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Autore: Midnight the mad    15/09/2014    0 recensioni
Jimmy. 20 anni, un fallito. Questo è tutto ciò che c'è da sapere di lui. Almeno fino a quando non decide di andare via dalla città dove ha sempre abitato alla ricerca di... cosa? Neanche lui lo sa.
Ma quello che trova non se lo sarebbe mai aspettato: una periferia piena di parole, una ragazza con lo stesso nome della marjuana e soprattutto una persona senza nome, senza storia, senza vita.
"– Com’è che l’hai chiamata? –
Lei sorride. – Beh, non dice a nessuno il suo nome, tutti se lo chiedono. Dopo un po’, è diventato un soprannome. La cara, stronza, vecchia Whatsername. –"
". – Tu mi guardi e vedi un mistero. Vero? Vedi qualcuno senza storia, senza vita, senza nome. E pensi: “Oh, cavolo, c’è una ragazza capace di nascondere così tanto di se stessa. Stupefacente. Mi piacerebbe tanto capire quali sono la sua vera storia, la sua vera vita, il suo vero nome.” E invece sbagli. Perché c’è una cosa che non ti è mai passata per la testa, ed è che forse non c’è nessuna storia, Jimmy. Non c’è nessuna vita, e non c’è nessun nome. Per questo non riesci a vederli. Perché non esistono. –"
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jesus of Suburbia, St. Jimmy, Whatsername
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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City of the dead at the end of another lost highway, signs misleading to nowhere. 

La pioggia scende dal cielo silenziosa, fredda. Mi guardo intorno. Sono in un vicolo stretto e puzzolente con i vestiti sporchi e inzuppati, con sopra un cielo in cui sono stipate nuvole nere e gelide.
Chiudo gli occhi per un secondo mentre ripenso a come sono arrivato qui.
 
Ho guidato per ore e ore, giorni, fino a quando ho avuto soldi per riempire il serbatoio. E non so nemmeno perché. Sentivo solo il bisogno di allontanarmi il più possibile da dove ero partito, da quel posto che ormai non è più casa mia.
Con l’ultimo pieno sono andato più avanti che ho potuto, fino a quando la mia macchina non si è fermata in mezzo al nulla più totale. Sono sceso e l’ho lasciata lì. Non volevo chiedere aiuto, volevo solo continuare ad andare avanti. Chissà se qualcuno ce l’ha levata, da quella stradina sperduta, o se invece è ancora lì. Beh, poco importa, a dire il vero. Tanto non era neanche mia, quella macchina.
Ho camminato per un sacco di tempo. Non so neanche quanto. Sono semplicemente andato avanti fino a quando sono riuscito a reggermi in piedi. Fino a quando non ho trovato questa città, cioè. Non so neanche esattamente come si chiami, comunque è grossa, grossa ma vuota, incredibilmente vuota. Non che non ci sia gente, ovviamente, certo che c’è, la gente, però passeggiando per le vie del centro è impossibile vederla piena. Piena di vita. è una città morta, questa, ecco che cos’è. Si vede negli occhi della gente, che cammina per le strade guardandosi continuamente intorno. Quei pochi bambini che ci sono sembrano non avere molta voglia di stare fuori a giocare, e quelli che lo fanno non sembrano mai davvero felici o tranquilli. Non capisco perché, ma la gente qui ha paura, riesco a leggerlo nei loro occhi.
Il primo giorno non ho mangiato nulla, e mi sono messo a dormire su una panchina. Il secondo giorno perciò avevo fame. Ho rubato qualcosa in un negozio, e credo anche che se ne siano accorti, ma nessuno ha detto niente. L’uomo alla cassa mi guardava come se lo stessi spaventando. Non so perché. Porca miseria, non credo di avere l’aria di uno che sparerebbe a qualcuno, anche se non sembro il classico tipo raccomandabile, visto che sono pieno di tatuaggi e ho sempre addosso gli stessi vestiti neri e sbrindellati. Beh, adesso non potrei cambiarmeli neanche se volessi, comunque non è che prima lo facessi molto spesso, a dire il vero.
Sono andato avanti così per quasi una settimana, fino a oggi, cioè. Non ho mai chiamato mia madre, ho buttato il cellulare in un cassonetto il primo giorno di viaggio perché non volevo parlarle, e soprattutto non volevo rischiare di essere trovato. Probabilmente sarà preoccupata, credo, anche se è difficile ammetterlo. Preferirei di gran lunga che se ne fregasse, e sarebbe bello fingere che lo faccia, ma in fondo so benissimo che non è così. Sarà preoccupata, come sempre. Anche se mi ha detto quelle cose penso che alla fin fine mi voglia bene. Le madri vogliono quasi sempre bene ai figli. Che idiote che sono. Non ce lo meritiamo, il loro amore, neanche un po’. Eppure ce lo prendiamo, perché siamo figli proprio di quell’amore e ne siamo dipendenti, ne abbiamo bisogno perché è quello che ci ha fatti crescere.
Ma io adesso sono qui, che quell’amore lo rifiuto. Forse ho deciso che ho voglia di disintossicarmi, non so. O forse è solo che da qualche parte in me c’è anche qualcosa di enorme, una rabbia che non so da dove viene, so solo che c’è e che non sono capace di sfogarla. Rabbia, rabbia verso me stesso e verso il mondo e anche verso mia madre e mio padre, che non mi hanno mai fatto niente di male. Eppure gli schiaffi fanno male, e anche gli sguardi e le parole. E non puoi evitarti di odiare, quando arrivano. Puoi volere tutto il bene del mondo a chi te li da, ma nessun bambino ama essere punito. Per quel momento, solo per quel momento, odierà i suoi genitori, sarà arrabbiato con loro. Ci sono sempre momenti in cui ci arrabbiamo anche con le persone a cui vogliamo bene, in cui le odiamo. Non so perché, visto che sembra una cosa davvero ingiusta, eppure quei momenti ci sono, e sono sempre capaci di rovinare tutto. Sì, in fondo penso che sia andata così. Si sono accumulati così tanti piccoli momenti di rabbia e odio che alla fine tutti i miei ricordi sono diventati quei momenti. Quando penso a dei momenti belli della mia vita mi sembrano tutti estremamente falsi. Le uniche cose vere sono quell’odio e quella rabbia, che vengono sia dall’infanzia che dall’adolescenza che da quello che sono adesso. Non so se posso definirmi “adulto” anche se anagraficamente lo sono, visto che non sono affatto indipendente né maturo. Già, perché una persona matura non se ne sarebbe andata di casa per delle parole di sua madre, non avrebbe reagito come un bambino a uno schiaffo o al sequestro del suo giocattolo preferito o un adolescente a una punizione per essere stato scoperto a ubriacarsi. E invece io l’ho fatto, ho fatto quello che né un bambino né un adolescente potrebbero fare: in quel momento di odio me ne sono andato di casa, ho mollato tutto. Mi sono detto di non avere bisogno lei, l’ho odiata. Adesso non è più così; adesso, sotto questo cielo che sta cadendo, so di avere bisogno di lei, perché ho paura. Ho paura di questa città, ho paura del futuro. Ma, come a differenza di un bambino ho avuto la possibilità di andarmene davvero, adesso non ho la possibilità di tornare indietro. Un bambino può sempre tornare sui suoi passi, perché effettivamente non può fare mai qualcosa di davvero definitivo. Io invece l’ho fatto, ho superato il limite. E quel limite si può superare solo all’andata, al ritorno è una muraglia invalicabile.
Prendo un respiro, costringendomi a togliermi da sotto questo acquazzone, se non altro perché se non lo faccio rischio di prendermi chissà cosa. Cammino alla ricerca di qualcosa sotto cui ripararmi, almeno un tetto sporgente. Devo arrivare fino una delle vie principali per trovarlo. Mi lascio cadere sul marciapiede bagnato, fissando le gocce che cadono, e mi chiedo cosa fare. Non adesso, sempre. Per tutto il resto della mia vita. Sono arrivato in questa città morta alla fine di una strada lungo la quale ho lasciato tutte le mie possibilità. Sono uscito di caso seguendo l’istinto, seguendo il mio stupido vittimismo, seguendo l’illusione che qualcosa sarebbe cambiato, pensando che mi sarei liberato dei problemi, e invece mi sono liberato solo dei sogni. Già, li ho spediti chissà dove, e adesso non sarei più capace di ritrovarli. Sempre che siano ancora vivi. I sogni fanno presto a morire.
La notte è silenziosa, qui. Potrei persino dormire, se non fosse per il freddo che mi penetra fino nelle ossa. Alla fine decido che non posso restare qui fermo, qualcosa mi dice che morirò se mi fermo anche solo per un secondo. Finché corro i miei demoni sono impegnati a inseguirmi e non possono tormentarmi più di tanto.
Così mi alzo e mi incammino sotto la pioggia. Sento le gocce che mi precipitano addosso, che si schiantano fino alla pelle come migliaia di minuscoli proiettili, proiettili che ci metteranno poco a finirmi del tutto. Sono completamente vuoto, completamente senza futuro. Non posso tornare indietro, non ho il coraggio di andare avanti. Si potrebbe dire che io sia già morto, in effetti.
Sospiro e ficco le mani ancora più a fondo nelle tasche. Non che faccia poi tanta differenza, visto che ormai sono fradicio dalla testa ai piedi.
Cammino e cammino e cammino. Non so dove sto andando, mi rendo solo conto che lentamente gli edifici attorno a me stanno cambiando. C’è ovunque questo senso di squallore nella città, un senso di decadenza e di tristezza, ma adesso è molto più evidente. Gli edifici sono più piccoli, più vecchi, molti hanno le finestre e le porte sbarrate da assi di legno. Non sono mai stato in questa parte della città, non ho mai trovato un motivo valido per andare in giro, è tutto troppo opprimente, e vedere la situazione di questo posto mi fa sentire ancora peggio. è pieno di persone senza futuro e spaventate proprio come me, sono capace di vederlo nelle loro espressioni, nei loro occhi vuoti. Solo che non so quale possa essere il motivo per cui sono così. Cioè, non che le persone non sorridano o che scappino urlando quando ti avvicini a loro, ma c’è qualcosa di profondamente marcio, in questa città, e il marcio arriva anche nelle anime delle persone, le uccide lentamente dall’interno come un cancro.
Solo che non ho idea di quale possa essere la ragione di tutto questo, né ho modo di scoprirlo.
All’improvviso vedo una luce accesa che esce da una porta aperta, insieme a dei rumori. Sopra c’è un insegna, è un pub. Potrei entrare, dopotutto ho qualche spicciolo sgraffignato a una tipa per strada, e almeno passerei qualche ora all’asciutto. Non mi piace stare nei posti pieni di gente, però penso che per una volta potrei anche adattarmi. E poi magari la confusione riuscirà a tenere i miei demoni lontani da me.
Entro. Nessuno mi guarda, eppure il posto è davvero pieno. Ci sono delle persone di quasi tutte le età, ragazzi, però, per lo più. E questo posto mi fa rimanere di sasso, perché è come una scena a colori in un film in bianco e nero. Da quando sono arrivato in questa città, me ne rendo conto solo ora, tutto è sempre sembrato finto. Finta l’allegria negli occhi della gente, finta la spensieratezza dei bambini.
Invece, in questo posto, tutto sembra così vero. Vere le occhiate ironiche e le risate, vere le parole, vera la sensazione di leggerezza data dall’alcol. La gente qui non è come nel resto della città. è come se avessi aperto una porta su un altro mondo.
Mi avvicino al bancone, gocciolando sul pavimento. Mi siedo su l’unico sgabello libero che riesco a trovare, e l’uomo che sta lì dietro mi guarda con un sorriso. Sembra che non sia per niente infastidito dal fatto che gli sto inzuppando mezzo locale. – Cosa ti do? –
Mi infilo una mano in tasca e conto i soldi che ho, confrontandoli con il listino dei prezzi. – Una vodka, grazie. –
- Devo aggiungere qualcosa? –
- No. –
Lui prende i soldi e mi riempie un bicchiere, mettendomelo davanti senza una parola, poi va subito a servire qualcun altro. Cavolo, se questo locale è sempre in queste condizioni deve fare affari d’oro. Eppure non è che sia poi questo gran posto. Sì, cioè, è carino, ma non è particolarmente grande, e si vede che non è proprio nuovo. Ci sono locali di gran lunga più belli in città, eppure nessuno è così pieno di gente, di vita. Forse l’unica differenza è proprio che, per qualche motivo, questo posto è vivo e gli altri no.
Anche la musica, qui, racconta tutta un’altra storia, bisogna ammetterlo. Non è affatto roba commerciale da due soldi, è quel genere di canzoni che ti spareresti nelle orecchie mentre vai in macchina a duecentotrenta all’ora o ti butti di sotto da un grattacielo. Ti fa sentire vivo, vivo, vivo, e sembra così vera. Ma forse è solo il clima di questo posto che la rende così. 
It’s closing time, the boys are all together at the bar
staring in their glasses...
Looks like another layoff at the yard. 
Bevo un sorso di vodka e la sento bruciare in gola. Adesso, incredibilmente, mi sento davvero meglio. Sembra quasi che i miei demoni siano rimasti chiusi fuori. Questo non è un posto per i morti o per i fantasmi, questo è un posto per sentirsi vivi, con una canzone che sembra raccontare la storia di questa città.
Yesterday I heard Union hall come down,
they hit it with a wrecking ball
and they try, but nothing changes in this town...
Già, l’impressione è proprio questa: può anche venire giù il mondo, ma questa città non cambierà, rimarrà sempre morta. I morti non tornano in vita, dopotutto. Quando sei morto hai perso tutte le tue possibilità. L’unica chance è restare vivo finché lo sei, non arrenderti, perché una volta che ti sei arreso indietro non ci torni.
è così che sembra la mia situazione, in effetti. La domanda che dovrei farmi è: sono ancora vivo, oppure per me è già finita?
Non faccio in tempo a rispondermi, perché all’improvviso sento una voce alla mia destra. – Ehi. –
  
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