Libri > Il fantasma dell'Opera
Ricorda la storia  |      
Autore: flatwhat    06/09/2014    2 recensioni
Modern!AU. Raoul è un nuovo studente nella classe di Christine Daaé, sua vecchia amica di infanzia. Christine, una volta a settimana, è impegnata a seguire delle lezioni di recupero di musica con un misterioso insegnante con cui Raoul farà, suo malgrado, conoscenza.
(Erik/Christine/Raoul)
Genere: Comico, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Christine Daaé, Erik/Il fantasma, Raoul De Chagny
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Io, lei, e il prof di musica'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
È bastato un ciao, sono Raoul de Chagny, piacere di conoscervi, a inimicarlo con il resto della classe.
Per quale motivo? Beh, forse perché è mingherlino, di famiglia ricca e ha pure quegli orrendi occhiali. E forse anche perché ha confessato di amare il cucito nella sua presentazione. Forse avrebbe fatto meglio a non dirlo.
Raoul sbuffa.
“Qualcosa non va?”, chiede Philippe, suo fratello, distratto, mentre lo accompagna in macchina al settimo giorno di scuola dell’ultimo anno di liceo.
“Niente, è solo che era così anche alla vecchia scuola”, si lamenta lui.
“Fatti coraggio, noi De Chagny siamo abituati a questo genere di cose”.
Raoul alza un sopracciglio.
“A venire presi in giro a scuola?”.
Philippe evita per poco di uscire dalla carreggiata. Uno strombazzare di clacson li avvolge.
“Alle avversità. Era quello che volevo dire. Non ad essere presi in giro”, balbetta.
Raoul rotea gli occhi. Fuori dal finestrino, si avvicina l’edificio scolastico.
“Divertiti, Raoul!”. Divertiti, certo


Una ragazza lo osserva.
“Che ci fai dentro un bidone?”.
“Mi ci hanno infilato”, confessa Raoul, niente affatto in vena di usare del sarcasmo ora.
“Lo vedo. Domanda idiota, scusami”, dice lei.
“Fa niente”, dice Raoul, e accetta la mano della ragazza per uscire dal bidone. Cerca per terra con le mani.
“Dove…”
“Qui”, dice lei e gli porge gli occhiali. Sono miracolosamente non del tutto rotti.
Appena li infila, Raoul vede più chiaramente i lineamenti di lei. È una delle sue nuove compagne di classe, che, per qualche ragione, non ha ancora avuto la sua parte nello scherno generale. Ora che la vede bene, gli sembra di averla già vista. Ma dove…?
“Ti osservo da un po’”, dice lei, piegando la testa di lato. Ha un’espressione così seria in volto, tale da rendere questo movimento l’esatto contrario di attraente.
Si accovaccia, davanti a lui.
“Scusami, sono un po’ miope”.
Eh, si sono trovati.
Si squadrano un po’.
“Raoul, giusto?”, riflette lei. Poi la sua espressione cambia in una stupita. “O. Mio. Dio. Sono una completa deficiente. Raoul!”.
Raoul sbatte le palpebre due volte, prima di offrirle un “Eh?” confuso.
“Raoul! Sono Christine! Eravamo migliori amici in prima elementare! Prima che…”, ma non finisce la frase.
“Christine!”, esclama lui, improvvisamente tutto emozionato. La sua cotta di quando aveva sei anni! Ora che la riconosce, le pare molto più bella di prima.
“Christine!”, ripete, “Mi ricordo che un bimbo di seconda ti aveva rubato i pastelli colorati e io sono andato da lui e-”.
“E lui te li ha infilati in gola”, conclude lei, non nascondendo un sorriso.
“Già”, dice lui, arrossendo. Guarda il bidone.
“Non è cambiato molto da allora…”.
“In realtà”, sospira Christine, “In realtà è cambiato moltissimo”.
Raoul la fissa, inebetito.
“Quella volta fosti tu a cambiare scuola… Mi chiedo per quale-”.
“Mio padre è morto, Raoul”, dice Christine, semplicemente.


“Raoul, insomma! Capisco che soffri di pene d’amore, ma potresti evitare di consumare tutto il gelato!”, esclama Philippe.
“Dovresti almeno sentirti più contento che io abbia un motivo per andare a scuola”, dice Raoul, infilandosi immediatamente in bocca una grossa quantità di gelato al cioccolato. I denti gli fanno malissimo. Si sente un po’ stupido.
“Sono contento, ma oggi viene la mia ragazza e volevo… Aspetta un momento”, Philippe si acciglia. “Perché sei ancora qui? Avevi detto che ci avresti lasciato soli”.
Raoul tappa il contenitore di gelato.
“Effettivamente, ero sicurissimo di uscire con Christine, oggi, ma lei mi ha detto che era impegnata in una lezione di recupero”.
“Di recupero?”.
“Sì, di musica”, ed, effettivamente, va detto. Christine è stonata come una campana. Peccato, perché suo padre era un violinista molto bravo.
Philippe sospira.
“Senti, non potresti comunque uscire a raggiungerla per incontrarla dopo la lezione? Tra meno di un’ora, Sorelli sarà qui”.
“Vado, vado”, sospira Raoul. Non aveva voglia di infastidire Christine, ma, dopotutto, gli va di rivederla.


Dopo aver preso il bus, essersi recato a scuola, e aver cercato un po’ per tutto l’edificio, Raoul si rende conto che Christine non gli ha specificato dove segue queste lezioni. Nella normale lezione di musica, Christine non c’era. Strano.
Mamma Giry, bidella un po’ svitata, e madre di Meg, una delle sue compagne di classe, gli viene incontro.
“Cerchi qualcosa?”.
“La lezione di musica. Dove si tiene?”.
Mamma Giry si limita a un silenzio inquietante.
“Che tipo di lezione, esattamente?”,
Raoul deglutisce. 
“Quella… Quella che segue Christine Daaé?”.
Mamma Giry sorride.


Una vecchia aula della scuola, ormai adibita a ripostiglio, è il luogo dove si tiene la lezione di musica di Christine.
Ok…? 
Ma prima ancora di spalancare la porta ed entrare, Raoul sente una voce melodiosa provenire da dentro la stanza. Che sia Christine? Com’è possibile?
Quando poi entra nell’aula, si rende conto che, sì, è proprio Christine a cantare. Ed è assolutamente meravigliosa.
La sua presenza la distrae improvvisamente dal canto. Si volta verso di lui.
“Raoul! Cosa ci fai qui?”.
“Philippe ha un appuntamento, così sono arrivato qui e ho chiesto a Mamma Giry, che…”, comincia a dire Raoul, per poi accorgersi dell’altra persona presente in quella stanza. L’insegnante di musica.
“Buongiorno, signore”, saluta Raoul. “Come mai la maschera? State provando uno spettacolo?”.
L’insegnante di musica gli lancia un’occhiata terrificante con i suoi occhi gialli, da dietro quella inquietante maschera nera.
Ora che Raoul ci pensa, effettivamente non c’è niente che non sia inquietante, in quel tipo. È scheletrico, vestito completamente di nero, e l’unica parte del volto non coperta dalla maschera è la sua bocca, che ora è piegata in una smorfia di puro disgusto. 
Non sembra avere più di trent’anni, pensa Raoul, eppure ha già un principio di calvizie.
L’insegnante tamburella con le dita sul banco a cui e seduto.
“E chi saresti, tu, di grazia?”.
Raoul rimane stupefatto.
Quell’uomo ha una voce ultraterrena.
“Sono un amico di Christine”, riesce a dire lui quando si ricorda come si fa a parlare.
“Bene, piacere. Ora sparisci”. L’insegnante lo liquida con un gesto della mano.
“Oh, per favore, Erik!”, dice Christine quando ormai Raoul si è voltato per andarsene. “Non può proprio rimanere? Si ci può fidare, di lui”.
Erik emette un lungo, contrariato sospiro.
“E va bene. Tanto la lezione è quasi conclusa”.


Non ci sono parole che possono descrivere cosa Raoul udì quel giorno, e cosa ode tutte le settimane, durante l’ora di lezione di Christine.
Se Erik ha una voce angelica già nel parlato, non si può neanche arrivare a immaginare cosa voglia dire ascoltarlo cantare.
E anche Christine, che pure a scuola suona così male che il prof l’ha pure relegata al triangolo, si trasforma. La sua voce raggiunge picchi mai sentiti prima.
Raoul non può evitare di venire rapito ogni singola volta.
Questo perché Erik ha accettato che lui assista, più per fare un favore a Christine che altro.
Raoul, tutto sommato, non riesce a provare antipatia per quell’uomo, anche se gli fa ancora dannatamente paura. Perché vede che, con lui, Christine, non solo la sua voce, cambia. Durante le lezioni, la sua malinconia scompare e tutto il suo corpo si riempie di vitalità. E Raoul non può che esserne felice.
C’è solo una cosa che lo confonde ancora.
La maschera.
Erik non se l’è mai tolta. Neanche una volta.


I giorni passano veloci, ora che Raoul ha trovato un senso nelle giornate di scuola.
“Hai già deciso cosa farai dopo?”, gli chiede Christine in un giorno di Dicembre. Indossa un’incantevole cappellino rosso che Raoul trova assolutamente adorabile.
Si fermano un attimo davanti alla stazione di polizia. L’Ispettore Nadir Khan è appena uscito. Si salutano a vicenda.
“Non lo trovi un uomo affascinante?”, chiede Raoul, quando l’Ispettore è ormai lontano.
Christine alza un sopracciglio, però poi annuisce.
Raoul si ricorda della domanda di Christine.
“Ah, che cosa voglio fare. Sinceramente, non ne ho idea”, confessa Raoul. “So solo che mi piacerebbe moltissimo viaggiare”.
“Davvero?”.
“Sì, mi piacerebbe girare per il mondo e conoscere tante culture e tante lingue diverse”.
Christine ride.
“Non avevo idea che avessi un sogno simile”.
“Lo trovi buffo?”.
“No, lo trovo bello”, dice lei. Ride di nuovo. “Sai, io sono svedese, di nascita”.
“Davvero?”, chiede Raoul, sentendosi improvvisamente un idiota per non averlo notato prima.
“Sì”, Christine abbassa lo sguardo un attimo. “Jag älskar dig”.
“Cosa vuol dire?”.
“Niente, niente”, ma intanto, Christine arrossisce.


Un giorno, dopo la lezione di musica, Raoul non può fare a meno di chiederlo.
“Perché indossate una maschera?”.
Dallo sguardo spaventoso che sia Erik che Christine gli lanciano, comprende che avrebbe fatto meglio a rimanere zitto.
“Non lo vuoi sapere, credimi”, dice Erik, in un soffio.
“Se è una deformità”, dice Raoul (Erik si irrigidisce di colpo), “Non dovete vergognarmi. Al giorno d’oggi, nessuno si dovrebbe più vergognare per queste cose”.
Erik sospira, tristemente.
“Avrai anche buone intenzioni”, lo apostrofa, “Ma anche Christine ha detto così, un anno fa”.
Raoul guarda Erik, senza dire una parola. Poi guarda Chritine, che abbassa gli occhi sentendosi in colpa.
“Io… Io…”, è tutto quello che riesce a dire.
“Lasciamo perdere. Potete andare”.
“No!”, esclama Raoul, rendendosi conto subito dopo di quanto maleducato e stupido stia sembrando. Ma gli fa venire tristezza, il fatto che quell’uomo sia costretto a indossare una maschera solo perché è diverso.
E una piccola parte di lui, una parte cattiva, gli sussurra “Chissà com’è realmente? Non sei curioso?”.
“Non avrò paura”, dice infine Raoul. “Lo prometto”.
Erik lo guarda per una manciata di secondi.
“Voltati”, ordina a Christine. Lei obbedisce.
Poi si toglie la maschera.


Non è riuscito a mantenere la promessa.
Questa settimana, Erik non c’è, a scuola.
Christine e Raoul fanno una passeggiata, nel tentativo di sentirsi un po’ meglio.
“Un anno fa”, dice Christine, “Quando cominciai a seguire le sue lezioni, gli chiesi quasi immediatamente di levarsi la maschera. Anch’io gli promisi che non avrei avuto paura”.
Raoul sospira, gli occhi chini. Non riesce a dire niente.


La settimana successiva, Erik è di nuovo nell’aula.
In compagnia, per qualche motivo, dell’Ispettore Khan.
Discutono animatamente, mentre Raoul e Christine aspettano fuori dalla porta.
“Ti ho detto che non sto combinando proprio niente, stupido di un Daroga!”, “Per la centoventitreesima volta in quindici giorni, Erik, non mi chiamo Daroga!”, sono alcune delle cose che si odono da fuori.
Quando poi l’Ispettore esce, lasciando la porta spalancata, Christine gli domanda, con apprensione, se è successo qualcosa.
“No, per ora no”, risponde lui, “E spero per lui che abbia ragione. Volevo solo controllare, visto che la settimana scorsa non era qui”.
“Voi lo sapevate?”, chiede Christine, stupefatta.
“Ma certo. So benissimo cosa fa qui. Madame Giry mi informa ogni volta”.
Raoul si volta di scatto verso Mamma Giry, seduta poco lontano, e riceve un enigmatico sorriso in risposta.
Raoul deglutisce rumorosamente.
Dopo aver detto queste cose, l’Ispettore saluta e se ne va.
Christine e Raoul lo osservano, perplessi.
“Allora, voi due”, la voce di Erik li raggiunge, stanca, da dentro la stanza. “La lezione sta per cominciare. Non volete entrare?”.


Il giorno di Natale, Raoul incontra Christine di mattina.
Lei gli ha comprato una camicia nuova, dopo che l’altra è rimasta inutilizzabile dopo essere stata vittima degli scherzi a scuola. Che pensiero carino!
“Anche io ti ho portato qualcosa!”, esclama Raoul, tutto contento.
“Oh, Raoul, non dovevi!”, esclama lei di rimando. In questo momento, sembrano davvero due stupidi ragazzini adorabili.
Christine apre il pacco che Raoul le porge. È una sciarpa rossa.
“Ti piace? L’ho cucita io, tutto da solo”, dice Raoul, tentando di darsi arie per non far vedere il rossore che gli dipinge le guancie. 
“È bellissima, Raoul! Starà a meraviglia, con il cappello!”, sospira Chrisitne, per poi indossarla un secondo dopo.
E poi succede una cosa che Raoul aveva prima solo sognato. Christine lo bacia.


Di questa cosa, ha tempo di vantarsi con Philippe solo per il giorno di Natale, perché il giorno dopo, gli arriva una telefonata di Christine.
“Dobbiamo parlare”, dice semplicemente.


Quando si incontrano, Christine ha di nuovo un’espressione serissima, come ce l’aveva quando si sono incontrati e, anzi, forse anche di più.
“Ieri, Erik mi ha voluto vedere. Diceva che era per parlare delle lezioni del prossimo anno. Ma poi ha detto che mi ama”.
Raoul è a bocca aperta.
“E tu… tu che gli hai detto”.
“Gli ho detto che avremmo dovuto parlare tutti e tre insieme”, dice lei, senza mutare espressione. “Quando sei libero?”.


Il giorno fissato per l’appuntamento, prima di recarsi a scuola, dove avrebbero dovuto vederli, Raoul passa un attimo dalla stazione di Polizia e chiede di parlare all’Ispettore Khan.
Quando l’uomo gli chiede di cosa ha bisogno, Raoul, senza troppi giri di parole, arriva al sodo: “Che tipo è Erik? È pericoloso?”.
L’Ispettore lo fa uscire di corsa dalla stazione.
Davanti a un caffè al bar (Raoul ha preso un gelato), e con una folla rumorosa tutt’intorno, si china a sussurrargli:
“Mentirei se dicessi che non ha causato grane, in passato. Per farla breve: una volta si è finto un fantasma e ha estorto del denaro a una coppia di eccentrici”.
Raoul fa fatica a non sputare il gelato.
“Però poi sono successe delle cose”, continua Nadir Khan, “E abbiamo finito per salvarci la vita a vicenda. Da quel giorno, io lo tengo d’occhio. Lui ha promesso di starsene buono buono. Se dovesse combinare qualcosa, finirei in un mare di guai. D'altronde, se dovesse combinare qualcosa, lui finirebbe nei guai prima di me”.
“Quindi…”, dice Raoul, “Riguardo alla mia domanda…”.
“Ha promesso di non essere pericoloso”.


Quando Raoul entra nell’aula, trova solo Erik.
“Prego, accomodati. Christine non è ancora arrivata”, dice lui, le mani dietro la schiena.
Raoul si siede ad un banco.
Improvvisamente, con una velocità incredibile, Erik sposta il banco e, senza che Raoul riesca a seguire i movimenti, lega il ragazzo alla sedia con un lazo.
“Cosa?!”, fa Raoul, spaventato.
Gli occhi gialli di Erik lo squadrano.
“Bene bene. Cosa dovrei fare con te?”.
“Erik… Signore… Non vorreste mica uccidermi?! Io…”, balbetta Raoul. È in preda al terrore. E si sente tradito.
Erik non dice nulla. 
“Io sono andato dall’Ispettore Khan, lo ammetto, sono andato a chiedere di lei, perché mi avete sempre fatto paura e quella volta lui era qui e- e lui mi ha detto che eravate amici e…”.
“Davvero l’ha detto? Stupido Daroga…”, dice Erik, suonando un po’ come un bambino.
“E io mi sono tranquillizzato e ho pensato, sono stato uno stupido a non fidarmi del professor Erik! Perché ha aiutato Christine ed è un brav’uomo!”, continua Raoul, tentando di ricacciare indietro le lacrime.
Erik continua a rimanere in silenzio. Ma tira l’estremità del lazo che, all’improvviso si scioglie.
Raoul guarda la corda ormai lenta ai suoi piedi e guarda Erik.
Erik sospira e si accascia su una sedia accanto a lui.
“Se ti può consolare”, dice, “Non ho mai avuto intenzione di ucciderti. Fossi stato un uomo più pericoloso di come sono ora, e non ti avessi conosciuto, forse avrei accarezzato l’idea, ma…”.
Fa una piccola pausa.
“Dopo tutto questo tempo, mi sono… affezionato”, pronuncia quella parola come se gli facesse infinitamente schifo.
“Oh! Anche io mi sono affezionato a voi, signore!”, dice Raoul, avendo superato la paura con velocità disarmante.
“Evita di dire queste cose, che mi rendi tutto più difficile, ragazzo”, lo zittisce Erik, stizzito.
Sospira di nuovo. Poi si lancia in un discorso, gesticolando furiosamente.
“Il fatto è che io dovrei odiarti perché amo Christine e Christine ama te, e quando mai, nei film, le belle ragazze scelgono il tipo complessato e possibilmente schizzato a quello affascinante e sano di mente?! Le fans, tutte a urlare allo schermo come forsennate, ma no, cretina, ma vai con il tizio complessato, io lo bacerei seduta stante! E poi, possibilmente, quando ne incontrano uno così, fuori dallo schermo”, qui indica sé stesso, “Scappano a gambe levate. E chi può biasimarle?”.
“Spezzo una lancia, signore. L’avete detto anche voi: potreste essere molto peggio”, commenta Raoul.
“Sì, ok, ammetto che sarei potuto essere peggio. Tutto perche quello stupido del Daroga mi ha sconvolto i piani un paio di volte”, sospira di nuovo, “Però mi piaceva l’idea di un sotterraneo tutto per me”.
Alza lo sguardo, sognante. Poi ritorna con i piedi per terra.
“Ma comunque, sta di fatto che sono brutto come la morte. Letteralmente. E Christine-”.
Come la nomina, ecco Christine comparire sulla soglia.
Lancia una rapida occhiata a Erik, e a Raoul che ha ancora il lazo ai piedi.
“Cosa sta succedendo?!”, grida.
“Christine…”, prova a dire Erik.
“Folle! È così che vuoi vincere il mio amore?”, esclama lei, furibonda.
“No, Christine, posso spiegare…”, dice Erik, ma Christine spinge un banco di lato ed è davanti a lui.
“Agisci così perché sei convinto che non ti amerei mai, senza orride minacce? Beh, caro mio, ti sbagli di grosso!”, e, in un attimo, gli sfila la maschera, rivelando il suo orrendo volto senza naso. E bacia le sue scarne labbra.
Erik sussulta.
Poi cade, con tutta la sedia, all’indietro.


Quando riprende i sensi, Raoul ha già avuto modo di spiegare a Christine che no, anche io ho avuto paura, ma non voleva farmi del male.
Per cui, nello scusarsi con lui, è molto più timida del solito.
“N-non scusarti”, dice lui, ancora intontito.
Si tocca le labbra.
“Svenire per il bacio di una ragazza. Si può essere più patetici?”, dice, con voce un po’ tremante, e poi ride di cuore.
Raoul sorride, rendendosi conto di non aver più paura di lui.
“Allora ami lui, Christine? Beh, me ne farò una ragione”.
Christine gli prende una mano.
“Vi ho fatti venire qui proprio per questo motivo”.
Sia Raoul che Erik la guardano.
“Io vi amo”, dice Christine, “Tutti e due”.
I due alzano un sopracciglio.
“Non vi biasimo se avete dei problemi per questo”.
“Per me è già tanto”, dice Erik, “Che qualcuno mi ami”.
“Idem”, dice Raoul, alzando le spalle.
“Allora, l’idea di una relazione aperta…?”.
“Guarda, glielo stavo dicendo prima anche a lui”, Erik indica Raoul, “Non voglio male al ragazzo, e poi è un bravo giovanotto. Fossi un feroce assassino con un sotterraneo tutto mio (se lo stupido Daroga me lo avesse fatto costruire), forse l’idea mi sarebbe andata di traverso. Ma sinceramente, non me ne importa nulla”.
“Anche io avrei avuto dei problemi, se il professore fosse stato un feroce assassino, eccetera. Ma se così non è…”.
“Oh”, dice Christine, sorridendo, “Ottimo!”. 


Sono passati alcuni anni, da allora.
Erik si presenta alla porta della casa dove Raoul e Christine convivono. Loro sono cresciuti, lui un po’ invecchiato. Non che si noti molto. Solo i capelli sono un po’ diminuiti. Non indossa più la maschera.
“Entra, Erik”, dice Christine, e lo fa accomodare.
Raoul, intanto, prepara il film nel lettore dvd. Questa sera, si fa serata cinema.
“Cosa guardiamo?”, chiede Erik, sedendosi ad un capo del divano.
“Il Gobbo di Notre Dame, quello muto con Lon Chaney”, risponde Raoul.
“Oh, Lon Chaney! Sono un suo grande ammiratore!”, esclama Erik.
“Anche a me piace molto”, dice Christine, sedendosi esattamente in mezzo a Erik e Raoul, e afferrando le loro mani. Prima che il film cominci, guarda Raoul, poi Erik.
“Sapete, da un po’ di tempo stavo pensando che, visto che ora ci vediamo tutti insieme spesso… Non sarebbe divertente se anche tra voi due sbocciasse qualcosa?”.
Erik tossisce.
“Qualcosa in particolare ti ha fatto nascere questa riflessione?”, chiede, non riuscendo a nascondere l’imbarazzo.
“Oh, nulla, nulla”, dice Christine, sorridendo.
Raoul ridacchia.
“Chissà se il bacio di un ragazzo ti farebbe perdere i sensi”.
Erik si volta a lanciargli un’occhiataccia.
“Mi stai sfidando, Raoul?”, chiede, con un ghigno. 

 
Bene, che dire a parte che mi sono divertita?
Volevo scrivere una Erik/Raoul/Christine, e mi è stato dato il prompt "insegnante si ripetizioni!Erik/studentessa!Christine/nuovo studente!Raoul". Da quel momento ho avuto vari flash con Raoul versione studente nerd adorabile, e allora ho capito che mi sarei divertita di più di quanto immaginassi.
La fic, come avrete visto, non è da prendersi troppo sul serio. Spero di aver strappato qualche risata. Ah, sono una persona poco originale e ho dato al Daroga lo stesso nome che ha nel romanzo "Phantom" di Susan Kay.
Ho tentato di non esagerare troppo le personalità che i personaggi hanno nel libro, ma ho comunque ritenuto opportuno inserire l'avvertimento OOC.
E ho messo anche  gli avvertimenti Slash e Crack Pairing, anche se queste due cose ci sono solo alla fine, per non prendere nessuno alla sprovvista. Un'ultima cosa: mi ero dimenticata di dire che la frase che Christine dice in svedese ("Jag älskar dig") significa "Ti amo". X3
Non mi dispiacerebbe provare a scrivere questa OT3 in un contesto canon e serio, in futuro. Anche se, indubbiamente, è una bella sfida.

Grazie a chi si trova a leggere! Alla prossima!
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il fantasma dell'Opera / Vai alla pagina dell'autore: flatwhat