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Autore: Madness in me    19/09/2014    1 recensioni
Una ragazza, un po' strana e complicata, con degli amici stravaganti.
La ragazza non crede nell'amore, non ci ha mai creduto eppure, in qualche modo, quel sentimento è riuscito a fregare anche lei.
Una storia che si intreccia tra amicizia, amore, paura, confusione e milioni di altri sentimenti che si svolgeranno all'interno di una trama di avventure stravaganti.
"She's a dwelling place for demons.
She's a cage for every unclean spirit, every filthy bird and makes us drink the poisoned wine to fornicating with our kings." -Avenged Sevenfold; Beast and the Harlot
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, The Rev, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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4. Cleanse us acid rain.

 

Aprii gli occhi lentamente e faticosamente.
Come ormai avevo imparato, il sonno non era un buon rifugio quando si cercava di fuggire alla propria mente.
Infatti da quando mi ero addormentata nella vasca, due ore prima, non avevo fatto altro che sognare Alice che piangeva in un angolo della mia stanza.
Ero uscita infreddolita e, forse, ancor più stanca di prima e mi ero avvolta nell’asciugamano, lasciando i capelli bagnati cadermi lungo la schiena, fino ai reni.
Poi mi ero diretta in sala e mi ero seduta al tavolo, accendendomi una sigaretta e fissando la sedia davanti a me.
Sul tavolo c’erano incise due grandi A.
Ricordavo il giorno in cui le avevo incise.
Era una calda domenica di non so bene quale mese ed io e Alice eravamo in quella casa, Spettro se ne stava sul divano acciambellato e profondamente addormentato mentre io e Al parlavamo del più e del meno.
Mi mostrò un coltellino a scatto che Zacky le aveva regalato “Per sicurezza”, almeno così aveva detto lui, ma sapevamo bene tutti e tre che in realtà glielo aveva regalato solo perché ad Alice piaceva da impazzire, con tutta la lavorazione sull’impugnatura e quella lama quasi bianca.
Così, improvvisamente, sfilai il coltellino dalle mani di Alice e incisi due enormi A, intrecciate tra loro, al centro del tavolo.
“Perché l’hai fatto, Az ?! Il tavolo era nuovo!” mi disse, confusa, Alice.
Le sorrisi, restituendole il coltellino e sfiorando le incisioni con la punta di un dito “Perché questo tavolo era vuoto, piatto, senza senso e senza una storia da raccontare.. come me. Poi sei arrivata tu ed ora ho una storia da raccontare, anzi.. ho una storia ancora da finire di scrivere. Ogni volta che vedrò quest’incisione, mi ricorderò di questa promessa. Se un giorno saremo lontane e io dovessi far cadere il mio sguardo su queste due enormi A, mi ricorderò che ho una storia da terminare.. e quella storia la sto scrivendo insieme a te.”
Ricordai il suo sorriso incredulo, la vidi gettare a terra il coltellino e me la ritrovai addosso in un istante, con quei suoi abbracci che mi toglievano il fiato e mi davano vita.
Imprecai tra i denti, troppo stanca anche per piangere e mi alzai.
E,  per un misero istante, mi parve di vedere Spettro, acciambellato e profondamente addormentato, sul divano ma scacciai subito l’idea.
Sul divano non c’era nessuno, niente se non il mio cellulare spento.
Mi avvicinai prendendolo tra le mani e lo scrutai, senza sapere bene perché, soffermandomi poi sul piccolo sticker attaccato sul retro del cellulare, una piccola fragola.
“Azriel, Az!” gridò Johnny, quel giorno, correndo su per le scale venendomi in contro con un sorriso così grande che quasi illuminava la casa intera “Guarda cos’ho comprato! Gli sticker colorati! Come quando ero bambino, voglio attaccarli tutti sul basso, mi aiuti ?” ed io non avevo potuto certo rifiutare così avevamo passato quelle ore da soli, nel salotto di casa mia, ad attaccare sticker sul suo basso, come due bambini idioti e poi era capitata quella piccola fragolina ma quando stavo per attaccarla, JC me l’aveva sfilata dalle mani e l’aveva attaccata al mio cellulare.
“Perché ?” Avevo chiesto.
Lui mi aveva sorriso, sincero e raggiante come suo solito e mi aveva detto “Perché mi ricorda te. Piccola e rossa. Dolce come una fragola, o almeno quando vuoi. Quindi voglio tu la attacchi al telefono e ti ricordi che sei la mia fragolina preferita, ogni volta che la vedi.” E lo stavo facendo.
Il magone allo stomaco era cresciuto ancora di più così lasciai di nuovo il telefono sul divano e mi spostai verso la cucina, cercando qualcosa che mi distraesse da loro.
Mi ero messa seduta, come facevo spesso, sul mobile e i ricordi erano tornati, come una cascata, senza darmi tregua.
Mi ricordai di uno degli ultimi giorni passati in quella casa, prima di trasferirmi in California, era estate e i ragazzi erano venuti a stare da me insieme ad Alice, per visitare finalmente New York.
Ero seduta proprio in quel punto e Zacky si aggirava, raggiante, per la mia microscopica cucina, cucinando prelibatezze di ogni tipo.
Io dondolavo le gambe come una bambina e lui ogni tanto mi faceva assaggiare qualcosa.
Poi per un attimo si era fermato, mi aveva guardata attento e mi aveva sorriso, scompigliandomi i capelli e dicendomi “Adoro cucinare con te come un piccolo e dolce soprammobile vicina. Mi piace farti assaggiare ciò che preparo e vederti arricciare il naso quando è qualcosa che non ti piace, o farmi gli occhioni quando sto cucinando qualche dolce e ne vuoi ancora. Sei la mia assaggiatrice personale, promettimi che non mangerai mai le torte di nessun’altro, se non le mie. ..Beh, le mie e quelle di Alice. Ma nessun’altro.” E io avevo annuito così quella sera, per festeggiare i miei ultimi giorni a New York e, soprattutto , la nostra amicizia, Zacky e Alice mi avevano preparato un’enorme torta al cioccolato.
Torta nella quale poi Alice aveva spiattellato per bene la faccia di Vee, facendoci ridere tutti a crepapelle.
Ormai il magone allo stomaco era diventato un pesante macigno e mi sentii quasi mancare l’aria, singhiozzavo a vuoto ma non volevo piangere, non potevo.
Balzai giù dal mobile e mi fiondai in camera, gettandomi sul letto e stringendo le coperte, soffocando gli urli in un cuscino.
Quando però alzai la testa, capii che non potevo scappare.
Il mio sguardo si poggiò su una delle foto alle pareti.
Ritraeva me tra le enormi braccia di Matt, entrambi sorridenti come bambini mentre Gates, poco distante, era pronto a versarci addosso un enorme secchiata d’acqua.
Anche quel momento era segnato nella mia testa, come se lo stessi vivendo in quel momento.
“Reggiti, nana che ora corriamo!” aveva gridato Matt.
E io mi ero stretta a lui, ridendo ma Alice, complice, ci aveva fermati con la scusa della foto e così, in un istante, Gates ci aveva versato l’acqua gelida addosso e, dopo qualche secondo, dio solo sapeva come, mi ero ritrovata a rotolare a terra tentando di salvarmi da Matt e Gates che, ridendo come pazzi, cercavano in tutti i modi di farmi il solletico.
Alla fine di quel delirio ero sdraiata a terra, ansante, Gates e Matt sdraiati vicino a me.
“La mia nana!” aveva annunciato, ridendo, Matt.
“Tua ? Quando te la sei comprata ? “ aveva borbottato Gates.
“Ma è OVVIO che sia mia, vero rossa ? Diglielo.” Ed io ero rimasta in silenzio, su suggerimento di Al, ridacchiando, curiosa di vedere cosa avrebbero fatto.
“Facciamo che è un po’ di tutti. Come noi siamo tutti un po’ suoi, che te ne pare ? “ aveva aggiunto Matt.
E, dopo qualche istante di silenzio, mi ero ritrovata stretta tra le braccia di entrambi.
Andata. La NOSTRA nana.” Aveva urlato Gates e poi, alla fine, anche Alice e gli altri ci si erano gettati addosso e ci eravamo ritrovati a rotolare e ridere sul prato come dei perfetti cretini.
A quel punto le lacrime uscivano, libere, veloci e instancabili.
In barba alla mia convinzione di aver pianto fino a finire le lacrime.
Non era così, le lacrime non finivano mai e io lo sapevo bene.
Mi tirai su disperata, mettendomi seduta e aggrappandomi con le mani ai capelli, piangendo come una pazza.
Cosa avevo fatto ?
Perché l’avevo fatto ?
Quanto egoista ero stata a lasciarli tutti così ?
Non ero degna di loro, non ero degna di nulla.
Mi alzai di scatto, fiondandomi in bagno e aprendo l’armadietto di medicinali, rammucchiando più pasticche possibile e svuotandole tutte nella mano, chiudendo poi lo sportello.
Ero pronta a buttare tutto giù quando, nello specchio, l’immagine dell’unica persona che non avrei mai voluto vedere, comparve chiara, quasi non fosse solo un’altra delle mie stupide allucinazioni.
Ma questa volta, a differenza del solito, non ghignava.
Era serio.
Quegli occhi azzurri sembravano volermi trafiggere mentre i suoi capelli scuri sembravano ancor più scuri del solito, quasi rincarnassero una qualche specie di rabbia infinita, disumana.
Quasi sembrava volesse rimproverarmi da un momento all’altro, come volesse sbucare da quello specchio e farmi a pezzi.
“TI ODIO!” gridai, fuori di me, dando un pugno allo specchio che si frantumò in mille pezzi, pezzi che entrarono nella mia mano facendomi cadere di mano tutte le pasticche.
In men che non si dica, il pavimento del bagno era sporco di sangue e io mi ritrovai a terra, terrorizzata e dolorante, di nuovo in lacrime.
Era successo di nuovo.
Ero crollata per l’ennesima volta, a causa sua.
“Andrai avanti così per molto ?” mi domandò, gelido, quello che riconobbi subito essere Rev.
Mi paralizzai.
Non era possibile.
Lui non era li.
Alzai, titubante, lo sguardo ed eccolo.
In piedi poggiato allo stipite della porta, le braccia incrociate al petto e quel suo fastidioso ghigno sempre puntato in faccia.
“Cosa- Cosa ci fai qui ?! Come sei arrivato ? CHI TI HA FATTO ENTRARE ? COSA VUOI ?!” gridai, terrorizzata, indietreggiando fino a schiacciarmi contro la parete.
“Azriel.. io non sono qui, è più che ovvio. Sono solo frutto della tua testa.. e delle tue solite e stupide allucinazioni.” Sussurrò, accucciandosi davanti a me.
Che ero pazza lo sapevo, lo sapevo da un’infinità di tempo ma mai.. mai mi era successo di avere un’allucinazione così chiara.
“E’ perché sei sola..” sussurrò lui, come mi avesse letto nel pensiero.
Non sapevo cosa rispondere e la mano continuava a pulsare.
Continuavo a piangere, fissando l’immagine di Jimmy davanti a me che ora aveva smesso di ghignare e mi guardava, neutro.
“Alice e i ragazzi sono sempre riusciti a tenere a bada le tue allucinazioni ma ora sei sola.. ora sei sola e peggioreranno, di giorno in giorno. Sarà sempre peggio. Tu non puoi vivere senza di loro, Azriel, lo capisci, vero ?”
Mi alzai in piedi e lui mi imitò.
“Basta. Sparisci. Se sei solo frutto della mia immaginazione.. Va via.” Dissi, con la voce tremante.
Lo vidi sospirare poi, in un battito di ciglia, non c’era più.
Mi portai la mano al petto e mi incamminai verso la porta, guardandomi intorno terrorizzata “Jimmy.. ? Jimmy dove sei ?! JIMMY TI PREGO TORNA QUI, NON E’ VERO, NON VOGLIO TU VADA VIA. Non è vero.. non andare via..” mi accasciai di nuovo a terra, lo sguardo fisso sul pavimento annebbiato dalle lacrime e, tra i singhiozzi, sussurrai “non lasciarmi sola.. hai ragione, hai ragione tu.. io da sola non posso fare niente.. non andare via..” ma non ricevetti risposta.
Jimmy non riapparve.
Non tornò.
Passai l’intero pomeriggio sdraiata a terra, fissando il soffitto.
La mano aveva smesso di pulsare e il sangue si era fermato.
Così come il mio cuore, il cervello e, a tratti, il respiro.
Cosa stavo concludendo ? Nulla.
Cosa stava migliorando ? Ancor meno di nulla.
Almeno per me.
E loro, come stavano ?
Ero partita per i ragazzi e per Alice, per farli stare bene ma, effettivamente, loro come stavano ?
Mi misi seduta, sentendo tutte le ossa indolenzite dal pavimento scrocchiare ad ogni movimento e mi voltai verso il divano, il cellulare era ancora li.
Feci un profondo respiro e mi alzai, attendendo che il giramento di testa passasse per poi prendere il cellulare, accendendolo.
Attesi qualche istante ma niente.
Nessuna chiamata persa, nessun messaggio da leggere.
Trattenni il fiato.
Forse.. mi avevano già dimenticata ?
Magari non era il caso di farsi sentire di nuovo, non per il momento.
Lasciai di nuovo il cellulare sul divano, sciacquai e fasciai la mia mano, mi cambiai svelta e tirai su la felpa del cappuccio, prendendo la chiave dell’appartamento e le sigarette, schizzando via dall’appartamento chiudendomi la porta alle spalle, scendendo le scale come un razzo.
Se solo avessi saputo che proprio in quel momento Alice era riuscita a calmarsi e stava componendo il mio numero di cellulare per poi rimanere in attesa che rispondessi, disperata e preoccupata, forse, non sarei uscita da quella casa così in fretta.
Ma non potevo saperlo.
Salutai frettolosamente Carlos inventandomi di avere qualcosa di importante da fare e mi gettai fra le strade ancora decisamente affollate di New York.
Chissà cosa pensavano, quei pochi che mi notavano per strada.
Chissà se mi trovavano buffa, ridicola o magari carina.
Chissà quanti di loro avevano problemi di cuore, forse alcuni erano anche appena scappati di casa, proprio come me.
“E ora dove vai ?” domandò JC, comparso improvvisamente al mio fianco.
Lo ignorai.
Era solo una stupida allucinazione.
“Forse è così ma magari dovresti ascoltarci..” provò anche Matt ma ignorai anche lui.
Mi accesi una sigaretta stringendomi nella felpa e continuando spedita, senza una vera meta.
“Non puoi scappare, Az, siamo nella tua testa.” Sospirò sconfortato Zacky.
Non li avrei ascoltati.
Era solo la mia stupida mente malata, i veri ragazzi stavano bene.
Erano in California, tutti insieme, felici.
“Tu devi impegnartici davvero tanto, per pensare certe cazzate, mh ?” Gates, gentile anche nella mia immaginazione.
Sospirai.
Mi avrebbero lasciata stare, dovevano.
Io non avevo bisogno di loro.
“Ah no ? Quindi hai mentito per tutto questo tempo ?” gli occhi scuri di Alice, dritti nei miei, mi bloccarono.
Rimasi a boccheggiare qualche istante ma lei non perse tempo.
“Non hai bisogno di noi ?! Allora perché mi hai cercata ogni volta che piangevi ? Perché sei corsa a farti proteggere dai ragazzi ogni volta che ce n’era bisogno ? EH ? Se non avevi bisogno di noi, potevi anche evitare di entrare nelle nostre vite e creare tutto il casino che hai creato, stronza ingrata!”
Stavo per rispondere quando sospirai, abbassando lo sguardo.
“Tu non sei Alice. Lasciami stare.” Sussurrai, facendo poi dietro front e imboccando una via a caso.
Camminai finché non si fece buio.
Ci misi ore e ore per riconoscere la via di casa ma quando fui sicura di essere nella via giusta accelerai appena il passo, raggiungendo il palazzo rosso in pochi minuti.
Schizzai davanti la cabina di Carlos ringraziando che il vecchietto fosse addormentato, salii le scale in un baleno e rientrai nel mio appartamento.
Gettai una veloce occhiata al cellulare ancora scuro sul divano e sospirai, prendendo poi posto al tavolo ed aprendo un nuovo pacchetto di sigarette.
Forse era davvero come avevo pensato ?
Forse ora stavano bene.
Forse.. forse non era questo quel che volevo ?
Ma sì, era proprio ciò che volevo, che stessero tutti bene.
Poggiai, sconfortata, la guancia al legno del tavolo e finii la sigaretta, rimanendo poi a fissare fuori dalla finestra.
Il vuoto nel mio stomaco ora minacciava di inghiottirmi eppure stavo solo facendo ciò che io stessa avevo creato.
Non potevo biasimare nessun’altro se non me stessa.
Chiusi gli occhi, sospirando.
Dopo quella che mi parve più di un’ora, sentii bussare e tirai su la testa dal tavolo, sbuffando.
“Sì ?” domandai.
“Niña, esta aqui un tipo strano che quiere di te.” Disse la voce familiare di Carlos.
Un tipo strano ?
Mi alzai, sbuffando, il mal di testa martellante appena tornato ed aprii la porta.
La figura di Carlos sparì davanti ai miei occhi perché fui subito rapita dalla figura in piedi dietro di lui.
Sgranai gli occhi, incredula, tenendo stretta la mano sulla maniglia della porta.
“Cosa- .. Non è vero..” balbettai, sconvolta.
“Non cacciarmi, Az, per favore. Voglio solo parlare. Ho fatto nove fottute ore d’aereo buttando al vento metà dei miei risparmi solo per arrivare qui in fretta, voglio solo che ascolti ciò che ho da dire!” disse, svelto, Jimmy, superando Carlos e piazzandosi davanti a me.
Carlos evidentemente si sentì di troppo perché, dopo aver lanciato un’occhiataccia a Rev, si dileguò giù per le scale.
“S-sei solo una stupida allucinazione. BASTA. Sono stanca.” Dissi, furiosa, chiudendo di scatto la porta.
“AZRIEL!” gridò Jimmy, il piede incastrato tra la porta e lo stipite, impedendomi di chiuderla.
Mi voltai di nuovo, rimanendo come pietrificata.
Le allucinazioni non potevano certo tenere ferme le porte.
E tantomeno sentivano il dolore, quindi..
Afferrai saldamente la maniglia della porta e la spalancai, per poi sbatterla con forza sul piede di Rev, sentendolo urlare una bestemmia a pieni polmoni per poi spingermi dentro casa, accucciandosi a terra.
“MA SEI SCEMA ?!” Mi gridò, guardandomi sconvolto per poi cambiare espressione subito dopo.
Ero di nuovo in lacrime e continuavo ad indietreggiare.
Quello era davvero Rev ?
Perché era li ?
Cosa voleva ?
Lo vidi alzarsi ed entrare in casa approfittando del mio momento di totale panico, si chiuse la porta alle spalle e mi guardò, con un’espressione che mai prima di allora gli avevo visto in faccia.
“Az, ascolta, prima di cominciare ad urlare e sbraitare, dare di matto o tentare di uccidermi, per favore, ascol-“ non riuscì a finire perché mi gettai contro di lui, legandogli le braccia in vita e scoppiando a piangere a singhiozzi.
“Azriel..” sussurrò, confuso, poggiandomi una mano sulla testa.
“TI ODIO! TI ODIO DA MORIRE! PERCHE’ SEI VENUTO TU ?! PERCHE’ ?! PER PRENDERTI GIOCO DELLA POVERA RIDICOLA RAGAZZINA RACHITICA CHE E’ SCAPPATA COME UNA CODARDA PER POI RINTANARSI IN UN BUCO A PIANGERE ?!” gridai, senza sapere nemmeno io cosa stavo dicendo.
Ma Jimmy non si mosse, non disse una parola, si limitò a tenere la sua mano sulla mia testa e rimanere in silenzio, incassando tutti i miei insulti e le mie stupide accuse.
Quando finii di piangere e sbraitare lo feci mettere seduto sul divano, portandogli del ghiaccio per il piede che aveva iniziato a gonfiarsi e poi mi misi seduta al tavolo, accendendomi una sigaretta ed evitando di guardarlo.
“Non sono qui per prendermi gioco di te..” cominciò, piano, dopo qualche istante di silenzio “Sono qui per riportarti a casa.” Concluse.
“Questa è casa mia.” Dissi, senza voltare la testa.
“Non è vero. Casa tua è in California, con Alice e i ragazzi.” Disse lui, fermo.
“E tu che ne sai ?! Tu di me non sai.. niente.” Sussurrai, strofinandomi una mano sugli occhi che pizzicavano ancora per le lacrime.
“No, ti sbagli.” Disse, attirando la mia attenzione e puntando gli occhi nei miei “So che.. So che sei la sorella di Alice e so che sta malissimo, a tal punto che è svenuta. E’ priva di forze perché si è agitata come mai prima d’ora ed è costretta a letto. So anche che i miei migliori amici ti reputano come una sorella e stanno di merda. Per questo non sono ancora riusciti a venire, perché non hanno le forze. Sono venuto io apposta, per riportarti indietro.” Concluse.
Feci un sorriso amaro, scuotendo la testa e tornando a fissare il tavolo.
“Tu menti.” Sussurrai.
“Perché dovrei ?” chiese, piccato.
“Perché lo fai sempre, quando parli con me. O già hai dimenticato ? Hai dimenticato tutte le volte che mi sono fidata di te e tu mi hai usata solo per divertimento, per poi prenderti gioco di me subito dopo ? Io non l’ho dimenticato affatto.” Conclusi, stringendo la sigaretta tra le dita.
“E secondo il tuo genio malvagio ci sarei arrivato fino a New York, dalla California, solo per prenderti per il culo ? Tu ti dai troppa importanza, ragazzina!” disse,  nervoso.
Tornai a guardarlo, battendo un pugno sul tavolo.
“TROPPA IMPORTANZA ?! MA CHI TI CREDI DI ESSERE, ARRIVI QUI E TI COMPORTI COME SAPESSI TUTTO, TI COMOPRTI COME FOSSI UN ANGELO APPENA SCESO DAL PARADISO QUANDO INVECE SEI SOLO UNO STRONZO MONTATO, UN PALLONE GONFIATO PIENO DI SE CHE NON CAPISCE DI ESSERE SOLO UN RIDICOLO E FASTIDIOSO IDIOTA! SAI CHE TI DICO ? FA QUEL CHE TI PARE, IO NON MI MUOVO DI QUI.” Detto ciò mi alzai ribaltando la sedia e andai a chiudermi a chiave in camera, sdraiandomi sul letto e raggomitolandomi sotto le coperte.
Sentii Jimmy battere sulla porta un paio di volte, bestemmiando.
Poi dopo qualche istante di furia, lo sentii poggiarsi alla porta.
“AH Sì ?” Gridò da fuori la porta “ALLORA SAI CHE TI DICO ? IO RESTO QUI, TUTTA LA NOTTE. ANCHE TUTTO DOMANI, E DOPODOMANI E VIA DICENDO. PRIMA O POI DOVRAI USCIRE DA LI E IO TI RIPORTERO’ A CASA!”
“Perché ?!” Domandai, al limite tra la disperazione e la rabbia.
Ci fu qualche istante di silenzio poi una possente botta alla porta che mi fece sobbalzare, botta che dedussi essere un pugno e infine la voce di Jimmy giunse alle mie orecchie come fosse tremante “Perché ci sono persone che hanno bisogno di te, tanto quanto tu hai bisogno di loro..”
Trattenni e il fiato ma decisi di non rispondere.
Perché mi sarei dovuta fidare di lui ?
Magari erano stati i ragazzi o Alice stessa ad obbligarlo a venire la.
Non gli avrei permesso di prendersi gioco di me, non di nuovo.
Chiusi gli occhi voltando le spalle alla porta ma finii per rimanere sveglia tutta la notte fissando la finestra.
Verso le quattro decisi di alzarmi e aprii piano la porta.
Jimmy cadde a terra addormentato, mugolando infastidito senza però svegliarsi.
Lo osservai qualche istante, mordendomi un labbro.
Quella sensazione di male al petto che provavo ogni volta che lo guardavo, temevo non sarebbe mai passata.
Alla fine mi ritrovai a caricarmi quel colosso sulle spalle e trascinarlo fino al mio letto, togliendogli anche l’altra scarpa e sistemandolo sotto le coperte, chiudendo poi la porta e raggomitolandomi sul divano, infreddolita.
Si era preso il mio cuore, la mia famiglia, ogni cosa.. e ora si rubava anche il mio letto.
Cos’altro voleva da me ?!
Sprofondai nel sonno di nuovo, atterrata dal mal di testa sfiancante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Hola!
Eccomi di nuovo, mi scuso come sempre per il tempo che lascio passare tra un capitolo e l'altro.
Grazie a chi ancora mi segue e spero il capitolo piaccia.
Somuchlove,
Sah. 

  
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