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Autore: Kingofpain    14/09/2014    1 recensioni
« Becky non è la solita ragazza che tutto già sanno cosa farà o cosa penserà. Becky farà cambiare totalmente la vita di Calum Hood, componente dei 5 Second of Summer. E lui cambierà lei. Ma molti sono gli ostacoli. Come i caratteri opposti, gente che li odia. Sarà difficile conviverci, ma loro possono farcela? Sono abbastanza forti? Poi c'è Alex, la sua migliore amica. Innamorata di un ragazzo, Luke Hemmings, diviso tra l'amore per lei e per il suo amico, Michael Clifford. Insomma. Una FF come le altre, ma con novità. Vi basta leggerla, seguirla, nient'altro. « Perché 29 giugno? » – Semplicemente perché da lì tutto cambiò. La vita di sei ragazzi, cambiò sponda, completamente.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Calum Hood, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti
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1.

Non sono mai stata una ragazza che si faceva notare, o voleva essere notata. Tutti i miei amici mi chiamavano la ragazza nascosta, perché mai nessuno mi vedeva. Ero sempre in disparte, seduta, o con un libro o con delle cuffiette. Se mi davano a parlare, rispondevo in modo acido, senza alcun ritegno. Non mi piaceva conversare, tutto qui. Non mi era mai piaciuto stare tra la gente, e non avevo intenzione di cambiare idea. Ero sull’opinione che c’era troppa gente stupida, e che parlare con loro fosse impossibile, perché non capivano la serietà di un discorso. Mi mamma diceva che dovevo aprirmi, parlare, o anche solo stare nel gruppo. Ma cosa ne sapeva lei? Dopo essersi separata da mio padre, aveva trovato il suo compagno, stava bene. Non so dicendo che ero depressa, per nulla. Stavo bene con me stessa, nessun dilemma, nessun problema. Semplicemente: amavo starmene per me, o con la mia migliore amica, Alex, o come la chiamo io A.
Era più semplice parlare con lei. Era due anni più grande di me, e per questo era molto intelligente. Non andava a scuola, purtroppo, e lavorava in un Bar. Amavo quel Bar solo perché c’era lei, e facevo sempre colazione lì. Si chiamava Wood’s Bar. Ogni mattina mi recavo lì, prima di andare a scuola. Era il mio ultimo anno, e non vedevo l’ora di uscire da quella lurida scuola. Forse era dove vivevo, che mi dava un’aria di stupidità. Ero originaria di Londra, ma per la storia con mia madre, ci eravamo trasferite a Venezia, in Italia. Non mi piaceva quello stato, né tanto meno il mio paese. Dovevi girare praticamente sempre e solo con un gommone sotto il braccio, ed il sole lo vedevi pochissime volte. Chi diceva che Venezia era bella, si sbagliava di grosso, almeno per me la cosa era soggettiva. O forse io non l’avevo esplorata per bene. Malgrado il suo lato no, lì avevo conosciuto A, l’unica cosa positiva. Non tocco il tasto dei ragazzi, perché dovrebbe essere solo demolito, quel ‘’tasto’’. Noi donne siamo così avanti ai ragazzi, che loro non si rendono conto della rarità che potrebbero avere tra le mani, finché non la perdono. Ah, dovremmo essere sante.
Alex invece non voleva nessun ragazzo, non ne sentiva l’esigenza, come me. Ne stavamo parlando proprio quel giorno, quando sembrava un giorno normale…
18 June.
Mi alzai di corsa dal letto, cercando di non inciampare tra il pigiama lungo, di mia madre. I miei? Tutti a lavare. Perché? Non lo sapevo. Mi ero messa d’accordo con A che dovevamo vederci al suo Bar, prima che aprisse, ed io avevo fatto tardi. Ai tempi della scuola andavo lì per fare colazione, e poi mi recavo nella prigione. Ma era giugno, ed io a scuola non dovevo andare. La sera prima avevo fatto tardi nel guardare dei video divertenti, a leggere un libro e guardare Gossip Girl. Maledetto telefilm che mi teneva sveglia tutta la notte. Nel frattempo che pensavo a tutto ciò che aveva detto S a B, io già ero in bagno a spazzolarmi i capelli. Amavo quel telefilm perché racchiudeva una vita perfetta, anche se movimentata. Guardai fuori alla finestra, mentre ero avanti all’armadio, in cerca di qualcosa da mettere.
«Ma non ti vergogni di stare in intimo, con la porta aperta? E se passa George? Che figura ci fai!» aveva trillato mia mamma sull’uscio della porta. Una quarant’enne piena di rughe che credeva di essere la fotocopia di Angelina Jolie. Non potevo vivere un giorno in tranquillità che lei mi richiamava, come in questo caso. Era mia abitudine chiudere la porta di sera, ma me ne ero dimenticata e mi ero addormentata accanto al pc. Sbuffai mentre prendevo un paio di jeans e una maglia, senza neanche vedere se l’abbinamento andava bene, poco m’interessava.
«Di certo non mi richiama perché ho un brutto fisico» avevo detto con totale indifferenza, e solo dopo mi ero resa conto che avevo insultato mia mamma, implicitamente. George era più giovane di lei, di soli tre anni. Si erano incontrati in un Bar. Lei stava uscendo e lui le era andato letteralmente addosso, facendola cadere. Per scusarsi le offrì un caffè. Notando il suo sguardo infuriato scrollai le spalle. Era ovvio che lei avesse un fisico differente dal mio ed a George non gli sarebbe dispiaciuto vedere un po’ di carne fresca, di certo. La mia mancanza di rispetto fu punita da un colpo secco della porta e un grido isterico della stessa donna che mi aveva sgridato. Sorrisi scrollando la testa mentre finivo di prepararmi per andare dalla mia migliore amica.
Non faceva freddo, come il giorno prima, per fortuna. A piedi ci avrei messo pochissimo ad arrivare, se solo mia madre non si fosse fermata a farmi la predica sul linguaggio. Appena uscita di casa mi ero imbattuta nella stradina alla mia destra, che portava ad un viale tranquillo e vuoto. Sembrava così innocua quella città. Cominciai a camminare lungo esso, arrivata al finale, attraversai il ponte che portava in quartiere più movimentato. Era tutto così grezzo, buio, triste, così brutto. Ed ecco che in pochi minuti ero arrivata al Bar della mia migliore amica. Per me quella ragazza era bellissima, tutta da invidiare. E non era una di quelle bellezze straordinarie, che dicevi: E’ perfetta, ovvio che tutti le stanno dietro. No. La sua bellezza per me era particolare. I capelli cori, scuri, erano sempre ben sistemati. O ricci o lisci, mai una via di mezzo. Gli occhi di un marroncino mischiato nel verde, strani ma belli. Era molto magra, però, e nonostante mangiasse tanto, non ingrassava. Fortunata. Io ero l’opposto. Capelli sempre arruffati, gli occhi sempre stanchi e mai truccati. Il fisico… credo apposto, ma formoso. Insomma, niente di ché. Appena arrivai al Bar, intravidi da fuori Alex appoggiata al bancone, con la sua solita aria annoiata e arrabbiata. Guardava l’orologio ogni due minuti, ed ero pronta alla sua ramanzina. Aprii la porta con molta lentezza, ma il campanello sulla porta tintinnò e fece girare Alex, che mi guardò infuriata avvicinandosi con passo svelto a me. Mi guardai intorno, quasi come se volessi trovare una via d’uscita, ma troppo tardi.
«Ora ne parliamo» aveva semplicemente detto, mentre mi trascinava tra i tavoli vuoti, e mi portava in un più appartato. Solo dopo mi resi contro che il Bar era vuoto. Crucciai la fronte. Come mai? Era sempre pieno di gente e Alex non aveva mai tempo per me, a quell’ora del mattino.
«C’è per caso qualche festa che non conosco?» chiesi, alzando le sopracciglia ed agitando appena le mani, con un sorriso divertito in volto. Lei cambiò totalmente discorso, ignorando la mia domanda.
«Ti ho aspettata per un’ora. Avevo timore che quella disgraziata di tua madre ti avesse messo in punizione o peggio… ti avesse uccisa!» nonostante fosse arrabbiata, potevo sentire l’ironia nella sua voce, cosa strana perché doveva essere infuriata, e non felice. Notai poi il suo sorriso dai mille colori, e sussultai alla campanella della porta suonare. Era un altro ragazzo del personale, Tony. Lo conoscevo poco, anzi, per niente. Era carino, però. Dovevo farmelo presentare per bene da Alex. Lui lanciò uno sguardo furtivo a noi e poi si dileguò dietro al bancone, iniziando a pulirlo. Per caso avevano cambiato gli orari?
«Perché non mi sgridi come dovresti? C’è qualcosa che dovrei sapere?» ero seria, in quel momento. Mi spaventava. Cosa stava accadendo? Forse una bufera di neve ci avrebbe travolti tutti. Evviva, neve per l’estate! E poi finalmente parlò:
«Stamattina, appena mi sono svegliata, come sempre, sono andata sul mio blog. Sappiamo entrambe che i ragazzi dovranno venire qui, per aprire il concerto dei OneD, ma non sapevamo le tappe. Be’, ora le conosco. Allora: il ventotto e ventinove staranno a Milano, al San Siro. E il sei luglio a Torino, in uno stadio che non ricordo. Becky, è la nostra occasione. Potremo vedere i 5sos, capisci? Sono vicinissimi, più o meno» ed ecco la bomba che non mi aspettavo mai di ricevere. Ho dimenticato di dire che facevo parte della 5sos family, purtroppo. Perché purtroppo? Per il semplice fatto che mi ero innamorata di uno di loro, come una persona si innamorerebbe tranquillamente di un normale comune modano. In realtà non sapevo cosa provavo, ma non lo stesso che provavo sentendo gli altri. Forse era solo una fissazione che avevo preso. Ero adolescente, e facilmente impressionabile, anche se non lo davo mai a vedere. Comunque, la sua notizia mi aveva sconvolto e non poco. Erano molto vicino a noi, e mancava pochissimo. Ma mia madre i soldi per il biglietto non me li avrebbe dati mai, e di certo non mi sarei fatta pagare da A, nemmeno sotto tortura. Odiavo far spendere gli altri i soldi, per me. Scrollai le spalle sospirando e portai le labbra in dentro. Tutto il buon umore di Alex, sparì.
«Oh andiamo B! Non puoi fare così, dai. Cosa ci manca?» aveva chiesto, con quel tono piccolo e fragile, come una bambina piccola ed indifesa che voleva le caramelle. Una diciannovenne che piagnucolava per vedere un concerto di apertura di un gruppo? E dove si era mai sentito?
«Una madre comprensiva che darebbe i soldi alla sua figlia minorenne per partire ed arrivare in un’altra regione. Solo per sentire i suoi idoli, e renderla felice. Ce l’abbiamo? Io non credo» avevo detto con malinconia. Sapevo benissimo mia madre come era fatta, e non mi avrebbe mai dato i soldi per un concerto, nemmeno sotto tortura. Non era per cattiveria, ma credeva che spendere i soldi per un concerto sia inutile, anche se i prezzi erano bassi.
«Bene. Allora andremo fuori allo stadio San Siro. Almeno sentiremo i ragazzi da fuori. E sono maggiorenne, posso portarti con me senza nessun problema» scrollava le spalle come se fosse una cosa normale, cosa non vera. Mia madre non si fidava di Alex, nemmeno se vedesse la sua responsabilità. Per lei la ragazza giusta era quella con almeno tre laure. Ecco perché io avevo timore di prendere un brutto voto, o di non studiare. Passavo ore ed ore a studiare ciò che già sapevo a memoria, brutta cosa.
«Stasera le parlerò, avanti a George. Lui mi difende sempre, ed è sempre dalla mia parte. Chissà…» avevo esclamato con finto entusiasmo, per non far abbattere la mia migliore amica. Sapevo come ci si sentiva, ma io non c’entravo nulla. Era tutto nelle mani di mia madre; quella donna perfida con la lingua biforcuta. D’un tratto mi venne in mente il perché del Bar ancora chiuso, quando a quell’ora io ero sommersa da ‘’testa di cozza, levati’’ oppure ‘’B di Bella gnocca, ci sentiamo stasera, ora ho da fare’’.
«Come mai il locale è totalmente e felicemente chiuso?» finalmente avevo chiesto, mentre lei guardava il locale vuoto e portava le labbra in dentro, soffocando una risata sbarrando poi gli occhi ed alzandosi di scatto, mi portava all’uscita. Allungò una mano verso il cartellino con scritto ‘’APERTO’’ e solo dopo realizzai che era voltato verso ‘’CHIUSO’’.
«Sei una testa calda, A» risi, mentre uscivo dal Bar sbattuta quasi fuori, da lei. Come dicevo: era strano che non mi avesse trattato così.
 
«Oh andiamo mamma! Non devi spendere niente. Solo dirmi di sì e andrò con Alex, ti prego» stavo letteralmente pregando mia madre di andare fuor allo stadio, sì. George era appena tornato da lavoro, e ci guardava con aria divertita, ma di chi era prossimo nel parlare… Aspettava solo il momento giusto. Mia madre, che infine si chiamava Sophie, era intenta a cucinare per bene la cena. Io ero seduta, che la guardavo e la imploravo di mandarmi.
«Bec, ho già detto di no, non ne discutiamo più. Non puoi andare fuori al San Siro con quella depravata, su! Amore, aiutami tu» sembrava disperata, ma voleva solo fare la parte della mamma protettiva avanti al suo uomo, che squallida. Avrei voluto chiamare papà e chiederlo a lui, ma non sapevo che fine aveva fatto. Bello vero? No. George si chiarì la voce e mi fece l’occhiolino, lo ringraziai mentalmente.
«Suvvia, tesoro. E’ insieme alla sua amica, ed è qui vicino. Ha diciassette anni, non due, può farcela. Accetta che sia cresciuta» il suo tono era calmo e tenero, per cercare di addolcirla. L’unica cosa che mi piaceva di quell’uomo erano i capelli. Nero corvino e sistemati sempre per bene con il gel. Gli occhi erano neri, praticamente, e spenti, nessuna emozione mai. Mia mamma aveva guardato prima me, poi lui, pensandoci sopra. Accolsi quel momento per affrettare la sua conferma e mi alzai dalla sedia.
«Grazie mille mamma, non te ne pentirai!» esclamavo tutta contenta mentre correvo al piano di sopra, mentre sentivo mia mamma dire qualcosa sul fatto che non aveva detto nulla, ma era un sì. Avrei potuto davvero sentire le loro voci dal vivo, sul serio? Era un sogno che diventava realtà e magari, chissà, avrei potuto incontrarli nella piazza del Duomo o per Milano. Ero entusiasta ma ancora non mi ero resa conto che da quel ventinove giugno la mia vita sarebbe cambiata del tutto.


SPAZIO AUTRICE.
Di questa storia ho gia dieci capitoli pronti, pubblicati tutti su Wattpad. So che non le completo mai, e non so neanche se questa completerò, ma spero di farlo. Premetto col dire che non sarò veloce a pubblicare, dato che ora inizia la scuola. Con questo, godetevi la Fanfiction.
  
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