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Autore: Avah    08/09/2014    0 recensioni
Al molo di Portland, una donna fa una scoperta raccapricciante: un uomo è stato barbaramente ucciso e bruciato. Sembrerebbe un normale omicidio se non fosse per un dettaglio: dal corpo parte una lunga spaccatura nel cemento e prosegue per un centinaio di metri. Non c'è nessuna spiegazione logica, e Nick e Hank devono trovare una risposta prima che quel qualcuno (o qualcosa) colpisca di nuovo...
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nick Burkhardt, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Qualcosa non era andato nel verso giusto, qualcosa non quadrava in tutta la faccenda. Era stato tutto fin troppo facile, avevano impiegato meno di quarantotto ore per capire chi c’era dietro quegli omicidi e infine neutralizzarlo.
Nick si rigirò ancora una volta nel letto, incapace di prendere sonno: c’era qualcosa che non gli permetteva di addormentarsi, perché sapeva che c’era qualcosa di sbagliato, ma non capiva cosa. Aveva ripassato gli ultimi due giorni minuto per minuto, passando al setaccio ogni dettaglio di quelle giornate. Avevano trovato il primo corpo, era arrivata Amber, poi c’era stato il secondo corpo, le ricerche nella roulotte, l’aggressione di Monroe e infine la caccia al Wesen. Sembrava tutto rientrare nella solita routine, se si escludeva tutto ciò che riguardava personalmente Amber.
Sospirò, chiudendo gli occhi; forse era solo stanco, forse aveva solo bisogno di una lunga dormita. Dopotutto, non era facile avere una doppia vita, da Grimm e da poliziotto. Probabilmente, con un altro lavoro sarebbe stato tutto più semplice, visto che era così difficile nascondere omicidi di cui il responsabile era proprio lui. Meglio non pensarci, o non avrebbe mai preso sonno.
Si girò di nuovo sul fianco e chiuse gli occhi, cercando di svuotare la mente; era ormai sul punto di addormentarsi quando capì cos’era che non quadrava. Purtroppo, non riusciva a trovare una soluzione a quel problema. Tentò di farsi venire qualche idea, ma la sua mente rimase completamente deserta; avvilito, afferrò il telefono e compose il numero di Amber.
-Pronto?- rispose la voce assente di lei dall’altra parte.
-Amber sei ancora sveglia?- chiese lui, non soffermandosi a pensare che la risposta era piuttosto scontata.
-Secondo te perché avrei risposto al telefono, scusa?- si udì un fruscio, come di fogli che cadevano a terra -Piuttosto, che vuoi ancora? Hai visto che ore sono?-.
-Sì lo so, scusa se ti ho disturbato- si giustificò lui -Ma c’è una cosa che mi preoccupa, per quello che è successo stasera con quello Steinkind-.
Amber sbuffò -Ti decidi ad arrivare al nocciolo della questione?-.
-Il fatto è che non posso dire a Renard che ad uccidere quelle persone è stato un bambino, men che meno un Wesen- disse lui -Mi prenderebbe per pazzo-.
-Beh, questa non sarebbe una novità- commentò lei, con una punta di ironia nella voce -Comunque, perché no? È la verità che conta, o sbaglio?-.
-Non in questo caso- Nick si passò una mano sul volto -Questa storia deve rimanere sepolta. Ma ho anche bisogno di qualcuno a cui dare la colpa degli omicidi, ma non saprei come fare-.
Silenzio dall’altro capo del filo; Nick immaginò Amber che rifletteva, con lo sguardo vuoto privo di espressione, probabilmente seduta sul letto con l’abatjour accesa sul comodino accanto a lei. Rivide davanti a sé i suoi grandi occhi verdi che lo scrutavano, nel più assoluto silenzio, immobili nella loro posa di studio.
-Me ne occupo io- la sua voce sembrava venire da lontano.
-Che hai detto?- Nick si riscosse all’improvviso dai suoi pensieri.
-Ho detto che mi occupo io della questione. Tu piuttosto fatti vedere da un dottore, stai diventando sordo- detto questo, riagganciò.
 
Amber si preparò nel giro di pochi minuti; anche se era già tardi, non riusciva a dormire, perciò era rimasta alzata per preparare le valige dal momento che l’indomani sarebbe ripartita. Quando aveva ricevuto la telefonata di Nick, però, aveva dovuto fare dietrofront e rivedere le sue priorità.
Uscì nella notte fresca e dal bauletto fissato alla sua moto prese una piccola sacca che portava sempre con sé; controllò il contenuto e, accertatasi che ci fosse tutto il necessario, infilò il casco, montò in sella e si allontanò velocemente.
Portland era una città piuttosto grande, e trovare un angolo tranquillo lontano da occhi indiscreti non era molto semplice, anche all’una di notte; dovette uscire dalla periferia e continuare per almeno una decina di chilometri, prima di trovare il luogo ideale. Lasciò la moto sul ciglio della strada, tenendo però i fari accesi per riuscire a vedere quello che faceva nell’oscurità della notte rischiarata appena da una falce di luna.
La strada su cui si era fermata era poco più di un sentiero di campagna e in cui l’incrocio più vicino si trovava a chilometri di distanza. Non molto lontano da lì c’era anche una specie di capanna che sembrava essere fatta apposta per il suo scopo.
Amber prese la sacca dal bauletto e, dopo aver scavato una piccola buca proprio al centro dell’incrocio, vi sotterrò una scatolina di legno. Si allontanò di un centinaio di metri, avviandosi verso il capanno, quando sentì la presenza di qualcuno alle sue spalle.
-Ma tu guarda chi è venuto a cercarmi- disse una voce maschile con ironia -Non sai che non si devono chiamare i demoni, Amber Moore?-.
-Sono contenta che tu sia qui- gli rispose lei, senza nemmeno voltarsi -Devo parlarti-.
-Immagino che tu voglia fare un patto con me- l’uomo le andò dietro, guardandosi intorno, circospetto -Altrimenti non mi avresti chiamato-.
Amber non rispose; si limitò ad entrare nel capanno e aspettò che anche lui entrasse, ma non lo fece; si fermò sulla soglia e fece un ghigno, mostrando i suoi occhi completamente rossi.
-Credevi davvero che sarei caduto nella trappola?- con un piede spostò un po’ di segatura che ricopriva il pavimento, rivelando una specie di disegno fatto con una bomboletta spray rossa.
-Hai ragione, è stato stupido- lei si fece avanti e grattò via un po’ di vernice, in modo che la linea fosse interrotta.
L’uomo avanzò, senza più aver paura di qualche trappola -Che vuoi da me, Amber?-.
Lei lo fissò per un momento, con le braccia conserte -Riporta indietro Rick-.
Lui rise di gusto, fin quasi ad avere le lacrime agli occhi -Oh ragazzina, sai bene anche tu che non è possibile. Il tuo Rick ha venduto l’anima per te, non posso farlo tornare- sogghignò.
Amber rispose al ghigno e tirò fuori dalla tasca un piccolo coltello dalla lama lucente -Allora dovrò passare alle maniere forti-.
Lui non si scompose -Che credi di fare con quello? Non ti hanno insegnato che quelli come me non si uccidono con un coltellino da burro?-.
-Oh ma questo non è un coltello qualsiasi- fece passare un dito sul filo della lama, controllando l’affilatura -Questo è diverso. E’ stato forgiato giù all’inferno, e uccide quelli come te. Vuoi provare?- si avvicinò a lui, sogghignando.
-Prima devi prendermi- provò ad uscire dal corpo che stava possedendo, ma non ci riuscì; si guardò intorno, preso dal panico.
Lei gli indicò il soffitto, dove era dipinto un’enorme stella inscritta in un cerchio, insieme ad alcuni strani simboli -Non te l’aspettavi, eh?-.
Lui la guardò, sbigottito, incapace di concepire che una ragazzina fosse riuscito a catturarlo con tanta facilità.
Amber gli si avvicinò ancora e, senza dire una parola, affondò con violenza il coltello nel suo torace, fino all’impugnatura; quando lo fece scivolare fuori, la lama era coperta da un luccicante strato di sangue rosso vivo.
L’uomo cadde a terra in ginocchio, poi finì bocconi ai suoi piedi, e dalla sua bocca uscì del fumo nero che si infiltrò nel pavimento e sparì per sempre nel buio degli inferi.
Amber ripulì tutto quello che poteva e portò fuori il cadavere, pensando a come poteva portarlo in città senza farsi scoprire. Per quello c’era sicuramente una soluzione; l’importante era avere il capro espiatorio degli altri delitti.
  
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