Galion
spinse
il nano in avanti e passando accanto a Gil-galad udì le
parole che aveva
aspettato da giorni. “Procedi come organizzato”.
Cap 17
“Neomat
non
sarà contento!”, continuava a ripetere Rhiaian a
se stesso, mentre procedeva
nella foresta.
Galion lo
aveva mandato via, perché a quanto diceva, Celeborn, colui
per il quale avevano
fabbricato la spada, non aveva intenzione di pagare il tanto richiesto.
L’elfo,
avaro, si sarebbe tenuto per sé le gemme incastonate nella
spada.
Tuttavia
Neomat non era il nano migliore di Moria e aveva un pessimo
temperamento.
Celeborn non lo sapeva ma sarebbero giunti giorni in cui avrebbe
pregato i
Valar di non aver mai avuto a che fare con un nano come lui.
Appena
giunto a Moria Rhiaian gli avrebbe raccontato tutto e gli avrebbe anche
spifferato
del passaggio segreto. Oh, sì che lo avrebbe fatto.
“Si pentiranno di avermi
mandato via, e di non aver mantenuto la parola. Questi elfi la
pagheranno”,
continuava a ripetere.
Pioveva,
ancora, ma lui non si sarebbe fermato. Rhiaian si guardava attorno, la
pioggia
produceva mille rumori sospetti.
Sentì
dei
cavalli nelle vicinanze e non ne fu contento, non erano animali adatti
a un
nano, neanche per un passaggio. Il terreno era fangoso, doveva aver
piovuto
davvero tanto mentre lui era stato nella comoda stanza degli elfi.
Camminava da
quasi un’ora, l’acqua gli stava inzuppando i
vestiti, e il freddo penetrava
nelle ossa. Con un pizzico di nostalgia cominciò a pensare
alle fornaci nelle
quali aveva prestato servizio, che bel calduccio che c’era
là, finanche troppo
alle volte, ma sempre meglio del freddo.
“Ci
vorrebbe
un po’ di fuoco anche qua”, disse con un ghigno
malvagio.
Un lampo
fece la sua comparsa improvvisa e dopo alcuni istanti un tuono
violentissimo
scoppiò nel cielo. “Ah!”,
gridò il nano, “maledetta pioggia!”.
L’urlo
però
attirò l’attenzione di qualcuno che, ingenuamente,
credeva di aver ritrovato un
amico.
“Rhiaian!”.
Il nano
sentì chiamare il suo nome, ma non essendo pronto a dar peso
a ciò che aveva
sentito non riconobbe colui a cui apparteneva la voce finché
non si trovò
davanti niente di meno che Bolin!
“Vieni,
Rhiaian! Da questa parte, siamo tutti qui”, lo
spronò Bolin mentre lo
abbracciava. “Dove sono gli altri?”.
Intanto Haldir
e Glorfindel che avevano sentito Bolin parlare con qualcuno raggiunsero
il nano.
“Bolin!
Con
chi sei? Sarebbe meglio se a questo punto non ci allontanassimo troppo
l’un
dall’altro” gli disse Haldir.
“Sono
con un
amico”, rispose Bolin. “Vieni, ti presento a tutti
gli altri”, disse poi
rivolgendosi a Rhiaian.
“Non
fa
niente”, affermò Rhiaian, “Grazie
dell’invito Bolin, ma devo andare!”.
Bolin
però
sembrò non capire l’antifona. “Dai, su,
indovina con chi sono? Ti ricordi
l’elfo che incontrammo una volta attraversato
l’Anduin? C’è anche lui”.
“Ci
segua”,
disse Glorfindel con voce autorevole, “Non siamo lontani,
saranno solo una
cinquantina di metri”. Rhiaian non era come Bolin, dava
l’aria di essere inaffidabile.
Haldir fece
cenno di sistemarsi meglio la faretra sulle spalle, e Rhiaian alla
vista dei
due elfi, più che dell’amico, decise di
assecondarli. “Va bene, allora fatemi
strada”.
Così
poco dopo
raggiunsero gli altri, che avevano sistemato tutta la roba sui cavalli
ed erano
pronti a muoversi per raggiungere la fortezza.
“Glorfindel,
ci sono problemi?”, domandò Elrond.
“No,
Elrond.
Non abbiamo incontrato nessun ostacolo, possiamo andare avanti per
almeno
mezzora a piedi senza nessun problema”, rispose
l’elfo biondo.
“Ma
indovinate chi abbiamo incontrato nella foresta? Un amico!”,
disse allegramente
Bolin.
Rhiaian si
fece avanti, salutò e guardò ad uno ad uno gli
elfi che gli stavano attorno.
Quando i suoi occhi caddero su Thranduil, gli sembrò di
riconoscere in lui
l’elfo che avevano catturato e legato e istintivamente si
irrigidì.
“Che
c’è?
Sembra che lei abbia visto un Nazgul!”, disse Glorfindel.
“No,
non è
niente”, disse brevemente Rhiaian col volto scuro.
Anche
Thranduil si irrigidì sul posto, perché sebbene
non fosse riuscito a vedere in
faccia i suoi sequestratori, li aveva sentiti parlare e anche se non
era stato
molto lucido era sicuro di riconoscerne la voce.
“Thranduil,
tutto bene?”, domandò Bolin.
Thranduil
prese fiato. “Credo di aver già avuto modo di
conoscere il tuo amico. Non è
vero?”, domandò egli rivolgendosi a Rhiaian.
“Non
credo”,
fu la risposta “Forse mi confonde con qualcun
altro”.
Thranduil
però era sicuro del fatto suo e più lo sentiva
parlare più era sicuro. “Vorrei
sapere come mai si trova qui. E’ alquanto inusuale che un
nano attraversi
Boscoverde da solo”.
“Thranduil!”,
lo riprese Bolin non capendo perché l’elfo fosse
così scortese.
“Lascia
stare, Bolin. Forse il tuo amico ha le sue ragioni per essere
diffidente”,
disse Rhiaian. “Comunque, sono qui perché ero
stato invitato dal Re di
Boscoverde”, disse con un sorriso compiaciuto, ben sapendo
che questo avrebbe
potuto irritare qualsiasi elfo fedele al precedente re.
“Non
ricordo
che mio padre abbia mai invitato un nano a Boscoverde, né
tanto meno l’ho fatto
io”, ribatté Thranduil pieno di rabbia
“Chi sarebbe pertanto l’elfo che l’ha
invitata? Chi si è appropriato di questo titolo?”.
Rhiaian
assunse il volto più stupito e innocente che
poté. “Re Celeborn,
naturalmente!”.
Tuoni e
lampi si abbatterono improvvisamente e con violenza sulla foresta.
“Come osa?”,
urlò Thranduil. “Con che coraggio assume questo
titolo?!”, continuò a urlare.
Rhiaian era
soddisfatto. Tutti potevano vedere sul suo viso la sua malizia.
Thranduil
avanzò verso il nano, ma la gamba lo tradì ancora
una volta e questa volta fu
Elrond a impedire che cadesse al suolo. Intanto la pioggia si fece
nuovamente
forte. “Io ti riconosco!”, urlò
Thranduil, “Ho riconosciuto la tua voce! Tu mi
hai tenuto prigioniero legandomi con una corda nella
foresta!”.
Velocemente
Glorfindel e Haldir furono ai fianchi di Rhiaian, uno per lato. Il nano
cercò
di fuggire ma Haldir gli puntò una freccia in faccia e
Glorfindel sfoderò la
sua spada. “Non ti muovere, o sarà peggio per
te”.
“Rhiaian,
tu
hai davvero legato Thranduil? Ma perché? Non lo conosci
neanche!”.
Rhiaian non
aveva niente da perdere. Volevano la verità! Gliela avrebbe
data. “Non essere
sciocco, Bolin. Sai bene che ci sono interessi molto grandi dietro
Boscoverde”.
“Io?
Cosa
dovrei sapere?”, domandò sconvolto Bolin.
“Oh,
Valar!”, esclamò Rhiaian rendendosi conto fino in
fondo quanto ingenuo fosse il
figliastro di Neomat, “Tu davvero non avevi capito che io e
tuo padre eravamo
in affari?”.
Bolin era
stupefatto, quanto era stato stupido e sempliciotto. “Io
pensavo che …, tu
dovessi andare a Pontelagolungo!”.
“No,
era
solo una scusa per te e per tutti gli altri! Mi dovevo fermare qui a
Boscoverde
fin dall’inizio. Poi però, meraviglia delle
meraviglie, abbiamo visto un elfo
nei boschi e quest’elfo portava con sé
… indovina cosa? Una spada! Esattamente
uguale a quella che io e tuo padre falsificammo. O era il falso o
l’originale.
Ma come fare per averla? Non c’era modo. Se non
ché l’elfo che possedeva la spada
aveva con sé anche qualcos’altro, o meglio qualcun
altro: un elfo biondo legato
ad un cavallo. Non ne aveva molta cura, anzi direi che si era divertito
molto
con lui, viste le sue condizioni!”. Rhiaian rise e
rivolgendosi a Thranduil
continuò: “Eri un ammasso di sangue e fango, ma
all’altro elfo non importava
niente. Comunque fece un errore, non ti legò e
così, evidentemente riuscisti a
scappare. Io e i miei amici ce ne andammo per ritrovarti poi svenuto e
a quel
punto decidemmo di tenerti, perché magari avremmo potuto
scambiarti con la
spada qualora l’altro elfo fosse venuto a cercarti. Ma
… non venne e i miei
amici se ne andarono lasciandomi solo con te, e dopo un po’
me ne andai
anch’io”.
“Noi
però lo
abbiamo trovato legato e ferito”, disse Elrond accusando
implicitamente Rhiaian
delle sofferenze inflitte a Thranduil.
Rhiaian
però
non ci stava. “Mi creda, era già in condizioni
penose quando lo trovammo”.
“Questo
non
spiega perché dopo aver deciso di non usarlo più
come merce di scambio, lo
abbiate lasciato così, buttato per terra e
legato…”.
“Ho
avuto
paura!”, confessò il nano. “Anche gli
altri se ne andarono presi dalla paura,
perché lui cominciò a farsi luce,
cominciò a brillare di una luce accecante e
questo, questo ci spaventò”.
Gli sguardi
adesso furono tutti rivolti a Thranduil, che però non aveva
molti ricordi di
quel giorno, e neanche spiegazioni da dare. “Io non ricordo
bene, mi ricordo
solo delle voci, e tanto dolore. I polsi, le caviglie, le ginocchia, il
viso,
tutto era soltanto dolore, avevo sete, la gola bruciava, sentivo che
mio figlio
era in pericolo e poi provai un forte dolore alla testa e infine mi
sono
svegliato con voi”.
Elrond tenne
Thranduil. “Non affaticarti. Ti aspetta già una
prova importante. Ormai è
passato, dobbiamo guardare avanti”.
Glorfindel
tenne stretto Rhiaian. “Mi dispiace, messer Nano, ma non
potrai tornare nelle
tue terre. Appena tutto finisce dovrai comparire davanti ai giudici di
Boscoverde e difenderti dall’accusa di Sequestro e tentato
omicidio di Sua
Maestà Re Thranduil”.
Rhiaian
urlò
subito. “No, aspettate. Io non sapevo che fosse il nuovo
Re”.
“Questo
non
rende il crimine meno efferato. Nessuno ha il diritto di rapire, legare
e
colpire un essere vivente, tanto meno un Primo nato”.
Rhiaian stette
zitto, non aveva accettato la situazione, ma
pensò bene di non rendere noto il suo disappunto e scappare
al momento più
propizio.
Dopo aver
lasciato Rhiaian nella foresta, Galion era andato a parlare con
Celeborn. Il
signore del Lothlòrien si era fatto un bel bagno caldo per
rilassarsi e
prendere delle decisioni a mente fresca. Avrebbe organizzato una nuova
riunione
con i consiglieri per discutere su come organizzare il rientro dei
soldati dal
fronte. Non che gli interessasse farlo ma doveva far capire che lui
voleva
sedersi sul trono e perciò doveva essere interessato a tutti
gli elfi del suo
regno, e questo almeno fino a quando non si sarebbe realmente seduto su
quella
poltrona.
“Ah,
il mio
regno!”, disse ad alta voce.
Toc-toc!
“Celeborn,
sono Galion. Aprimi!”, ordinò bruscamente
l’elfo.
Celeborn che
sognava ad occhi aperti, tornò alla realtà.
Aprì la porta della camera e venne
spinto dentro dall’elfo, che richiudendo dietro
sé, cominciò a camminare
nervosamente.
“Si
può
sapere cosa ti prende?”.
Galion fece
cenno con la mano di lasciar perder che c’erano cose
più importanti a cui
pensare. “E’ arrivato!”, disse in fretta
continuando a camminare avanti e
indietro.
“Chi
è
arrivato?”.
“Thranduil!”,
gridò Galion.
“Abbassa
la
voce. Zitto, o ti sentiranno anche le talpe sotto terra!”.
Galion
procedette come concordato con Gil-galad. “Non capisci.
E’ troppo presto, non
riusciremmo mai ad avere in mano la situazione”.
“Taci,
taci.
Ce la faremo. Dimmi dov’è? E’
distante?”.
“Arriverà
all’incirca tra un’ora”.
“Ma
come hai
fatto a vederlo?”, domandò Celeborn.
“Ho
mandato
via Rhiaian; l’ho accompagnato per un tratto di strada e da
lì sono riuscito a
vederlo”.
“Rhiaian
è
andato via? Bene, e le gemme della spada? Gliele hai
consegnate?”.
“Sì,
certo.
Come d’accordo”, mentì Galion.
“Bene.
Allora, la spada finta è sepolta, e quella vera non esiste
più. Adesso possiamo
stare tranquilli”.
“Ma
perché
non dargli le gemme prima?”.
“Dovevo
prendere tempo”, rispose Celeborn, “Adesso
però, visto che sta arrivando Thranduil, è meglio
non avere più la spada in
mezzo ai piedi”.
“Comunque
sia”, continuò, “Organizza una seduta
nella sala del trono, chiama i
consiglieri e spiega loro che Thranduil è venuto, ed
è arrivato il momento di
un confronto diretto”.
Galion
assicurò che tutto sarebbe stato fatto, e che entro
un’ora avrebbero messo unagrande
ipoteca sul regno.
Poi se ne
andò a cercare i consiglieri. Era contento di esser
tornato sui suoi passi, ma ancor di più di poter agire
seguendo liberamente i
suoi pensieri. Spesso quando era con Celeborn si sentiva quasi
stregato, non
riusciva ad opporsi a quell’elfo. Diceva cose belle e
lusinghiere, salvo poi
uccidere chi gli stava in mezzo senza alcun problema.
Thranduil si
stava dirigendo verso la fortezza, Galion sistemava tutto
dall’interno e il
nano Rhiaian era stato mandato via. A questo punto Gil-galad aveva la
sua parte
da svolgere, ovvero andare alle prigioni e far uscire Mithrandir e
Legolas.
Non si
aspettava certo di trovare l’ingresso sbarrato da un grosso
albero e parte
della prigione crollata. Con molta difficoltà
riuscì a districarsi tra i fitti
rami e ad entrare. Non c’era neanche un filo di luce e
così avanzò con una mano
sul muro che lo aiutava ad orientarsi.
Aveva i
sensi in allerta per timore di essere colpito alle spalle da qualcuno,
ma
grazie ai Valar riuscì a vedere una piccola luce e si
diresse velocemente verso
quella, ma nel tragitto cadde. Subito la luce si diffuse con maggior
intensità
nella prigione.
“Chi
sei?”.
“Mithrandir,
sei tu?”, domandò rialzandosi e riconoscendo la
voce.
Mithrandir,
che teneva in mano il bastone con la luce del fuoco, annuì.
“Sì, c’è stato un
crollo poco fa”.
“Lo
vedo”,
rispose Gil-galad, “Dov’è
Legolas?”, chiese subito.
Mithrandir
sospirò e indicando un ammasso di terra, rami e fango disse.
“Oltre questo piccolo
ostacolo”.
“Non
riusciremmo mai a passare da questa parte, vieni. Dobbiamo uscire.
Forse si è
creata un’apertura esternamente”.
Mithrandir
non sembrava convinto. “Se Legolas è intrappolato
là, dovremmo raggiungerlo
subito”.
“Certo,
ma
se proviamo a smuovere questo ostacolo, rimarremmo intrappolati anche
noi e non
saremo di aiuto a nessuno”.
“Va
bene,
andiamo”, cedette infine l’Istari.
Così
i due
uscirono e percorrendo la prigione esternamente, dopo circa trecento
metri
trovarono Legolas. L’elfling però non era da solo,
stava abbracciando qualcuno.
Quando
Gil-galad si avvicinò, Legolas rimase tranquillo, non diede
alcun segno di
sentirsi a disagio, semplicemente teneva in braccio qualcuno
dondolandosi
avanti e indietro. Il signore di Imladris non impiegò molto
tempo a capire che
quello che l’elfling stava stringendo a sé era un
cadavere. Con delicatezza
spostò i capelli dal volto del poveretto e gli occhi gli si
riempirono di
lacrime quando riconobbe Wisterian.
Come sarebbe
riuscito il giovane Legolas a superare anche questo? Pensò a
Elrond che
sicuramente lo aveva pianto per morto a Dol-guldur, pensò al
dolore che gli
aveva provocato, e non poté fare a meno di mettere a posto i
capelli di
Legolas, che la pioggia gli aveva attaccato al viso, pensando di star
mettendo
in ordine lunghi capelli neri.
“Legolas,
dobbiamo andare via”.
Legolas lo
guardò e senza dire niente si alzò cercando di
sollevare anche il corpo della
madre, ma chiaramente era troppo pesante.
“Forse
potremmo lasciarla qui”, propose speranzoso, ma Legolas in
silenzio continuò
nel suo tentativo.
“Arriva
qualcuno”,
disse Mithrandir sentendo gli zoccoli di un cavallo.
I tre non si
potevano nascondere, perciò Mithrandir e Gil-galad si
disposero a scudo davanti
a Legolas e alla povera Wisterian. Lentamente avanzò un
cavallo solitario, uno
di quelli fuggiti dalle stalle.
“E’
solo un
cavallo”, disse Gil-galad.
“Non
un
cavallo qualsiasi”, replicò Mithrandir memore
della presentazione fatagli da
Legolas, “E’ il cavallo di Thranduil. Lo aveva con
sé Celeborn. Chissà come mai
è qui?”.
“Alcuni
cavalli sono fuggiti in seguito al crollo di una parte delle
stalle”.
“Sembra
che
Boscoverde crolli in mancanza del legittimo Re”,
notò Mithrandir, “Chi mi ha
mandato qui, sapeva il fatto suo. E del resto”,
specificò alzando un
sopracciglio, “non ne avevo il minimo dubbio”.
Lùth
avanzò
fino a Legolas e lo annusò, poi dopo aver sentito
l’odore di Wisterian nitrì di
dolore, si chinò sulle zampe anteriori e con
l’aiuto dei due elfi adulti fece
salire Legolas e il corpo rigido di Wisterian.
“Cerchiamo
un posto sicuro dove attendere la fine di
quest’incubo”, disse Gil-galad.
“Pensavo
volessi affrontare Celeborn assieme a Thranduil”.
“Quelle
erano le intenzioni, ma forse Thranduil, considerato la situazione,
sarebbe più
contento se stessi affianco a Legolas”.
“Ci
sono io
con il ragazzo”, sbottò Mithrandir bonariamente e
poi con voce greve aggiunse:
“Lui non è Elrond”.
Gl-galad
scattò di colpo. “Lo vedo bene”.
“Sei
ancora
adirato con me? Sai bene che era l’unica cosa da
fare”, affermò l’Istari.
Gil-galad
non aveva bisogno di ulteriori spiegazioni, sapeva a cosa si riferiva
l’amico.
“No, non sono mai stato adirato con te. Ero sempre e sono
ancora adirato con me
stesso. Era l’unica cosa da fare perché era
l’unica che ci fosse venuta in
mente. Forse avremmo dovuto continuare a pensare, e magari ci sarebbe
venuta in
mente un’idea migliore”.
“Forse
hai
ragione”.
Gil-galad si
tolse il mantello di dosso e lo avvolse attorno a Legolas per ripararlo
almeno
un pochino. “Ho senz’altro ragione. E con Legolas ci rimarrò
anch’io”.
Mithrandir
sorrise, questa era una battaglia che non poteva vincere. I Valar
avevano dato
una grande benedizione a Gil-galad dandogli Elrond, e a Thranduil
dandogli
Legolas, ma a lui l’avevano benedetto ancor di più
non dandogli nessuno.
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Non potevano
andare molto veloci, perché non c’erano cavalli a
disposizione per tutti, però
il folto gruppo di elfi e nani raggiunse comunque la fortezza in breve
tempo.
Celebrian era stata silenziosa al fianco di Elrond per tutto il
viaggio,
finalmente avrebbe visto suo padre e avrebbe potuto chiedergli
spiegazioni.
Ma da dove
cominciare? Dalle menzogne, dalla manomissione della spada, dal tentato
omicidio di Thranduil e Gil-galad, dall’omicidio seppur
fortuito dell’elfo a
Dol-guldur, dalle torture inflitte a Thranduil… erano
talmente tante le cose
che aveva da chiedere che non riusciva a realizzare fin dove il maligno
era
riuscito a insinuarsi in suo padre.
Forse
c’era
ancora una piccola speranza che Celeborn, di fronte a lei, a sua
figlia, tornasse
sui suoi passi, si prendesse le sue responsabilità e
affrontasse con lei e sua
madre la vita.
Celebrian
era sicura, se suo padre avesse chiesto a sua madre di seguirlo
lontano, lei ci
sarebbe andata. E se avesse chiesto a lei di perdonarlo, lei lo avrebbe
perdonato.
Diversi
erano i pensieri di Elrond, che non era disposto a perdonare
più di tanto chi
aveva cercato di uccidere suo padre, e ucciso Wisterian. Anche Haldir
non era
pronto al perdono, si sarebbe aspettato molto di più dal
Signore del Lothlòrien,
un errore era perdonabile ma un piano così diabolico era
tutta un’altra storia.
Bolin
rifletteva su Neomat e Rhiaian, era stato cieco oltre misura e la sua
stupidità
aveva causato tanto dolore, troppo, anche a persone innocenti. Si
vergognava di
se stesso e non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di vivere a
Boscoverde, guardare
in faccia
Thranduil, che aveva superato tante prove con coraggio, e vivere nel
suo regno.
Thranduil
pensava soltanto di fare in fretta e di mettere una pietra su tutta
questa
faccenda per tornare ad abbracciare suo figlio e andare avanti.
Camminavano
sotto la pioggia incessante, sicuramente nei sentieri battuti da
Celeborn,
poiché gli alberi cominciavano ad avvizzirsi e le foglie a
cadere gialle,
quando avrebbero dovuto ancora essere di un verde brillante.
Ecco che
dunque apparve la strada di grosse pietre che conduceva al portone
della
fortezza. All’ingresso non c’era nessuno e il
gruppo entrò. Tutti si guardarono
attorno, Thranduil era sopraffatto dall’emozione. In diverse
occasioni aveva
davvero creduto di non rivedere mai più la sua casa. Quando
furono tutti
dentro, chiuse il portone di persona senza dire una sola parola.
Rhiaian
camminava tranquillo, sapeva bene che la fortezza era grande e ci si
poteva
perdere al suo interno, perciò era meglio scappare subito
che aspettare ancora.
Arrivati alla fine del lungo corridoio, giusto prima di voltare
l’angolo diede
un calcio agli stinchi di Glorfindel, che urlò di sorpresa e
dolore, e piccolo
com’era corse verso il portone.
Glorfindel
si lanciò per recuperarlo, gli sarebbero bastati pochi
passi, ma Thranduil lo
fermò posandogli una mano sulla spalla. “Lascialo
stare, non può andare da
nessuna parte. Il cancello è chiuso e a meno che non lo apra
io non potrà farlo
nessuno”.
Difatti come
Rhiaian raggiunse il portone tirò verso se la maniglia ma
non accadde niente,
provò verso l’esterno ma ugualmente non ci fu
nessun movimento. Il portone era
sigillato, e per fare questo era bastato che Thranduil in persona lo
chiudesse.
Davvero lui era il nuovo Re.
Il gruppo
proseguì e questa volta Glorfindel tenne gli occhi aperti.
Dopo poco,
incrociarono Nedhian che immediatamente si chinò di fronte
al suo re. “Mio Re!
Aspettavamo così tanto il suo arrivo, siamo felici che
infine siate giunto a
casa sano e salvo”.
Thranduil lo
ringrazio e chiese se per caso sapeva dove si trovava il signore del
Lothlòrien
Celeborn.
Nedhian un
po’ in imbarazzò confessò:
“Si trova nella Sala del Trono, la sta aspettando.
Ha chiamato in riunione i consiglieri e vuole un confronto diretto con
lei
davanti a tutti”.
Il sangue
ribollì nelle vene di Thranduil. Celeborn avrebbe avuto
ciò che desiderava di
più, nella Sala del suo Trono, gli avrebbe dimostrato cosa
significava essere
Re di Boscoverde.
“Cosa
mi
devo aspettare dai miei sudditi, Nedhian?”, chiese con voce
sicura ma sguardo
stanco Thranduil.
Nedhian
tenne lo sguardo sollevato e immediatamente, senza nessun dubbio,
rispose:
“Fedeltà, mio Signore”.
Glorfindel
si sentì orgoglioso al posto di Thranduil. Lui era sempre
stato un guerriero,
alle volte sotto il comando di qualcuno, altre volte al comando di
tanti e
aveva imparato a riconoscere l’amore, il rispetto e la
devozione verso qualcuno
o un’ideale, e Nedhian possedeva tutte queste
qualità nei confronti del suo Re.
Giunti alla
Sala del Trono, Nedhian alzò il braccio per bussare, ma
Thranduil glielo tenne.
“Non bussare quando entri a casa tua. Apri la porta e avanza
sicuro perché
questo è un tuo diritto. Non siamo ospiti qui”.
Nedhian
abbassò il capo. “Chiedo scusa, mio Re”.
Nedhian
aprì
la porta e fece
entrare il gruppo
inzuppato che sgocciolava sul pavimento. I consiglieri erano seduti al
tavolo
tondo, Galion si trovava al fianco di Celeborn.
I pensieri
di Celeborn correvano frenetici. Vide Thranduil entrare, era zuppo
d’acqua ma
non indossava i vestiti logori con cui l’aveva lasciato,
aveva una camicia
verde e dei leggins marroni con degli stivali a mezza gamba. Non
potè fare a
meno di notare che il passo dell’elfo non era ancora sicuro,
sicuramente non
era ancora guarito del tutto, anche se era in forma più che
presentabile.
Rimase
scioccato quando si accorse che Thranduil non era da solo,
c’erano altre
persone con lui. Al suo fianco poteva sentire Galion bloccare sul suo
viso un
mezzo sorriso. Cosa stava accadendo? Perché Galion non gli
aveva parlato di
tutti gli altri? E chi erano poi?
Per primo
vide Elrond, il maledetto mezzelfo, il maledetto mezzelfo
“orfano”. Sì,
almeno una cosa era andata a buon
fine, pensò soddisfatto.
Poi vide
Haldir, e capì che Galadriel aveva intuito qualcosa,
cominciò a respirare più
pesantemente, non voleva un confronto con la moglie, né con
qualcuno di così
vicino a lei. Al fianco di Haldir stava Glorfindel, il grande
guerriero. In
pratica c’erano i rappresentanti dei tre Regni elfici e un
guerriero.
Poi vide
anche due nani, e subito ne riconobbe uno:
Rhiaian. In quel momento capì che Galion stava
giocando sporco con lui,
eppure aveva collaborato per la spada, ucciso Wisterian e cercato di
eliminare
Legolas. Cosa pensava di fare? Non si poteva essere su due schieramenti
contemporaneamente. O si stava da una parte o dall’altra.
E
infine la goccia
che fece traboccare il
vaso e che lo sconvolse oltremodo: Celebrian. Il sangue gli
andò alla testa,
era completamente scioccato.
“Figlia
mia”, disse prima ancora che gli altri avessero modo di
parlare “Cosa ci fai
qui? Perché non sei nel Lothlòrien, al sicuro tra
le braccia di tua madre?”.
Celebrian
non si aspettava questa dimostrazione d’amore. Suo padre era
preoccupato per
lei. “Padre, ho lasciato il nostro regno per congiungermi a
Elrond”.
Celeborn
lanciò uno sguardo carico d’odio al genero:
“Tu! Maledetto! Hai lasciato che
mia figlia abbandonasse la sua casa sicura
e vivesse nel pericolo per soddisfare la tua
bramosità!”.
Elrond fece
un passo avanti e con calma rispose: “Non ho mai chiesto a
Celebrian di agire
in tal maniera. E certamente non posso comandare i suoi desideri
né le sue
azioni. Io venivo a cercare Thranduil assieme a Haldir e il nostro
amico Bolin”
disse indicando il nano “quando lei ci ha raggiunto e per non
tornare indietro
da sola, ha deciso di restare con noi”.
“Figlia
mia,
perché…”…
“Basta!”,
ordinò Thranduil richiamando l’attenzione,
“arriverà anche il momento dei
ricongiungimenti familiari, ma ahimè, non per tutti. Vero,
Celeborn?”.
Celeborn non
si fece intimidire, sapeva che i consiglieri avevano gli occhi puntati
su di
lui e voleva giocare le sue carte fino in fondo.
Intanto
Bolin si avvicinò più che poté a
Elrond e a bassa voce disse: “L’elfo. Quello vicino
a Celeborn, è lui “Il Male””.
Elrond, come
del resto tutti gli altri elfi nella sala, sentirono quelle parole.
Alcuni si
chiesero perché Galion fosse stato definito come
“Il Male”, ma tutti gli altri
già lo sapevano. Era dunque Galion ad avere contattato
Neomat a Moria e aver
gestito l’affare della spada.
“Suvvia
Thranduil, non mi pare il caso che adesso ti disperi per non poterti
ricongiungerti ai tuoi cari, quando tu, in prima persona hai agito
perché ciò
fosse possibile”.
I
consiglieri erano attentissimi, questo era il confronto tanto atteso.
“Come
ti
permetti di muovere queste accuse nei miei confronti?”,
urlò il giovane Re.
“Ho
visto
con quanto desiderio guardavi la spada di tuo padre, Thranduil. E ti ho
visto
maneggiare attorno a
quella prima della
guerra. E guarda caso, tuo padre è morto proprio tenendo in
mano quella spada.
Quella che mai l’aveva tradito prima, come invece hai fatto
tu!”.
“Io
non ho
mai tradito mio padre”, disse avanzando verso il tavolo tondo
dove erano seduti
i consiglieri. La gamba cominciò a pulsargli, aveva
camminato molto, e anche
andare a cavallo non gli aveva giovato poi tanto. Quel continuo
rimbalzare
aveva pressato molto sulla colonna vertebrale e sulle anche, e adesso
che la
rabbia e la tensione stavano uscendo fuori cominciava a sentirsi
svuotato di
tutto.
“Io
non ho
manomesso la sua spada, sei stato tu…tu che ne hai ordinato
una coppia di minor
fattura per poi scambiarla con quella vera”.
“Sono
bugie!”, urlò Celeborn.
“Bugie!
E’
una bugia anche che tu abbia cercato di uccidere Gil-galad, il Signore
di
Imladris?”.
Celeborn
ebbe un tentennamento. Cosa significava “cercato di
uccidere”? Era sicuro che
Gil-galad fosse morto. I consiglieri bisbigliavano, tutti conoscevano
Gil-galad, e l’uccisione di un elfo per mano di un altro elfo
era cosa
inaudita.
Celebrian
cominciò a piangere. “Non piangere amore mio, non
è vero niente, figlia mia”.
“Certo
che è
vero! Ed è anche vero che mi hai tenuto prigioniero, e che
stai tenendo
prigioniero mio figlio Legolas”.
La Sala del
trono divenne muta. Nessuno doveva far male a un elfling, per nessun
motivo. I
consiglieri guardarono Celeborn con sospetto, dimenticandosi delle
accuse
rivolte a Thranduil.
Celeborn si
sentì in trappola. “Sai usare bene le parole, ma
le parole tali sono e tali
rimangono. Dov’è la spada che dici io abbia fatto
riprodurre, dov’è la spada
originale?”.
Già,
senza
spade non c’erano prove solo un’infinità
di sospetti.
Elrond, da
sotto il mantello prese la spada che aveva in consegna e la porse a
Thranduil.
Questo la
sfilò dalla protezione e la posò sul tavolo.
“Ecco qua la spada che hai fatto
duplicare”, dicendo questo tolse le gemme
dall’incavo mostrando le rune incise,
“Questa era la garanzia del nano presso cui ti sei servito
per la
riproduzione”.
A questo
punto senza riuscire a guardare in faccia Thranduil, fu Galion a
intervenire:
“L’originale la potrete trovare nella stanza in cui
hai soggiornato, sotto il
letto. Proprio dove mi hai detto di nasconderla!”.
Celeborn
vide davanti a sé il Lothlòrien, Galadriel che lo
aspettava sorridente e la sua
piccola Celebrian. Non c’era niente da dire, niente da
aggiungere. Alla fine i
suoi piani gli si erano ritorti contro.
Thranduil
aveva ancora una domanda: “Adesso ti chiedo, Celeborn.
Dov’è mia moglie?!”.
“E’
stato
Fidelhion…”, disse tentando ancora una volta di
coprire le sue malefatte, poi
si voltò da Galion e tra sé pensò, no è
stato Galion, si stava per correggere quando si accorse che a
nessuno gli
avrebbe creduto, ormai lui era colpevole, colpevole di tutto.
Allargò
le braccia
per lasciarle cadere poi lungo i fianchi, a capo chino
superò lentamente
Thranduil, Elrond, raggiunse Celebrian e a mezza voce le disse:
“Perdonami”.
Celebrian
aveva già deciso di perdonarlo, era pronta ma ancora una
volta pagò la sua
ingenuità, infatti il padre le mise un braccio attorno al
collo e con la mano
libera le puntò alla gola un coltello.
Tutti
sussultarono. “Lasciala!”, urlò Elrond.
“Fatemi
passare, e non le succederà niente di male”.
“Padre,
padre, ti prego, lasciami andare! Padre!”, pianse lei
disperata, tenendosi la
pancia in un tentativo disperato di proteggere la vita che portava in
grembo.
Haldir,
Glorfindel
e Bolin si spostarono di lato, Rhiaian ne approfittò per
scappare. Nedhian era
scioccato. Celeborn si avvicinò alla porta e dopo aver dato
un bacio alla nuca
di Celebrian la buttò a terra correndo via. Celebrian
sbattè violentemente la
testa allo spigolo della porta, svenendo.
Thranduil fu
rapidissimo nel seguire Celeborn, assieme a
Galion e a Glorfindel, mentre Haldir e naturalmente Elrond rimanevano
nella
Sala per soccorrere la povera Celebrian. Bolin si guardava attorno
assolutamente sconcertato dalla rapidità con la quale si
erano svolti gli
eventi. La prima cosa che pensò fu che doveva trovare
Rhiaian.
Il vento
batteva forte sugli alberi del Lothlòrien facendo cadere
foglie dorate sul
fiume. Galadriel le osservava tristemente, sembravano anime perse nella
strada
verso Valinor. Il porto sicuro che avrebbe potuto sanare tutti i dolori
e le
ferite dell’anima, sarebbe diventato irraggiungibile per
coloro il cui cuore si
era fatto corrompere.
Lo Specchio
la chiamò. Lei prese la brocca e dopo averla riempita
d’acqua la verso nello
Specchio. Sapeva già cosa voleva conoscere, voleva la
verità su Celeborn e
voleva notizie della sua Celebrian.
Guardò
dentro e vide dolore, tanto dolore e disperazione. Galadriel cadde a
terra e
coprendosi le mani pianse tutte le lacrime che aveva.
Lentamente le
foglie dorate coprirono tutto lo Specchio.
Celeborn fu
rapidissimo e arrivato al portone tirò la maniglia verso
sé, ma cadde all’indietro.
Il portone era chiuso. “Com’è
possibile?”.
Galion, che
era stato il più veloce a raggiungerlo, gli rispose:
“Solo il legittimo Re può
aprirlo o sigillarlo”.
“Perché
mi
hai tradito, Galion? Ti avrei dato un terzo di Boscoverde, te lo avevo
promesso”.
“Ci
siamo
spinti troppo in là. Niente vale tanto quanto una vita, e
quante ne abbiamo
sacrificato noi?”, domandò l’elfo.
Celeborn era
furioso: “Non stavamo prendendo niente che non ci spettasse,
guarda quanto è
grande Boscoverde! Perché deve stare interamente sotto il
potere di uno solo?!”.
Intanto
Thranduil arrivò zoppicando affiancato da Glorfindel.
“Stai delirando,
Celeborn. Anche tu hai un regno!”.
“Io
voglio
il potere! Come hai fatto a chiudere questo dannato
portone?”, gridò
rabbiosamente, mentre guardava le mani di Thranduil.
Thranduil
capì subito cosa cercava il cugino. “Non ho nessun
anello, nessun oggetto del
potere. Gli elfi di Boscoverde mi hanno scelto, la foresta mi ha
scelto, il mio
potere sta nel mio sangue”.
“Bene”,
sibilò Celeborn, “Allora te lo toglierò
fuori”, e gli si lanciò addosso con lo
stesso coltello con cui aveva minacciato la figlia.
Thranduil
fece un passo indietro per scansare la minaccia ma era ancora debole e
le gambe
non lo ressero, ma fortunatamente Glorfindel gli era vicino e lo tenne
su.
Nello stesso
tempo Galion si mise in mezzo tenendo il polso nel quale Celeborn aveva
l’arma.
Allora spinto dalla rabbia per il tradimento di Galion e da una forza
incredibile che non pensava di avere, Celeborn si liberò
della presa del
complice e con un colpo netto lo pugnalò al petto.
Una volta
aiutato Thranduil a stare seduto per terra, Glorfindel si
gettò su Celeborn e
lo disarmò.
Thranduil si
avvicinò a Galion. Il vecchio amico di suo padre,
l’elfo con il quale aveva
trascorso gran parte della sua infanzia e che lo aveva aiutato a
crescere,
stava morendo.
Le lacrime
riempirono gli occhi del Re, era stanco, dolorante e provato da giorni
e giorni
di sofferenza, sapeva che Galion aveva ucciso sua moglie, ma non poteva
fare a
meno di provare dolore nel vederlo morire.
“Non
… non
pian..gere, mio Re. No..n meri…to le tu..e
la…la…crime”.
Thranduil
cercò di aprirgli la camicia per vedere quanto grave fosse
la ferita.“Chiamate
Elrond! Oh, Galion. Perché? Perché tutto
questo?”, pianse Thranduil.
Galion
respirava a fatica. “Io.. pensavo… poi
… mi è sfuggi…to di ma..no.
Tu…sara..i
un bu…on Re”.
“Non
mi
interessa! Non mi è mai interessato!”,
continuò a piangere il Re.
Galion
cominciò a tossire sempre più forte, il sangue
gli colava ai lati della bocca. “No,
ba…sta …”, disse spostando la mano di
Thranduil dal suo petto. “E’ giu…sto
co…sì”.
“Galion,
no!
Resisti, devi reagire…”.
“No…
Cel..orn cono…sce un mo…do per usci..re non
vis..visto. St…ai attento”.
“Aspetta,
aspetta ancora. Forse Elrond può
…Elrond!”, urlò Thranduil.
Galion non
credeva di meritarsi il perdono e la compassione di Thranduil, era
troppo
grande il male che gli aveva inflitto aiutando Celeborn a portargli via
il padre
e poi uccidendogli la moglie, eppure Thranduil era lì, che
gli reggeva la testa
e gridava perché un guaritore venisse a salvarlo.
Quanto si
vergognava di quel che aveva fatto, ma non si poteva tornare indietro e
così,
convinto di non meritare la compassione di nessuno e in special modo
del suo
Re, si coprì il viso con le mani ed emise gli ultimi rantoli.
Le sue mani
scivolarono
piano sul viso
coprendolo di sangue e rendendolo
quasi irriconoscibile. Le lacrime di Thranduil scesero copiose e senza
vergogna. Quando dopo pochi minuti alzò lo sguardo vide che
Elrond era giunto,
al suo fianco c’era Celebrian con una garza in testa e Haldir
che la
sorreggeva.
“Ecco”,
disse Elrond, “che il destino si compie svelandoci
ciò che non capiamo. Questo
è l’elfo della visione. L’elfo dai
capelli neri coperto di sangue”.
“Dovremmo
spostarlo, dove possiamo sistemarlo?”, domandò
Haldir.
“Penso
che le
stanze della guarigione siano la soluzione migliore”,
affermò Thranduil.
“Li
accompagno io”, disse con voce tremante Nedhian che aveva
seguito non visto gli
altri.
Thranduil lo
osservò attentamente, era dispiaciuto per il giovane,
credeva di conoscere
Galion e invece si era trovato di fronte un mostro. Avrebbe dovuto
parlare con
questo ragazzo, spiegargli tutto, anche se ciò che sapeva
era davvero poco, ma
forse sarebbe servito a lenire la sua anima tormentata.
Poi Elrond
realizzò che mancava qualcuno all’appello.
“Dove si trova Celeborn?”.
“Ho
sentito
che Glorfindel lo portava con sé per prendere la
spada”, disse Thranduil e poi
rivolgendo lo sguardo a Nedhian gli chiese se sapeva dove aveva
alloggiato l’elfo.
“Nella
stanza degli ospiti”, fu la risposta.
“Chiaramente”,
constatò Thranduil alzandosi faticosamente.
“Aspetta,
verrò con te”, disse Elrond “Non sei
nella condizione di andare da solo”.
Thranduil
non si oppose, si sentiva davvero stanco, e finché non
avrebbe trovato Legolas
non si sarebbe sentito meglio. Procedettero più in fretta
che potevano, stavano
arrivando quando videro un nano, Rhiaian , scappare seguito da un altro
nano,
Bolin.
I nani erano
usciti dalla stanza degli ospiti e perciò i due elfi
affrettarono il passo
ancora di più. Dentro la stanza trovarono Glorfindel
svenuto, nel collo
potevano vedere un piccolo foro, che al tatto sembrava essere
ghiacciato.
“Cosa
può
essergli accaduto?”, chiese Thranduil.
“Non
lo so”,
rispose Elrond “ma è ancora vivo”, disse
sentendogli le pulsazioni del cuore.
Thranduil si
passò le mani sulla fronte. “Dove può
essere andato Celeborn?”.
Elrond
sistemò un cuscino sotto la testa di Glorfindel, non aveva
idea di dove poteva
essere andato Celeborn. “Fammi pensare. Quali erano i suoi
progetti?”.
“Conquistare
Boscoverde!”, esclamò spazientito Thranduil.
“Voleva uccidere me e …”.
La realizzazione
di ciò che aveva in mente Celeborn gelò i due
elfi, che però assieme dissero:
“Legolas!”.
“Vieni
con
me. Dobbiamo raggiungere le prigioni in fretta”,
ordinò Thranduil dirigendosi
verso la sua stanza.
“L’uscita
è
dall’altra parte”, gli fece notare Elrond.
“Elrond”,
disse Thranduil fermandosi e mettendo le sue mani sulle spalle
dell’amico. “Quello
che ti sto per mostrare è un segreto che solo io e Legolas
conosciamo, confido
che tu sappia mantenere un segreto quando è di grande
importanza”.
“Assolutamente”,
rispose Elrond.
E
così i due
elfi attraversarono il passaggio segreto che li portò
direttamente all’esterno
della fortezza.
Salve a
tutti,
pensavo che
sarei riuscita ad andare avanti di più con la storia, ma
niente da fare. Comunque
non potete dire che i fatti non stanno arrivando alla loro naturale
conclusione. Io domani ho un esame di Interpretazione tedesca,
perciò non
riesco a scrivere di più. Mi raccomando, accendete una
candelina per me,
pregate i Valar o chi preferite…, e sperate che superi
l’esame altrimenti non
avrò tempo di scrivere nessun Sequel… Aiuto!!!!!
Ancora una
volta attendo le vostre recensioni. Grazie a tutti.
Baci, Alida