

“Penso proprio che diventeremo amici, Gerard” disse ad un tratto Frank, prendendolo alla sprovvista. Per qualche ragione, sentirgli dire quella frase gli fece più piacere di quanto avrebbe dovuto.

“Beh, lo spero anch'io” fece Gerard, assecondando il sorriso di Frank, mentre era quasi stupito di aver detto così. Ma la cosa che lo stupì più di tutte, era che lo intendeva veramente.

 

 

 

“...sì, certo, gli Iron Maiden sono gli Iron Maiden, ma i Misfits hanno quel qualcosa che... non so. Sono la mia preferita, sai?” diceva Frank, intento a sistemare le ultime cose dalle sue valigie ai cassetti e armadi. Gerard era disteso di schiena sul letto, il blocco da disegno sospeso a mezz'aria, mentre cercava di disegnare le cose che aveva intorno. Si stava concentrando sulla chitarra di Frank al momento. Trovava interessante che lui ne avesse una, inoltre, aveva scoperto che avevano più o meno gli stessi gusti musicali.

E non gli importava nemmeno che Frank avesse appena messo gli Iron Maiden in secondo piano (se era quello che aveva detto) nel suo interminabile discorso senza senso che stava intrattenendo praticamente da solo (infatti Gerard non aveva quasi aperto bocca, limitandosi ad annuire ed inserire qualche mugugno di assenso e qualche commento di qua e di là).

Era che la sua voce era bella da ascoltare, gli piaceva tantissimo, e Gerard pensò che lui non sarebbe mai potuto suonare così piacevole soltanto parlando, quindi era un bene che lo facesse poco.

Riguardo a Frank, sembrava già essersi abituato al nuovo ambiente e alla sua presenza, infatti continuava a parlare imperterrito dei suoi gruppi preferiti. Sembrava non curarsi della poca partecipazione di Gerard alla conversazione, anche se, all'incirca ogni dieci o quindici minuti, Frank interrompeva quello che stava facendo per voltarsi verso di lui, in attesa di un segno, un incoraggiamento, quasi a cercare il suo permesso e, una volta ottenuto, continuare a monologare.

Gerard stava già cominciando a sentirsi a suo agio con lui, pensava mentre lo osservava.

Non si curò più di tanto del fatto che sarebbe potuto sembrare inquietante agli occhi di Frank, e con tutte le ragioni.

Era solo una cosa che gli piaceva fare, guardare le persone.

Gerard non nutriva una grande simpatia per la razza umana, per dirla in poche parole.

La maggior parte delle persone erano esseri infimi, senza lealtà né moralità, sé stesso compreso.

Era vero, però, che lo affascinavano, lo affascinava la psicologia e il funzionamento del cervello umano, e come ognuno fosse diverso dall'altro, internamente e esteriormente.

Di norma gli piaceva analizzare le persone, vederle come un esperimento scientifico personale.

Altcune, però, erano una questione diversa. Certe persone erano più buone, o più complesse, o più interessanti.

Loro, beh, dovevano essere trattate in modo diverso. Studiate con meno freddezza, o decifrate come la scrittura di un antico manoscritto, o ammirate come un'opera d'arte.

Ne aveva incontrate poche di persone così, nei suoi diciotto anni di vita: suo fratello Mikey, il quale sembrava essere il ragazzo più puro del mondo, totalmente privo di malizia.

Lindsey, lei era l'essere più complicato che avesse mai avuto occasione di incontrare, non era mai riuscito a comprenderla del tutto.

E ora Frank, che somigliava vagamente all'incrocio dei due estremi. Si sarebbe rivelato particolare.

 

“Che cosa posso suonarti?” gli fu chiesto, e Gerard cadde all'improvviso dalle nuvole.

“Cosa?” disse automaticamente, poi si accorse che Frank era seduto per terra a gambe incrociate, la schiena appoggiata al suo letto, la chitarra in grembo.

“Ti ho chiesto cosa vuoi che ti suoni”

“Hai intenzione di suonare una canzone per me?” chiese Gerard con una mezza risata (ma nascondendo che l'idea lo lusingava abbastanza), mettendosi a sedere per terra di fronte a Frank.

“Prendila più come una... canzone di celebrazione.”

“Celebrazione di cosa?”

Frank rispose, totalmente pronto: “Celebriamo il fatto che, da questo momento in poi, Frank Iero e Gerard... ehm, come ti chiami di cognome?” chiese. Gerard rispose. L'altro si schiarì la voce, poi continuò;

“Bene, celebriamo il fatto che, da oggi in poi, Frank Iero e Gerard Way non dovranno più vivere un altro giorno senza conoscersi”

Gerard gli sorrise il sorriso più sincero che riuscì a dargli.

“Hai ragione, è un ottimo motivo per festeggiare” disse, guadagnandosi un altro sorriso da Frank.

“Andiamo. Scegli quello che vuoi. Vedrai se c'è qualcosa che non so suonare” disse compiaciuto, cosa che fece leggermente ridere l'altro.

“ehm, non lo so... Nirvana?” buttò lì. Frank scoppiò in una fragorosa risata.

“Gerard, conosco praticamente tutto dei Nirvana” disse scuotendo la testa.

Si guardarono, poi scoppiarono entrambi a ridere, all'improvviso.

Gerard pensò che, se avesse dovuto segnare su una linea del tempo il punto in cui erano diventati amici, avrebbe scelto quel momento, quel momento esatto, nella loro minuscola stanza, seduti sul pavimento freddo, con Frank che iniziava a strimpellare i primi accordi di Drain You alla chitarra e l'eco delle loro risate ancora nell'aria.

  
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