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Autore: fire_94    21/09/2014    3 recensioni
Mi ero appena chinata per prendere un volume in basso e, non appena mi rialzai, vidi proiettata un'ombra sullo scaffale, diversa dalla mia, molto più alta e più grande. Mi voltai senza pensarci, all'inizio credendo si trattasse di zio Edgar, tuttavia non trovai nessuno lì con me.
Lì per lì, mi scrollai nelle spalle e aprii il libro che avevo appena raccolto per dargli una sbirciatina. Non so più nemmeno di cosa parlasse, né mi interessa al momento.
Ricordo bene però che nel giro di qualche minuto, udii qualcosa sbattere con forza contro il vetro di una finestra lì vicino.
- Ciao a tutti! Non credo che questa sia una delle mie storie migliori, ma... mi è venuta l'idea questa notte e oggi ho voluto provare a scriverla!
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando ero piccola, ricordo che spesso mia madre doveva andar via per lavoro, io ero soltanto una bambina e non poteva portarmi con sé, per questo mi lasciava sempre a casa di mio zio.

Edgar era il fratello più giovane della famiglia di mia madre, e anche il più ricco. Aveva una casa gigantesca, c'era anche un laghetto non molto distante. Ricordo ancora che, la prima volta in cui mamma mi ci portò, pensai che fosse una di quelle case infestate dai fantasmi e scoppiai a piangere. Mia madre dovette abbracciarmi stretta e sé e, dopo avermi rassicurata dicendo che non avrei trovato niente di inquietante in quella casa, mi promise anche che mi avrebbe regalato la casa delle bambole che desideravo da tempo, una volta tornata da lavoro, se avessi fatto la brava.

Superare la mia paura non fu facile, all'inizio, ma non appena misi piede in quel posto gigantesco me ne innamorai. E da allora, mia madre cominciò a portarmi spesso a casa dello zio.

In particolare, mi innamorai della biblioteca, con i suoi immensi scaffali pieni di libri di ogni genere, un vero e proprio paradiso per l'immaginazione.

Fin da quando andavo ancora alle elementari, amavo leggere. Nei libri trovavo delle storie fantastiche, in cui spesso mi immedesimavo al punto da andarmene in giro affermando di essere il protagonista della vicenda, come quando ero convinta di essere Peter Pan. Non importava quanto zio Edgar o la mamma potessero ripetermi che non avrei mai potuto esserlo, dato che sono una femminuccia, io non li ascoltavo mai.

E ricordo che fu proprio lì, mentre scorrevo ogni singolo titolo su uno scaffale un po' più piccolo degli altri, nascosto sotto un'arcata, nell'angolo più buio della biblioteca, che tutto ebbe inizio.

Arrivò lui.

Mi ero appena chinata per prendere un volume in basso e, non appena mi rialzai, vidi proiettata un'ombra sullo scaffale, diversa dalla mia, molto più alta e più grande. Mi voltai senza pensarci, all'inizio credendo si trattasse di zio Edgar, tuttavia non trovai nessuno lì con me.

Lì per lì, mi scrollai nelle spalle e aprii il libro che avevo appena raccolto per dargli una sbirciatina. Non so più nemmeno di cosa parlasse, né mi interessa al momento.

Ricordo bene però che nel giro di qualche minuto, udii qualcosa sbattere con forza contro il vetro di una finestra lì vicino. Sobbalzai per la sorpresa, richiudendo il tomo che reggevo in mano per riflesso. Confusa, mi avvicinai alla finestra dalla quale ormai entrava soltanto la luce rossastra del sole al tramonto e che presto si sarebbe spenta.

Trovai un piccione morto sul davanzale. Alcune delle sue piume erano attaccate alla finestra.

Evitai di guardarlo, mi faceva piuttosto impressione, dopotutto avevo soltanto nove anni allora, così chiusi la tenda e non ci pensai più. Tornai a leggere il libro.

Quel giorno non accadde altro.

Il successivo, invece, mi pare di aver intravisto di nuovo l'ombra che avevo notato in biblioteca, ma questa volta apparve mentre andavo al bagno, di notte, nel corriodio.

E continuai a scorgerla anche i giorni successivi ancora.

Finché non apparve di nuovo mentre ero in biblioteca. Il sole era già calato ed ero stata costretta ad accendere le luci.

L'ombra era lì, di fronte a me, accanto alla finestra dove avevo trovato il piccione morto, che ormai zio Edgar aveva tolto già da tempo.

Sembrava l'ombra di un uomo molto alto, ma che se ne stava ricurvo in avanti e sulla schiena aveva una protuberanza, come una gobba. La testa sembrava quasi essere un tutt'uno con il corpo. Mi guardai attorno, ma non riuscii a trovare il corpo, c'era solo quell'ombra.

Fu strano, perché a ripensarci oggi, quella cosa era davvero spaventosa, eppure allora non avevo paura.

Mi parlò.

Mi disse di essere conosciuto come “The Ferryman”, il traghettatore. Gli chiesi il motivo di questo soprannome, ma lui non mi rispose.

I giorni successivi continuai a trovarlo lì, nella gigantesca biblioteca, sempre accanto a quella finestra, e sempre e solo quando il sole era ormai calato. Non mi parlava più, si limitava a fissarmi mentre mi aggiravo per i numerosi scaffali e perfino mentre leggevo.

Raccontai a zio Edgar di Ferryman, ma lui si mise a ridere. Credeva che quello fosse il mio amichetto immaginario. Io ci rimasi male, ero convinta che fosse vero, anzi, ancora oggi lo sono, ma allora lo zio lo prese come un capriccio di una bambina con un'immaginazione fin troppo fervida.

L'ultimo giorno che trascorsi in casa dello zio, Ferryman mi parlò ancora.

Mi disse che avevo fatto male a raccontare della sua presenza. Mi disse che ora, a causa mia, lo zio avrebbe sofferto, perché nessuno deve sapere della sua esistenza.

Non capii bene ai tempi cosa significasse, ma scoppiai a piangere.

Nello stesso momento, zio Edgar entrò in biblioteca per controllare cos'avessi fatto, e Ferryman scomparve.

La mattina dopo mia madre tornò a prendermi.

Fui felice di andarmene, non volevo più vedere Ferryman, non volevo più nemmeno sentirne parlare. Però mi preoccupai per lo zio, gli dissi di stare attento, perché lui avrebbe potuto fargli del male.

Zio Edgar mi scompigliò i capelli con un gesto affettuoso e si mise a ridere. Disse che avrebbe fatto attenzione, ma non mi credeva. Pensava che quello che vedevo fosse soltanto un amico immaginario.

Alcuni giorni dopo, mia madre ricevette una telefonata.

Io ero in pigiama, sulla soglia della porta del salotto. Era sera e a illuminare la stanza dalla forma rettangolare erano soltanto le luci giallastre delle lampadine. Mia madre era rimasta seduta sul divano davanti alla televisione fino ad allora, a mangiare delle patatine che, quando si era alzata per rispondere, erano rimaste sparpagliate sul tavolino di vetro.

Ricordo ancora l'espressione disperata sul volto di mia madre.

Lo zio Edgar era morto annegato nel lago vicino casa.

So con certezza che è stato Ferryman a ucciderlo, anche se non ne conosco il motivo.

Raccontai di lui anche alla mamma, ma lei mi disse che non era colpa mia, che non dovevo prendermela con me stessa. Pochi giorni dopo la ritrovai annegata nella vasca da bagno.

Mi sento ancora in colpa per quello che è successo. Sapevo che non avrei dovuto dire niente alla mamma, eppure l'ho fatto comunque.

Perché, poi, non lo ricordo più.

Forse speravo che la mamma potesse risolvere ogni cosa.

Ho scritto questa lettera come testimonianza. Ho ricominciato a vederlo, ogni notte, per i corridoi.

Ancora non capisco il motivo, ma vuole uccidere ogni persona adulta che sia a conoscenza della sua esistenza.

A chiunque stia leggendo questa lettera: ti prego, se puoi, cerca di far luce su questo mistero. Ma sta' attento... ora anche tu sai della sua esistenza.

   
 
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