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Autore: justgrey    16/09/2014    0 recensioni
Portavamo avanti la relazione già da una settimana, sapevamo che prima o poi sarebbe finita ma vivevamo il momento. L’uno dell’altra sapevamo tante cose, eppure niente. Conoscevo le sue passioni, il suo amore per la conoscenza, come gli piaceva dare e ricevere piacere. Sapevo quello che c’era da sapere. Non mi importava da dove veniva. La stessa cosa valeva per lui. Conoscevamo di noi solo noi stessi, niente cose futili e di poca importanza. aveva detto. Io gli avevo dedicato un sorriso sincero, pieno di gratitudine, non tanto per il complimento in sé, ma per come era in grado di farmi sentire. Appartenente a qualcuno, legata a qualcuno. Ero grata e devota a lui in un modo incomprensibile persino per me. gli avevo sussurrato, timorosa di pronunciare quelle parole ad alta voce. . Le lacrime agli occhi furono inevitabili. Così come l’addio che ci scambiammo qualche tempo dopo. mi promise.
Genere: Generale, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Amavo guardare fuori dalla finestra della mia stanza, non che ci fosse chissà cosa da guardare, era sempre lo stesso panorama che affacciava sul nostro immenso giardino con tanto di piscina. Probabilmente se avessi detto a mio padre che quel panorama mi aveva stancata avrebbe pagato qualcuno per fare in modo che la mia finestra affacciasse dove mi pareva. Infondo i soldi non sono mai mancati. Mio nonno aveva avuto una grandissima eredità da suo padre che a sua volta l’aveva avuto dal suo. Oltre ai soldi, in eredità, stava passando un’azienda di forte successo che continuava a rimanere sulla cresta dell’onda nonostante gli ereditieri non capissero un bel niente di telecomunicazioni. Avevamo grandi manager e persone ben pagate che facevano il lavoro per noi, anche dirigere, in un certo qual senso, l’azienda. Mio padre era uno che non aveva mai lavorato, non sapeva proprio cosa volesse dire guadagnarsi la pagnotta. Faceva solo un uso sproporzionato di denaro per le sue sciocchezze, per viziarsi. Era sempre stato fortunato che l’azienda continuasse a fruttare nonostante la sua inutilità. Era una persona estremamente furba e scaltra, vero, ma, suo nome a parte, l’azienda di lui non aveva proprio un bel niente e forse era meglio così. Pensavo e ripensavo a quanto potesse essere bello vivere da persone normali come vedevo spesso in televisione. C’erano dei film con persone che avevano una casa accogliente, amici sinceri, amore familiare. Io non avevo nessuna delle tre; la casa immensa era fredda come un igloo, le varie amicizie erano false e subdole come il denaro da cui erano legate e l’amore familiare non esisteva e basta. Per le pubbliche relazioni eravamo la famiglia modello; sempre tutti insieme alle feste, tutti uniti e tutti che si amano. In realtà ognuno in casa si ignorava come meglio poteva. Chris, mio fratello maggiore, spendeva i soldi in mille modi diversi: escort, droghe leggere, festini. Nessuno gli diceva mai niente perché a nessuno effettivamente importava, a parte me. Diverse volte ho provato a fargli capire quanto fosse sbagliato il suo stile di vita, ma dopo varie porte in faccia e risatine alle mie spalle avevo deciso che farmi i fatti miei fosse l’ideale. Mia madre era una maniaca dello shopping, lei doveva acquistare ogni cosa, specialmente se costava un occhio della testa. Lei doveva avere le cose più sofisticate ed esclusive e le comprava senza nemmeno rifletterci. Diana, mia sorella minore, era una risparmiatrice accanita. Diceva sempre che i soldi sarebbero finiti prima o poi, povera illusa. Ancora mi capita di trovare centesimi nascosti nei punti più impensabili delle nostre stanze. Mio padre invece, beh, era mio padre, faceva quel che voleva; giocava d’azzardo e non si faceva mancare mai compagnie femminili. Mia madre? A lei non è mai importato niente o semplicemente faceva finta che non le interessasse, forse spendeva tutti quei soldi come una sorta di vendetta verso suo marito. Frequentavo il quarto anno in un istituto privato molto esclusivo, colmo di gente vomitevolmente ricca che adorava farsi adulare da leccapiedi meno agiati su cui era sempre puntato il dito. Alcuni erano lì grazie a delle borse di studio e ai ricchi la cosa quasi disgustava. Io non ci trovavo nulla di male, per me le persone sono sempre state tutte uguali, senza distinzione tra sesso, razza, cultura, orientamento sessuale e conto in banca. Ma quando si vive nel quartiere più ‘in’ di Los Angeles la diversità é all’ordine del giorno. Erano i primi giorni di scuola, nulla di particolare. Tutti erano elettrizzati per il ballo di inizio anno. Ognuno puntava chi invitare o da chi essere invitati. Tutti compravano vestiti Armani o Chanel da sfoggiare. Io probabilmente avrei partecipato tanto per passare il tempo, chiunque mi chiedeva per primo di accompagnarlo avrei accettato. Di solito avevo una fila di ragazzi disposti a tutto pur di accompagnare la giovane e bella Grace Meade, io, al ballo della Saint Jules, la mia scuola, quindi non ci sarebbero stati problemi nemmeno questa volta. << Grace, ti ha più chiamata quel William Qualcosa della L.A. University? >> chiese la biondissima Clarie Bennet con quel noncurante tono vagamente curioso che dedicava a tutte le notizie che aveva voglia di sapere solo per spettegolare un po’ in giro. << William Lewis Van Der Bilt III >> le ricordai. << No, non ci frequentiamo più ormai da tempo. Lo sanno tutti >> le dissi nel medesimo tono che utilizzò lei. << Tranne me, a quanto pare >> alzò un sopracciglio e mi guardò come se una notizia del genere dovesse saperla prima di chiunque altro. Lei non era la mia migliore amica, era una delle tante che a volte frequentavo per non impazzire di solitudine. I Bennet erano famosi per la loro catena di alberghi di super lusso, niente meno. La piccola Clarie era una ricca bastarda viziata come tante. << Che hai alla prima ora? >> le chiesi annoiata. << Filosofia, con Mr troppo-sexy-troppo-giovane Hyde >> disse con sguardo sognante. Mr Lucas Hyde era un professore dalla tenera età di 25 anni, nel suo primo vero anno da insegnate di filosofia dell’istituto privato Saint Jules. Un tipo in gamba oltre che palestrato moro e con lo sguardo intenso. Tutte le ragazzine sbavavano dietro quell’aria docile e quelle labbra carnose. Sexy era l’aggettivo giusto per definirlo. Eravamo stati insieme la scorsa estate; condividevamo lo stesso albergo durante la mia vacanza a Milano, in Italia. All’inizio dell’anno scolastico, quando avevamo capito che sarebbe stato il mio nuovo professore di filosofia per i due anni a seguire, avevamo deciso di far finta che tra noi non fosse successo niente. Sembra quasi penoso e indegno che una diciassettenne fosse finita a fare sesso con un venticinquenne durante una vacanza familiare ma tra di noi c’era chimica, passione e i miei diciassette anni, quasi diciotto, erano molti di più in fatto di maturità e saggezza. Sono l’unica sana di mente della mia famiglia, ma vivere in una famiglia di matti non da un input normale alla vita. Lui, comunque, credeva che fossi maggiorenne ed io glielo lasciai credere. Di me, effettivamente, conosceva solo il nome; né la mia famiglia di provenienza, né il retaggio e, appunto, nemmeno l’età. << Asciugati, ti sta scolando la bava >> esclamai ironicamente verso la figura da barbie finta di Clarie. Dopo aver ricevuto un suo sguardo inceneritore, vagai come un fantasma verso l’aula della mia prima ora di lezione della giornata. Storia dell’arte. Entrai in classe giusto in tempo e presi posto al mio banco in seconda fila a sinistra, verso le finestre, uno degli unici ancora disponibili il primo giorno di scuola, qualche settimana prima. Quel giorno erano quasi tutti pieni ma scelsi comunque quel banco perché l’idea di avere un banco tutto per me mi elettrizzava. Mrs Cavill entrò in aula con un paio di minuti di ritardo, seguita da un ragazzo biondo e dallo sguardo perso che non avevo mai visto a scuola. La sua uniforme un po’ sgualcita e fuori misura lo classificava automaticamente tra i fortunati, o sfortunati (dipende dai punti di vista) ad aver ricevuto la borsa di studio per la prestigiosa Saint Jules. << Ragazzi lui è Josh Mills, inizierà a frequentare da oggi il nostro istituto. Siate carini con lui >> iniziò la solita tiritera sull’accoglienza dei nuovi studenti, come se a qualcuno di quei ricchi babbei importasse qualcosa dell’essere cordiali e gentili. << Siediti vicino a Miss Grace, lì in seconda fila >> disse Mrs Cavill indicando il mio banco. Quando c’era qualcuno di nuovo del mio anno, tutti lo indirizzavano a me, perché ero la più socievole e gentile con chiunque. Parlavo con tutti, nessuno escluso. Mi piaceva socializzare e conoscere sempre gente nuova, a differenza di quelle tasche bucate dei miei compagni di classe, che socializzavano solo se il conto in banca dell’altro era paragonabile al loro. Il ragazzo, che sotto quell’aria timida e pacata, a pare mio, nascondeva un pazzo ribelle mi allungò la mano e fece per presentarsi. << Sono Josh Mills, piacere >>. La sua voce roca e graffiata era profonda e intensa, aveva un accento mieloso e strascicante, sexy oserei dire. << Grace >> dissi semplicemente, dedicandogli un sorriso di circostanza. Guardandolo da vicino era proprio niente male. Due occhi azzurri incorniciati da folte ciglia bionde, labbra sottili e naso dritto. Fisicamente sembrava apposto, insomma; se avesse avuto la mia agiatezza finanziaria sarebbe stato l’unico ragazzo a cui le oche a scuola avrebbero dedicato ogni sguardo. << Sei qui con la borsa di studio? >> gli chiesi solo per fare cortesemente qualche chiacchiera; saltava all’occhio che non era uno ricco. Ormai possedevo il radar per i bastardi figli di papà. << Si. Mi sono trasferito dalla scuola pubblica del paesino in cui vivevo. Per motivi familiari sono dovuto venire qui a Los Angeles e ho fatto di tutto per vincere la borsa di studio >> spiegò eloquente. Si vedeva che era un tipo con ideali e principi saldi ma vedevo anche oltre a quello sguardo da perfettino. Era un tipo alla mano, socievole e dissidente. Proprio come me. Lo vedevo dal modo in cui portava malamente la cravatta, dal piercing al sopracciglio, dal pezzetto di tatuaggio che sbucava dal colletto della camicia. Lui era contro le convenzioni sociali, oltre lo sguardo accusatore della gente. Uno che aspirava a diventare qualcosa di importante ma a cui non importava di come la gente lo guardava. Menefreghismo puro. E a me già piaceva un sacco. Mrs Cavill, nei suoi quarantenni suonati, iniziò la sua abituale lezione, soffermandosi sui dettagli onirici e sui significati allegorici dell’arte che caratterizzava i dipinti innovativi e inequivocabili del genio incompreso del Tiziano. << Oh, Miss Grace. Se potesse farmi la cortesia di aggiornare Mr Josh sui punti salienti delle prime lezioni che ha perso le sarei molto grata >> aggiunse in tono cortese Mrs Cavill, che probabilmente mi aveva presa troppo in simpatia nei tre anni già passati. << Ne sarei felice, Mrs Cavill >> le risposi con quel tono da leccapiedi che dedicavo agli insegnati dell’istituto. Non aspettavo altro. Scribacchiai su un pezzetto di carta il mio numero di cellulare e sussurrai all’orecchio di Josh di chiamarmi per qualsiasi chiarimento su Tiziano e non solo. Vidi il suo volto tirarsi in un sorriso malizioso mentre piegava il foglietto e lo infilava nel suo libro d’arte. Non ero una cattiva ragazza ma nemmeno una brava ragazza; ero una lecita via di mezzo. Non ferivo le persone e non le usavo. Mi dedicavo anima e corpo quando passavo il mio tempo con qualcuno, era il mio modo di vivere, dopo l’ultima relazione complicata che ho avuto; senza se e senza ma. Ero aperta e sincera, senza mezzi termini. Ero me stessa senza dover fingere di essere timida e introversa. Ero l’uragano di emozioni che mostravo: rabbia, felicità, perdizione, tristezza, negligenza. Sapevo essere tutto e sapevo essere niente, a seconda di come il mio cuore e la mia testa sentivano di fare. Non avevo paura di sbagliare, di aiutare, di amare, di scappare. Non tutti potevano capire il mio modo di essere, anche per questo preferivo avere amicizie false ed ipocrite anziché approfondite ed oneste. Nessuno mi avrebbe guardata con occhi benevoli, nessuno si sarebbe degnato di capirmi meglio. Tutti avrebbero fatto sorrisi di circostanza, avrebbero annuito senza ascoltare una parola di quello che dicevo, mi avrebbero chiamata ‘amore’, ‘tesoro’, quando di amore e di tesoro non c’è n’era per niente. Non in quel mondo almeno, non dove a regnare erano i soldi. Josh era lì, perfetto, davanti a me e mi sorrideva. Questa era la cosa più onesta che potevo ricevere e me la facevo bastare; la coglievo al volo e per niente me la sarei lasciata sfuggire. Gli sorrisi un’ultima volta prima di tornare a concentrarmi sulla lezione di arte della mia insegnate di mezza età. Nei corridoi affollati non era difficile riuscire a scontrarsi sempre con le persone con cui meno volevi avere a che fare. Mr Hyde era una di quelle che mi capitava sempre a tiro. << Miss Grace, vorrei vederla in aula tra cinque minuti per discutere del suo test >> disse serio e impettito. La profondità del suo sguardo mi stupiva ogni volta che lo guardavo, dalla prima volta in cui puntai i miei occhi grigi sui suoi. Quel caldo pomeriggio estivo,a Milano, vagavo senza meta nell’hotel a cui alloggiava la famiglia. Tutti erano a farsi i fatti loro, c’era chi godeva del fresco della piscina interna, chi si faceva massaggiare la schiena da due mani forti e delicate, chi fumava erba chiuso nella propria stanza, chi aveva srotolato un tappetino da yoga per sentirsi più zen e poi c’ero io che ero annoiata e seccata da quello schifo che ci ostinavamo a chiamare ‘vacanza’. Nella hall c’era un via vai di gente continuo e i climatizzatori erano sparati alle stelle, mi piaceva starmene lì seduta, in quell’ingresso fresco e affollato a guardare la gente entrare ed uscire. Tutti ridevano ed erano in compagnia di qualcuno, tutti sembravano essere lì per motivi veri e concreti e non tanto per spendere del denaro come faceva la mia famiglia. Io, nonostante fosse una vacanza familiare, ero sola, come sempre. Senza uno straccio di compagnia. Ad un tratto i miei occhi incrociarono uno sguardo scuro che mi esaminava senza misura da un angolo di quella stessa hall. Quello sguardo faceva promesse illecite, sussurrava parole immorali, era pura essenza di guai. Non potevo immaginare come quegli stessi occhi mi avrebbero fatta sentire. Un paio di labbra piene mi sorrisero e non avrei mai potuto immaginare come proprio quelle labbra mi avrebbero dato piacere. Alzò la mano e con due dita fece un lieve cenno di saluto. Sapevo in cosa mi stavo cacciando, ma ero come una falena attratta dalla luce di una fiamma, consapevole di bruciare ma troppo attratta per resistere. Quando involontariamente ricambia quel cortese gesto del saluto, il sorriso che prima era solo sulle labbra si trasferì anche agli occhi ed io persi completamente la testa. << Certo Mr Hyde >> dissi tornando al presente e sorridendogli benevola, nonostante la mia mente vagasse a ricordi poco decorosi dei nostri ultimi momenti insieme, in quella Milano calda come non lo era mai stata. Lo raggiunsi cinque minuti dopo proprio nella sua aula e lui era lì ad aspettarmi. Calò le tendine con un veloce gesto della mano e, assicurandosi che il corridoio si fosse svuotato, mi fece accomodare chiudendo la porta con uno scatto di chiave. Non ebbi il tempo di fare domande che mi ritrovai bloccata contro il muro, immobilizzata dalla forza del suo corpo che premeva contro il mio. La testa mi girò e non ebbi la forza di respingerlo. Affondai la mia bocca nella sua e assaporai quel bacio dato senza la calma e la lentezza che aveva utilizzato ai nostri incontri segreti in Italia. Le sue mani esploravano il mio corpo come se fosse la prima volta, assaporandone ogni centimetro, lasciandomi ansimante. Tra i gemiti di piacere mi ritrovai con le mani sotto la sua camicia. Mi mancava sentire mio quel corpo caldo, quei muscoli tonici e compatti che mi facevano impazzire. Eravamo eccitati e desiderosi l’uno dell’altra. Quando lui si staccò improvvisamente mi sentii mancare. Come se un pezzo di me mi avesse abbandonata per qualche secondo, come se mi avesse succhiato via un pezzetto di anima. << Mi sei mancata Grace >> sussurrò sulle mie labbra. Cercai di trovare un po’ di contegno e presi quel poco di distanza necessaria per riprendere fiato e concentrarmi su una frase da dire che non fosse sconnessa e insensata. << Lucas, non possiamo >> esclamai, ancora con il fiato corto. << Vederti e non poterti avere mi sta letteralmente facendo impazzire >> disse sistemandosi una ciocca ribelle di capelli. << Sei il mio professore, sai bene quanto sia illegale questa storia >> gli ricordai, appoggiandogli le mani sul petto per non perdere del tutto il contatto fisico. << Lo so mia piccola Grace >> disse con tono remissivo. << Sono minorenne, è troppo illegale >> aggiunsi con un filo di timore nella voce. << Non per molto, no? Tra poco compirai diciotto anni. Mi dispiace che tu mi abbia mentito in Italia ma questo non cambia ciò che sento >> continuò lui. I miei occhi iniziarono a riempirsi di lacrime per la situazione sporca e impudica in cui mi stavo cacciando. << Magari possiamo vederci di nascosto >> proposi. << Posso prenotare anonimamente qualche stanza di albergo. Per un buon prezzo nessuno ne farebbe parola >>. La mia voce estremamente sicura mi colpì e sapevo quanto stupida fosse l’idea, ma io ero così: istintiva e passionale. Istintiva da sempre; passionale da quando avevo conosciuto lui. << Se dovessero scoprirci finiremo nei guai >> mi avvertì. << Con te sono sempre nei guai, Lucas >>. Presi a baciargli ancora quelle labbra piene e seducenti. Un bacio più calmo, più controllato che lui ricambiò con passione. << Non vedo l’ora di perdermi dentro di te Miss Grace >> mi sussurrò avvicinandosi al mio orecchio. Lo mordicchiò scherzoso e io soppressi una risatina acuta prima di leccarmi le labbra e percorrere lentamente con la mano il percorso che partiva dalla schiena e raggiungeva quel bel culetto sodo che tanto amavo, lo tirai a me e sentii la sua eccitazione contro la mia coscia, attraverso i jeans. << Oh posso immaginarlo >> dissi ironica. << Ti mando una mail, Mr Hyde >> aggiunsi con voce seducente mentre gli schioccavo un sonoro bacetto a stampo. Mi ricomposi in fretta e lui fece lo stesso, ritornammo nei nostri ruoli di insegnante e studentessa e tornammo ognuno alle proprie mansioni. Le lezioni avevano perso qualsiasi senso, i miei pensieri vagavano a quello che per settimane intere mi ero ripromessa di non pensare e di conseguenza la mia concentrazione si annullò del tutto, ritornando con i ricordi alle sue mani forti che mi facevano sentire, in un modo malato e crudele, al sicuro dal mondo; che mi facevano sentire di appartenere a qualcosa, a qualcuno, a lui. Era sbagliato, inopportuno, perverso, ma era tutto quello a cui potevo aspirare, tutto l’affetto che potevo avere. Non era amore, ma attrazione pura. Quello stesso pomeriggio mi distrassi facendo qualche chiamata ad alcuni enti benefici di cui facevo parte. Donavo spesso il mio denaro a chi ne aveva più bisogno, io ne ricevevo fin troppo. La mia paghetta settimanale era quanto un cittadino medio poteva guadagnare in un anno, ed era anche troppo bassa a detta di mio fratello Chris. Quindi almeno una volta al mese facevo un po’ di chiamate e spedivo soldi dove potevo, in modo del tutto riservato. Nessuno, a casa, fino a qualche tempo prima, sapeva come utilizzavo il mio denaro; non era una cosa che raccontavo in giro, non volevo vantarmi e fare la bella faccia, volevo solo rendere la vita delle persone meno fortunate più agiata. Quando la mia famiglia lo scoprì decise che volle rendere pubblica la mia benevolenza e fui sui giornali di gossip per giorni. << Si figuri, Mrs Jenckis. Probabilmente verrò a farvi visita in settimana, altrimenti ci risentiamo telefonicamente il prossimo mese, come sempre >> le dissi felice prima di riattaccare. Mi faceva stare bene liberarmi di tutti quei soldi in eccesso. Il cellulare prese a squillarmi di nuovo. Era sempre così quando dedicavo i miei pomeriggi a fare quelle operazioni, il cellulare squillava senza sosta e mi perdevo in telefonate infinite con gente che non avevo, effettivamente, mai visto in vita mia. << Pronto? >> risposi con un’aria un po’ scocciata. << Ti disturbo? >> sentii quella calda e roca voce maschile. Quella voce era facile da riconoscere, l’avevo sentita una sola volta ma mi era entrata in testa come il ritornello di una bella canzone. << Josh, assolutamente no >> dissi riprendendomi. Mi ero completamente dimenticata di avergli lasciato il mio numero. I successivi avvenimenti con Lucas avevano offuscato l’intera mattinata, compreso quel piccolo momento in cui mi ero divertita a flirtare un po’ con Josh Mills. << Mi chiedevo quand’è che fossi libera per quegli approfondimenti sulle lezioni di storia dell’arte che mi sono perso >>. Dal suo tono capii benissimo che di Tiziano non gli importava un bel niente ma da quando gli avevo fatto quella semi-proposta indecente erano cambiate parecchie cose. In quel momento ero convintissima che con Lucas Hyde fosse finita ma poi non ne ero più così sicura. << Guarda che se non vuoi non sei obbligata, anche se mi hai lasciato il tuo numero >> disse notando il mio silenzio dall’altro lato della cornetta. Lucas non avrebbe avuto nulla in contrario se avessi frequentato un ragazzo della classe per non destare sospetti, giusto? Che poi, avrei impedito qualsiasi altro fraintendimento tra me e Josh, mettendo le cose in chiaro e rimanendo comunque amici. << Certo che voglio. Tiziano è il mio pittore preferito >> dissi in fretta prima di cambiare idea. << Facciamo domani da me per le quattro, ok? >> gli proposi. << Sarebbe perfetto >> il biondino sembrò riprendersi dall’altra parte del telefono, dopo il silenzio imbarazzato a cui lo avevo sottoposto. << Ti mando un sms con l’indirizzo >>. Conclusi poi salutandolo e riagganciai. Il resto della giornata passò tranquillo tra lo studio e lo svago quotidiano tra i social network, fino a quando lo squillo del cellulare mi avvisò di una mail da parte di Lucas. ‘’Non penso di poter attendere un minuto di più, ti prego di raggiungermi nel mio appartamento il prima possibile. Ti voglio da morire. Cerca di non farti vedere. Tuo, Lucas.’’
   
 
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