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Autore: _Ella_    06/09/2014    2 recensioni
Era improbabile che un ragazzo con un viso così pulito volesse rubargli il cellulare in un tratto ferrovia che non sarebbe terminato prima di quattro o cinque minuti. Glielo porse, tenendolo d’occhio mentre componeva il numero e restava in attesa. Iniziò a credere di essere impazzito quando il ritornello della canzone che stava canticchiando nella testa si sentì ben chiaro lì nello scompartimento: quando però si rese conto che quel ragazzo il cellulare lo aveva e che quella era la suoneria lo fissò sconcertato, fissandolo per aspettare una spiegazione.
«Sai» rise, ridandogli il telefonino. «Era per salvarmi il tuo numero. Sotto quale nome devo salvarlo?».
[Buono, stupidissimo, Zemyx day!]
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Demyx, Zexyon
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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Call me maybe
 
 
Frequentare l’università non era semplice, e non perché seguire i corsi fosse noioso, o perché gli esami fossero difficili, ma perché fare il tragitto era tutte le volte una fatica: dover prendere il pullman ed il treno ed ancora il pullman per arrivare in centro era un’impresa che avrebbe fatto sembrare l’odissea un piacevole viaggio in barca lungo le acque calme di un fiume. Era una vera maledizione che quello della patente fosse l’unico esame che non era mai riuscito a superare e che, ancora bruciante di vergogna per la sconfitta, non avesse intenzione di ripetere.
Odiava visceralmente doversi insinuare tra lo spazio perlopiù inesistente lasciato dalla folla per raggiungere l’angolo più sicuro del mezzo, dove era vagamente riparato dalle oscillazioni furiose che più volte lo avevano fatto cadere sulle altre persone, rendendo però quasi impossibile riuscire ad uscire dalle porte in tempo alla sua fermata: aveva passato mattine e pomeriggi a correre per strada sotto la pioggia con l’ombrello distrutto per poter ritornare sulla sua strada ed arrivare puntuale alle lezioni in università.
Era certo che prima o poi quello stile di vita lo avrebbe ucciso – del resto, morire non gli sembrava una possibilità così tremenda messa a confronto col dover annusare le ascelle puzzolenti dei pendolari per almeno tre giorni alla settimana. Quel mattino fortunatamente però il treno era più vuoto del solito, e passare venti minuti seduto vicino al finestrino non sembrava così tremendo, soprattutto se di fianco c’era una signora sulla settantina che non aveva quel nauseante odore di naftalina e che gli aveva anche offerto una caramella, dichiarando di vederlo piuttosto pallido; si era quasi stupito che esistessero anche vecchiette gentili, oltre quelle che ti obbligavano a cedere loro il posto.
Ma più delle difficoltà che si incontravano lungo il tragitto appartamento-aula (o quello casa-lavoro), quello che Zexion odiava era la routine della sua vita: svegliarsi presto, fare la doccia, bere il tea coi biscotti con ancora il sapore del dentifricio in bocca, infilare i libri ed i quaderni nella borsa e sperare che l’i-pod fosse carico abbastanza da durare durante il viaggio mentre correva giù per le scale dal sesto piano per prendere al volo il pullman che l’avrebbe portato alla coincidenza col treno; scendere dal treno e schivare la folla della stazione per beccare l’altra coincidenza; e poi c’erano le lezioni o i tavoli da servire, il pranzo veloce, lo studio nella biblioteca ed il ritorno quando già era buio, l’arrivo a casa così stanco da non avere neppure la forza di cenare e di fare una doccia prima di abbandonarsi a peso morto sul letto, dormendo coi vestiti indosso. Era come essere bloccati in un loop infinito, come se giorno per giorno qualcuno cantasse sempre la stessa identica litania, come essere incatenato in un’illusione e non sapere come uscirne, vivendo tutto come se non potesse essere altrimenti.
Il treno si fermò in stazione, lasciando entrare ed uscire la corrente dei passeggeri. La signora lo salutò prima di alzarsi, ma quando si rese conto che il saluto era per lui era anche troppo tardi per poter ricambiare, assorto com’era dall’ascoltare la musica dalle cuffiette (c’era solo una tacca rossa e lampeggiante di carica, e sbuffò frustrato quando si rese conto che l’energia non sarebbe bastata neppure per finire di ascoltare la sua canzone preferita). Mandò un’occhiata al cielo quando uscirono dalla galleria, storcendo il naso appena il finestrino iniziò a bagnarsi con grossi goccioloni di pioggia: non aveva fatto in tempo a comprare un ombrello nuovo.
L’i-pod lo abbandonò durante il ritornello, lasciandogli in testa le parole della canzone come un eco solitario. Piegò per bene il filo delle cuffie e lo annodò prima di infilare tutto nella borsa, prendendo il cellulare dalla tasca per controllare l’ora.
«Ehi, scusa».
Alzò lo sguardo, sicuro che avessero parlato a lui solo quando si sentì picchiettare la spalla. Il ragazzo che lo aveva disturbato era seduto al posto della signora, un paio di grosse cuffie attorno al collo ed un sorriso gentile a portata di mano, ma Zexion era ancora troppo concentrato sul ritornello della canzone per dirgli altro che non fosse un “mh?” mangiato tra i denti.
«Puoi… prestarmi il cellulare? Devo fare una chiamata».
Gli avrebbe volentieri detto di no, se non fosse che continuava a fargli quel sorriso. Era improbabile che un ragazzo con un viso così pulito volesse rubargli il cellulare in un tratto ferrovia che non sarebbe terminato prima di quattro o cinque minuti. Glielo porse, tenendolo d’occhio mentre componeva il numero e restava in attesa. Iniziò a credere di essere impazzito quando il ritornello della canzone che stava canticchiando nella testa si sentì ben chiaro lì nello scompartimento: quando però si rese conto che quel ragazzo il cellulare lo aveva e che quella era la suoneria lo fissò sconcertato, fissandolo per aspettare una spiegazione.
«Sai» rise, ridandogli il telefonino. «Era per salvarmi il tuo numero. Sotto quale nome devo salvarlo?».
«Chi diavolo sei?».
Lo osservò pigiare un paio di tasti, poi si bloccò, fissandolo (Zexion non voleva crederci che stava davvero per scrivere “chi diavolo sei”). «…oh.» rise. «Imbarazzante – io sono Demyx, piacere» gli porse la mano, ma Zexion continuò a guardarlo seccato. «Uhm, sarebbe un po’ strano chiamarti e dire “ciao, bel ragazzo che ho conosciuto in treno”».
«Ma sei stupido?».
Lo scrutò, poi rise di nuovo. «Qualcosa mi dice che sei single».
Sbuffò, girandosi verso il finestrino per cercare di ignorarlo meglio che poteva. Gli toccava anche cambiare il numero, evidentemente, come se non avesse già abbastanza problemi a cui pensare. Continuò a guardare fuori, osservando tutte le persone che entravano ed uscivano dalle porte del treno o quelle che aspettavano quello giusto, in una stazione al coperto della galleria sotterranea e in un'altra all’aperto in piedi sotto la pioggia. Stava anche piovendo più forte, e sospirò sconsolato al pensiero di quando aveva quasi pensato che quella giornata potesse essere meglio delle altre.
Quel Demyx scese, salutandolo senza ricevere risposta. Lo scrutò mentre correva al riparo, il cappuccio calato sulla testa, poi sparì tra tutte le altre persone, e Zexion si preparò a scendere alla prossima fermata, quando inciampò in un ombrellino lasciato lì ai suoi piedi. Prima che potesse chiedersi chi fosse l’idiota che l’aveva dimenticato in una giornata di pioggia, gli arrivò un messaggio.
“Ho visto che non avevi l’ombrello, usa pure il mio! :D - Demyx”.
Dopo aver riletto più e più volte, raccolse l’ombrellino celeste, sospirando.
“Grazie. Zexion”.
Scendendo alla propria fermata ed aprendo l’ombrello per non bagnarsi, sorrise.


 

Per quanto possa sembrare che questa storia sia ispirata a quella seducente canzone molto seria e profonda, sono lieta di annunciare che la trama mi è venuta in mente grazie a, rullo di tamburi, insegreto.! Questo perché non c'è limite allo squallore ed alla demenza, qui vi riporto il fantomatico segreto:
"Donna di 16 anni
2 giorni fa stavo aspettando il bus alla fermata, con il telefono appoggiato sulle gambe, si avvicina uno che mi chiede di poter fare una chiamata col mio telefono io imbarazzata glelo presto e dopo poco sento il suo telefono suonare. Si è chiamato per avere il mio numero. stiamo insieme da 6 mesi
".
Quindi siete liberissimi di pensare che dopo quell'incontro Zexion e Demyx si siano amati per sempre perché SI'.
Ciao bebies, mi siete mancati <3
Ancora auguri, spero che abbiate cominciato settembre con la testa giusta (io no).


 
   
 
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