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Autore: ThaFaultInOurStars    17/09/2014    1 recensioni
Emily Rose Stewart vive da molto in una vecchia casa sulla spiaggia. Ormai anziana decide di festeggiare al meglio quello che potrebbe essere il suo sessantesimo anniversario di ricordi così, come ogni hanno, il 12 Agosto decide di sedersi sulla sua poltroncina nera in veranda e rivivere gli anni che le hanno cambiato la vita. Da settantottenne malinconica Emily rivive ogni singolo istante dei suoi vent'anni, rivive quell'estate che la segnò per sempre. Tra desideri e passioni la Giovane Emily Rose si ritroverà in una piccola cittadina perduta di nome Melrose, diretta verso la casa della zia in cui ripone la speranza di scoprire qualcosa sulla madre ormai defunta. Non cosciente che il fato le riservi un posto in prima fila verso i passi del tramonto come segno di un'amore incondizionato.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Salve gente!
vorrei iniziare dicendo che questa è la mia prima storia quindi spero vivamente di ricevere vostre opinione per farmi un'idea se possa piacervi o meno. L'ispirazione per questa storia mi è venuta grazie ad una persona a me cara che, dicendomi una frase, ha fatto si che il mio cervello iniziasse a mettersi in moto e a sfornare un qualcosa di decente.
Detto ciò vi lascio alla lettura solamente con una precisazione: Dato che non trovavo luoghi adatti come cittadina dove ambientare la storia ho deciso di inventarmelo io, col solo fatto che il nome (Melrose) è preso da una cittadinà effettivamente esistente che si trova negli Stati Uniti. La "vera" Melrose, infatti, ha caratteristiche completamente diverse da quella che ho immaginato io, partendo già dal presupposto che la mia è una piccola cittadinà che si affaccia sul mare mentre quella effettivamente esistente è una piccola cittadina collinare.
Detto ciò vi auguro buona lettura.


 

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"Dedicato a chi ha sempre creduto in me.               
Dedicato a me stessa, ai miei amici e a   
chi,involontariamente, mi ha dato la forza
per andare avanti e continuare questo     
mio sogno.Grazie, di cuore."                     



Capitolo 1

Il vento era quasi assente, poche apparizioni piuttosto afose. Era piena Estate quando Emily Rose si sedette sulla veranda della sua nobile casa in riva al mare, ancora una volta si ritrovò a fissare quelle piccole onde che si infrangevano delicatamente sulla sabbia lasciando piccoli tratti di spuma bianca. Non era la prima volta che lo faceva, in verità quest'anno per lei era speciale, era diverso pur essendo dannatamente monotono. Emily Rose stava festeggiando il suo sessantesimo anniversario di pura monotonia, non che le dispiacesse d'altra parte. Erano esattamente sessantanni che, nell'alba del 12 Agosto, si alzava e si vestiva, si pettinava i lunghi capelli ormai bianchi e, senza neanche far colazione, si sedeva su quella poltrona situata in quella veranda. Lo faceva per ricordare, e ricordava perché lo aveva promesso.

Ancora una volta posizionò le braccia su quella pelle nera ormai malandata, dio solo sa quante ne aveva passate quell'oggetto inanimato.

Appoggiò lievemente la testa e la girò di lato, in una posizione che le potesse far godere al meglio la meraviglia naturale che aveva davanti. Le era sempre piaciuto il mare, le erano piaciute sempre le onde in verità.

Nell'arco della sua vita era cambiata molte volte, sia fisicamente che interiormente ma, nonostante tutto, lei aveva sempre amato quelle piccole guerriere coscienti del loro destino, le definiva come forza di vita ma, probabilmente, era attratta solo per il semplice motivo che continuavano a rigenerasi e a morire sfracellate sulla sabbia. Era un circolo vizioso quello delle onde, nascevano e morivano dopo pochi attimi ma, comunque, nascevano di nuovo pur consapevoli della loro breve esistenza. Emily Rose le definiva guerriere, guerriere perché nonostante tutto continuavano a lottare mantenendo viva in loro la speranza di farcela un giorno, la speranza di vincere su quella spiaggia che le aveva consumate. Era fermamente convinta che l'essere umano dovesse ispirarsi alla forza di quelle frangenti, cercando di sopravvivere il più a lungo possibile alla vita che gli era stata donata senza un motivo plausibile. Per la sessantesima volta in sessant'anni si era ritrovata a fissare quell'ammasso di spuma bianca, non fissava mai il mare nel resto dell'anno, era superfluo. A lei non importava contemplare quell'insieme di acqua salata, le importava contemplarlo solo una volta all'anno e per un motivo specifico. Le importava contemplarlo per far rimanere vivi i ricordi di un qualcosa che le segnò profondamente la vita.

Erano le 8:30 del mattino quando Emily Rose si ritrovò a chiudere pian piano gli occhi e a tornare indietro nel tempo. Erano le 8:30 del mattino quando Emily Rose si ritrovò ad avere 20 anni, catapultata nella lontana estate del 2005.

***

Erano passate molte ore da quando mi ero messa in viaggio verso Melrose,un paese di cui non sapevo neanche l'esistenza, di cui sinceramente non mi importava saperla. Da quando ero rimasta sola, dopo il tragico incidente, avevo imparato ad assumermi le mie responsabilità, diventando una donna prima che il tempo lo richiedesse. A casa mia, New York per la precisione, era tutto completamente diverso da quello che mi stava aspettando, principalmente partendo dal presupposto di affollamento. New York era così trafficata che, alcune volte, dovevi alzarti molto prima rispetto un orario prefissato per paura di perdere la metro o rimanere bloccata nel traffico mattutino. La grande Mela, comunque sia, era stata sempre troppo grande per una povera bambina orfana di otto anni così, sin da subito,ero stata costretta ad andare ad abitare inizialmente in un orfanotrofio, con la speranza che qualcuno avesse pietà e decidesse di adottarmi. Sfortunatamente questa pietà non si era presentata prima dei sedici anni di vita, costringendomi a vivere i nove anni più brutti della mia intera esistenza. Quando venne la nuova famiglia a prendermi decisi di comportarmi nel modo adeguato, cercando di dar meno peso possibile a quelle persone che mi avevano salvata. Adesso, a vent'anni, riconosco di essere eternamente grata a Lexi e Marcel, tuttavia non ritengo adeguato chiamarli genitori. Non perché siano brutte persone, ma di genitori ne ho avuti solo e eternamente due, anche se avrei preferito avere solo mia madre.

Mentre i pensieri divagavano sul tormentato passato davanti ai miei occhi si presentò un tramonto suggestivo, capii di essere arrivata. Melrose era sempre stata una piccola cittadina situata sul mare, caratterizzata unicamente dai suoi tramonti suggestivi. Proprio per questo, venti anni prima, zia Caroline si era trasferita in questo piccolo posto dimenticato dal mondo. Caroline, una quarantanovenne esuberante, era sempre stata una donna dal carattere forte. Fin da ragazzina si era imposta di vivere solo secondo le sue scelte di vita e il suo personale sudore, fermamente convinta nell'idea che la donna come l'uomo potesse badare benissimo a se stessa completamente da sola. Finiti gli studi nella scuola comunitaria Newyorchese decise di cambiare completamente vita e iniziare da zero, così trovò un piccolo lavoretto al negozio degli oggetti usati in una vecchia cittadina che ben presto diventò la sua terra eterna. Inizialmente non ebbe molta fortuna, i primi anni a Melrose li passò cercando di sopravvivere alla fame pungente arrivando a stento a fine mese. Col tempo iniziò a farsi conoscere ed a mostrare il pungo fermo a chi lo necessitava e, con molti sacrifici, riuscì a comprare un piccolo bar situato sulla spiaggia. Il suo sogno, così, si avverò in circa dieci anni di puro sacrificio.Io ero proprio diretta da Caroline, su richiesta dei genitori adottivi. Lexi e Marcel, qualche tempo prima, avevano deciso di affrontare il discorso famiglia, io non avevo niente in contrario se non fosse stato per il fatto che della famiglia non ricordavo assolutamente niente, avevo cercato di rimuovere il tutto il più possibile. Da quando era morta mia madre avevo perso completamente contatto con i pochi parenti che conoscevo, Caroline poi non l'avevo mai sentita nominare. Da quello che mia madre mi aveva raccontato, la zia Caro, era stata una specie di vergogna per i nonni, per il semplice motivo che, essendo all'antica, non condividevano le idee stravaganti della povera Caroline Rose Stewart. Adesso pensavo solamente che per mia madre la sorella dovesse essere stata davvero importante dato che decise di mettermi il suo secondo nome. In verità mi era sempre piaciuto il mio secondo nome, anche quando non sapevo di averlo ereditato da una zia di cui non conoscevo l'esistenza. Comunque ero felice di incontrare Caroline, pensavo che in qualche modo la vicinanza con la zia avesse potuto portare indietro una parte di mia madre. Col tempo avevo capito che i ricordi non sarebbero duranti a lungo, sapevo che le memorie di mia madre sarebbero per sempre state impresse nel mio cuore ma avevo costantemente la paura di svegliarmi un giorno e non ricordare più il volto di mamma. Giorno dopo giorno infatti avevo notato che la voce di mamma risultava sempre più confusionaria nella mente e, sicuramente, volevo far smettere questo progresso che avrebbe portato i ricordi ad essere solamente piccole granelli di sabbia che si sarebbero sgretolati nel vento. Il motivo vero per cui mi stavo dirigendo verso mia zia, in conclusione, era cercar di estrapolare più ricordi possibili di quella che era stata l'esistenza di mia madre. Sinceramente non mi importava assolutamente niente di riallacciare rapporti con parenti che in questi anni non avevano ma voluto cercarmi.

 

I miei innumerevoli pensieri mi avevano accompagnata durante tutto il viaggio, solo poco dopo mi resi conto che la macchina si era fermata davanti ad una piccola casa in riva al mare. Scesi lentamente dal taxi, quasi controvoglia, e per un singolo istante ebbi l'impulso di ributtarmi su quei sedili posteriori in stoffa nera che puzzavano di pesce ed andare di nuovo a casa, ma ero cosciente che facendo ciò avrei deluso diverse persone, tra cui me stessa. Stando attenta a posizionare un piede davanti l'altro mi avviai a testa bassa verso il bagagliaio di quell'orrenda macchina gialla, presi la minuscola valigia e mi fermai a fissare il cartellino sopra il tettuccio con scritto a carattere cubitali “TAXI”. Eccolo per la seconda volta, non ci pensai più di tanto e aprii di nuovo lo sportello posteriore dell'auto. In un primo momento vidi il tassista guardare in modo confuso, come per chiedere spiegazioni ma, proprio nel momento in cui stavo per entrare nella macchina, mi sentì chiamare da dietro. Realizzai che oramai era troppo tardi, se dovevo scappare dovevo pensarci prima. Guardai il tassista e feci finta di aver aperto lo sportello per dargli i soldi, risultando sicuramente ridicola dato che potevo benissimo pagarlo dal finestrino.

 

“Grazie e arrivederci” disse l'uomo al volante con uno sguardo irrilevante, mi limitai solo ad annuire e ad uscire dalla macchina.

 

Pochi attimi dopo aver posizionato la valigia a terra decisi di voltarmi e scoprire ciò che mi aspettava. Prima di tutto analizzai la casa, che sicuramente mi aveva attirata già da subito. Era una vecchia casa sul mare un po malandata, di colore azzurro con le staccionate e le scale bianche. Il tetto, seppur poteva andar bene, sarebbe potuto volare da un momento all'altro. Le scale avevano qualche crepa che lasciava intravedere il colore marroncino del legno vecchio, le porte bianche erano impeccabili rispetto al resto. Le finestre bianche, seppur in condizione impeccabili, riportavano qualche sfumatura di colore marroncino probabilmente causate dalle crepe venutesi a creare da gocce di pioggia che le avevano rovinate. La cosa che più mi attirò l'attenzione fu una piccola veranda da cui si poteva capire direttamente che lasciava libero spazio ad una veduta sul mare aperto. Era piuttosto vuota comunque, caratterizzata solo da una piccola poltrona in pelle nera.

Successivamente il mio sguardo cadde su una figura minuta con capelli color oro che danzavano insieme al vento afoso di quella giornata, pensai subito che quella piccola personcina era Caroline. Vidi quell'anima avvicinarsi pian piano, accompagnata dai raggi solari che illuminavano la pelle chiara. Una volta che ebbi davanti la figura della zia decisi di osservarla per bene, pronta a ricordarmela per circa vent'anni nel caso non ci saremmo mai più riviste. Dalle poche descrizioni che avevo avuto su di lei me l'aspettavo completamente diversa. Questa donna era alta, esageratamente esile. Aveva lunghi capelli biondo miele, tendenti al dorato. Fissandoli pensai che quella folta chioma era perfettamente intonata al colore caldo del tramonto, quasi come se i capelli di Caroline fossero stati strappati al tramonto da un qualche dio crudele e donati a lei. Come seconda cosa notai gli occhi, li immaginavo azzurri, in verità erano neri. Aveva grandi occhi color pece, erano strani secondo il mioo punto di vista ma non perché erano brutti da vedere, bensì perché quegli occhi erano molto più espressivi e luminosi tra tutti quelli che avevo visto in vita mia. Il naso piccolino e lentigginoso, la bocca sottile e carnosa al punto giusto. Fino a quel momento non avevo mai visto una donna più bella di Caroline, con tratti delicati e dolci ma anche forti e duri. Una cosa che notai quasi immediatamente furono le piccole mani che mi stringevano in un abbraccio di benvenuto. Quella donna trasmetteva calore.

 

“Oh, sei così bella Emily Rose” sciolse l'abbraccio, mantenendo tuttavia le mani sulle spalle. Aveva detto che ero bella, era stata carina pur non conoscendomi. Mi aveva chiamata per nome intero, questa donna aveva già guadagnato abbastanza punti.

“Oh...grazie!”

“Sai in questi anni ho provato ad immaginarti e devo dire che mi sbagliavo di grosso! Sei la nipote più bella che io abbia mai visto e, ti assicuro, che qui di nipoti ne ho viste abbastanza!” si fece spazio con un sorriso a trentadue denti. Sinceramente non sapevo se prenderlo come un complimento o meno ma comunque sia mi limitò a sorridere, tanto per non sembrare sgarbata. In quel momento pensai solo ad una cosa, chissà se mi avesse immaginata anche in uno stupido orfanotrofio.

“Uhm..grazie.”

“Guarda che è un complimento eh! È come dire che sei la ragazza più bella che mio abbia mai visto a Merlose...cioè non che tu sia più brutta di chi non abita a Melrose e...scusami, certe volte mi dilungo. È che sono emozionata!” mi abbracciò di nuovo, gli abbracci le facevano accumulare punti, troppi. Era strana quella donna, forse un po pazza.

“Tranquilla, Caroline. Anche io sono felice di essere qui.”

“Ohw...hai pronunciato il mio nome!” gli occhi di quella donna si illuminarono talmente rapidamente che non ebbi neanche il tempo di realizzare che ero di nuovo intrappolata in un suo abbraccio.”Benvenuta a Melrose, piccola.” Caroline sussurrò dolcemente le parole nell'orecchio, poi ci girammo verso il mare. Quello sarebbe stato il benvenuto più suggestivo che avrei mai ricevuto. Quel soggiorno forse, in fondo, non sarebbe stato tanto terribile..

   
 
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