Serie TV > Glee
Segui la storia  |       
Autore: DiDiGlee    16/09/2014    1 recensioni
Un anno dopo la loro rottura, finalmente Blaine parte per NY, sperando in una riappacificazione, ma scopre presto che Kurt ha un altro perfetto fidanzato.Tutto questo fino a che non capisce che Kurt è caduto in una relazione abusiva..
OOC!Kurt
Canon fino alla 4x06
Genere: Angst, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio, Rachel Berry | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
ehi everyone! scusatemi per avervi fatto aspettare così tanto, ma con i compiti delle vacanze da finire e il rientro a scuola è stato un casino! Anyway, godetevi il capitolo, questo sarà l'ultimo salto indietro nel tempo, e mancano solo altri due capitoli alla fine :(
L'autrice sta scrivendo il sequel, ma non ho intenzione di tradurlo fino a che non sarà completo, nel caso fatemi sapere cosa ne pensate. 

Enjoy!

 



Quel venerdì sera, mentre Kurt stava in piedi di fronte all’armadio, scegliendo un outfit per il Babylon, il suo telefono squillò. Non dovette controllare, per sapere chi lo stesse chiamando. Suo padre aveva recentemente cominciato a chiamarlo tutti i giorni alle otto. Evidentemente, suo padre era ansioso di riportare il legame tra di loro a come era una volta, dopo un paio di settimane di silenzio.
 
Ma Kurt era ancora concentrato sul tenerlo a basa, perciò, ogni volta che lui lo chiamava, lui inventava una scusa diversa.
 
Kurt odiava il fatto che fossero diventati così distanti, e non per via della distanza fisica, ma per tutte le cose non dette. C’era il cuore spezzato di Kurt, in gioco, ma si sentiva anche colpevole.
 
Le prime settimane dopo la rottura con Blaine, Kurt era stato furioso con suo padre, proiettando tutta la rabbia che provava per il tradimento del ragazzo su suo padre, che si era azzardato a spezzare una lancia in favore del suo ex ragazzo, e lo aveva punito non rispondendo alle sue chiamate, né collegandosi più su Skype. Certo, Kurt aveva torto, ad ignorare suo padre, ma aveva sempre trovato il modo di giustificarsi, dicendo di essere troppo impegnato o troppo stanco.
 
Dopo un po’, però, era diventata un’abitudine, e più tempo passava, più si sentiva colpevole, e non sapeva cosa dire o fare. Prima che se ne accorgesse, erano trascorsi mesi, e Kurt aveva realizzato che tra sé e suo padre si fosse eretto un muro che prima non c’era mai stato- almeno, non dai tempi della sua cotta per Finn e del suo piano per far mettere insieme suo padre e Carole, che gli si era ritorto contro, lasciandogli un senso di abbandono, mentre suo padre si legava sempre di più con Finn.
 
Ora, ogni volta che parlavano al telefono erano solo brevi chiacchierate, in cui Burt cercava di fare conversazione raccontandogli di Carole e Finn. A volte, Burt aveva anche menzionato cosa Blaine stesse facendo, stando a ciò che diceva Finn. Nessuna sorpresa. Vivevano ancora tutti a Lima, la piccola cittadina dove tutti sanno gli affari di tutti, non importano le circostanze, e certo, Finn stava ancora parlando con lui, e Burt era capace di sapere tutto.
 
Ma perché suo padre doveva sempre sondare le acque nominando il suo nome in una conversazione? Si aspettava davvero che Kurt abboccasse e facesse ogni domanda possibile sul suo ex? Perché Burt stava provando a farli rimettere insieme? In quei momenti aveva solo voglia di urlargli: “Lui mi ha tradito! Perché dovrei perdonarlo e dimenticare? Perché mi devi far sentire in colpa riguardo a questo?! Perché è colpa mia?” ma non lo aveva mai fatto. Semplicemente, riattaccava.
 
Questo parlare ma non parlare era continuato, nei mesi successivi, e Kurt non sapeva nemmeno come fare per far sì che tutto tornasse come prima e parlare davvero con suo padre di nuovo. In più, Kurt non voleva che suo padre sapesse della sua relazione con Andrew, e questo costituiva un problema in più. Kurt avrebbe mentito e suo padre avrebbe visto attraverso le sue bugie come nessun altro. Quella era l’unica ragione per la quale Kurt evitava di tornare a Lima, perché se avesse dovuto affrontarlo faccia a faccia, Burt avrebbe capito in un istante che qualcosa non andava.
 
Kurt odiava avere segreti. Lo faceva sentire come se avesse nuovamente quattordici anni, spaventato a morte di fare coming out, non volendo che suo padre sapesse, ma avendo bisogno che lo sapesse. Non voleva, però, che sapesse di quanto stesse faticando per rimanere in piedi, di quanto fosse diventata dura la sua vita in un posto che per tutta la vita aveva considerato il suo unico rifugio. New York doveva essere la sua salvezza, ma era diventata il suo inferno personale. Non la città in sé, ma il suo posto in essa. Invidiava Rachel, che si trovava nell’esatto posto al quale apparteneva, ma lui che ci faceva lì? Perché viveva a New York, quando nessuno dei suoi sogni si stava realizzando? Fatta eccezione per Vogue; se non avesse avuto quel lavoro con Isabelle, si sarebbe sentito completamente perso.
 
All’inizio, Kurt aveva provato a impressionare suo padre, parlandogli dei suoi successi a Vogue, ma ovviamente era stato come se parlasse un’altra lingua. Suo padre era fiero di lui, nessun dubbio, riguardo a quello, ma Burt non capiva nulla di moda. Più tardi, Kurt aveva cominciato a parlare di moda ogni volta che volesse annoiare suo padre: era il modo più semplice per toglierselo di torno al telefono. Il momento in cui avesse cominciato a parlare di tavole di colori e tessuti, e dell’ultima novità del blog di Isabelle, suo padre avrebbe messo giù.
 
E ancora, non potendo parlare con suo padre di tutto quello, Kurt si sentiva isolato. Viveva a New York, la grande città dove nessuno conosceva il proprio vicinato e nemmeno se ne interessava, dove era soltanto uno dei tanti.
 
“Hai intenzione di rispondere a quel dannato telefono oppure no?!” gridò Andrew dalla stanza accanto, suonando alquanto irritato.
 
“Scusa!” rispose, prendendo il telefono e andando a sedersi davanti alla finestra.
 
“Ehi, papà,” disse Kurt, con la voce bassa e strana persino alle sue orecchie. “E’ un brutto momento, ora, ci sentiamo un’altra volta, va bene?”
 
“Ciao, figlio, io sto bene, tu?” disse Burt, ignorando il tentativo di Kurt di chiudere la chiamata senza nemmeno salutarlo.
 
“Papà,” Kurt sospirò. “Non voglio essere rude. Non solo stanco. Ho lavorato come un matto, oggi.”
 
“E’ quello che dici sempre,” replicò Burt, suonando a metà tra l’irritato e il preoccupato. “Sai quand’è stata l’ultima volta che abbiamo davvero parlato? Perché io non me la ricordo, Kurt.”
 
“Lo so, papà, e mi dispiace.”
 
“Dispiace anche a me, tesoro, anche a me.” Disse Burt con un sospiro, suonando così sofferente che Kurt sentì improvvisamente tutte le sue risoluzioni vacillare.
 
Per un secondo, Kurt considerò la possibilità di dirgli tutto. Avrebbe cominciato con l’ammettere di essere infelice. Gli avrebbe detto di quanto si sentisse solo e inutile, di quanto si sentisse un fallimento. Gli avrebbe detto di quanto sentisse la mancanza di casa, di una spalla su cui piangere, di quando gli mancasse quando suo padre lo chiamava ‘figliolo’ o ‘ragazzo’. Inevitabilmente, avrebbe cominciato a piangere nella cornetta, e suo padre avrebbe provato a consolarlo, maledicendo la distanza, perché avrebbe solo voluto abbracciarlo e dargli un bacio sulla fronte.
 
“E’ solo-” Kurt alzò lo sguardo, quando Andrew entrò in camera da letto, guardando Kurt con un’occhiata curiosa, chiedendogli silenziosamente con chi stesse parlando.
 
Kurt coprì il microfono del telefono con una mano, mormorando: “E’ mio padre.”
 
“Okay, ma sbrigati,” disse Andrew, dirigendosi verso il bagno. “Ci vediamo con i ragazzi, prima di andare al Babylon.”
 
“Con chi stai parlando?” chiese Burt.
 
“Cosa?” chiese Kurt a sua volta, sobbalzando.
 
“Chi c’è lì con te, Rachel?”
 
“Papà, devo andare. Posso chiamarti domani, okay?”
 
“Ascolta, Kurt, mi manchi,” disse Burt, non lasciando suo figlio riattaccare così facilmente quella volta. “Sapevo che, quando ti fossi trasferito, i nostri contatti si sarebbero ridotti, ma non pensavo che sarebbe mai potuto essere così. Non so più niente di te, Kurt, e vice versa. Ho accettato il fatto che non saresti tornato per Natale, ma mi avevi promesso che saresti venuto un’altra volta, e adesso è quasi estate. Non ti vedo da più di un anno, Kurt. Non pensavo che sarebbe stato così.”
 
“Ed è colpa mia?” chiese Kurt, alzando la voce, mettendosi sulla difensiva, ma sentendo la distanza e la perdita molto chiaramente anche lui. “Avresti potuto venire qui per vedermi, lo sai. Ma immagino che ci sia sempre qualcosa di più importante che succede a Finn o a Carole, o a chiunque altro. E io non ho colpa per questo. Dannazione, sto semplicemente cercando di vivere la mia vita, qui!”
 
“Che vuol dire che stai cercando?” chiese Burt, la voce rotta e sottolineando ogni parola. “So che sei frustrato per non essere entrato alla NYADA, ma c’è qualcos’altro, sotto?”
 
“Tu non sai niente, papà!” sbottò Kurt, irritato per l’essere il soggetto delle sue preoccupazioni.
 
“Già! Ed è esattamente quello il punto! Perché tu non mi parli!”
 
“Mi dispiace, ma devo andare.” Disse Kurt, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime.
 
“Kurt, per favore, non farlo. Non riattaccare.”
 
“Ti voglio bene, papà.” Disse, attaccando, prima di scoppiare in lacrime. Si appoggiò contro la finestra fredda, seppellendo il viso tra le mani.
 
“Che succede?” chiese Andrew, entrando nella stanza e sorprendendolo in lacrime. Kurt si asciugò gli occhi velocemente. “Niente, ho solo avuto una conversazione spiacevole con mio padre.”
 
“Oh, fanculo i genitori. Anche io odio mio padre. È un fottuto ipocrita.”
 
“No, non odio mio padre, è solo-”
 
“Dimentica del tuo stupido padre. È venerdì!” lo tirò via da dove era appoggiato e lo fece girare. “Voglio vederti ballare, piccolo.”
 
Agendo solo per istinto e per bisogno, Kurt si strinse Andrew più vicino, abbracciandolo stretto. Il breve scambio con suo padre lo aveva lasciato traballante, e avrebbe ucciso per qualcuno che lo stringesse.
 
Andrew lo sorprese con un’affezionata tenerezza, ricambiando l’abbracciò e poggiando il mento sul suo capo. “Non ti preoccupare di niente, zucchero,” mormorò Andrew, passandogli le mani sulle spalle per stringerlo. “Non lascerò che nessuno si metta tra di noi.”
 
“Perché ti piaccio così tanto?” chiese Kurt, la voce a malapena più di un sussurro.
 
Andrew ridacchiò, e il suo corpo vibrò. “Perché non ho mai conosciuto nessuno, come te. Non lo so. Non so spiegarlo. Mi emozioni.”
 
Sobbalzando, Kurt lo spinse via per guardarlo. “Perché lo hai detto?” per un terribile secondo, si domandò se non avesse parlato ad Andrew della dichiarazione di Blaine in un momento di incoscienza, e se Andrew avesse appena usato quelle parole per ferirlo.
 
Perché è vero. Mi fai sentire cose che non ho mai sentito prima. Con gli altri è sempre stato solo sesso, ma tu hai i tuoi principi morali, e la tua adorabile modestia e la tua regola del niente sesso. Mi fa sentire come se fosse arrivato il momento di crescere e di guadagnarmi ciò che è mio. Sai che voglio dire?”
 
“Credo,” rispose Kurt.
 
Andrew gli accarezzò il viso gentilmente, abbassandosi per baciarlo. Kurt chiuse gli occhi, ricambiando il bacio, in un tentativo di sentire e di gustare qualcosa di diverso dal niente. Ma non provò niente lo stesso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Sei pronto per andare?” chi chiese Andrew dall’altra stanza, e Kurt sobbalzò all’improvviso suono della sua voce e per la sua impazienza.
 
“Un minuto!” rispose, e diede un’occhiata al suo riflesso nello specchio. Voleva sembrare al meglio, quella sera, ma sembrare ancora sé stesso. Non voleva che Chandler avesse l’impressione che lui si fosse trasformato in uno stronzo troppo vestito.
 
Così frugò nella sua collezione di accessori in cerca di qualcosa che desse di lui, fino a che non trovò la cosa perfetta: la sua buona, vecchia, spilla a forma di ippopotamo. Se la appuntò sulla maglietta, in ricordo del suo primo incontro con Chandler, il quale si era complimentato con lui per essa. Sperò che il suo amico lo apprezzasse.
 
Kurt era ansioso di rincontrarlo.
 
Per una volta, non voleva dire di non essere stato ammesso alla NYADA. Aveva paura che Chandler sarebbe rimasto deluso, o che avrebbe perso interesse nell’essere suo amico, se non fosse stato uno studente di una scuola d’arte.
 
D’altra parte, associava ancora il ragazzo con lo sguardo di tradimento sul volto di Blaine. Pensare a Chandler lo riportava indietro al tempo della loro prima crisi, indietro a quando non gli passava nemmeno per la mente che Blaine potesse pensare che Kurt potesse essere capace di tradirlo.
 
Quante volte, in seguito, Kurt si era dato dello stupido per non aver saputo gestire meglio la situazione? E soltanto avesse detto a Blaine di quel ragazzo che aveva incontrato fin dall’inizio. Avrebbero potuto ridere dei suoi tentativi di flirt insieme.
 
Kurt si era sentito bene, per le sue attenzioni. Blaine non aveva fatto altro che allontanarsi da lui, in quel periodo, e Kurt non sapeva perché. Avrebbe dovuto chiederglielo, ma aveva paura che Blaine avesse potuto dirgli che per lui le cose non erano più com’erano all’inizio. Con il passare del tempo, una parte di Kurt era sempre stata spaventata che Blaine avesse prima o poi potuto realizzare quanto Kurt fosse noioso; non era il ragazzo più interessante dell’Ohio, dopo tutto. Non quando c’erano ragazzi come Sebastian, in giro.
 
Kurt aveva voluto soltanto rendersi interessante e attraente di nuovo, ai suoi occhi; aveva voluto che Blaine lo notasse di nuovo, aggiungendo un’aria di mistero, dandogli l’impressione che un altro ragazzo avesse potuto essere interessato a lui. Se soltanto avesse saputo che Blaine  si stesse allontanando perché spaventato dall’idea di perderlo, non lo avrebbe mai fatto. Ma Blaine non aveva voluto parlargli delle sue paure, e Kurt non era riuscito a trovare il coraggio di chiedere al suo ragazzo cosa stesse succedendo. Parlare di quelle cose era sempre molto difficile. La domanda ‘ehi, perché ti stai allontanando da me?’ non era una di quelle che lasciavano facilmente la lingua di una persona. Ed era anche più difficile, considerando quale avrebbe potuto essere la risposta, o la discussione che avrebbe seguito.
 
Quando aveva parlato con Rachel, riguardo a lui e Blaine, che si comportavano come una vecchia coppia sposata, non si stava lamentando; era preoccupato e spaventato che Blaine avesse potuto dirgli ‘Beh, sì, Kurt, siamo diventato proprio come una vecchia coppia sposata, e sai, eri il ragazzo più interessante dell’Ohio, ma ora che so ogni cosa di te, è un po’ noioso. Perciò che ne dici di restare amici?’
 
Kurt non aveva mai pensato che Blaine avesse potuto reagire nel modo in cui aveva reagito, sentendosi tradito, ed era tutta colpa sua, per via del suo essere civettuolo con Chandler. Blaine era così arrabbiato. Kurt sapeva di essersi comportato male, e voleva rimediare. Non aveva mai voluto sentirsi un traditore. Anche se continuava a pensare che i suoi messaggi fossero del tutto innocui, visto che non aveva mai avuto alcuna intenzione verso Chandler, aveva solo fatto finta- se i ruoli fossero stati invertiti, probabilmente Kurt avrebbe pensato lo stesso di Blaine.
 
Dopo aver fatto pace, Kurt era assolutamente sicuro che lui e Blaine fossero fatti per durare.
 
Afferrò la lacca un po’ più forte, cercando di togliersi quei pensieri dalla testa. “Non lasciare che il passato di butti giù anche oggi.” Mormorò a sé stesso, mentre si sistemava i capelli, non permettendo ai suoi pensieri di sovrastarlo un’altra volta.
 
Come Andrew aveva dolcemente richiesto, si era dato una passata di eye liner, sbattendo poi le palpebre. Lo rendeva così diverso.
 
“Ciao, sexy,” disse Andrew, guardandolo mentre usciva dal bagno. “Sei davvero eccitante. Amo quegli stivali da puttana.”
 
“Grazie?” disse Kurt. “Nemmeno tu stai male.”
 
Kurt aveva indossato i suoi pantaloni neri preferiti, insieme a una camicia coloro porpora. Uscì dalla porta con i suoi nuovi stivali neri che gli arrivavano al ginocchio.
 
Un’ora dopo era in piedi di fronte al locale con un irritato Andrew che non voleva aspettare un secondo di più. “Andiamo dentro, piccolo. Questo tuo amico non ha intenzione di farsi vedere.”
 
“Ancora un minuto,” lo pregò Kurt. “Ha detto che sarebbe stato qui per le undici. Forse si è perso, non vive qui da molto.”
 
“Farà meglio a darsi una mossa,” grugnì l’altro impazientemente.
 
“Eccolo!” Kurt agitò la mano verso di lui, in modo da farsi vedere. Il suo comportamento infantile si guadagnò un’occhiata di disapprovazione da Andrew.
 
Dall’altra parte della strada, Chandler gli restituì il saluto, dirigendosi verso di loro. Indossava un maglione grigio scuro, dei pantaloni rossi e versi e un cappellino verde foresta che gli copriva le orecchie. Kurt amava quei cappelli, ma tristemente non andavano più di moda da un pezzo.
 
Questo è lui?” chiese Andrew, lasciandosi andare a una risata di scherno.
 
“Non essere cattivo, Drew,” disse con tono di ammonimento.
 
Fece un passo verso di lui, che non era cambiato per niente. Sembrava ancora esattamente lo stesso ragazzo, mentre si guardava intorno di fronte a Kurt. “E’ un piacere vederti di nuovo, Kurt Hummel! Grazie per avermi invitato a unirmi a te. Non sono mai stato in un posto simile, prima! È davvero emozionante!”
 
“Ciao, Chandler,” Kurt gli sorrise caldamente, facendo un cenno verso Andrew. “Lui è il mio ragazzo-”
 
“- che si sta annoiando a morte, qua fuori.” Lo interruppe Andrew. “Andiamo dentro.”
 
“Oh, ma non ho-” cominciò Chandler, ma fu interrotto da Andrew, il quale gli allungò una carta di identità. “Questa dovrebbe andare,” disse facendogli l’occhiolino. Poi passò un braccio attorno alle spalle di Kurt e fece strada.
 
Kurt guardò Chandler, che sembrava ovviamente impressionato e intimorito allo stesso tempo dalla folla e dall’atmosfera del locale. Si ricordò la sua prima volta al Babylone, e poté comprendere lo sconvolgimento di Chandler, evidente dai suoi enormi, spalancati, timidi occhi. “Rimani vicino a me e ne uscirai vivo,” scherzò Kurt, guadagnandosi un sorriso felice dal suo amico.
 
Mentre si immettevano nella folla, Chandler indicò il petto di Kurt. “Hai ancora quella spilla!”
 
“Certo,” rispose Kurt con nonchalance, ma con un sorriso.
 
“Sai, non avrei mai avuto il coraggio di parlarti, se non fosse stato per quella spilla!” ammise Chandler con un sorriso timido.
 
Kurt era incuriosito. “Perché.”
 
“Non avevo mai parlato con ragazzi che fossero, sai, belli. Solitamente mi mandavano a quel paese. Ma ho immaginato che qualcuno che potesse indossare una spilla del genere dovesse essere una persona fantastica!”
 
“Grazie,” disse Kurt, sorridendo. “Questa spilla mi ha sempre portato fortuna. L’ho indossata il giorno del mio colloqui per Vogue, e Isabelle l’ha amata.”
 
“Isabelle Wright ha apprezzato la tua spilla? O mio Dio, è fantastico!” disse con aria eccitata.
 
“Andiamo di sopra, ci sono i divani. Possiamo sederci e parlare un po’, ti va bene?”
 
“Mi piacerebbe,” disse Chandler, annuendo entusiasta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Quindi, com’è la NYADA?” e certamente doveva essere la sua prima domanda. Kurt prese un profondo respiro. Stava per ammettere di non avercela fatto, ma gli occhi di Chandler erano così carichi di aspettativa che Kurt avrebbe odiato essere una delusione.
 
“Fantastica,” disse. “Specialmente il programma di teatro, è impressionante.” Non era davvero una bugia, se non diceva esplicitamente di essere uno studente, giusto?” continuò a parlare per un po’, ripetendo soltanto ciò che aveva udito in precedenza da Rachel.
 
Era facile parlare con Chandler, maggiormente perché quest’ultimo parlava abbastanza per entrambi. Era divertente in un modo un po’ nerd con il quale Kurt poteva relazionarsi, e non era nemmeno crudelmente divertente, nel modo in cui lo era Andrew, facendo battute sul modo di agire degli altri. Essergli intorno era rinvigorente, e il suo entusiasmo riguardo tutto era contagioso.
 
“Com’è lavorare per Vogue.com? E Isabelle Wright? È come Miranda Priestley? Sai, Meryl Streep ne ‘Il Diavolo Veste Prada’?”
 
Kurt rise e, mentre lo faceva, divenne consapevole che fosse la prima volta in settimane che lo faceva in modo genuino. “No, affatto. Isabelle è una persona meravigliosa.” Per un po’, si perse nel raccontare aneddoti sul suo posto di lavoro e sui suoi colleghi, fino a che Chandler non lo guardò e disse: “Wow, sembra che tu stia passando molto tempo lì. Come fai a conciliare le ore di lavoro con le tue lezioni alla NYADA?”
 
“Oh, in realtà è piuttosto semplice,” Kurt evitò di rispondere esplicitamente, sorprendendosi di quanto facilmente la bugia gli fosse venuta fuori.
 
“Wow, io non avrei le energie per lavorare per qualcosa di così impegnativo. Già è abbastanza se riesco a consegnare i compiti in tempo. Hai almeno il tempo di respirare?”
 
“Sì, beh, ecco perché mi piace venire qui, il venerdì sera,” disse Kurt. “Semplicemente per togliermi ogni cosa dalla testa per un po’.”
 
Kurt era attonito, di fronte alle stranezze di Chandler. Non solo il ragazzo pensava sul serio che Kurt fosse la persona più perfetta che avesse mai incontrato, ma credeva in modo incredibilmente facile a tutte le bugie che gli raccontava, perché era semplicemente ciò che si aspettava che Kurt fosse. Era lusinghiero e mortificante allo stesso tempo.  Kurt sapeva di non poter soddisfare le sue aspettative in eterno. Era divertente, però, fare finta di poterlo fare e di essere la persona che avrebbe potuto essere. Ma non lo era, il che rendeva a Kurt difficile prendere in giro il suo amico. Chandler, però, sembrava volesse essere preso in giro o, almeno, questa era l’impressione di Kurt, perciò stesse al gioco.
 
Dopo un po’, Chandler si avvicinò a lui in maniera confidenziale. “Devo ammettere che ero nervoso, all’idea di rivederti, Kurt.”
 
“Davvero? Sono solo io.” Kurt chinò il capo. “Ma devo ammettere di essere stato nervoso di rivederti anche io, e so che questo non sia proprio il tuo genere di posto, ma sono felice che tu sia qui.”
 
“Ovunque, per te,” disse l’altro, diventando all’istante rosso fuoco e balbettando. “Intendo, sono davvero felice che tu abbia risposto al mio messaggio, perché ero davvero curioso di sapere  cosa stessi facendo, e mi piacerebbe che fossimo di nuovo amici.”
 
“Mi piacerebbe,” disse con un sorrise gentile.
 
“Eccoti qui, piccolo,” Andrew arrivò dietro Kurt e mise una mano sulla sua spalla. “Vieni con me, voglio presentarti alcuni ragazzi di Boston. Il tuo amico può sopportare di stare un paio di minuti senza di te, non è vero?”
 
“Uh, certo,” disse Chandler.
 
“Torno subito,” disse Kurt, ma alla fine Andrew lo tenne lontano per più di un’ora. Due degli amici di Andrew gli parlavano di moda, riferendosi alle ultime novità d Vogue, e Kurt perse la cognizione del tempo. Fu solo quando Andrew fu sparito per un po’, che Kurt cominciò a guardarsi intorno, trovando seduto al bancone a parlare con Chandler, ma, quando Kurt riuscì a raggiungere il punto in cui si trovavano, Chandler era andato via.
 
“Dov’è Chandler?”
 
“Chi?” chiese Andrew, passandogli un braccio attorno alla vita.
 
“Il mio amico.” disse  Kurt, irritato. “Quello con gli occhiali.”
 
“Oh, lui. L’ho mandato via.”
 
“Tu hai fatto cosa?!”
 
“Non ti darà più fastidio.”
 
“Non mi stava dando fastidio. È mio amico.”
 
“Tu vuoi frequentare quel ragazzo?! Seriamente?!” sbottò Andrew. “Pensavo di farti un favore.”
 
“Perché? Che ha che non va?”
 
“E’ noioso!” disse Andrew, come se fosse un dato di fatto. “Se almeno avesse un bel viso, mentre parla, e parla, e parla-”
 
“Immagino di essere solo questo, per te, giusto? Un bel viso.” Sbottò Kurt a sua volta.
 
“E un culo fantastico,” gli fece l’occhiolino.
 
“Sei davvero una testa di cazzo, Drew!” Kurt si divincolò dalla sua presa e si diresse verso l’uscita.
 
Fuori, per strada, Kurt vide il suo amico di spalle. Apparentemente, Chandler era in una situazione scomoda. Due ragazzi lo stavano placcando, spingendolo e tirandolo poi su dal colletto della maglietta, insultando ad alta voce i suoi vestiti.
 
Kurt non esitò un secondo.
 
“Lasciatelo in pace!” gridò Kurt, correndo verso di loro. “Toglietegli le vostre sudice mani di dosso!” disse con voce fredda, fermandosi in modo protettivo davanti a Chandler.
 
“Qual è il tuo problema?” chiese uno dei ragazzi. “Non sono affari tuoi.”
 
“Se insulti lui, insulti me.” Disse Kurt. “E tu non vuoi insultarmi.”
 
“Tu, bambolina? Pensi di poterci spaventare?” lo schernì uno dei ragazzi.
 
“So come mettervi in ginocchio, ragazzi. Un colpo ben assestato alla vostra parte del corpo preferita dovrebbe funzionare, e credetevi, non ci andrò piano. Li vedete i miei stivali?” disse indicandoli. “Sono fatti apposta per prendere la gente a calci in culo, e non vedo l’ora di usarli. Inoltre, posso urlare. Riesco a prendere un fa naturale, vuoi una dimostrazione? Ogni poliziotto in zona riuscirà a sentirmi.”
 
Senza discutere oltre, i due se ne andarono, non volendo finire nei guai.
 
Kurt si girò verso il suo amico, notando che stesse tremando. “Stai bene? Non preoccuparti di persone come loro. Sono tutto fumo e niente arrosto.”
 
“Mi dispiace, è solo-” Chandler esalò un singhiozzo. Era sul punto di scoppiare. “Ho pensato che volessero picchiarmi! Ero così spaventato! Non sapevo cosa fare! Se non fossi arrivato-”
 
Kurt si avvicinò e lo abbracciò. “Va tutto bene, sono andati via, non è successo niente. Solo, non uscire mai più da solo. Dove vai, comunque? Non mi hai nemmeno salutato.”
 
“Scusa,” mormorò Chandler contro la sua spalla. “Avevo la sensazione che non mi volessi attorno. Pensavo che fossi soltanto gentile.”
 
“Sbagliato,” Kurt lo lasciò andare, ma tenne una mano sul suo braccio. “Non so cosa ti ha detto il mio stupido ragazzo, ma io voglio esserti amico. Senti, io sono qui tutti i venerdì, se ti va di passare. Mi piacerebbe rivederti.”
 
“Davvero?” Chandler si illuminò. “Grazie.” Si abbracciarono, e Kurt si sentì apprezzato. In qualche modo, Chandler lo faceva sentire bene con sé stesso, e Kurt non si sentiva così da un po’.
 
“Eccoti!” improvvisamente, Andrew era dietro di lui, tirandoselo tra le braccia in modo indelicato. “Ti ho cercato ovunque! Lo sai che odio quando sparisci!”
 
“Scusa,” disse Kurt, scrollandoselo di dosso. “Stavo solo aiutando Chandler con dei ragazzi, e-”
 
“Non mi interessa,” lo interruppe con aria arrabbiata. “La prossima volta me lo chiedi, prima di uscire!”
 
“Sì, sì,” ripeté non molto convinto. “Qualcos’altro?!”
 
Questa volta, Andrew gli afferrò forte il braccio, scuotendolo. “Non parlarmi così, stronzo!”
 
“Ehi!” urlò Chandler, incapace di starsene a guardare ancora senza intervenire. “Fermati!”
 
Andrew lo lasciò andare, spingendolo in modo tale da fargli quasi perdere l’equilibrio, prima di girarsi verso il ragazzo con gli occhiali. “Hai nulla da dirmi?” chiese Andrew con aria di sfida.
 
Kurt guardò il modo in cui Chandler rimase congelato, deglutendo un paio di volte, anche più terrorizzato di quanto lo fosse stato prima, affrontando quei due stronzi.
 
“Va tutto bene,” disse Kurt, poggiando leggermente una mano sulla schiena di Andrew, cercando di tenerlo lontano dal suo amico. “Andiamo a casa.”
 
Andrew e Kurt si stavano giusto girando, quando Chandler cominciò a palare.
 
“In realtà, ho qualcosa da dirti!” era palesemente intimidito, e le sue guance erano rosse, mentre si torturava le mani. Comunque, aveva il coraggio per dire cosa aveva in mente.
 
“Penso che tu debba a Kurt un po’ di rispetto! Il modo in cui gli parli è inaccettabile.”
 
Andrew non disse nulla. Si fermò più vicino, cercando di intimidirlo. Chandler fece un passo indietro, ma continuò a parlare. “Perché Kurt è l’amico e la persona migliore  e più gentile che abbia mai incontrato, e dovresti sentirti fortunato a chiamarlo il tuo ragazzo, e-” Chandler deglutì. “Devi mostrargli più rispetto! È tutto quello che chiedo.”
 
Chandler stava nuovamente tremando, più di prima. Si stava esponendo per Kurt, non aveva importanza quanto avesse paura, e Kurt non sapeva cosa dire o cosa sentire. Si vergognava che le cose dovessero andare così; che fosse bloccato in quella situazione che faceva sentire Chandler in dovere di proteggerlo, non importava quanto insignificante fosse il contributo che poteva portare nel farlo, ma si sentiva anche fiero del fatto che Chandler fosse suo amico, e che lui pensasse così bene di lui e che avesse abbastanza coraggio da farsi avanti, anche quando a conti fatti stava arretrando.
 
“Va tutto bene,” disse Kurt, in un tentativo di rompere la tensione. Non voleva che la situazione degenerasse; non voleva che Andrew gli facesse del male. “Davvero, Chandler. Stiamo bene. Ogni coppia litiga, di tanto in tanto.” Kurt abbracciò il suo ragazzo per dimostrare che si appartenessero, e quel semplice gesto fu sufficiente a calmare Andrew.
 
“Già, andiamo a casa a fare un po’ di sesso riparatore,” suggerì questo scherzosamente, baciandogli la tempia. Kurt lo spintonò per gioco. In quel momento, Chandler doveva solo pensare che Andrew fosse un idiota che lo trattava male, ma Kurt non voleva che avesse la minima idea di quanto fossero serie le cose.
 
Mise su un sorriso finto. “Fammi un favore e prendi un taxi, Chandler,” aprì il portafogli e gli diede dei soldi. “Mai camminare da solo per New York!”
 
“Non serve che tu mi dia dei soldi,” protestò Chandler.
 
“Insisto.” Spinse i soldi nella sua mano, stringendola. “Buona notte, Chandler.”
 
Andrew gli passò un braccio attorno alla vita, e i due si diressero verso il garage. Kurt resistette all’impulso di voltarsi indietro. Non si permise di preoccuparsi di qualunque cosa Chandler stesse pensando riguardo alla sua relazione. Francamente, non erano affari suoi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Quando raggiunsero l’appartamento, Andrew era arrabbiato perché Kurt aveva passato la maggior parte del tempo con il suo amico, e Kurt era arrabbiato perché Andrew non aveva nessun diritto di essere arrabbiato, mentre lui ne aveva parecchi.
 
“Non farlo di nuovo, cazzo!” cominciò a urlare Andrew, non appena si fu chiuso la porta alle spalle.
 
“Che ho fatto?” chiese Kurt, per nulla impressionato dalle urla dell’altro. “Non ho fatto nulla di sbagliato. Oh, scusa, non sono stato attaccato al tuo braccio tutta la sera guardandoti con ammirazione, come se fossi il ragazzo più meraviglioso dell’intero pianeta. Invece, ho aiutato un amico nei guai senza chiederti il fottuto permesso!”
 
“Fanculo, Kurt! Sai esattamente perché sono arrabbiato.”
 
“E perché?” era in piedi con le braccia conserte, aspettando con un sopracciglio inarcato.
 
“Ogni volta che siamo insieme, tu mi ignori totalmente,” lo accusò. “E’ come se non te ne importasse niente di me. Noi dovremmo stare insieme, ricordi?”
 
“Stai solo mettendo il muso perché non è sempre tutto intorno a te,” sbuffò Kurt. “Non scaricare le tue frustrazioni su di me!”
 
“Forse non sarei così frustrato tutto il tempo se finalmente mi permettessi di scoparti!” replicò.  “Il che è probabilmente la stessa cosa di cui hai bisogno anche tu. Sai, il sesso è una cosa buona.”
 
Kurt scosse la testa, fissandolo con lo sguardo più disgustato che potesse formare. “Pensi che ti permetterei di –parole tue- scoparmi, mentre mi parli in quel modo?! Molto romantico.”
 
“Scusa, okay, mi dispiace.” Sospirò Andrew. “E’ solo che non capisco cosa tu voglia da me. Ti dico che sei perfetto tutto il tempo, ti amo, piccolo. Perché non è abbastanza? Che altro vuoi da me? Perché non è abbastanza, quando ti dico che ti amo?”
 
“Perché non riguarda l’amore,” rispose Kurt, come se fosse una cosa ovvia. “L’amore non è mai il problema. Ma la fiducia lo è.”
 
“Già, capisco che tu abbia problemi a fidarti,” disse, con un cenno della mano. “Ma pensavo che ti fidassi di me, ora.”
 
“Come potrei, se nemmeno tu ti fidi di me?” rispose Kurt. “Altrimenti non saresti così aggressivo vedendomi parlare con un semplice amico.”
 
“Sento come se tu stia aspettando qualcosa,” continuò Andrew, tenendo lo sguardo fisso su di lui. “Non sono sicuro su che cosa tu stia aspettando, o se io possa essere capace di dartelo- o chiunque, per quello che conta. Ma sono stanco di questa situazione. Devi andare avanti, piccolo. E se non sei capace di premere il pulsante play della tua vita, qualcun altro deve pur farlo.”
 
Kurt fece una smorfia. Odiava essere il soggetto di quella gentile e profonda attenzione. Fino a quel momento, si era sentito a suo agio in compagnia di Andrew perché non gli importava molto del suo passato e dei suoi motivi. “E tu vorresti aiutarmi?” constatò Kurt.
 
Senza preavviso, Andrew si avvicinò, afferrandogli la maglietta. Kurt si preparò per essere spinto, ma Andrew non lo colpì; invece, strappò la spilla a forma di ippopotamo. “Prima di tutto, questa cosa orribile deve sparire!”
 
“Come ti permetti! Ridammela!” cercò di divincolarsi, ma Andrew tenne la spilla fuori dalla sua portata.
 
“E buttare via la mia roba come dovrebbe essermi d’aiuto?” sbottò.
 
“Hai bisogno di lasciarti le cose alle spalle,” disse saggiamente. “Lascia indietro il passato- e gli accessori orribili.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Kurt aveva pensato che Chandler non si sarebbe più fatto a vedere, dopo quel traumatico incidente e il comportamento ostile di Andrew, ma lo aveva fatto, e Kurt era grato per quel supporto silenzioso. Non si scambiavano messaggi, visto che Andrew gli controllava occasionalmente il telefono, ma Chandler sapeva dove trovarlo: al Babylon ogni venerdì sera.
 
Non parlavano mai della situazione di Kurt, anche se Kurt poteva vedere come a Chandler non piacesse, quando Andrew interrompeva le loro chiacchierate. Chandler non lo aveva mai giudicato, né gli aveva fatto domande sulle sue scelte. Era semplicemente lì, sempre in tempo come un orologio, diventando una calma costante, nella vita di Kurt, dove questa era un terremoto.
 
Quanto disperato era diventato Kurt, da aver bisogno di vedere Chandler soltanto perché aveva bisogno di qualcuno che lo riconoscesse? Come se lui fosse vivo soltanto perché lui lo vedeva respirare, qualcuno che lo conoscesse ancora dalla sua vecchia vita.
 
Nessun giudizio, né intromissione, né fastidi.
 
Era lì è basta, aspettando pazientemente con lui, mentre la sua vita era un casino. 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: DiDiGlee