E si inginocchiò svanendo tra le ombre dell’oscurità. Quale
vile creatura aveva avvolto quel regno così glorioso nelle tenebre più buie?
Perfino un cavaliere dall’onore solido come la sua grande arma aveva ceduto al
potere dell’Abisso, e allora forse nessuno avrebbe potuto fronteggiare chi
aveva piegato Drangleic. Un guerriero però era riuscito a lasciarsi alle spalle
anche l’ultima difesa del Re, l’ultimo ostacolo che gli avrebbe concesso di
appropriarsi del potente anello dell’ultimo monarca. Gladius, così veniva
chiamato quel viandante non morto mandato dall’Araldo dello Smeraldo,
l’ennesimo combattente che aveva intrapreso quel lungo viaggio ma che stavolta
era quasi giunto al suo termine. Eppure le guardiane del fuoco, all’inizio del
suo percorso, gli avevano rivelato che molti altri prima di lui erano giunti al
cospetto del Re, il potente uomo che aveva studiato e capito l’essenza prima
dell’anima… ma nessuno era mai tornato indietro. L’uomo si mosse, tenendo su
una spalla la lama della potente spada di Mirrah, probabilmente recuperata dal
cadavere di qualche malcapitato sulla sua strada di sangue, e lo scudo del
drago dormiente stretto nella mano sinistra, godendo del particolare
incantamento di cui era infuso. Effettuò qualche passo bevendo un sorso di
Estus, ma stava bene: lo scontro con il grande Vestaldt non lo aveva impegnato
troppo e quel suo sghignazzare tra sé e sé la diceva lunga su quanto Gladius
stesse realmente soffrendo quel lungo viaggio verso il trono del desiderio. No,
non era un non morto qualsiasi, lui non sarebbe divenuto vuoto per molto, molto
tempo, per il solo fatto che trovava piacere nel sentire soffrire e urlare chi
veniva lacerato dalla sua arma. Superò un’alta arcata e finalmente lo vide: il
Re di Drangleic, il Re del regno collassato, il Re Vendrick.
«Morirai anche tu come la tua guardia, come tutti gli altri» disse Gladius
sbattendo al suolo la sua spada e lasciando che una stana aura infuocata ne
ricoprisse la lama. Sul suo viso brillavano i suoi occhi dorati e al fuoco che
aveva generato, scintillò la veste del guardiano della cripta che aveva
depredato da uno dei cadaveri che si era lasciato al Picco Terrestre, ormai
qualche giorno prima. Roteò la spada di Mirrah e puntò colui che stava al
centro della storia di tutto il regno. Vendrick era in ginocchio, rivolto verso
l’anello riposto affianco al suo scudo. Solo a quel punto si alzò, voltando il
capo verso il nuovo arrivato, mostrando le sue iridi scure come la pece.
Gladius inarcò un sopracciglio, non si aspettava un umano, né tantomeno un
umano con quello sguardo.
«Sei venuto anche tu… a morire? Ascolta le parole di un vecchio Re, lascia in
pace questa corona se è la debolezza che ti giuda». Gladius fece un passo
indietro chiaramente sorpreso da quelle parole. Aveva sempre creduto che nelle
profondità delle cripte avrebbe affrontato un essere vuoto senza più una
ragione per difendere il suo nome. L’Araldo si sbagliava, era evidente,
Vendrick era molto più che un grande sovrano sconfitto dall’amore di un
frammento dell’oscurità.
«Ho distrutto la tua guardia, devastato il cavaliere dello specchio, riso
mentre la rana della morte mi donava la sua anima e goduto mentre i tuoi due
cavalieri dei draghi venivano fatti a pezzi dalla mia spada. Come puoi credere,
dopo tutta la mia strada, che io abbia paura di un vecchio?».
Gladius scattò verso Vendrick effettuando un veloce fendente verticale, ma il
Re balzò di lato perdendosi in un’inquietante risata.
«E io… oltre ad aver eliminato innumerevoli volte il dio del sole, la strega
del caos, il primo dei morti e il senza scaglie, ho ucciso il drago nero
Khalameet, i quattro Re dell’antica città sprofondata e… mi sono inchinato
davanti l’Immortale» rispose Vendrick estraendo dal fodero una lunga katana che
riflesse il suo potere per le pareti scure di quella tomba inghiottita dal
buio. La teneva salda nella mano sinistra, lasciando alla destra la possibilità
di sfoderare dalla schiena un’altra arma, sicuramente più pesante ma con dentro
un potere illimitato.
«Non hai idea di chi sia realmente Vendrick, viaggiatore» disse l’uomo dalla
folta chioma argentata che si mosse nel momento in cui la spada sulla mano
destra rilasciò un’onda d’energia.
Gradius ne ero certo: non aveva mai visto un’arma del genere. In ogni caso, non
poteva mostrarsi titubante e tornando all’attacco provò un affondo che Vendrick
riflesse con un rapido movimento della sua lunga katana, probabilmente una
Nodachi.
«Subisci l’ira di Artorias» disse il Re infilzando la grossa spada sullo
stomaco del non morto, che finì al suolo tra sangue e grida soffocate.
«Rialzati, per affrontare la figlia dell’Abisso ho bisogno di anime più
potenti. Mostrami la tua vera potenza!».
Il non morto si rialzò facendo leva sulla propria arma, quindi bevve un altro
sorso di Estus e gettò al suolo lo scudo del drago dormiente. Concentrò energia
nella mano sinistra e dell’altro fuoco comparve facendo da atmosfera a
quell’arena.
«Non puoi affidare la tua vita a un’abilità nata da un errore» disse Vendrick
che partì all’attacco ed effettuò una serie di veloci attacchi tra Nodachi e
l’altra potente spada. Gladius non riuscì a schivare ogni colpo, finendo per
ferirsi a un braccio con la lunga lama della katana, ora intrisa del suo
sangue. Non si lasciò però sopraffare dal nemico e lanciando una potente palla
di fuoco, costrinse Vendrick a una schivata verso sinistra e a lasciare quindi
scoperto un fianco. A quel punto impugnò a due mani la spada di Mirrah e provò
una rapida roteata sperando di scalfire l’armatura a scaglie dorate del Re.
Andò a vuoto ancora una volta e stavolta lasciò lui il fianco all’avversario,
che senza perdere nemmeno un istante, balzò muovendo la Nodachi, che staccò di
fatto una gamba al viaggiatore non morto. Le sue grida riecheggiarono per tutta
la cripta e Vendrick rinfoderò la katana.
«E’ questo che ha da offrire ciò che rimane dell’antica Lordran? Un tempo…
nascevano veri guerrieri, veri cavalieri» disse scaraventando al suolo con un
calcio l’avversario.
«T-tu… chi sei?» sussurrò Gladius nel dolore.
«Colui che dominerà l’oscurità, facendo spegnere anche l’ultima scintilla di
questo fuoco maledetto».
Lo spadone del Re venne avvolto da un’aura abissale e l’anello, desiderio di
troppi guerrieri erranti, assorbì quell’ennesima anima ancora troppo debole.
E Drangleic attendeva, così come aveva atteso Lordran.