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Autore: KurtsWish    18/09/2014    1 recensioni
Durante un viaggio in macchina con i suoi amici, Blaine si imbatte in un uomo che cambierà la sua vita per sempre, in un tempo in cui i cambiamenti arrivano rapidi alla soglia della guerra in Vietnam. La parte difficile sarebbe stata trovarsi l’un l’altro, ma un amore libero in tempo di guerra sottoporrà i due amanti a patire sofferenze per altri insopportabili. Questa fanfiction è una traduzione
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Noah Puckerman/Puck, Quinn Fabray | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Lemon, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Gimme Shelter

di KurtsWish

Capitolo 1
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originale

Sommario: durante un viaggio in macchina con i suoi amici, Blaine si imbatte in un uomo che cambierà la sua vita per sempre, in un tempo in cui i cambiamenti arrivano rapidi alla soglia della guerra in Vietnam. La parte difficile sarebbe stata trovarsi l’un l’altro, ma un amore libero in tempo di guerra sottoporrà i due amanti a patire sofferenze per altri insopportabili.

Nota dell’autrice: voglio avvertirvi che Finn sarà presente nella storia e farà azioni forse riprovevoli.  Comunque, ho iniziato questa long fiction prima della morte di Cory, e i miei non vogliono essere assolutamente riferimenti od offese alla sua memoria. Rispetto Finn come personaggio fittizio e Cory come attore, ed il suo ruolo in questa storia è completamente slegato da ogni contesto. Ci sarà un po’ di smut tra i protagonisti, ma questo dovrebbe essere ovvio. La storia è completa e conta ventidue capitoli più un epilogo.

Nota della traduttrice: buon pomeriggio a tutti! Sono entusiasta ed allo stesso tempo nervosa per questa nuova avventura nella quale mi sono imbarcata. Le premesse dell’autrice sono state molto crude – com’è giusto che sia – in modo che capiate bene ciò che vi state apprestando a leggere. La storia in sé è molto dolce, tutto procede gradualmente in un’atmosfera sospesa tra campi infiniti e cieli stellati. Ogni cosa ha i il suo tempo, Kurt e Blaine provengono da contesti differenti ma non esiteranno a trovare la loro maniera per unirsi. Tanto comfort food ed una bella coperta, preparatevi! Cercherò di aggiornare una  volta a settimana, fatemi sapere se avete gradito. Un abbraccio.
 


‘Hey Jude’ era trasmessa alla radio mentre l’auto sfrecciava lungo infinite strade deserte. I finestrini erano tirati su, non solamente per tenere fuori la bolgia che erano quei pomeriggi di marzo, ma anche per combattere la polvere che si alzava sotto le ruote che percorrevano quella sporca autostrada. Tre ragazzi cantavano ad alta voce le note di una canzone a loro familiare. Blaine se ne stava davanti nel sedile passeggero, fingendosi Paul McCartney e beccandosi gli insulti di Nick e Jeff.

“È una vergogna, il fatto che a scuola non ce la lascino cantare” mormorò Nick, ancora indignato dal fatto che la Dalton si fosse rifiutata di far cantare agli Usignoli “quel motivo indefinito che era il rock n’roll”.

“Non ne sono sorpreso, se i miei genitori trovassero qualche mia cassetta non farebbero altro che gettarla nella spazzatura”,  fece Blaine con una voce triste una volta aver finito di cantare. Questa poi divenne più acuta, imitando ovviamente quella di sua madre; “«è indecente, Blaine. Quando io ero ragazza, avevamo solamente musica rispettabile alla radio». Il modo in cui parla ti farebbe pensare addirittura che i Beatles siano serial killer di periferia. E non ne ha solo per loro. Potrei giurare di averla vista in preda ad un infarto quando i Doors erano da Ed Sullivan. Sono grato che mi lasci andare ai Dalton Sunday, altrimenti non avrei possibilità alcuna di seguirli.”

Le risate arieggiavano nell’afa fin quando la macchina non emise uno strano rumore che presto cessò. Jeff fece appena in tempo a far manovra per accostare al lato; “Bene, è fantastico!” esclamò, guardandosi intorno. Il panorama davanti ai suoi occhi dipingeva composizioni di piantagioni e campi aperti. Guardò dritto Blaine al suo fianco. “Meravigliosa idea quella di lasciare a casa la ruota di scorta! Ora guardaci, persi nel bel mezzo del nulla.”

Blaine aveva la fronte corrucciata, “Non incolpare me, è la tua macchina che ha deciso di lasciarci a piedi.”

Scesero dall’auto e Jeff fece come per alzare il cofano anteriore.

 “Che diavolo vuoi fare?” chiese Blaine incuriosito, “Nel caso l’avessi dimenticato, nessuno di noi conosce un’acca riguardo la meccanica. La Dalton non è famosa per le sue lezioni di sopravvivenza.”

Jeff scrollò le braccia, sconsolato. “Che ci posso fare? Pensavo che il problema fosse evidente. E poi scusa, non è quello che si fa di solito quando rimani a piedi?”

Blaine guardò i suoi amici dall’aria più che inconsolabile e poi scoprì, a circa cento piedi di fronte la loro macchina, l’ingresso a una piccola e sporca stradina. I suoi occhi seguirono le impronte nella polvere, sperando che fosse ciò che sospettava. Situata lontano tra gli alberi, a circa un miglio da loro, c’era una vecchia e ben tenuta fattoria.  

“Ragazzi, perché non gli chiediamo di usare il loro telefono?” chiese, puntando il dito all’edificio che oramai tutti avevano scorto.

Una volta arrivati sul posto, avendo fatto attenzione a schivare detriti e cocci di bottiglia, erano talmente sudati da poter navigare nei loro blazer. Mentre si avvicinavano alla casa, si guardarono un po’ attorno: alla destra della fattoria si nascondeva un vecchio furgone, qui e lì c’era poi qualche gallina che covava le sue uova. Una vasca da bagno con acqua torbida fino all’orlo, poi delle staffe con stesi vestitini e biancheria di vario tipo, di diverse taglie, e di vari colori; il vento li scuoteva e li spingeva verso il blu terso del cielo. Quell’area era piena di vita, di pulcini che pigolavano, mucche che muggivano da dietro la staccionata e qualche agnellino che ancora era incapace di reggersi sulle proprie gambe.

Blaine era giusto sul punto di salire le scale per bussare alla porta quando una profonda e minacciosa voce lo chiamò da dietro le spalle. “Questa è proprietà privata, ti consiglierei di andartene immediatamente.”

I tre ragazzi indietreggiavano per vedere un ragazzone dalla figura non propriamente esile che si avvicinava ai loro petti. I suoi capelli neri appoggiavano sulle spalle, ma il suo viso non era cattivo. Era senza maglietta ma indossava una giacca di pelle smanicata. Dei jeans sporchi e strappati tenuti su da una cintura – anch’essa di pelle, erano gli unici indumenti che completavano quel quadro. Era a piedi nudi.

Jeff fu il primo a parlare, “La nostra macchina si è rotta, e speravamo tanto di poter usare il vostro telefono.”

“Mi dispiace, ma non lo abbiamo” la risposta fu dolce, proveniente dalla porta alle spalle di Blaine che si era aperta in quel momento. Sulla soglia c’era un ragazzo. I suoi pantaloni erano puliti, aderenti ma morbidi. Una camicia color cobalto gli abbracciava il torace, con un ricamo bianco che s’intrecciava sul collo, abbinandosi perfettamente al colore della sua pelle. Il blu… il blu era quello dei suoi occhi. Aveva un ciuffo di capelli color miele, più chiaro del resto della chioma castana. Fece un passo avanti.

Blaine si sentì in dovere di indietreggiare davanti una tal figura, in modo da dargli agio di muoversi in tutta la sua armonia. “Però penso che possiamo aiutarvi lo stesso. Puck, perché non segui qualcuno di loro, così possiamo vedere cosa fare con la loro auto?”

Quell’altro ragazzo, Puck, sembrò voler essere sul punto di discutere, ma dopo un po’ annuì al suo amico e mormorò un “Va bene” di malagrazia.

Sia Nick che Jeff decisero di incamminarsi, e Blaine sospettò che andassero insieme non solamente per aiutare Puck con il furgone quanto per lasciarlo solo. Li guardò andare via con quel ragazzo dall’aria da duro e una volta che uscirono dalla loro vista, si girò verso l’uomo sulle scale. Un piccolo sorriso danzava sulle sue labbra; Blaine ci sguazzava in quei lampi di luce che impazzavano nei suoi occhi, illuminando tutte le fattezze di quel volto.

“Sono Blaine” disse finalmente, allungando la mano allo straniero.

Una risata simile a uno scampanellio venne fuori da questi ancor prima che potesse parlare, “Io sono Kurt”, disse. Ma non prese la mano di Blaine. “Ci vorrà un po’ prima che gli altri tornino. Stavo andando a fare un paio di commissioni, vuoi farmi compagnia?”

Camminarono insieme verso il deposito dietro la casa, caduti in un religioso silenzio. Blaine stava spremendosi le meningi in cerca di qualcosa di intelligente da dire. “Quindi… qualcosa mi dice che Puck non è tuo fratello.”

Un’altra scintillante risata precedette la risposta di Kurt. “No, o meglio non mio fratello biologico. Siamo una famiglia allargata, ecco.”

“Davvero? Quanti siete?” Ora sì che poteva dirsi curioso a tutti gli effetti.

“Otto al momento, ma ce ne sono un altro paio che spesso e volentieri vanno via per qualche periodo. Beh, possono farlo a loro piacimento ovviamente. Gli unici che potrai sempre trovare qui siamo io, Quinn, e Beth.”

Blaine sapeva cosa significasse. Aveva tanti amici ai quali voleva bene come fratelli. C’era una chiara affezione che ovattava la voce di Kurt quando parlava di Quinn e Beth, dunque pensò che una di loro dovesse essere la sua ragazza, anche perché erano le uniche due donne che erano sempre lì con lui. “E qual è la tua fidanzata?” disse, con un’ingenuità negli occhi che a Kurt era oramai sconosciuta.

Kurt si fermò di colpo. “Che intendi?”

“Quinn o Beth, chi di loro è la tua fidanzata?” Chiese, sperando di essere più chiaro.

Kurt tossì un poco, l’incantevole suono echeggiava per le strade. “Ci sono più cose in cielo e in terra di quante sogni la tua filosofia.”

“Amleto.” Esclamò Blaine, probabilmente con più entusiasmo di quanto la situazione richiedesse. Arrossì come un bimbo, le punte delle orecchie color lampone.

Blaine gli regalò un sorriso. “Sì. Potrò anche essere un hippie, ma ne sono uno acculturato.”

Un po’ di imbarazzo si impadronì ancora di Blaine. “No, è solo la mia tragedia preferita. Qualcuno mi crede matto per questo… ma mi fa piacere non essere l’unico individuo sulla faccia della terra ad amarla.”

Kurt gli riservò un’occhiata severa, e Blaine si sentì come se fosse sotto esame: privo di sicurezza, destabilizzato e impaurito. Finalmente Kurt parlò. “Uh, chi l’avrebbe mai detto che i ragazzi delle scuole private non fossero mezzi ignoranti come il resto dell’Ohio, o meglio, della nazione.” Prima ancora che Blaine potesse anche pensare a una risposta, gli occhi del biondo schizzarono al cielo. Presto gli occhi di Blaine si distrassero su altro; c’era una grossa ragazza di fiori vestita che cantava “The Sound Of Silence” mentre una coppia di asiatici sembrava ballare, vagando lungo le piante di rosa del cortile. Una bassa ed esile ragazza bruna stava cullando una neonata tra le sue braccia.

Blaine aspettò che una cascata di emozioni lo invadesse. Aveva trascorso gli ultimi quattro anni della sua vita in un istituto che lo aveva privato del viversi i più intimi particolari dell’altro sesso. Era vero che non gli erano mai piaciute quelle storie da quattro soldi che giravano per i corridoi, ma gli dava fastidio in ugual modo essere continuamente paragonato a Cooper quando lui aveva gli stessi problemi, come lo svegliarsi eccitato o bagnato. Sognava di uomini senza un volto, di un piacere senza vergogna, di un tocco troppo delicato. La sola esposizione alla vista di Kurt lo fece diventare paonazzo.

La bionda sembrò accorgersi di lui, dunque si stirò con le mani la parte di vestito che le scivolava dal seno mentre stava allattando la sua bambina. “Kurt, ma chi è questo scolaretto dalle guance tutte rosse?” chiese scherzosa, rivolgendosi chiaramente a Blaine.

“Abbiamo delle visite, la loro macchina si è rotta strada facendo. Perché non entriamo in casa? Potrei aver bisogno di una mano per preparare la cena di stasera.”

Sembravano aver attirato l’attenzione di tutti. La ragazza bruna sembrò tentennare, “Non pensi sia una cosa un po’ avventata, Kurt? Non li conosciamo neanche.”

Kurt guardò Blaine dalla testa ai piedi, esaminandolo. “Saranno dei bravi ragazzi. Evitiamo di dire i nostri cognomi giusto per sicurezza.”

Tornò poi verso casa. Blaine fece presto a raggiungerlo mentre gli altri tornavano con calma presso il loro rifugio. “Non voglio essere fastidioso, ma a cosa ti riferivi?”

Senza neanche voltarsi, Kurt rispose, “Quando vivi ai margini della società e quando le persone cominciano ad additarti per strada siccome hai scelto l’amore prima di qualunque altra cosa, inizi a giocare sicuro.” Nessuno dei due parlò all’altro per un po’.

Un’ora dopo, un po’ di musica suonava un lettore cd portatile. Blaine rimase piacevolmente sorpreso quando Rubber Soul cominciò a esibire le prime note in tutta la fattoria mentre guardava Kurt ispezionare l’auto. Si era sfilato la maglietta prima di alzare il cofano e cominciare a lavorare. Blaine sembrava non essere in grado di scollargli gli occhi di dosso mentre lavorava. Cercò di ignorare le farfalle nello stomaco che provava a ogni movimento dei muscoli di Kurt, che si spostavano ad ogni suo stimoo. Dieci minuti dopo si pulì le mani ad un canovaccio rosso e si rivolse a Jeff, “Sai, se ti prendi cura di questo gioiellino può durarti per tutta la vita, ma a quanto pare finora l’hai un po’ trascurato. L’alternatore è rotto, e probabilmente è perché non hai cambiato l’olio quanto dovuto. Posso aggiustarla e non ci sono problemi, ma dovrai fare del tuo meglio per tenerla bene.” Consegnò a Jeff un foglietto sul quale erano annotate alcune cose che gli sarebbero servite.

“Porca miseria, quanto mi verrà a costare?” domandò, rivolgendo un’occhiata alla lista.

Kurt scosse la testa. “Non molto, cinquanta bigliettoni al massimo.”

L’usignolo alzò lo sguardo. “… e quanto per il tuo lavoro?”

“Non mi piace sfruttare la gente per la sfortuna che ha. Ma comunque sono piuttosto sicuro di non poter fare nulla fino a domattina.” Disse, alzando le spalle e vedendo espandersi il panico negli occhi del ragazzo. “È quasi buio e nel caso non ve ne foste accorti, viviamo nel bel mezzo del nulla; non c’è elettricità né linea telefonica, tantomeno acqua corrente. Se non volete perdervi, vi conviene passare la notte qui.”

I tre ragazzi si scambiarono uno sguardo. “Volevamo fare una sorpresa alla fidanzata di Nick. Siamo usciti da scuola per il fine settimana ma nessuno dei nostri genitori lo sa” spiegò Blaine.

Dopo aver messo insieme i loro soldi, Jeff andò con Puck a comprare le varie parti per il recupero dell’auto, lasciando Nick e Blaine a casa. Kurt lasciò il retro, mettendosi la maglietta, chiamando Rachel e Mercy. La bruna e la ragazza di colore lo seguirono in casa. La bionda, Quinn – così si era presentata – sedeva su una sedia a dondolo cullando sua figlia. La coppia di asiatici, giocava entusiasta e rumorosa, guadagnandosi un’occhiataccia da Quinn. Nick era seduto sul cofano della macchina e chiamò Blaine a sé.

“Sei sicuro che sia una buona idea?”

Tutto ciò che Blaine poté fare fu scrollare le spalle. “Abbiamo un’altra scelta? Dopotutto cosa c’è d’aver paura? Sembrano tutti ragazzi a posto.”

“Non lo so, non ti sembra strano che vivano qui senza alcun tipo di comodità? E se fossero delinquenti? Era terrorizzato.

Blaine non poté fare a meno di ridere “Cavolo Nick, sono hippie, non una gang di serial killer. Al massimo sono renitenti alla leva – per quanto riguarda i ragazzi. Chissà cos’avranno fatto le ragazze.”

“Non proprio,” una voce femminile suonò dietro di loro e si girarono per ritrovare Quinn che stringeva la sua piccola al petto. “Kurt non lo permetterebbe e neanche io se vi interessa. Non siamo abusivi o qualunque cosa stiate pensando; questa casa è intestata a me ed ognuno ha le sue ragioni di non essere trovato, ma vi assicuro che nessuno di noi cerca di evadere dalla legge.”

“Ci dispiace,” disse Blaine, sentendosi terribilmente in colpa per entrambi, sapendo che a Nick non sarebbe poi importato tanto di aver offeso quei ragazzi tanto semplici quanto puliti. “Immagino che abbiamo avuto storie molto diverse.”

Quinn sembrò fissarlo per un minuto. “Beh, forse sì. Ognuno ha un proprio percorso, e non è carino saltare a conclusioni affrettate pur sapendone un bel niente.”

“E qual è la tua storia?” chiese Nick, sfrontato.

“No, non sei venuto qui all’improvviso per conoscere tutti i dettagli della mia vita solamente perché Kurt sembra fidarsi di voi e – onestamente – non capisco perché lo faccia. Non potrete mai capirci.” Disse, voltando le spalle ai due. Nick la inseguì per porgerle le sue scuse, lasciando Blaine da solo.

Calava la notte quando Puck e Jeff tornarono. Blaine era ancora seduto sull’auto stringendosi la giacca intorno le spalle. Tutti erano dentro meno che lui, lasciato a se stesso con i suoi pensieri. Più li sentiva giocare e divertirsi e più voleva unirsi a quel meraviglioso caos per far sì che la sua mente staccasse la spina. Ciò nondimeno, cercò di fare il possibile per stoppare l’incredibile confusione dentro la sua testa.

La sua mente tornò ai seni di Quinn, in mostra e senza vergogna, e alla sua mancanza di risposte. Anche quando era il caso di darne. Aveva diciassette anni, diamine. Un’adolescente in salute e davvero molto bella. Blaine poteva dire di essere un diciassettenne altrettanto ben piazzato. Che non aveva mai avuto una fidanzata né tantomeno ne voleva una. Che non trovava alcun interesse nelle riviste di Playboy che i suoi amici portavano di contrabbando nell’istituto. La cui erezione sembrava prominente solo nelle ore di ginnastica e non quando c’era qualche ragazza in giro. Un ragazzo che si era dovuto mordere le labbra quando Kurt era senza maglietta appoggiato al cofano della macchina del suo amico…

I suoi pensieri furono interrotti da un peso che si poggiò sulle sue spalle. Si girò per vedere Kurt con una coperta. “Farà freddo qui fuori, perché non entri?” lo chiese in una maniera tale da far intendere di conoscere bene la risposta.

“Non ora, penso di essere nel bel mezzo di una crisi esistenziale” fu la risposta di un Blaine che scrollava le spalle cercando di mettere ordine tra i pensieri.

“Ti dispiace se mi unisco a te e tentiamo di scoprire insieme il senso della vita?” Chiese Kurt, sedendosi accanto a lui. “È che Puck ha comprato un hamburger di carne mentre era in città col tuo amico e non mi piace l’odore della carne cotta.”

La tristezza degli occhi di Kurt portò tutti i pensieri di Blaine a una brusca frenata. “Non mangi carne?”

“Un tempo sì, fin quando ho iniziato a pensare a cosa comportava. Mi sentivo un idiota a parlare di quanto tutte le creature meritassero la vita pur mangiando la loro carne per saziare il mio appetito. Non sono il solo, anche Rachel è di quest’avviso. Penso che gli altri siano semplicemente troppo pigri perché si limitino a mangiare frutta, verdura, pane o uova. Non li condanno, soprattutto ora che la nostra provvigione si sta esaurendo. Abbiamo solamente patate e fagioli rimasti dall’ultima coltura…”

“Coltura?” La faccia di Blaine era avida di sapere.

Kurt gli sorrise con tanto calore che quasi dimenticò quell’attimo di silenzio che ci fu tra di loro. “Abbiamo un orto e ci fornisce la maggior parte del nostro cibo. I soldi sono pochi, non ne facciamo molti e quindi questo è uno dei sistemi che adottiamo per cavarcela alla meglio.”

“Cos’altro fai per guadagnare?” Blaine doveva sapere.

“Sono un artista… una specie” Kurt abbassò le spalle e Blaine si sentì tremendamente fuori posto. “Quando gli altri partono di solito li vendono per strada o nelle grandi città e poi ci inviano i soldi… e quando sono qui ci aiutano come possono. Ma la situazione è difficile per tutti.”

L’eccitazione di Blaine cresceva man mano che l’altro si raccontava. “Perché non apri uno studio o vai tu stesso a vendere i tuoi dipinti? Voglio dire, non sei obbligato a stare qui tutte le ore del giorno e della notte, sei libero.”

“Più o meno è come dici tu,” disse Kurt con uno sguardo scuro, facendogli intuire che non era finita. “Ma io appartengo a questo posto. Non potrei mai pensare di lasciare Quinn da sola con Beth. Non mi sembra giusto e non me la sento.”

Blaine tentennò prima di porgergli quell’interrogativo che inspiegabilmente lo assillava, ma poi si convinse. “Kurt… Beth è tua figlia?”

La sua risata lasciò Blaine basito. Forse era una domanda totalmente fuori posto. “No, non sono il padre della figlia di Quinn. Diciamo che io e lei giochiamo in squadre diverse. Dai, stasera ceniamo a lume di candela. Il tavolo non è abbastanza grande per undici commensali. Aiutami ad accendere un fuoco.”

Lavorarono in silenzio per appiccare il fuoco in una specie di pozzo che Blaine non aveva notato prima. Si accendeva man mano, e le voci dei ragazzi che gli portavano i piatti col cibo ruppero quell’armonia. Era facile parlare fintanto che conversavano di musica, nient’altro causò tensione o disaccordo. Blaine non accettò l’hamburger che Jeff gli aveva passato, solamente per restare accanto a Kurt e non vedere il suo sguardo disgustato mentre divorava quella carne.

Puck portò con sé una chitarra e iniziarono a cantare come un gruppo di vecchi amici. Blaine si unì seguendo i suoi compagni e fu divertente fin quando Puck passò a una canzone che nessuno degli Usignoli conosceva; gli altri dovevano averla imparata durante i loro viaggi. Cercò di seguire il testo ed apprezzò il sentimento di libertà che cantava. Si stava perdendo in quella melodia quando Jeff parlò.

“Non riesco a capire perché tutti odino la guerra.” Era una semplice affermazione per Blaine – che lo conosceva e mai avrebbe pensato ad un insulto – ma non capiva. La Dalton censurava qualunque cosa e la maggior parte degli studenti non capiva nemmeno perché si fosse in guerra o perché molte persone non fossero d’accordo. Tutti comunque sapevano cosa fosse, l’avevano ascoltato a tavola, visto in televisione, o letto sui giornali.

La chitarra smise di suonare. “È facile per te, un ragazzetto da scuola privata, che dalla guerra ha tutto da guadagnare. Quando non ci sono i tuoi amici a combattere al fronte, morendo in una giungla disperata. Per cosa poi? Scannarsi non è patriottico.”

Jeff rimase alquanto scosso ed un sentimento di rabbia prese il sopravvento nel gruppo. Blaine sussultò quando Kurt parlò dal suo fianco. “Puck, penso che semplicemente non abbia capito. Non credo volesse essere critico.”

“E allora deve informarsi!” urlò Puck al suo amico, “Solo perché può nascondersi dietro i milioni che ha, non è detto che il resto di noi abbia questo privilegio.” Si rivolse nuovamente a Jeff i cui occhi erano spalancati e pieni di paura. “Quanti amici hai protetto? Quante famiglie? Per te la guerra sarà un sacramento fin quando non sarà uno dei tuoi a morire. Fin quando la lista dei morti non sarà troppo fastidiosa da sentire alla radio. Fin quando qualcuno che conosci morirà per aver cercato di spedire una lettera. Beh, congratulazioni. Ma per noi tutto questo è fin troppo reale.”

“Puck!” disse Kurt in un tono di avvertimento, un avvertimento che non doveva essere sottovalutato.

“E indovinate un po’, bambocci da scuola privata, adesso conoscete tre fortunati ragazzi che non possono essere sollevati dalla leva. Abbiamo meno diritto di vivere di voi?”

Il movimento dietro le sue spalle fece scuotere Blaine. Tanta forza sembrò muoversi nel corpo di Kurt mentre si alzava. “Va bene così, Puck. Lui non ne sa nulla – non può saperlo, ed urlargli contro non lo aiuterà affatto.” Un po’ di silenzio calò sul gruppo e Puck riprese la sua chitarra.

“Si sta facendo tardi, vi mostro dove dovete dormire,” nessuno protestò, e si alzarono silenti.

Quando Blaine si incamminò verso la fattoria per la prima volta, due cose lo bloccarono. La prima era il livello di pulizia di tutta la casa. Cuscini e tappeti ricoprivano il pavimento del soggiorno, ma tutto era a posto ed invitante. La seconda era quanto colorato fosse quell’ambiente, tutto pieno di fiori e simboli e stampe tessili colorate appese alle pareti. Blaine salì le scale dietro Kurt, seguito a sua volta da Nick e Jeff. Giusto di fronte la scala che portava al piano di sopra, era dipinto un meraviglioso tramonto. I dettagli di quell’affresco colpirono Blaine dritto al cuore, tanto che dovette fermarsi e girarsi verso il ragazzo che – ovviamente – doveva averlo dipinto. Questi aprì una porta in cima al corridoio, color blu cielo. “Questa è la mia stanza. Ho pensato che non avreste voluto dormire giù con tutti gli altri.”

“E tu dove dormirai?” chiese Blaine, sentendosi in colpa.

“Dormirò fuori stanotte,” stava per protestare ma l’altro lo fermò in tempo. “Non preoccuparti, mi piace molto. Mi aiuta quando ho bisogno di prendermi un po’ di tempo per riflettere.

L’Usignolo si ritagliò un po’ di tempo per osservare tutto. La stanza era dipinta come un campo di aperta campagna, con finanche il tetto che ritraeva una splendida aurora boreale. Il materasso giaceva sul pavimento, soffici trapunte erano ripiegate sotto gli angoli. Sembrava invitante, ma qualcosa lo distrasse. Non voleva passare la notte con Nick e Jeff. Erano suoi amici, certo, ma voleva scoprire qualcosa in più sui ragazzi che li ospitavano.

“Andrebbe bene se dormissi anch’io fuori? Voglio riflettere un po’. E poi potrei aiutarti a risolvere i tuoi problemi,” Blaine ignorò lo sguardo stupefatto dei suoi compagni.

Kurt lo fissò per un attimo prima di parlare. “Certo. Dammi un minuto per prendere qualche coperta.”

Prima che uscissero da casa per dormire fuori, Kurt chiese a Puck di rimanere con Quinn e Beth. La ragazza sembrava aver accolto la notizia meglio di quanto immaginava; Kurt si prendeva cura di loro e questo a Blaine mancava, ma per quella famiglia loro erano solo stranieri. Quando Kurt fu sicuro che Mike si sistemò con l’altra ragazza nel salotto, poté uscire di casa.

“Mi piace come hai arredato la casa” Blaine fu il primo a parlare mentre tornavano al falò. L’altro alzò un sopracciglio.

“Cosa ti fa pensare che abbia scelto tutto io?”

Blaine arrossì, “Mi hai detto che sei un artista… ho solo dedotto…”

Kurt sorrise. “… e hai ragione. Ci ho pensato io… e grazie.”

Si sistemarono in silenzio sulle loro coperte ai poli opposti del fuoco, abbastanza vicini ad esso per sentirne il calore ma lontani quanto bastava per non scottarsi. Kurt guardava il cielo stellato di là dai platani. Blaine seguì il suo sguardo e giacquero in un religioso silenzio per molto tempo.

La sua mente vagò. Dopo un po’ di tempo si accorse che aveva molte domande che bramavano una risposta. Alcune di esse facevano capolino nella sua mente da molto tempo ma si rifiutava di saziare quella fame. Non voleva avere un confronto diretto con quelle che erano le probabili risposte, specie se avevano a che fare con l’uomo accanto a lui. Senza controllo alcuno, la sua bocca parlò per lui.

“Corri veramente il pericolo di essere chiamato alle armi?” Blaterò.

Kurt lo fissò, notando il panico impellente nei suoi occhi. “Sì,” sussurrò. “ad essere sincero pensavo di essere al sicuro, nel senso che sapevo di essere a rischio – ma era comunque ciò che volevo fare, sapendo che la scuola d’arte non mi avrebbe fatto guadagnare un dollaro. Ho tentato di frequentare un corso come obiettore polemico, ma senza una religione definita cui appellarmi, le mie obiezioni sarebbero state invalide. Non c’era nulla che potessi fare se non rifugiarmi qui. Le visite non mi hanno affatto aiutato: sono sano come un pesce.”

Kurt si sistemò sulle sue ginocchia in modo da guardare bene negli occhi quello strambo ragazzo dai capelli ricci. Blaine si accorse della scintilla che il riflesso del fuoco causava nella pupilla dell’hippie. “Conosci qualcuno al fronte?”

“Un sacco dei miei compagni di scuola, ma solamente un paio di loro sono veramente amici miei. Artie è stato convocato sei mesi fa e mandato in Vietnam e… e Finn, beh, lui è stato chiamato non appena ha raggiunto i diciotto anni. Era la cosa più vicina all’avere un fratello, per me, ma non avrebbe fatto la differenza. Servire la patria per lui era un onore, voleva solamente partire e combattere.” Kurt scosse la testa e Blaine fu piuttosto sicuro del fatto che avrebbe voluto interrompere quel flusso di pensieri. “Ma adesso parlami di te.”

“Puck aveva ragione, nessuno di noi sa cosa vuol dire essere mandato in Guerra. Tutti i nostri amici sono al college. A me basta avere il mio diploma e sono al sicuro. Sono stato ammesso al Kent State il mese scorso. Siamo salvi… nessuno ci prenderà mai di mira…”

Kurt scosse la testa, “Puck non vi odia, è solamente invidioso. Ha provato qualunque cosa per evitare la convoca. Lo hanno chiamato codardo, ma non lo è. Noi non lo siamo, Blaine. Sua mamma era sopravvissuta a scempi indicibile, una donna semplice che viveva nella Germania nazista, condannata come ebrea. Se questa fosse stata la Seconda Guerra Mondiale sarebbe stato senz’altro il primo a partire volontario solamente per vendetta, ma non lo è. Non siamo i grandi soldati americani che lasciano tutto per salvare la giornata. Non questa volta almeno, ognuno di noi ha i suoi motivi per non andare a morire laggiù. Puck non vuole essere un fannullone come suo padre e Mike… be’, è stato difficile per lui; tutti lo prendono per Vietnamita, Tina pure. Non dovrebbe essere qualcosa che faccia la differenza, ma purtroppo è così eccome. In fin dei conti Mike è Cinese e Tina Coreana, ma quando la gente vede le loro facce asiatiche, non fanno altro che pensare al peggio. La società li ha emarginati. La loro paura è di essere mandati a combattere contro il loro stesso popolo.

“E tu?” sussurrò Blaine, “Qual è la tua ragione?”

Un po’ di tensione si impadronì del corpo di Blaine mentre vide tanta passione espandersi negli occhi di Kurt quando parlò. Era una sensazione che non avrebbe saputo definire, ma era un qualcosa di cui non avrebbe mai voluto fare a meno. “Un proiettile non ha mai insegnato niente a nessuno. Non ha mai portato pace. La violenza non è la risposta ai problemi del mondo. E non la finiremo mai se la usiamo come primo strumento d’azione. La guerra è uno strumento di potere, nient’altro.”

Blaine sorrise. “Mi piace quello che hai detto. Mi piace molto.”

Il silenzio cadde sovrano mentre si coricarono. Il sonno si fece beffa di Kurt per primo. Blaine gli stava accanto guardando i suoi lineamenti danzare alla luce della luna. Non poteva fare a meno di pensare che fosse bellissimo, anche se be’, era un uomo. Dopo anni a reprimere quell’idea, a Blaine diventava palese il fatto di non desiderare le soffici curve dei seni di una donna. Voleva la forza di quelle linee. Membra forti e muscolose Voleva… desiderava un uomo. Il solo pensiero lo terrificava. Una parola echeggiava nella sua mente. Deviato. Ma nemmeno quello sopprimeva la voglia che aveva di baciare sulle labbra l’uomo che aveva al suo fianco. Quella fu l’immagine che lo aiutò ad addormentarsi.

Quando si svegliò il mattino successivo, era solo. Le coperte di Kurt erano sparite ed il fuoco si era disperso nella notte. Si fece strada verso la casa portandosi la sua biancheria, e vide l’altro ragazzo lavorare alla loro auto. “Buongiorno” bisbigliò.

“Buongiorno a te. Qui c’è del pane fresco e un vasetto di burro, prendi anche un po’ di latte. Quinn, Beth ed il resto dei ragazzi sono dentro ad aspettarti.” Disse Kurt, non permettendo a se stesso di distrarsi dal lavoro che stava facendo. Blaine deviò ubbidiente verso la porta di casa dove vide Jeff e Nick sedere al tavolo viola, sorseggiando latte caldo e sorridendo ai ragazzi. Sembrava che la tensione della notte precedente fosse passata; Quinn se ne stava lì a preparare un po’ di caffè.

“Ne vuoi un po’?” gli chiese, serena.

“Sì, magari.” Blaine passò un po’ di burro sulla fettina di pane. Fece appena in tempo ad addentare un morso quando ricevette un’abbondante tazza di liquido scuro. “Oh mio dio, è la cosa migliore che abbia mai mangiato!”

“Allora riferirò i tuoi complimenti a Kurt,” disse la ragazza in un sorriso “non ho mai avuto la pazienza necessaria per il pane fatto in casa. In più Beth è sveglia per gran parte della nottata, e non ne ho proprio tempo.”

“Sei tu l’addetta alle faccende mattutine?” domandò Jeff.

Quinn si prese un momento prima di rispondere. “Ogni giorno Kurt si alza presto, dà da mangiare agli animali, munge le mucche per prendere il latte e sveglia le galline per ritirare le uova. Quando siamo solo noi impasta il pane solo una volta a settimana. Ma adesso siamo un po’ troppi e deve farne ogni giorno.”

“E gli altri cosa fanno?” chiese Blaine – annoiato dal fatto che gli altri non facessero un bel nulla.

Quinn colse quel sentimento di protesta. “Mi prendo cura di mia figlia e lo aiuto in qualunque cosa ci sia da fare. Gli altri fanno ciò che possono.”

Jeff e Nick continuarono la conversazione. Scoprirono che Beth aveva tre mesi e la maggior parte del gruppo se ne sarebbe andata all’imbrunire. Solo Puck sarebbe rimasto per un altro paio di giorni. Blaine stava giusto per finire la sua seconda tazza di caffè quando Kurt entrò in casa. Il suo petto era nudo e un vecchio paio di pantaloni ricadeva sui suoi fianchi; aveva le mani, il torace e la fronte sporche di grasso e quell’immagine tanto mascolina andò diretta agli occhi di Blaine.  Tutto intorno a lui sembrava prendere fuoco mentre lo osservava e si sentì come se tutti lo stessero fissando, come se tutti sapessero. Ordinò al suo corpo di fermare la reazione che scattò quando lo vide. Focalizzò la sua attenzione su quelle riviste di seconda classe che ritraevano seni di ragazze in bella mostra. Non un solo pensiero lo aiutò. Mandò giù un altro sorso di caffè sperando di scomparire.

Kurt parlò dopo quella che sembrò un eternità. “L’ho rimessa in sesto. Potete mettervi alla guida quando preferite.”

Nick e Jeff lo ringraziarono entusiasti e Quinn andò fuori con loro. Kurt diede uno sguardo curioso ad un Blaine impacciato che biasicava “Grazie di tutto, ehm… va bene così? Quando posso…”

Kurt scosse la testa in un modo talmente dolce che Blaine arrossì. “Cosa  stai cercando di dire, Blaine?”

“Pensi che possa tornare a trovarvi?”

Sorrise timidamente, ma i suoi occhi erano confusi. “Ma certo, Blaine. Quando vuoi.”

Blaine lo ringraziò nuovamente in modo molto goffo prima di raggiungere gli altri. Nick era sul sedile passeggero aspettando che Blaine salisse. Quando si rimisero in carreggiata sulla terra dissestata, Blaine si girò vedendo Kurt stringere la neonata tra le sue braccia. Alzò le mani in un timido saluto, che Kurt e Quinn ricambiarono entusiasti.
 


Dal prossimo capitolo: Kurt si alzò per estinguere con un soffio la fiamma della candela alla sua sinistra, per poi sporgersi all’altro lato e fare altrettanto con la sua; nel movimento, il suo petto nudo sfiorò le braccia di Blaine. Quest’ultimo sentì sulle sue labbra il suono di una benedizione: “buonanotte, Blaine”.

   
 
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