Se c'è una cosa che ha contribuito a far emergere una mia vena di codardia che consideravo inesistente fino a
poco tempo fa, quella è Minecraft.
All'inizio è elettrizzante. Ammettiamolo: chi, da bambino, non procrastinava il momento dei compiti mentre
costruiva (e demoliva) casupole di mattoncini colorati altrimenti chiamati Lego? Chi, appena scoperta
l'esistenza di questo – diabolico – giochino, non si è armato di carta di credito e l'ha downloadato nei
chip
del proprio computer? Chi, al primo avvio di suddetto giochino, non aveva le mani che trasudavano eccitazione e
gli occhi sgranati e piantati su ogni singolo pixel?
Nessuno, ecco. Per quello dico che all'inizio è elettrizzante: con le natiche poggiate su una comoda sedia nel
salotto, o nella camera da letto, o nella biblioteca dell'università, il giocatore neofita avverte una scarica
di adrenalina al pensiero di poter esplorare un intero mondo virtuale che nella realtà non è più grande della
scatola
nera del proprio computer (i lego sono sempre stati famosi, purtroppo, per la loro qualità di essere
ingombranti, smarribili e ingeribili da quella fetta di popolazione che si esprime a vagiti e si ficca in bocca
tutto il ficcabile – che poi questo ficcabile sia anche commestibile, quella è un'altra storia).
Il giocatore neofita, dicevo. Egli è una creatura elettrizzata ma ingenua. A meno che non si istruisca
preventivamente, bazzicando i vari forum e siti internet dedicati al giochino in questione, egli è destinato,
nel giro di un quarto d'ora – il tempo di far calare il quadratino del sole dietro l'orizzonte – a perire di
freccia o di creeper. O peggio, di agguati alle spalle.
Vorrei elevare ad esempio i miei primi venti minuti di gioco. Non c'è nemmeno da chiederselo: rientro nella
categoria dei completi sprovveduti.
Ero a conoscenza del ciclo giorno-notte e dell'esistenza (esistenza, non completa conoscenza) di
questi
adorabili animaletti – zombie, ragni, scheletri, creeper. Sapevo che, nei pochi minuti concessi di luce, avrei
dovuto fare a cazzotti con i tronchi d'albero e costruirmi un riparo per la notte.
Così feci.
Con me non avevo carbone. Non ne avevo trovato, purtroppo. Avevo della legna, una fornace, qualche porzione di
sabbia e un paio di attrezzi che sarebbero passati presto a miglior vita. Non avevo cibo: la sfiga del neofita
vuole che, per chilometri circostanti il punto x:0 e y:0, non nasca nessuna bestia amica al giocatore.
Ebbene, sul fare della sera avevo edificato una stupenda casa di terra. Senza porta né finestre: non le sapevo
ancora craftare. Senza carbone non avevo le torce, e senza le torce non avevo luce.
Avevo dunque trascorso i primi quattro minuti notturni nella più cieca oscurità, in un cubicolo di 2x2x2. Tutto
là fuori era nel silenzio.
Finché non era partito il cronometro del quinto minuto.
Allora ero stata perforata in cuffia da un suono stridente, un criii, un criiiui, un
iieeeeh. Ero
stata
avvertita per tempo delle voci spettrali degli abitanti della notte, ma non potevo individuare di preciso a
quale specie di abitante appartenesse quel... fischio metallico? pianto di mandragola? rantolo di serpente in
agonia?
Dopo qualche minuto di terrore, avevo aperto uno spiraglio nella terra. Là fuori splendeva il sole, ma sentivo
ancora quel sibilo provenire da una regione ignota dell'apparecchio acustico.
Mi avevano detto che i mostri bruciavano ai raggi del sole. Non avevano specificato, però, che non tutti
possiedono questo piacevole punto debole.
Come avevo fatto per allargare lo spiraglio e uscire dal bozzolo, qualcosa mi era saltato addosso,
cogliendomi
di spalle, e mi aveva fatto fare un salto – il giocatore era balzato in avanti, la vera me aveva rischiato un
arresto cardiaco.
Il ragno aveva colpito un paio di altre volte, prima che il mio povero omino tirasse le cuoia e resuscitasse a
miglia di distanza. Indovinate? Ero senza bussola!
Ma andiamo con ordine, perché la mia vena di codardia era seppellita nel mio animo e ci voleva ben altro per
farla venire a galla.
Stavo parlando del giocatore neofita.
Mettiamo che riesca, grazie al suo ingegno, a sopravvivere quel tanto che basta da avviare l'attività di una
ditta di scavi minerari. Robinson ha decimato le erbacce, ha piantato il grano, ha una modesta fattoria composta
da due mucche in gestazione perenne e una casa. Non un rifugio: una vera casa in legno, con finestre di vetro e
gasp! un letto che è costato la vita a tre povere pecore (le cesoie erano ancora uno strumento troppo
avanzato
per lui, dovete scusarlo).
È in questo frangente che decide che il carbone e il ferro non gli bastano più. Vuole puntare su metalli più
pregiati: davanti alle sue pupille, si vede una casa tempestata di blocchi di diamante e pavimento d'oro (che
non potrà comunque sfoggiare davanti a nessuno, poiché lui e solo lui abita in quel mondo; diciamo che è più per
soddisfare il proprio ego materialista).
Bene, si dice Robinson: è arrivato il momento di crivellare il suolo come una talpa.
Ma il giocatore esperto è una talpa che, accumulati incidenti su incidenti, si è costruita un paio di occhiali
con lenti fatte d'astuzia. Il neofita, poverino, lui non ci vede a un palmo dal naso. Deve ancora costruirseli,
questi occhiali. Il neofita ha fermato l'ascensore al -10 e non ha ancora avuto l'onore – l'orrore – di venire a
contatto con le simpatiche insidie che lucrano negli accessi più reconditi del sottosuolo, sicché egli si illude
di poter diventare ricco senza rischiar la pellaccia e si dà a lavorare di buona lena con vanga e piccone
ignorando ogni legge della fisica – e della più elementare cautela.
Il mio primo scavo, insomma, è stato a colonna.
A pensarci, ancora mi vanno a fuoco le natiche.
Ma non è stato un tuffo non programmato in un lago di lava che mi ha fatto pulsare la vena della codardia. Per
scatenare quella reazione, dobbiamo fare un piccolo salto in avanti, alla mia *inserire numero ordinale
stratosferico* partita. Un salto in avanti dobbiamo fare, e un salto in aria ci fu.
Una bella partita: villa; grano; mucche; galline; amo da pesca; ridicola miniera scevra da grotte e dungeon e
crepacci; fiume.
Volevo costruire un ponte ad arco come guado. Il perché non mi è chiaro nemmeno ora, giacché non ricordo ci
fossero dei particolari così memorabili dall'altra sponda da richiedere un costoso – in quanto a rischi –
intervento edilizio. Forse volevo solo abbellire il paesaggio, stufa di quella natura incontaminata. Comunque,
avevo costruito un ponte.
O almeno, ero a un blocco dal completare l'opera.
Non uno, ragazzi. Due. Due mostri alla nitroglicerina che devono essere spawnati non-chiedetemi-come e
devono
aver fiutato la mia felicità a chilometri di distanza.
Notch, perché li hai fatti muti?
Ffftz.
Robinson si era girato appena in tempo per vedere due macchie verdi. Così perì, in un pomeriggio assolato,
mentre dava l'ultimo ritocchino al suo solido e inutile ponte di sasso.
Colei che manovrava Robinson a click di mouse e tasti direzionali era saltata dalla sedia. La sua vena di
codardia era alla fine esplosa, esplosa insieme all'alter ego virtuale.
La detonazione era stata di potenza tale che, ad oggi, ancora mi meraviglio che il mio caro Robinson non sia
stato catapultato fuori, sfondando lo schermo a cristalli liquidi del computer.
Ci avrebbe pensato l'uomo nero, infine, ad infliggere il colpo di grazia alla mia dose superstite di coraggio,
qualche partita più tardi.
L'uomo nero, un bastardo spilungone affetto da idrofobia e la cattiva abitudine di trafugarti il materiale da
costruzione!
L'uomo nero, incubo dei bimbi cattivi e dei giocatori di Minecraft privi di elmo di zucca!
Pioveva.
Il mio piccolo Robinson codardo era schizzato dentro casa.
A pensarci adesso, definirei quella circostanza come una fatale violazione di domicilio.
Incombeva sul mio Robinson, il mio povero, piccolo Robinson sprovvisto di usbergo e voce per urlare. Bastò
incrociare gli sguardi per decretare la morte del più debole.
Da quel momento in avanti, la mia vena di codardia ha toccato nuove vette e mi ha ordinato di costruire case non
più alte di due blocchi. Non mi addentro nella mia calda e sicura miniera personale fino a che non mi sono
sincerata, almeno una dozzina di volte, di aver settato il gioco in modalità pacifica. Se vedo un enderman
all'orizzonte, mi barrico in casa finché non evapora da solo. Odio le zone boschive – perché ho sviluppato la
tendenza di vedere creeper appostati dietro a ogni fusto d'albero.
Ancora di più detesto i dungeon sul pelo della superficie, quelli che ti avvertono della loro infida presenza
solo quando hai posato l'ultima tegola del tetto sulla tua opera artistica di casetta. Allora odi un treno che
deraglia, un boato, il corno di Satana, e ti tormenti all'idea che ti toccherà dormire con metri cubi irti di
mostri a pochi metri dal tuo fondoschiena. Poscia decidi di demolire casa e trovare una zona dal terreno più
compatto, che non ti porti a rabbrividire a un ritmo di dieci pelle d'oca al minuto.
Ma più di ogni altra cosa, Minecraft ha incitato la mia macabra fantasia al punto tale che ho paura delle
scale
di casa mia.
Tipo che faccio fatica a scendere le scale di casa mia, le scale che portano al seminterrato della mia bella
casetta, qui nel Bel Paese, se prima non ho acceso tutte le torc- lampadine dal soggiorno in avanti.
Minecraft, stipendio dei cardiologi.
Minecraft, spauracchio del codardo.
Minecraft, virus della claustrofobia.
Minecraft, elettrizzante prima come adesso.
A volte prendo un lungo respiro e mi avventuro insieme a Robinson fuori dalla mia casetta, a cercare il brivido
nella notte. Mi sono illusa che potesse fungere da ottima terapia: la mia codardia minecraftiana è rimasta tale
e quale dal piccolo incidente coi creeper.
Però, gioco ancora. Esploro un mondo e mi diverto un mondo.
Codarda irriducibile?
Oppure Minecraft, meraviglia del creato e del non creato che sarà creato?
~fin~
Angolino d’autrice:
Quando arriva l'autunno, significa che in casa mia c'è una temperatura tale che mi rende possibile giocare a
Minecraft senza che il venerando del mio computer vada in autocombustione.
Stagioni fredde, vi amo.
Così come amo l'ispirazione improvvisa che mi ha portata a scrivere questa cosa. Di getto. Pum. Come l'esplosione di
un creeper.
Infatti stavo giocando e ho pensato a questa cosa nel momento in cui non uno ma due ragni mi hanno assediato casa.
Non ho potuto evitare di ricordare lo spiacevole incidente del mio battesimo di Minecraft.
Non sono sicura che questa cosa abbia senso, però. Ma spero che a voi piaccia leggerla quanto è piaciuto a me
scriverla!