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Autore: Alex Wolf    13/09/2014    3 recensioni
Storia prima denominata "La frusta dell'esorcista."
Dal capitolo 7°.
«Siete spregevole!» La mano di Thierry sfiorò la mia guancia, prima che la mia stessa Innocence gli imprigionasse il polso in una morsa ferrea. Riuscii a vedere il mio riflesso nei suoi occhi sorpresi, spaventati: una macchina assassina che non prova pietà per nessuno, neppure per coloro che combattono nella sua stessa fazione.
«Sono un diavolo, scelto da Dio ma pur sempre un diavolo, e in quanto tale è nella mia natura essere spregevole» sibilai, strattonandolo da una parte. Il corpo dell’uomo volò attraverso la foschia, tagliando la nebbia e creandovi un corridoio che si andò a riempire qualche minuto dopo il suo passaggio; dopo di che, atterrò sotto l’albero del Generale. Richiamai a me l’innocence, tornando a vedere a colori abitudinari e sistemai entrambe le braccia sui fianchi. Gli puntai un dito contro, affilando lo sguardo quasi a volerlo tagliare. «Prova a sfiorarmi ancora e la tua vita finirà in quell’istante.»
Genere: Generale, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allen Walker, Nuovo personaggio, Rabi/Lavi, Un po' tutti, Yu Kanda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1.
 


Bloody Rose.
 


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Tieni duro, piccola soldatessa
Stringi i denti”
 
— Mockingbird, Eminem
 

Quando aprii gli occhi un tenue raggio di sole mi stava colpendo in faccia. Mi faceva male la testa, le gambe e persino le braccia. C’era un cattivo odore di bruciato che aleggiava fra quelle pareti alte e strette, proveniva da me. Sbattei le palpebre e mi misi a sedere, le coperte bianche che mi coprivano scivolarono sulle mia gambe stanche. Mi osservai le mani: erano così nere, piene di fuliggine e le unghie così rovinate. Passai le dita fra i capelli intrigati cercando di sfare i nodi, poi rinunciai. Magari la mamma li avrebbe strigati. La mamma…
«Mamma?» Mi guardai attorno, ma nella stanza c’ero solo io, e un orribile quadro di una bambola gigantesca con dei fili attaccati a polsi e caviglie. I suoi occhi azzurri, vitrei mi fecero accapponare la pelle. Ma dov’ero?
Scesi dal letto, incespicando nelle coperte che mi ero aggrovigliata attorno alle gambe nella notte e mi avviai verso l’unica porta presente in quella strana stanza. Poggiai la mano sopra la maniglia e l’abbassai, venendo investita da una folata di vento freddo che mi scompigliò i capelli.
«Olalala, ti sei svegliata.» Un giovane uomo apparso dal nulla si inginocchiò davanti a me, sorridendomi con gli occhi scuri. Mi tese una mano, che rifiutai. «Capisco. Non ti fidi di me perché non sai chi sono, eh? Rimediamo subito: il mio nome è Komui Lee e sono il supervisore della sezione scientifica dell’Ordine Oscuro.  Da oggi mi prenderò cura di te.» La sua voce era gentile, calma e dolce ma riuscii comunque a scorgervi una nota di tristezza camuffata. L’ordine Oscuro, pensai, era la sede degli esorcisti. Ma cosa ci facevo io li? Soprattutto ora che i miei genitori…
«La mamma è morta, papà è morto» sussurrai, mentre le immagini della notte prima tornavano a farsi vive nella mia mente.
Il viso della mamma che mi gridava di stare indietro mi passò davanti agli occhi quando sbattei le palpebre, la voce di papà che urlava il nome del Maestro e gli chiedeva di salvarmi mi rimbombò nelle orecchie. Portai una mano al petto e strinsi un poco la presa sulla maglietta logora che avevo indosso, che mi faceva male. Mi doleva tanto, proprio in mezzo, come se da un momento all’altro qualcosa dovesse rompersi e non riuscire più a rimettersi assieme. Chissà cos’era. Chissà perché faceva così male.
«Dov’è il maestro?» Già, dov’è il maestro? Dovevo trovarlo, ringraziarlo e dirgli che l’avrei seguito nella sua missione, che avrei distrutto gli akuma con lui, per lui perché gli dovevo la vita. Mi aveva tirata fuori dalle fiamme la sera prima senza fare obbiezioni, e senza farsi troppi problemi mi aveva portata al coperto. Il maestro, quell’uomo di cui mamma e papà mi avevano parlato a lungo era tutto quello che mi rimaneva, in un certo senso.
Ridussi gli occhi a due fessure, mentre aspettavo una risposta. Komui, che aveva assottigliato le labbra fino a ridurle a una semplice linea retta, sospirò. Quello strano gesto mi mise in allarme, facendomi stringere le mani a pugno di nascosto dietro la schiena.
Il giovane uomo si tolse il capello dalla testa e si accarezzò i lunghi capelli neri, infine disse: «Il Generale Cross ti ha lasciata qui ieri sera poi è ripartito.»
Crack. Quel qualcosa che prima era in stallo dentro al mio petto si sbilanciò da una parte, dondolò un poco e poi cadde rompendosi in mille pezzi. Mi sembrò di riuscire a distinguere perfettamente il rumore di ogni crepatura, il sibilo della caduta e infine la rottura decisiva. Che cosa strana, perché faceva così male? Che cosa si era rotto di così importante dentro di me?
Mi trattenni dal portare le mani al petto e stringerle forte attorno alla stoffa degli abiti che portavo. Come se quel gesto mi facesse sentire meglio, pensai.
«Devo farmi un bagno» la voce che uscì dalla mia bocca era lontana, fredda e incolore quasi fosse di un’altra persona.
Komui si issò sulle gambe, rimettendosi lo strano capello che prima si era tolto e mi guardò stranito. Certo, probabilmente si aspettava che mi mettessi a piangere come una bambina davanti a lui. Io sono una bambina. Ho appena tredici anni.
Mi morsi l’interno delle guance; io non avrei pianto, perché piangere non sarebbe servito a far rivivere i miei genitori o a far tornare il maestro bensì solo a farmi apparire debole. Io non ero debole, non volevo essere debole. Io non dovevo essere debole, per la mamma e per papà. Loro non erano stati deboli l’altra notte.
«S-si.» Il supervisore della sezione scientifica mi guardò ancora per qualche secondo, prima di voltarsi e accompagnarmi ai bagni del Quartier Generale. «Mia sorella, Lenalee, ti porterà dei vestiti puliti. Prenditi il tempo che ti serve, Eve.»
«Non mi chiamo Eve» lo rimbeccai, riservandogli uno sguardo truce.
Lui fece un passo indietro, forse spaventato. «Va bene. Allora… pensa solo a rilassarti.» Mi sorrise e si allontanò.
Ero stata troppo fredda? Lo guardai andare via, sparire dietro la grossa porta da cui eravamo entrati e allora mi voltai a osservare i bagni: erano tre grandi vasche circolari collegate fra loro ricolme di acqua calda; sopra la più alta delle tre c’era un piccola cascata che manteneva pulito lo scorrere delle acque termali. Sotto le tre vasche, poi, c’era come un piccolo livello che gettava l’acqua in delle condutture che la depuravano e la portavano alla cascata. 
Quello sarebbe dovuto essere un bagno?
Sospirai e iniziai a spogliarmi, gettando gli stracci che ricoprivano il mio corpo dove capitava. Quando entrai nella vasca l’acqua prese immediatamente a colorarsi del nero che mi ricopriva la pelle, diventò simile a un pozzo di petrolio che piano pino veniva trascinato via per lasciare spazio a dell’altra acqua, pulita.
Che strano posto, pensai. M’immersi completamente e tentai di sfare i nodi dei miei capelli con le dita, peggiorando solo la situazione. Rinunciai e andai ad appoggiarmi al bordo di roccia della pietra, con lo sguardo perso nel vuoto fra i vapori della sorgente.
«C’è nessuno?» La voce di una bambina mi ridestò dal nulla dei mei pensieri, facendomi voltare come colt in fragrante. Affondai nell’acqua fino alle labbra e la guardai venire avanti, mentre i suoi lunghi capelli neri, legati in due codini alti, si arricciavano a causa dell’umidità. Era piccola, però aveva un bel portamento messo in evidenza dalla divisa da esorcista che indossava. I suoi grandi occhi, di un colore viola scuro tendente al nero volavano ovunque per il bagno. 
Quando i nostri sguardi si trovarono lei sorrise, avvicinandosi. «Ciao, sono Lenalee.» Le sue labbra si piegarono verso l’alto, mentre mi porgeva due flaconi: uno di shampoo e l’altro di balsamo.
Lei era la sorella di Komui? Era così diversa da lui, sembrava così fragile. Avevo paura a sfiorarla anche solo per prendere le bottigliette. Chissà se era davvero così fragile, Lenalee.  Presi lo shampoo e distolsi lo sguardo dai suoi grandi occhi, perendo nuovamente il mio nei vapori che galleggiavano fra le vasche.
La mamma e papà mi volevano portare in questo luogo, perché? Non potevo restare da nonna, come avevo sempre fatto? Se mi avessero lasciato da lei a quest’ora non sarebbero morti, io non sarei sola.
Probabilmente Lenalee capì a cosa stavo pensando, perché piegò la testa da una parte e disse: «Tranquilla, prima o poi si supera tutto.» Mi prese la bottiglia di shampoo dalle mani e ne versò una quantità sulla mia testa iniziando a sfregare bene e con forza, ma senza farmi male.
Sbarrai le palpebre. Perché quella ragazzina stava facendo quello? Non ci conoscevamo neppure. Socchiusi le labbra sorpresa. E poi, perché mi aveva detto quella cosa?
«Come potresti capire tu? Tu hai Komui» borbottai, all’improvviso irritata da quelle parole dette con tanta leggerezza. Che ne sapeva lei di quello che provavo io adesso?
«Le nostre storie non sono così diverse, sai? Anche io e Komui siamo orfani» sussurrò Lenalee, e la sua voce si fece più fievole. «I nostri genitori sono stati uccisi da alcuni akuma. Gli esorcisti mandati per distruggerli arrivarono troppo tardi e non riuscirono a salvarli. Perciò ti capisco, so come ti devi sentire adesso.»
Lenalee era… orfana?
«Certo… io ho Komui, quindi non sono sola però credo di capirti lo stesso. Quando capirono che ero compatibile con i Dark Boots mi portarono all’ordine e mi rinchiusero in una stanza perché non facevo altro che scappare per cercare mio fratello. Ero così spaventata, e la cosa peggiore era che mi avevano lasciata sola.» Le sue mani morbide smisero di muoversi, mentre un secchio di acqua calda mi cadeva sulla testa per sciacquarla. Rivoli di acqua nera mi colarono sulle guance, percorsero la mascella e si tuffarono nell’acqua pulita colorandola di quella triste tinta scura.
«Però hai Komui» bisbigliai, immergendomi nuovamente completamente. L’acqua mi accolse in un abbraccio caldo, prima di lasciarmi tornare in superfice.
«Mio fratello ha rinunciato alla sua libertà per me, non potrò mai sdebitarmi con lui» ammise Lenalee, passando al balsamo.
Nessuna delle due parlò più per molto tempo, finché non decisi che era il momento di uscire dalla vasca. Allora, Lenalee mi aiutò a uscirne tenendomi la mano in modo da assicurarsi che non scivolassi, poi mi avvolse in un asciugamano di spugna candida e sorrise ancora. Aveva un bel sorriso, Lenalee Lee.
«Grazie» mormorai imbarazzata. Lei era stata così buona con me anche se non ci conoscevamo, mentre io l’avevo subito attaccata con i miei gesti bruschi. Ringraziarla era una cosa così minima per la sua bontà. Dovevo fare qualcosa di più.
«Andrà tutto bene, vedrai. I ragazzi della sezione scientifica sono simpatici e persino mio fratello, anche se a volte sembra un tipo strano. Sei già parte della famiglia.»
Il mio cuore prese a battere così veloce che pensai sarebbe uscito fuori dal petto. «Sono già parte… della famiglia?»
«Tutti noi esorcisti siamo una famiglia.»
«Ma io non sono un’esorcista» bisbigliai. Lenalee si bloccò davanti a me, le mani ferme sui bottoni della soffice camicia bianca che mi aveva portato.
I suoi occhi color malva mi esaminarono con calma poi, inaspettatamente, mi tirò verso di se e mi abbracciò per qualche secondo. Il suo profumo di sapone m’invase le narici, portandomi a chiudere gli occhi e ad affondare la testa nell’incavo del suo collo.
«Sei una compatibile, perciò sei un’esorcista. Sei già una di famiglia, Evangeline, almeno per me.» Allargai le braccia e ricambiai l’abbraccio.
Era così dolce, Lenalee Lee.
Era così dolce mentre il mondo la fuori era così crudele. L’avrei protetta, decisi. L’avrei protetta da tutto quello che avrebbe potuto ferirla. L'avrei protetta a qualunque costo.
 
 

«Evangeline lei è Hebraska, un’esorcista come te. Ora controllerà la sincronizzazione che hai con la tua Innocence, poi te la porgerà.» Komui mi spinse un po’ più avanti verso il bordo di quello strano ascensore, ricevendo in cambio un’occhiataccia che lo fece indietreggiare. Subito dopo, si schiarì la gola imbarazzato e mi fece segno di guardare quella strana cosa che avevo davanti.
Hebraska sembrava una specie di brutto serpente gigante semitrasparente, con una brutta messa-in-piega.
«Non mi piaci» le rivelai, dandole le spalle per dirigermi verso il pannello di controllo e far risalire l’ascensore. Non ero un genio quando si trattava di buone maniere, ma non me ne importava più di tanto.
«Così piccola e già così fredda e arrogante» la voce di Hebraska suonò come le corde di un violino in quel luogo scavato nel profondo del castello.
Le rivolsi un’occhiata in tralice pronta a ribattere, quando lei mi si avvicinò velocemente. Non so se quello che mi rivolse prima di sollevarmi fosse un sorriso o un ghigno di vittoria, fatto sta che quando i suoi tentacoli mi strinsero sentii qualcosa dentro di me rabbrividire. Era viscida e fredda la sua presa, la detestavo.
«Mettimi giù, o ti taglio un braccio» dissi seriamente disgustata.
Lei non fece caso alle mie parole e appoggiò la sua fronte alla mia, socchiudendo le labbra e rafforzando la presa, chiudendo gli occhi per concentrarsi.
«Uno percento. Sette percento. Tredici percento. Ventitré percento.»
«Questa cosa è stupida!» gridai scocciata, rivolgendo il mio sguardo a Komui.
Lui alzò le mani verso di me, come a proteggersi, e rise imbarazzato. «Suvvia Evangeline, Heb sta’ solo calcolando la tua compatibilità con l’Innocence.»
«Sessantatré percento. Settanta percento. Settantacinque percento.» Tutti quei numeri cominciavano a darmi alla testa. A cosa serviva contare così? Ero compatibile, mi sembrava già un punizione più che adeguata al mio comportamento. «Ottantotto percento.» Hebraska mi rimise sull’ascensore e si allontanò.
«Il tuo massimo.» Mi sorrise Komui, poggiandomi una mano sulla spalla.
«Non toccarmi» sibilai e lui si ritrasse.
«Okay. Ah, giusto!» Frugando in una delle tasche della sua divisa Komui estrasse un piccolo bracciale  dalla forma a spirale, che ricordava il corpo di un serpente, dalla larghezza regolabile. Me lo porse con le labbra rivolte verso l’alto e rimase in attesa della mia reazione.
Inarcai le sopracciglia mentre studiavo quell’oggetto: era nero come i miei occhi, però la pelle che lo ricopriva era lucida e morbida. Su una delle sommità, inciso in un elegante corsivo era scritto: Bloody Rose.
«Cosa sarebbe, questa cosa?» Chiesi tornando a guardare Komui, che sembrava aver perso le speranze nell’attendere una mia possibile reazione.
L’uomo abbandonò le braccia verso il basso e sospirò rassegnato, poi disse: « Questa è la tua innocence.»
«Eh?» Questa volta furono le mie braccia a cascare a terra. «Questo insulso braccialetto sarebbe la mia innocence? E cosa dovrebbe fare: portare il senso dello stile agli akuma?»
«Perché non provi a evocarla?» Hebraska si posizionò dietro Komui, e entrambi attesero.
Li osservai attentamente con scetticismo. Chissà cosa ne sarebbe venuto fuori, da quello stupido bracciale.
Vabbè, tentar non nuoce, mi dissi.
«Innocence attivati!» Fu come ricevere una calda carezza e subito dopo uno schiaffo. All’inizio mi pervase una dolce sensazione di tranquillità e subito dopo mi sembrò di venire catapultata contro un muro e di finire a terra agonizzante. L’innocence pulsò fra le mie mani, mentre le mie energie andavano a convergersi al suo interno e la modellavano. Divaricai le gambe per restare in equilibrio e socchiusi le labbra in un urlo muto, mentre Rose cresceva verso l’alto e sibilava piano.
Un’intensa luce verde pallido investì l’intera stanza in cui ci trovavamo e poi svanì all’improvviso, lasciando tutti e tutto nel silenzio e nel buio più totale. Non mi accorsi nemmeno che avevo chiuso gli occhi fin quando non li aprii e la realtà mi colpì in faccia completamente. Davanti a me, dove prima c’era stato Komui adesso era presente una sagoma con le sue fattezze ma dai colori diversi: verde, rosso, arancio che si muovevano con essa. Era come vedere con degli occhiali e per l’individuazione del calore termico, per la visione notturna. Che cosa strana.
Rose sibilò ancora attirandomi a guardare verso il basso dove stretta fra le mie mani c’era una frusta, che si contorceva come il corpo di un serpente.
Dunque quella era la mia innocence. Del tutto diversa da quello che mi sarei aspettata. Era così… spaventosa.
«Evangeline, ti senti bene?» Komui fece un passo in avanti e i colori presenti all’interno del suo corpo si mossero con lui.
«Benissimo» sussurrai, sentendomi piena di energia. «Riesco a vedere il tuo calore corporeo Komui, a sentire l’energia di quel brutto serpente semitrasparente di Hebraska.» Alzai gli occhi sul supervisore e sorrisi tirando su solo un angolo della bocca.
«Le tue iridi sono… completamente nere, Evangeline e le tue pupille brillano di un verde troppo acceso. Sicura di…»
«Sto benissimo.» Alzai la mano in cui tenevo stretta la Bloody Rose e questa, di sua iniziativa, strisciò sul mio braccio e passò dietro il collo per poi legarsi all’altro arto. «Mai stata meglio.» E chi l’avrebbe mai detto che la maledizione del compatibile mi avrebbe fatto sentire così piena di forze? Era stato come ricevere una doccia fredda all’inizio ma ora mi sembrava di galleggiare in un turbine di acqua tiepida e rilassante.
«Ne… ne sono felice» mormorò il giovane uomo, accarezzandomi con fraternità la testa.
Alzai gli occhi verso di lui e scoprii i denti. «Non toccarmi i capelli.» Lenalee me li ha sistemati con cura.
Oh già, Lenalee! Dovevo correre a dirle che finalmente ero entrata nella famiglia a tutti gli effetti e che ora avevo finalmente un qualcosa, quel qualcosa che mi avrebbe permesso di proteggerla da tutte le cose brutte che stavano fuori dall’ordine. Avrei potuto proteggerla davvero. Non avrei permesso a nessuno di torcere un solo capello a quella ragazza, che era stata l’unica che aveva provato realmente a capirmi.
Ok, anche Komui era stato gentile ma…
Mossa dal senso di colpa del mio atteggiamento ritirai l’innocence e la misi al polso nella sua forma di braccialetto, mentre la vista mi tornava normale e potevo iniziare a distinguere i tratti giovanili di Komui.
«Grazie» dissi «per avermi accettato nell’Ordine come se fossi una di famiglia. Non volevo trattarti male.» E prima che me ne rendessi conto il giovane uomo mi stava stringendo fra le sue braccia, e l’odore di caffè che proveniva dalle sue vesti mi stava entrando nel naso.
Questo non vuol dire che puoi toccarmi!, gli avrei voluto gridare ma non lo feci. Dopo tutto, Komui era una persona buona e non si meritava di essere trattato male, specialmente da una ragazzina di tredici anni.

 
 

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Isil: Baka! Baka! Baka! Bakaaaaaa! Come ti permetti di trattare così Komui?!
Evangeline: Baka lo devi dire a te stessa! E’ tutta opera tua se lo tratto così!
Lenalee: Ragazze, vi prego non litigate un’altra volta. Per favore.
Evanegeline: Mh? Si, va bene. Scusami.
Isil: … le dai ascolto? #BatteLePalpebreSorpresa
Evangeline: Non farei mai nulla che andrebbe contro il volere di Lenalee.
Isil: Mh, bene… Allora cari lettori eccoci di nuovo qui ^-^ Sono felice di vedere che siete in molti a leggere questa fanfic (anche se nessuno sembra voler recensire. Ma perchééééééé? T.T)  Anyway, spero che questo capitolo vi abbia attratti verso i prossimi che vedranno una Evangeline diversa.
Lenalee: Meno scontrosa?
Isil: Più grande, Lenalee-chan. Infatti gli avvenimenti dai prossimi capitoli saranno ambientati durante il periodo del manga/anime.
Evangeline: Spero per te che siano dei buoni capitoli e non spazzatura come questa roba qui.
Isil: EVANGELINEEEEEEEEEEEEEE! La lezione dell’ultima volta non ti ha fatto capire proprio nulla? Se Komui non mi avesse fermato a metà… dov’è Komui?

Lenalee: Il fratellone non si sentiva bene, probabilmente la scoperta della spaventosa innocence di Eve l’ha scombussolato, perciò ci sono io al suo posto oggi ^-^
Isil: Sempre colpa tua, Eve-kun.
Evangeline: Tzé.
Isil: Mh. Vebbè. Speriamo si rimetta presto. Ad ogni modo, un bacio a tutti voi, cari lettori, e alla prossima.
  
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