N.B.
Le
citazioni sono prese da vari pezzi sparsi in tutta
la canzone e sarà così anche per gli altri
capitoli. Se ve la cavate, riuscirete a
rassembrale per intero il testo (sì, vi ho appena lanciato
un potenziale
gioco).
I’m with you
https://www.youtube.com/watch?v=dGR65RWwzg8
“I don’t
know who you are but I
I’m
with
you”
«Dai
Principessa, dammi la possibilità di rimediare!»
quasi la supplicò Duncan,
trattenendola per un braccio. «Dammi la
possibilità di farti capire che per me,
ormai, Gwen non significa più nulla.»
Un
colpo
al cuore.
«Non
credo a una sola parola di quelle che dici.» gli
urlò Courtney in faccia. «E
lasciami stare!»
«A
patto che tu accetta di incontrarmi domani sera al vecchio
ponte.» ribatté,
prima che potesse aggiungere altro - tipo insulti o minacce.
«Non ti deluderò
questa volta, credimi.»
Soffocò
un gemito, quando percepì le parole “vecchio
ponte”, luogo che nascondeva tanti
ricordi, oscuri e piacevoli. Era dove l’aveva conosciuto, ma
anche quello in
cui l’aveva visto con un’altra che non era lei,
quello in cui l’aveva tradita.
«Sei
con me, o con lei?» mormorò, ma non voleva
realmente che lui la sentisse.
«Sono
con te.» Un sussurro. Sapeva di averla colpita in pieno.
Come
se
tre semplici parole potessero essere in grado di stravolgere una
decisione
presa sin dall’inizio!
Presa
da lei, non chiunque altro. Proprio lei, la ragazza troppo orgogliosa e
altezzosa.
Se
era
così convinta di questa sua scelta, se era pur sempre la
ragazza troppo
orgogliosa e altezzosa, però, perché alla fine
cedette?
Perché,
mentre si allontanava lungo quel marciapiede in penombra, scelse di
volersi
affidare nuovamente a delle frasi che poi, di sicuro, si sarebbero
rivelate menzogna,
di dargli quell’ultima possibilità?
Forse
il troppo vivere tra le bugie di quei due occhi azzurri e illusioni che
si
ostinava a credere pura verità rendeva incontrollabile la
voglia, anche solo
per un’ultima notte, di lasciare l’ennesima
cicatrice sul cuore.
O
forse, più semplicemente, lo amava.
“I’m
standing on the bridge
I’m
waiting in the dark
I
thought that you’d be here by now”
Ore
nove e un quarto.
Courtney,
dalla cima di quel ponticello di pietra, si guardava nervosamente
attorno in
cerca della sagoma di quel ragazzo
avvicinarsi verso di lei, così nera da risaltare tra tutto
quello scuro. Nulla,
a parte tutta quell’oscurità che, lentamente, le
penetrava negli occhi come se
volesse privarle della vista.
Strano
non sia ancora qui, iniziò
a preoccuparsi un poco, ma subito riprese il suo solito atteggiamento
distaccato. Non fa mai tardi quando si
tratta di “cose” del genere.
L’aria
cominciava a farsi sempre più gelida - tipico del mese di
novembre in Canada -,
la temperatura era probabilmente scesa sotto lo zero.
Ma
niente, niente e nessuno riuscivano a spostarla, a scalfirla
minimamente.
Lei
era
forte, lo avrebbe aspettato lì ferma sino al suo arrivo.
Esattamente
ventiquattro ore dall’incontro con lui
la sera precedente, nonché orario di quello che, sempre
dallo stesso, fu
definito un appuntamento.
Un
appuntamento è prefissato di comune
accordo da due persone. È stato lui a decidere tutto,
quindi, tecnicamente, non
è un appuntamento.
Questo
continuava a ripetersi da circa dieci minuti, come se stesse cercando
di
tranquillizzare un qualcuno che poteva vedere soltanto lei, mentre,
quel
qualcuno, non era che se stessa.
Al
precedente pensiero, seguiva una seconda raccomandazione: sii forte e serena, ce la puoi fare! Parlerete forse
per una mezzoretta,
magari davanti ad una cioccolata calda, poi sarai libera di andare.
In
realtà non voleva andare, affatto! Voleva restare
lì, con lui, come una volta.
Una volta che corrispondeva forse a tempo memore.
Voleva
battibeccarvi come ai vecchi tempi.
Voleva
trovare conforto fra le sue braccia.
Voleva
assaporare avidamente le sue labbra.
Lo
voleva semplicemente tutto per sé.
No,
si
schiaffeggiò mentalmente. Non
è più tuo, ma di Gwen. Non importa
quanto lui smentisca o quanto vero potrà mai essere
ciò: le cose fra voi non
torneranno mai come prima. Ora, cerca di darti un contegno.
Come
ad
ascoltare la sua coscienza, si rizzò dalla sua posizione
ricurva, dandosi
spinta con gli avambracci poggiati contro il bordo del ponte,
tirò indietro
spalle e testa e distese ogni singolo muscolo sino a ottenere una
postura
perfetta, ancor più diritta del tronco di un albero, quasi
da principessa.
Forse
anche questo era un motivo per cui le aveva rifilato il nomignolo
affettuoso di
“Principessa”. Questo, e un’altra
infinità di motivi che non sto cui a
elencarvi poiché non inerenti alla narrazione.
Aveva
sempre amato quando la chiamava così, benché
facesse finta di non sopportarlo
giusto per strappargli uno di quei suoi sorrisetti sghembi. Uno di quei sorrisetti sghembi che tanto la
facevano impazzire.
Ora,
invece, provava un immenso fastidio quando qualcuno la chiamava
così,
soprattutto se a farlo, era un insopportabile Duncan, il quale non
perdeva una
sola occasione per farsi, invano, perdonare - messaggi, telefonate e
incursioni
in casa sua. Tutto era lecito!
Le
ricordava troppo quei momenti felici che credeva di non meritare
più.
Lei
l’aveva fatto scappare, essendo troppo orgogliosa
perché ammettesse di aver
sbagliato.
Lei
aveva deciso di non perdonarlo, sempre per il motivo sopracitato,
sebbene lui ce
la stesse mettendo tutta.
Lei
voleva riaverlo nuovamente con sé e non le importava delle
condizioni.
Non
le
importava se feriva Gwen.
Non
le
importava se feriva qualcun altro vicino a lui. A se stessa. A loro.
Non
le
importava se feriva proprio colui che amava, magari involontariamente.
Doveva
soddisfare quel dannato vizio che, giorno dopo giorno, la divorava.
Doveva
sconfiggere il suo nemico più grande, il maledetto orgoglio
di cui era
prigioniera.
Si
sentiva così a disagio, una completa egoista, nel pensare
certe cose. Quasi si
faceva schifo da sola.
Ma
dopotutto, qual era il suo errore se non
quello di amare un infido bastardo?
Siamo
umani, sbagliamo. Siamo assaliti da sentimenti così
contrastanti, non controllabili
persino dalla persona stessa. È normale sentirsi
così. Forse anche giusto.
“I’m
searching for a face
Is
anybody here, I know
[… ]
And no
one likes to be alone”
Ore
nove e cinquantasette.
Ancora
nulla.
Il
buio
si faceva sempre più fitto, rendendo quasi impossibile
riconoscere qualunque
cosa. La fioca luce dei lampioni in lontananza, comunque, dava un
discreto
aiuto: almeno riusciva a guardare in faccia quella gente, rada, passare
per
strada per tornare a casa, dove sicuro aspettava loro un piatto fumante
e il
calore di due braccia attorno alla vita.
E
lei,
invece, perché si trovava ancora su quel ponte, invece di
correre via - ovunque
andava bene, benché fosse lontano da Duncan - e lasciarsi
finalmente il passato
alle spalle?
Perché
era così convinta di poter lenire le ferite che si portava
sul cuore?
Magari
perché - come una povera illusa, si ripeteva - credeva nelle
seconde
possibilità?
O
forse perché, semplicemente, era una
povera stupida ossessionata da un amore impossibile?
Quel
dannato freddo, dagli occhi, era arrivato lentamente sino alle ossa,
colpendo maggiormente
le articolazioni.
Si
portò le braccia contro il petto, quasi ad abbracciarsi,
come se quel gesto
potesse diffonderle un po’ di calore. Ma, più
tentava di riscaldarsi, più si
sentiva gelare dentro.
L’unica
cosa che mi potrebbe aiutare è uno
dei suoi abbracci unici.
E,
dopo
che l’ebbe pensato, fu come se la sua coscienza la
bastonò. Un colpo soltanto,
netto e più potente di mille schiaffi.
Ma
mai
quel dolore avrebbe potuto superare quello che ti provocava la troppa
ingenuità. Questo avrebbe imparato presto.
Infreddolita,
rivolse lentamente lo sguardo da ambedue i lati. Cercava un viso, il suo viso.
Cercava
quell’inconfondibile cresta verde, che aveva la
capacità di risaltare tra
un’infinità di teste.
Cercava
quella miriade di piercing, sparsi per tutta la faccia.
Cercava
quei suoi occhi azzurri, profondi e più penetranti di quel
venticello.
Sebbene
si sforzasse - assottigliando sempre più le iridi - di
cercare, l’unica
cosa che riusciva a vedere era il
nulla. Così misterioso e silenzioso.
Sapeva
molto bene che non c’era nessuno, talmente privo di cervello,
da programmare un
incontro in una giornata del genere - be’, nessuno tranne
Duncan. Eppure lei,
sicura e testarda, se ne rimaneva lì in attesa di qualcuno
che, probabilmente,
non sarebbe mai arrivato.
Maledetto
orgoglio. La teneva attanagliata su due piedi, le impediva di muoversi.
Doveva
aspettarlo lì per dimostrare un’altra volta al
mondo che aveva ragione, che
questa volta sarebbe venuto. Se lo sentiva.
Ma
le previsioni non fanno la realtà,
giusto?
Ad
ogni
modo, a nessuno piace stare solo. Nemmeno
a lei.
“There’s
nothing but the rain
No
footstep on the ground
I’m
listening but there’s no a sound”
Ore
dieci e diciannove.
Ehi,
guarda che non arriverà! Faresti
meglio ad andartene.
La
sua
coscienza.
No,
resta immobile. Cosa racconterai, poi?
Che sei una povera codarda e non hai avuto il coraggio di scambiare due
chiacchiere con il tuo ex?
Questo,
invece, l’inconfondibile orgoglio, il quale stava lentamente
annebbiando il suo
cuore.
Poteva
sentirlo
urlare, in preda alla paura, ma non poteva aiutarlo.
L’orgoglio, poco a poco,
iniziava a dominarlo, impossessandosene, e lei non era altro che una
semplice
serva.
Da
poco
aveva cominciato a piovere - nulla di appariscente, una semplice
pioggia
passeggera. Il freddo pareva essere stato annientato
dall’umidità, ma non del
tutto: quell’arietta la raggelava ancora dentro.
Goccioloni
cadevano con forza dal cielo, schiantandosi contro il suolo e contro la
stessa
Courtney, la quale era rimasta lì sotto. Sembrava una statua
per quanto fosse ferma.
La
gente, sempre più inferiore, si chiedeva come mai quella
ragazza desiderasse
ardentemente provare l’ebrezza di un raffreddore o di una
tosse.
Adoro
bagnarmi,
avrebbe proferito di tutta risposta, giusto per farli allontanare.
Ma,
se
nemmeno lei credeva in quella scusa a dir poco pietosa, come poteva
ingannare
persone che, probabilmente, portavano sulle spalle il peso schiacciante
dell’esperienza?
Era
follemente innamorata, ecco come mai. E quando si è
follemente innamorati,
ragionare diventa un’impresa.
Intanto
il cielo continuava a piangere, a riversare lacrime sulla terra, come
se fosse
dispiaciuto per qualcosa. Sempre più forte, sempre
più incontrollabile.
E
lei
rimaneva lì.
Piedi
incollati al suolo, testa leggermente alzata.
Orgoglio
- dalla doppia faccia: il suo ghigno e il sorriso innocente del cuore
sottomesso - e coscienza continuavano la loro lotta, ma non li
ascoltava.
Però
riusciva a intravederli sotto quell’acquazzone: litigavano
rumorosamente.
Entrambi stranamente personificati, entrambi corrosi dalla loro
avidità e dal
gustoso desiderio di vittoria.
Vedeva
i loro piedi, pressati con forza sul fango, formare impronte. Le uniche
presenti nel circondario.
Courtney
taceva. Restava a guardarli, non avendo altro da fare.
Era
come se il suo corpo fosse guidato da terze persone, non più
da lei: coscienza
e orgoglio erano perennemente in competizione per il controllo, mentre
lei era
costretta a starsene lì, in disparte.
Le
loro
grida venivano soffocate dalla pioggia battente e dal vociferare della
gente
lontana.
Il
cuore continuava a chiedere, inutilmente, aiuto.
Cercava
di ignorare tutta quella distrazione, per concentrarsi solo su quella sua voce calda.
Sulle
sue mani calde che le cingevano la
vita.
Sulle
sue labbra da un sapore strano, ma
che la
eccitava al solo pensiero.
Nulla.
“It’s a
damn cold night
Trying
to figure out this life”
Ore
dieci e quarantuno.
Sono
con te, sono con te.
Quasi
percepiva quel sussurro sulla sua pelle.
Quella
frase la tartassava, eppure le dava una forza incredibile per restare.
Continuava
a pioviccicare, una leggera pioggerellina in confronto a poco fa.
Il
profilo della luna piena risaltava tre le nuvole grigiastre.
Il
vento s’infiltrava sempre più in
profondità: si sentiva l’anima pesante, le
ossa completamente immobilizzate, le labbra ghiacciate. E rimaneva
lì.
In
fondo, quel freddo era irrilevante.
Courtney
si raggomitolò istintivamente su se stessa, quasi potesse
diventare un
ghiacciolo da un momento all’altro.
Ora
le
strade erano completamente deserte; anche l’orgoglio e la
coscienza avevano
smesso di combattere, passando invece ad una battaglia morale.
L’una
continuava a ripetere, stremata, di andar via, di lasciar perdere;
l’altro, in
perfetta forma, la contraddiceva, dicendo invece di non ascoltarla.
Intanto si
insultavano pesantemente.
Il
fatto è che lei ci credeva tanto da non pensare
più in modo razionale. In altre
circostanze, infatti, avrebbe dato retta alla sua mente - conosceva
Duncan,
sapeva che il suo passatempo preferito era farla soffrire - ma, quella
sera,
l’orgoglio era diventato talmente insistente da occupare il
posto del cuore:
invece di seguire i propri sentimenti, stava agendo per mano sua.
Respirava
con la bocca a ritmi irregolari, quasi fosse affaticata. Rabbrividiva a
ogni
inspirazione, quasi stesse mandando dentro di sé il freddo
anziché l’ossigeno.
Il
gelo, intanto, aveva raggiunto l’anima - o almeno,
così pareva. Quasi volesse
frantumarla, quasi volesse strapparla fuori dal suo corpo.
Una
sottile foschia ricopriva il luogo.
Courtney
si raggomitolò su se stessa, come potesse morire congelata
da un momento
all’altro. Si accasciò al suolo, con le ginocchia
al petto, alla ricerca di un
poco di calore.
Sono
con te, continuava
a sussurrare il vento.
Le
gocce
s’infrangevano contro la sua pelle ambrata.
Forza,
puoi farcela. Lui è con te.
Stupido
orgoglio, continuava a ripeterle di rimanere lì.
Eppure,
ancora lo ascoltava.
E
il
cuore continuava urlava flebilmente, in preda al dolore che questo gli
scagliava contro.
Non
cascarci di nuovo, non è con te.
La
vocina all’interno della sua mente continuava a ripetere
quella frase, sempre
con più convinzione. Voleva ad ogni costo sconfiggere il suo
nemico,
convincendo lei a seguirla ciecamente
No,
lui non è con me.
Si
abbandonò in un silenzioso pianto cristallino, quasi fosse
contenta di essere
finalmente libera di poter esternare i propri sentimenti.
Abbracciò
a sé la coscienza e si allontanò con essa lungo
una stradina di ciottoli ai
flebili raggi della luna piena.
E,
quel
giorno, qualcosa si ruppe dentro Courtney.
Mai
più
sarebbe rimasta indifferente, mai più sarebbe tornata a
essere la ragazzina
viziata e orgogliosa di un tempo.
Mai
più
avrebbe seguito il suo cuore, lanciandosi in balìa di falsi
e sporchi
sentimenti.
Avrebbe
agito solo con la testa, pensandoci anche dieci volte prima di compiere
un’azione.
Courtney era destinata a divenire un burattino,
schiava della sua stessa mentalità.
Angolo
dell’autrice
Ed
eccomi che, dopo secoli eterni, ritornò del mio
fandom.
Sì,
direi che questa è una ragione più che ovvia per
avercela con me.
Comunque,
sarò rapida. Ma anche no.
Ho partorito questa song-fic mentre ascoltavo I'm with you e ho voluto pubblicarla subito. Naturalmente, è triste quanto la canzone e la sottoscritta.
Come
avrete
notato, vi ho messo un link sotto al titolo. Mi piacerebbe leggeste il
capitolo
con la rispettiva canzone in sottofondo, per immedesimarvi meglio nella
lettura. Quindi, se siete arrivati qui senza compiere suddetta azione,
tornate
all’inizio, mettete la canzone e rileggete tutto con
attenzione
Altrimenti
morirete… scherzo.
Ho scritto una cosa parecchio contorta, me ne rendo conto. Spero che
siate riusciti a
capirci qualcosa; se vi servono chiarimenti, non esitate a chiedere.
Direi che è tutto. Ci
si vede, prima o poi.
With
love,
Solluxy
♥