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Autore: smarsties    09/09/2014    3 recensioni
«Sei con me, o con lei?» mormorò, ma non voleva realmente che lui la sentisse.
«Sono con te.» Un sussurro. Sapeva di averla colpita in pieno.
Come se tre semplici parole potessero essere in grado di stravolgere una decisione presa sin dall’inizio!
[Duncan/Courtney]
Genere: Malinconico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan | Coppie: Duncan/Courtney
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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N.B. Le citazioni sono prese da vari pezzi sparsi in tutta la canzone e sarà così anche per gli altri capitoli. Se ve la cavate, riuscirete a rassembrale per intero il testo (sì, vi ho appena lanciato un potenziale gioco).

I’m with you

 

https://www.youtube.com/watch?v=dGR65RWwzg8


 

I don’t know who you are but I

I’m with you”

 

«Dai Principessa, dammi la possibilità di rimediare!» quasi la supplicò Duncan, trattenendola per un braccio. «Dammi la possibilità di farti capire che per me, ormai, Gwen non significa più nulla.»

Un colpo al cuore.

«Non credo a una sola parola di quelle che dici.» gli urlò Courtney in faccia. «E lasciami stare!»

«A patto che tu accetta di incontrarmi domani sera al vecchio ponte.» ribatté, prima che potesse aggiungere altro - tipo insulti o minacce. «Non ti deluderò questa volta, credimi.»

Soffocò un gemito, quando percepì le parole “vecchio ponte”, luogo che nascondeva tanti ricordi, oscuri e piacevoli. Era dove l’aveva conosciuto, ma anche quello in cui l’aveva visto con un’altra che non era lei, quello in cui l’aveva tradita.

«Sei con me, o con lei?» mormorò, ma non voleva realmente che lui la sentisse.

«Sono con te.» Un sussurro. Sapeva di averla colpita in pieno.

Come se tre semplici parole potessero essere in grado di stravolgere una decisione presa sin dall’inizio!

Presa da lei, non chiunque altro. Proprio lei, la ragazza troppo orgogliosa e altezzosa.

Se era così convinta di questa sua scelta, se era pur sempre la ragazza troppo orgogliosa e altezzosa, però, perché alla fine cedette?

Perché, mentre si allontanava lungo quel marciapiede in penombra, scelse di volersi affidare nuovamente a delle frasi che poi, di sicuro, si sarebbero rivelate menzogna, di dargli quell’ultima possibilità?

Forse il troppo vivere tra le bugie di quei due occhi azzurri e illusioni che si ostinava a credere pura verità rendeva incontrollabile la voglia, anche solo per un’ultima notte, di lasciare l’ennesima cicatrice sul cuore.

O forse, più semplicemente, lo amava.

 

 

 

 

 

 

 

I’m standing on the bridge

Im waiting in the dark

I thought that you’d be here by now”

Ore nove e un quarto.

Courtney, dalla cima di quel ponticello di pietra, si guardava nervosamente attorno in cerca della sagoma di quel ragazzo avvicinarsi verso di lei, così nera da risaltare tra tutto quello scuro. Nulla, a parte tutta quell’oscurità che, lentamente, le penetrava negli occhi come se volesse privarle della vista.

Strano non sia ancora qui, iniziò a preoccuparsi un poco, ma subito riprese il suo solito atteggiamento distaccato. Non fa mai tardi quando si tratta di “cose” del genere.

L’aria cominciava a farsi sempre più gelida - tipico del mese di novembre in Canada -, la temperatura era probabilmente scesa sotto lo zero.

Ma niente, niente e nessuno riuscivano a spostarla, a scalfirla minimamente.

Lei era forte, lo avrebbe aspettato lì ferma sino al suo arrivo.

Esattamente ventiquattro ore dall’incontro con lui la sera precedente, nonché orario di quello che, sempre dallo stesso, fu definito un appuntamento.

Un appuntamento è prefissato di comune accordo da due persone. È stato lui a decidere tutto, quindi, tecnicamente, non è un appuntamento.

Questo continuava a ripetersi da circa dieci minuti, come se stesse cercando di tranquillizzare un qualcuno che poteva vedere soltanto lei, mentre, quel qualcuno, non era che se stessa.

Al precedente pensiero, seguiva una seconda raccomandazione: sii forte e serena, ce la puoi fare! Parlerete forse per una mezzoretta, magari davanti ad una cioccolata calda, poi sarai libera di andare.

In realtà non voleva andare, affatto! Voleva restare lì, con lui, come una volta. Una volta che corrispondeva forse a tempo memore.

Voleva battibeccarvi come ai vecchi tempi.

Voleva trovare conforto fra le sue braccia.

Voleva assaporare avidamente le sue labbra.

Lo voleva semplicemente tutto per sé.

No, si schiaffeggiò mentalmente. Non è più tuo, ma di Gwen. Non importa quanto lui smentisca o quanto vero potrà mai essere ciò: le cose fra voi non torneranno mai come prima. Ora, cerca di darti un contegno.

Come ad ascoltare la sua coscienza, si rizzò dalla sua posizione ricurva, dandosi spinta con gli avambracci poggiati contro il bordo del ponte, tirò indietro spalle e testa e distese ogni singolo muscolo sino a ottenere una postura perfetta, ancor più diritta del tronco di un albero, quasi da principessa.

Forse anche questo era un motivo per cui le aveva rifilato il nomignolo affettuoso di “Principessa”. Questo, e un’altra infinità di motivi che non sto cui a elencarvi poiché non inerenti alla narrazione.

Aveva sempre amato quando la chiamava così, benché facesse finta di non sopportarlo giusto per strappargli uno di quei suoi sorrisetti sghembi. Uno di quei sorrisetti sghembi che tanto la facevano impazzire.

Ora, invece, provava un immenso fastidio quando qualcuno la chiamava così, soprattutto se a farlo, era un insopportabile Duncan, il quale non perdeva una sola occasione per farsi, invano, perdonare - messaggi, telefonate e incursioni in casa sua. Tutto era lecito!

Le ricordava troppo quei momenti felici che credeva di non meritare più.

Lei l’aveva fatto scappare, essendo troppo orgogliosa perché ammettesse di aver sbagliato.

Lei aveva deciso di non perdonarlo, sempre per il motivo sopracitato, sebbene lui ce la stesse mettendo tutta.

Lei voleva riaverlo nuovamente con sé e non le importava delle condizioni.

Non le importava se feriva Gwen.

Non le importava se feriva qualcun altro vicino a lui. A se stessa. A loro.

Non le importava se feriva proprio colui che amava, magari involontariamente.

Doveva soddisfare quel dannato vizio che, giorno dopo giorno, la divorava.

Doveva sconfiggere il suo nemico più grande, il maledetto orgoglio di cui era prigioniera.

Si sentiva così a disagio, una completa egoista, nel pensare certe cose. Quasi si faceva schifo da sola.

Ma dopotutto, qual era il suo errore se non quello di amare un infido bastardo?

Siamo umani, sbagliamo. Siamo assaliti da sentimenti così contrastanti, non controllabili persino dalla persona stessa. È normale sentirsi così. Forse anche giusto.

 

 

I’m searching for a face

Is anybody here, I know

[… ]

And no one likes to be alone”

Ore nove e cinquantasette.

Ancora nulla.

Il buio si faceva sempre più fitto, rendendo quasi impossibile riconoscere qualunque cosa. La fioca luce dei lampioni in lontananza, comunque, dava un discreto aiuto: almeno riusciva a guardare in faccia quella gente, rada, passare per strada per tornare a casa, dove sicuro aspettava loro un piatto fumante e il calore di due braccia attorno alla vita.

E lei, invece, perché si trovava ancora su quel ponte, invece di correre via - ovunque andava bene, benché fosse lontano da Duncan - e lasciarsi finalmente il passato alle spalle?

Perché era così convinta di poter lenire le ferite che si portava sul cuore?

Magari perché - come una povera illusa, si ripeteva - credeva nelle seconde possibilità?

O forse perché, semplicemente, era una povera stupida ossessionata da un amore impossibile?

Quel dannato freddo, dagli occhi, era arrivato lentamente sino alle ossa, colpendo maggiormente le articolazioni.

Si portò le braccia contro il petto, quasi ad abbracciarsi, come se quel gesto potesse diffonderle un po’ di calore. Ma, più tentava di riscaldarsi, più si sentiva gelare dentro.

L’unica cosa che mi potrebbe aiutare è uno dei suoi abbracci unici.

E, dopo che l’ebbe pensato, fu come se la sua coscienza la bastonò. Un colpo soltanto, netto e più potente di mille schiaffi.

Ma mai quel dolore avrebbe potuto superare quello che ti provocava la troppa ingenuità. Questo avrebbe imparato presto.

Infreddolita, rivolse lentamente lo sguardo da ambedue i lati. Cercava un viso, il suo viso.

Cercava quell’inconfondibile cresta verde, che aveva la capacità di risaltare tra un’infinità di teste.

Cercava quella miriade di piercing, sparsi per tutta la faccia.

Cercava quei suoi occhi azzurri, profondi e più penetranti di quel venticello.

Sebbene si sforzasse - assottigliando sempre più le iridi - di cercare,  l’unica cosa che riusciva a vedere era il nulla. Così misterioso e silenzioso.

Sapeva molto bene che non c’era nessuno, talmente privo di cervello, da programmare un incontro in una giornata del genere - be’, nessuno tranne Duncan. Eppure lei, sicura e testarda, se ne rimaneva lì in attesa di qualcuno che, probabilmente, non sarebbe mai arrivato.

Maledetto orgoglio. La teneva attanagliata su due piedi, le impediva di muoversi. Doveva aspettarlo lì per dimostrare un’altra volta al mondo che aveva ragione, che questa volta sarebbe venuto. Se lo sentiva.

Ma le previsioni non fanno la realtà, giusto?

Ad ogni modo, a nessuno piace stare solo. Nemmeno a lei.

 

 

There’s nothing but the rain

No footstep on the ground

I’m listening but there’s no a sound”

Ore dieci e diciannove.

Ehi, guarda che non arriverà! Faresti meglio ad andartene.

La sua coscienza.

No, resta immobile. Cosa racconterai, poi? Che sei una povera codarda e non hai avuto il coraggio di scambiare due chiacchiere con il tuo ex?

Questo, invece, l’inconfondibile orgoglio, il quale stava lentamente annebbiando il suo cuore.

Poteva sentirlo urlare, in preda alla paura, ma non poteva aiutarlo. L’orgoglio, poco a poco, iniziava a dominarlo, impossessandosene, e lei non era altro che una semplice serva.

Da poco aveva cominciato a piovere - nulla di appariscente, una semplice pioggia passeggera. Il freddo pareva essere stato annientato dall’umidità, ma non del tutto: quell’arietta la raggelava ancora dentro.

Goccioloni cadevano con forza dal cielo, schiantandosi contro il suolo e contro la stessa Courtney, la quale era rimasta lì sotto. Sembrava una statua per quanto fosse ferma.

La gente, sempre più inferiore, si chiedeva come mai quella ragazza desiderasse ardentemente provare l’ebrezza di un raffreddore o di una tosse.

Adoro bagnarmi, avrebbe proferito di tutta risposta, giusto per farli allontanare.

Ma, se nemmeno lei credeva in quella scusa a dir poco pietosa, come poteva ingannare persone che, probabilmente, portavano sulle spalle il peso schiacciante dell’esperienza?

Era follemente innamorata, ecco come mai. E quando si è follemente innamorati, ragionare diventa un’impresa.

Intanto il cielo continuava a piangere, a riversare lacrime sulla terra, come se fosse dispiaciuto per qualcosa. Sempre più forte, sempre più incontrollabile.

E lei rimaneva lì.

Piedi incollati al suolo, testa leggermente alzata.

Orgoglio - dalla doppia faccia: il suo ghigno e il sorriso innocente del cuore sottomesso - e coscienza continuavano la loro lotta, ma non li ascoltava.

Però riusciva a intravederli sotto quell’acquazzone: litigavano rumorosamente. Entrambi stranamente personificati, entrambi corrosi dalla loro avidità e dal gustoso desiderio di vittoria.

Vedeva i loro piedi, pressati con forza sul fango, formare impronte. Le uniche presenti nel circondario.

Courtney taceva. Restava a guardarli, non avendo altro da fare.

Era come se il suo corpo fosse guidato da terze persone, non più da lei: coscienza e orgoglio erano perennemente in competizione per il controllo, mentre lei era costretta a starsene lì, in disparte.

Le loro grida venivano soffocate dalla pioggia battente e dal vociferare della gente lontana.

Il cuore continuava a chiedere, inutilmente, aiuto.

Cercava di ignorare tutta quella distrazione, per concentrarsi solo su quella sua voce calda.

Sulle sue mani calde che le cingevano la vita.

Sulle sue labbra da un sapore strano, ma che la eccitava al solo pensiero.

Nulla.

 

 

It’s a damn cold night

Trying to figure out this life”

Ore dieci e quarantuno.

Sono con te, sono con te.

Quasi percepiva quel sussurro sulla sua pelle.

Quella frase la tartassava, eppure le dava una forza incredibile per restare.

Continuava a pioviccicare, una leggera pioggerellina in confronto a poco fa.

Il profilo della luna piena risaltava tre le nuvole grigiastre.

Il vento s’infiltrava sempre più in profondità: si sentiva l’anima pesante, le ossa completamente immobilizzate, le labbra ghiacciate. E rimaneva lì.

In fondo, quel freddo era irrilevante.

Courtney si raggomitolò istintivamente su se stessa, quasi potesse diventare un ghiacciolo da un momento all’altro.

Ora le strade erano completamente deserte; anche l’orgoglio e la coscienza avevano smesso di combattere, passando invece ad una battaglia morale.

L’una continuava a ripetere, stremata, di andar via, di lasciar perdere; l’altro, in perfetta forma, la contraddiceva, dicendo invece di non ascoltarla. Intanto si insultavano pesantemente.

Il fatto è che lei ci credeva tanto da non pensare più in modo razionale. In altre circostanze, infatti, avrebbe dato retta alla sua mente - conosceva Duncan, sapeva che il suo passatempo preferito era farla soffrire - ma, quella sera, l’orgoglio era diventato talmente insistente da occupare il posto del cuore: invece di seguire i propri sentimenti, stava agendo per mano sua.

Respirava con la bocca a ritmi irregolari, quasi fosse affaticata. Rabbrividiva a ogni inspirazione, quasi stesse mandando dentro di sé il freddo anziché l’ossigeno.

Il gelo, intanto, aveva raggiunto l’anima - o almeno, così pareva. Quasi volesse frantumarla, quasi volesse strapparla fuori dal suo corpo.

Una sottile foschia ricopriva il luogo.

Courtney si raggomitolò su se stessa, come potesse morire congelata da un momento all’altro. Si accasciò al suolo, con le ginocchia al petto, alla ricerca di un poco di calore.

Sono con te, continuava a sussurrare il vento.

Le gocce s’infrangevano contro la sua pelle ambrata.

Forza, puoi farcela. Lui è con te.

Stupido orgoglio, continuava a ripeterle di rimanere lì.

Eppure, ancora lo ascoltava.

E il cuore continuava urlava flebilmente, in preda al dolore che questo gli scagliava contro.

Non cascarci di nuovo, non è con te.

La vocina all’interno della sua mente continuava a ripetere quella frase, sempre con più convinzione. Voleva ad ogni costo sconfiggere il suo nemico, convincendo lei a seguirla ciecamente

No, lui non è con me.

Si abbandonò in un silenzioso pianto cristallino, quasi fosse contenta di essere finalmente libera di poter esternare i propri sentimenti.

Abbracciò a sé la coscienza e si allontanò con essa lungo una stradina di ciottoli ai flebili raggi della luna piena.

E, quel giorno, qualcosa si ruppe dentro Courtney.

Mai più sarebbe rimasta indifferente, mai più sarebbe tornata a essere la ragazzina viziata e orgogliosa di un tempo.

Mai più avrebbe seguito il suo cuore, lanciandosi in balìa di falsi e sporchi sentimenti.

Avrebbe agito solo con la testa, pensandoci anche dieci volte prima di compiere un’azione.

Courtney era destinata a divenire un burattino, schiava della sua stessa mentalità.

 

 

 

 

 

Angolo dell’autrice

Ed eccomi che, dopo secoli eterni, ritornò del mio fandom.

Sì, direi che questa è una ragione più che ovvia per avercela con me.

Comunque, sarò rapida. Ma anche no.

Ho partorito questa song-fic mentre ascoltavo I'm with you e ho voluto pubblicarla subito. Naturalmente, è triste quanto la canzone e la sottoscritta.

Come avrete notato, vi ho messo un link sotto al titolo. Mi piacerebbe leggeste il capitolo con la rispettiva canzone in sottofondo, per immedesimarvi meglio nella lettura. Quindi, se siete arrivati qui senza compiere suddetta azione, tornate all’inizio, mettete la canzone e rileggete tutto con attenzione

Altrimenti morirete… scherzo.

Ho scritto una cosa parecchio contorta, me ne rendo conto. Spero che siate riusciti a capirci qualcosa; se vi servono chiarimenti, non esitate a chiedere.

Direi che è tutto. Ci si vede, prima o poi.

With love,

Solluxy

  
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