Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: alida    21/09/2014    1 recensioni
Si parla di elfi, ma anche di nani. Del viaggio e degli imprevisti che Thranduil dovrà affrontare per difendere la sua famiglia, di come la storia di uno sia collegata a quella di tutti. La ff è scritta per puro divertimento, non ha scopo di lucro. I personaggi appartengono a J.R.R. Tolkien.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Celeborn, Elrond, Thranduil
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Galion spinse il nano in avanti e passando accanto a Gil-galad udì le parole che aveva aspettato da giorni. “Procedi come organizzato”.

Cap 17

“Neomat non sarà contento!”, continuava a ripetere Rhiaian a se stesso, mentre procedeva nella foresta.

Galion lo aveva mandato via, perché a quanto diceva, Celeborn, colui per il quale avevano fabbricato la spada, non aveva intenzione di pagare il tanto richiesto. L’elfo, avaro, si sarebbe tenuto per sé le gemme incastonate nella spada.

Tuttavia Neomat non era il nano migliore di Moria e aveva un pessimo temperamento. Celeborn non lo sapeva ma sarebbero giunti giorni in cui avrebbe pregato i Valar di non aver mai avuto a che fare con un nano come lui.

Appena giunto a Moria Rhiaian gli avrebbe raccontato tutto e gli avrebbe anche spifferato del passaggio segreto. Oh, sì che lo avrebbe fatto. “Si pentiranno di avermi mandato via, e di non aver mantenuto la parola. Questi elfi la pagheranno”, continuava a ripetere.

Pioveva, ancora, ma lui non si sarebbe fermato. Rhiaian si guardava attorno, la pioggia produceva mille rumori sospetti.

Sentì dei cavalli nelle vicinanze e non ne fu contento, non erano animali adatti a un nano, neanche per un passaggio. Il terreno era fangoso, doveva aver piovuto davvero tanto mentre lui era stato nella comoda stanza degli elfi.

Camminava da quasi un’ora, l’acqua gli stava inzuppando i vestiti, e il freddo penetrava nelle ossa. Con un pizzico di nostalgia cominciò a pensare alle fornaci nelle quali aveva prestato servizio, che bel calduccio che c’era là, finanche troppo alle volte, ma sempre meglio del freddo.

“Ci vorrebbe un po’ di fuoco anche qua”, disse con un ghigno malvagio.

Un lampo fece la sua comparsa improvvisa e dopo alcuni istanti un tuono violentissimo scoppiò nel cielo. “Ah!”, gridò il nano, “maledetta pioggia!”.

L’urlo però attirò l’attenzione di qualcuno che, ingenuamente, credeva di aver ritrovato un amico.

“Rhiaian!”.

Il nano sentì chiamare il suo nome, ma non essendo pronto a dar peso a ciò che aveva sentito non riconobbe colui a cui apparteneva la voce finché non si trovò davanti niente di meno che Bolin!

“Vieni, Rhiaian! Da questa parte, siamo tutti qui”, lo spronò Bolin mentre lo abbracciava. “Dove sono gli altri?”.

Intanto Haldir e Glorfindel che avevano sentito Bolin parlare con qualcuno raggiunsero il nano.

“Bolin! Con chi sei? Sarebbe meglio se a questo punto non ci allontanassimo troppo l’un dall’altro” gli disse Haldir.

“Sono con un amico”, rispose Bolin. “Vieni, ti presento a tutti gli altri”, disse poi rivolgendosi a Rhiaian.

“Non fa niente”, affermò Rhiaian, “Grazie dell’invito Bolin, ma devo andare!”.

Bolin però sembrò non capire l’antifona. “Dai, su, indovina con chi sono? Ti ricordi l’elfo che incontrammo una volta attraversato l’Anduin? C’è anche lui”.

“Ci segua”, disse Glorfindel con voce autorevole, “Non siamo lontani, saranno solo una cinquantina di metri”. Rhiaian non era come Bolin, dava l’aria di essere inaffidabile.

Haldir fece cenno di sistemarsi meglio la faretra sulle spalle, e Rhiaian alla vista dei due elfi, più che dell’amico, decise di assecondarli. “Va bene, allora fatemi strada”.

Così poco dopo raggiunsero gli altri, che avevano sistemato tutta la roba sui cavalli ed erano pronti a muoversi per raggiungere la fortezza.

“Glorfindel, ci sono problemi?”, domandò Elrond.

“No, Elrond. Non abbiamo incontrato nessun ostacolo, possiamo andare avanti per almeno mezzora a piedi senza nessun problema”, rispose l’elfo biondo.

“Ma indovinate chi abbiamo incontrato nella foresta? Un amico!”, disse allegramente Bolin.

Rhiaian si fece avanti, salutò e guardò ad uno ad uno gli elfi che gli stavano attorno. Quando i suoi occhi caddero su Thranduil, gli sembrò di riconoscere in lui l’elfo che avevano catturato e legato e istintivamente si irrigidì.

“Che c’è? Sembra che lei abbia visto un Nazgul!”, disse Glorfindel.

“No, non è niente”, disse brevemente Rhiaian col volto scuro.

Anche Thranduil si irrigidì sul posto, perché sebbene non fosse riuscito a vedere in faccia i suoi sequestratori, li aveva sentiti parlare e anche se non era stato molto lucido era sicuro di riconoscerne la voce.

“Thranduil, tutto bene?”, domandò Bolin.

Thranduil prese fiato. “Credo di aver già avuto modo di conoscere il tuo amico. Non è vero?”, domandò egli rivolgendosi a Rhiaian.

“Non credo”, fu la risposta “Forse mi confonde con qualcun altro”.

Thranduil però era sicuro del fatto suo e più lo sentiva parlare più era sicuro. “Vorrei sapere come mai si trova qui. E’ alquanto inusuale che un nano attraversi Boscoverde da solo”.

“Thranduil!”, lo riprese Bolin non capendo perché l’elfo fosse così scortese.

“Lascia stare, Bolin. Forse il tuo amico ha le sue ragioni per essere diffidente”, disse Rhiaian. “Comunque, sono qui perché ero stato invitato dal Re di Boscoverde”, disse con un sorriso compiaciuto, ben sapendo che questo avrebbe potuto irritare qualsiasi elfo fedele al precedente re.

“Non ricordo che mio padre abbia mai invitato un nano a Boscoverde, né tanto meno l’ho fatto io”, ribatté Thranduil pieno di rabbia “Chi sarebbe pertanto l’elfo che l’ha invitata? Chi si è appropriato di questo titolo?”.

Rhiaian assunse il volto più stupito e innocente che poté. “Re Celeborn, naturalmente!”.

Tuoni e lampi si abbatterono improvvisamente e con violenza sulla foresta. “Come osa?”, urlò Thranduil. “Con che coraggio assume questo titolo?!”, continuò a urlare.

Rhiaian era soddisfatto. Tutti potevano vedere sul suo viso la sua malizia. Thranduil avanzò verso il nano, ma la gamba lo tradì ancora una volta e questa volta fu Elrond a impedire che cadesse al suolo. Intanto la pioggia si fece nuovamente forte. “Io ti riconosco!”, urlò Thranduil, “Ho riconosciuto la tua voce! Tu mi hai tenuto prigioniero legandomi con una corda nella foresta!”.

Velocemente Glorfindel e Haldir furono ai fianchi di Rhiaian, uno per lato. Il nano cercò di fuggire ma Haldir gli puntò una freccia in faccia e Glorfindel sfoderò la sua spada. “Non ti muovere, o sarà peggio per te”.

“Rhiaian, tu hai davvero legato Thranduil? Ma perché? Non lo conosci neanche!”.

Rhiaian non aveva niente da perdere. Volevano la verità! Gliela avrebbe data. “Non essere sciocco, Bolin. Sai bene che ci sono interessi molto grandi dietro Boscoverde”.

“Io? Cosa dovrei sapere?”, domandò sconvolto Bolin.

“Oh, Valar!”, esclamò Rhiaian rendendosi conto fino in fondo quanto ingenuo fosse il figliastro di Neomat, “Tu davvero non avevi capito che io e tuo padre eravamo in affari?”.

Bolin era stupefatto, quanto era stato stupido e sempliciotto. “Io pensavo che …, tu dovessi andare a Pontelagolungo!”.

“No, era solo una scusa per te e per tutti gli altri! Mi dovevo fermare qui a Boscoverde fin dall’inizio. Poi però, meraviglia delle meraviglie, abbiamo visto un elfo nei boschi e quest’elfo portava con sé … indovina cosa? Una spada! Esattamente uguale a quella che io e tuo padre falsificammo. O era il falso o l’originale. Ma come fare per averla? Non c’era modo. Se non ché l’elfo che possedeva la spada aveva con sé anche qualcos’altro, o meglio qualcun altro: un elfo biondo legato ad un cavallo. Non ne aveva molta cura, anzi direi che si era divertito molto con lui, viste le sue condizioni!”. Rhiaian rise e rivolgendosi a Thranduil continuò: “Eri un ammasso di sangue e fango, ma all’altro elfo non importava niente. Comunque fece un errore, non ti legò e così, evidentemente riuscisti a scappare. Io e i miei amici ce ne andammo per ritrovarti poi svenuto e a quel punto decidemmo di tenerti, perché magari avremmo potuto scambiarti con la spada qualora l’altro elfo fosse venuto a cercarti. Ma … non venne e i miei amici se ne andarono lasciandomi solo con te, e dopo un po’ me ne andai anch’io”.

“Noi però lo abbiamo trovato legato e ferito”, disse Elrond accusando implicitamente Rhiaian delle sofferenze inflitte a Thranduil.

Rhiaian però non ci stava. “Mi creda, era già in condizioni penose quando lo trovammo”.

“Questo non spiega perché dopo aver deciso di non usarlo più come merce di scambio, lo abbiate lasciato così, buttato per terra e legato…”.

“Ho avuto paura!”, confessò il nano. “Anche gli altri se ne andarono presi dalla paura, perché lui cominciò a farsi luce, cominciò a brillare di una luce accecante e questo, questo ci spaventò”.

Gli sguardi adesso furono tutti rivolti a Thranduil, che però non aveva molti ricordi di quel giorno, e neanche spiegazioni da dare. “Io non ricordo bene, mi ricordo solo delle voci, e tanto dolore. I polsi, le caviglie, le ginocchia, il viso, tutto era soltanto dolore, avevo sete, la gola bruciava, sentivo che mio figlio era in pericolo e poi provai un forte dolore alla testa e infine mi sono svegliato con voi”.

Elrond tenne Thranduil. “Non affaticarti. Ti aspetta già una prova importante. Ormai è passato, dobbiamo guardare avanti”.

Glorfindel tenne stretto Rhiaian. “Mi dispiace, messer Nano, ma non potrai tornare nelle tue terre. Appena tutto finisce dovrai comparire davanti ai giudici di Boscoverde e difenderti dall’accusa di Sequestro e tentato omicidio di Sua Maestà Re Thranduil”.

Rhiaian urlò subito. “No, aspettate. Io non sapevo che fosse il nuovo Re”.

“Questo non rende il crimine meno efferato. Nessuno ha il diritto di rapire, legare e colpire un essere vivente, tanto meno un Primo nato”.

Rhiaian stette zitto, non aveva accettato la situazione, ma pensò bene di non rendere noto il suo disappunto e scappare al momento più propizio.

Dopo aver lasciato Rhiaian nella foresta, Galion era andato a parlare con Celeborn. Il signore del Lothlòrien si era fatto un bel bagno caldo per rilassarsi e prendere delle decisioni a mente fresca. Avrebbe organizzato una nuova riunione con i consiglieri per discutere su come organizzare il rientro dei soldati dal fronte. Non che gli interessasse farlo ma doveva far capire che lui voleva sedersi sul trono e perciò doveva essere interessato a tutti gli elfi del suo regno, e questo almeno fino a quando non si sarebbe realmente seduto su quella poltrona.

“Ah, il mio regno!”, disse ad alta voce.

Toc-toc!

“Celeborn, sono Galion. Aprimi!”, ordinò bruscamente l’elfo.

Celeborn che sognava ad occhi aperti, tornò alla realtà. Aprì la porta della camera e venne spinto dentro dall’elfo, che richiudendo dietro sé, cominciò a camminare nervosamente.

“Si può sapere cosa ti prende?”.

Galion fece cenno con la mano di lasciar perder che c’erano cose più importanti a cui pensare. “E’ arrivato!”, disse in fretta continuando a camminare avanti e indietro.

“Chi è arrivato?”.

“Thranduil!”, gridò Galion.

“Abbassa la voce. Zitto, o ti sentiranno anche le talpe sotto terra!”.

Galion procedette come concordato con Gil-galad. “Non capisci. E’ troppo presto, non riusciremmo mai ad avere in mano la situazione”.

“Taci, taci. Ce la faremo. Dimmi dov’è? E’ distante?”.

“Arriverà all’incirca tra un’ora”.

“Ma come hai fatto a vederlo?”, domandò Celeborn.

“Ho mandato via Rhiaian; l’ho accompagnato per un tratto di strada e da lì sono riuscito a vederlo”.

“Rhiaian è andato via? Bene, e le gemme della spada? Gliele hai consegnate?”.

“Sì, certo. Come d’accordo”, mentì Galion.

“Bene. Allora, la spada finta è sepolta, e quella vera non esiste più. Adesso possiamo stare tranquilli”.

“Ma perché non dargli le gemme prima?”.

“Dovevo prendere tempo”, rispose Celeborn,  “Adesso però, visto che sta arrivando Thranduil, è meglio non avere più la spada in mezzo ai piedi”.

“Comunque sia”, continuò, “Organizza una seduta nella sala del trono, chiama i consiglieri e spiega loro che Thranduil è venuto, ed è arrivato il momento di un confronto diretto”.

Galion assicurò che tutto sarebbe stato fatto, e che entro un’ora avrebbero messo unagrande ipoteca sul regno.

Poi se ne andò a cercare i consiglieri. Era contento di esser tornato sui suoi passi, ma ancor di più di poter agire seguendo liberamente i suoi pensieri. Spesso quando era con Celeborn si sentiva quasi stregato, non riusciva ad opporsi a quell’elfo. Diceva cose belle e lusinghiere, salvo poi uccidere chi gli stava in mezzo senza alcun problema.

Thranduil si stava dirigendo verso la fortezza, Galion sistemava tutto dall’interno e il nano Rhiaian era stato mandato via. A questo punto Gil-galad aveva la sua parte da svolgere, ovvero andare alle prigioni e far uscire Mithrandir e Legolas.

Non si aspettava certo di trovare l’ingresso sbarrato da un grosso albero e parte della prigione crollata. Con molta difficoltà riuscì a districarsi tra i fitti rami e ad entrare. Non c’era neanche un filo di luce e così avanzò con una mano sul muro che lo aiutava ad orientarsi.

Aveva i sensi in allerta per timore di essere colpito alle spalle da qualcuno, ma grazie ai Valar riuscì a vedere una piccola luce e si diresse velocemente verso quella, ma nel tragitto cadde. Subito la luce si diffuse con maggior intensità nella prigione.

“Chi sei?”.

“Mithrandir, sei tu?”, domandò rialzandosi e riconoscendo la voce.

Mithrandir, che teneva in mano il bastone con la luce del fuoco, annuì. “Sì, c’è stato un crollo poco fa”.

“Lo vedo”, rispose Gil-galad, “Dov’è Legolas?”, chiese subito.

Mithrandir sospirò e indicando un ammasso di terra, rami e fango disse. “Oltre questo piccolo ostacolo”.

“Non riusciremmo mai a passare da questa parte, vieni. Dobbiamo uscire. Forse si è creata un’apertura esternamente”.

Mithrandir non sembrava convinto. “Se Legolas è intrappolato là, dovremmo raggiungerlo subito”.

“Certo, ma se proviamo a smuovere questo ostacolo, rimarremmo intrappolati anche noi e non saremo di aiuto a nessuno”.

“Va bene, andiamo”, cedette infine l’Istari.

Così i due uscirono e percorrendo la prigione esternamente, dopo circa trecento metri trovarono Legolas. L’elfling però non era da solo, stava abbracciando qualcuno.

Quando Gil-galad si avvicinò, Legolas rimase tranquillo, non diede alcun segno di sentirsi a disagio, semplicemente teneva in braccio qualcuno dondolandosi avanti e indietro. Il signore di Imladris non impiegò molto tempo a capire che quello che l’elfling stava stringendo a sé era un cadavere. Con delicatezza spostò i capelli dal volto del poveretto e gli occhi gli si riempirono di lacrime quando riconobbe Wisterian.

Come sarebbe riuscito il giovane Legolas a superare anche questo? Pensò a Elrond che sicuramente lo aveva pianto per morto a Dol-guldur, pensò al dolore che gli aveva provocato, e non poté fare a meno di mettere a posto i capelli di Legolas, che la pioggia gli aveva attaccato al viso, pensando di star mettendo in ordine lunghi capelli neri.

“Legolas, dobbiamo andare via”.

Legolas lo guardò e senza dire niente si alzò cercando di sollevare anche il corpo della madre, ma chiaramente era troppo pesante.

“Forse potremmo lasciarla qui”, propose speranzoso, ma Legolas in silenzio  continuò nel suo tentativo.

“Arriva qualcuno”, disse Mithrandir sentendo gli zoccoli di un cavallo.

I tre non si potevano nascondere, perciò Mithrandir e Gil-galad si disposero a scudo davanti a Legolas e alla povera Wisterian. Lentamente avanzò un cavallo solitario, uno di quelli fuggiti dalle stalle.

“E’ solo un cavallo”, disse Gil-galad.

“Non un cavallo qualsiasi”, replicò Mithrandir memore della presentazione fatagli da Legolas, “E’ il cavallo di Thranduil. Lo aveva con sé Celeborn. Chissà come mai è qui?”.

“Alcuni cavalli sono fuggiti in seguito al crollo di una parte delle stalle”.

“Sembra che Boscoverde crolli in mancanza del legittimo Re”, notò Mithrandir, “Chi mi ha mandato qui, sapeva il fatto suo. E del resto”, specificò alzando un sopracciglio, “non ne avevo il minimo dubbio”.

Lùth avanzò fino a Legolas e lo annusò, poi dopo aver sentito l’odore di Wisterian nitrì di dolore, si chinò sulle zampe anteriori e con l’aiuto dei due elfi adulti fece salire Legolas e il corpo rigido di Wisterian.

“Cerchiamo un posto sicuro dove attendere la fine di quest’incubo”, disse Gil-galad.

“Pensavo volessi affrontare Celeborn assieme a Thranduil”.

“Quelle erano le intenzioni, ma forse Thranduil, considerato la situazione, sarebbe più contento se stessi affianco a Legolas”.

“Ci sono io con il ragazzo”, sbottò Mithrandir bonariamente e poi con voce greve aggiunse: “Lui non è Elrond”.

Gl-galad scattò di colpo. “Lo vedo bene”.

“Sei ancora adirato con me? Sai bene che era l’unica cosa da fare”, affermò l’Istari.

Gil-galad non aveva bisogno di ulteriori spiegazioni, sapeva a cosa si riferiva l’amico. “No, non sono mai stato adirato con te. Ero sempre e sono ancora adirato con me stesso. Era l’unica cosa da fare perché era l’unica che ci fosse venuta in mente. Forse avremmo dovuto continuare a pensare, e magari ci sarebbe venuta in mente un’idea migliore”.

“Forse hai ragione”.

Gil-galad si tolse il mantello di dosso e lo avvolse attorno a Legolas per ripararlo almeno un pochino. “Ho senz’altro ragione. E con Legolas  ci rimarrò anch’io”.

Mithrandir sorrise, questa era una battaglia che non poteva vincere. I Valar avevano dato una grande benedizione a Gil-galad dandogli Elrond, e a Thranduil dandogli Legolas, ma a lui l’avevano benedetto ancor di più non dandogli nessuno.

---------------------------------------------------

Non potevano andare molto veloci, perché non c’erano cavalli a disposizione per tutti, però il folto gruppo di elfi e nani raggiunse comunque la fortezza in breve tempo. Celebrian era stata silenziosa al fianco di Elrond per tutto il viaggio, finalmente avrebbe visto suo padre e avrebbe potuto chiedergli spiegazioni.

Ma da dove cominciare? Dalle menzogne, dalla manomissione della spada, dal tentato omicidio di Thranduil e Gil-galad, dall’omicidio seppur fortuito dell’elfo a Dol-guldur, dalle torture inflitte a Thranduil… erano talmente tante le cose che aveva da chiedere che non riusciva a realizzare fin dove il maligno era riuscito a insinuarsi in suo padre.

Forse c’era ancora una piccola speranza che Celeborn, di fronte a lei, a sua figlia, tornasse sui suoi passi, si prendesse le sue responsabilità e affrontasse con lei e sua madre la vita.

Celebrian era sicura, se suo padre avesse chiesto a sua madre di seguirlo lontano, lei ci sarebbe andata. E se avesse chiesto a lei di perdonarlo, lei lo avrebbe perdonato.

Diversi erano i pensieri di Elrond, che non era disposto a perdonare più di tanto chi aveva cercato di uccidere suo padre, e ucciso Wisterian. Anche Haldir non era pronto al perdono, si sarebbe aspettato molto di più dal Signore del Lothlòrien, un errore era perdonabile ma un piano così diabolico era tutta un’altra storia.

Bolin rifletteva su Neomat e Rhiaian, era stato cieco oltre misura e la sua stupidità aveva causato tanto dolore, troppo, anche a persone innocenti. Si vergognava di se stesso e non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di vivere a Boscoverde,  guardare in faccia Thranduil, che aveva superato tante prove con coraggio, e vivere nel suo regno.

Thranduil pensava soltanto di fare in fretta e di mettere una pietra su tutta questa faccenda per tornare ad abbracciare suo figlio e andare avanti. Camminavano sotto la pioggia incessante, sicuramente nei sentieri battuti da Celeborn, poiché gli alberi cominciavano ad avvizzirsi e le foglie a cadere gialle, quando avrebbero dovuto ancora essere di un verde brillante.

Ecco che dunque apparve la strada di grosse pietre che conduceva al portone della fortezza. All’ingresso non c’era nessuno e il gruppo entrò. Tutti si guardarono attorno, Thranduil era sopraffatto dall’emozione. In diverse occasioni aveva davvero creduto di non rivedere mai più la sua casa. Quando furono tutti dentro, chiuse il portone di persona senza dire una sola parola.

Rhiaian camminava tranquillo, sapeva bene che la fortezza era grande e ci si poteva perdere al suo interno, perciò era meglio scappare subito che aspettare ancora. Arrivati alla fine del lungo corridoio, giusto prima di voltare l’angolo diede un calcio agli stinchi di Glorfindel, che urlò di sorpresa e dolore, e piccolo com’era corse verso il portone.

Glorfindel si lanciò per recuperarlo, gli sarebbero bastati pochi passi, ma Thranduil lo fermò posandogli una mano sulla spalla. “Lascialo stare, non può andare da nessuna parte. Il cancello è chiuso e a meno che non lo apra io non potrà farlo nessuno”.

Difatti come Rhiaian raggiunse il portone tirò verso se la maniglia ma non accadde niente, provò verso l’esterno ma ugualmente non ci fu nessun movimento. Il portone era sigillato, e per fare questo era bastato che Thranduil in persona lo chiudesse. Davvero lui era il nuovo Re.

Il gruppo proseguì e questa volta Glorfindel tenne gli occhi aperti. Dopo poco, incrociarono Nedhian che immediatamente si chinò di fronte al suo re. “Mio Re! Aspettavamo così tanto il suo arrivo, siamo felici che infine siate giunto a casa sano e salvo”.

Thranduil lo ringrazio e chiese se per caso sapeva dove si trovava il signore del Lothlòrien Celeborn.

Nedhian un po’ in imbarazzò confessò: “Si trova nella Sala del Trono, la sta aspettando. Ha chiamato in riunione i consiglieri e vuole un confronto diretto con lei davanti a tutti”.

Il sangue ribollì nelle vene di Thranduil. Celeborn avrebbe avuto ciò che desiderava di più, nella Sala del suo Trono, gli avrebbe dimostrato cosa significava essere Re di Boscoverde.

“Cosa mi devo aspettare dai miei sudditi, Nedhian?”, chiese con voce sicura ma sguardo stanco Thranduil.

Nedhian tenne lo sguardo sollevato e immediatamente, senza nessun dubbio, rispose: “Fedeltà, mio Signore”.

Glorfindel si sentì orgoglioso al posto di Thranduil. Lui era sempre stato un guerriero, alle volte sotto il comando di qualcuno, altre volte al comando di tanti e aveva imparato a riconoscere l’amore, il rispetto e la devozione verso qualcuno o un’ideale, e Nedhian possedeva tutte queste qualità nei confronti del suo Re.

Giunti alla Sala del Trono, Nedhian alzò il braccio per bussare, ma Thranduil glielo tenne. “Non bussare quando entri a casa tua. Apri la porta e avanza sicuro perché questo è un tuo diritto. Non siamo ospiti qui”.

Nedhian abbassò il capo. “Chiedo scusa, mio Re”.

Nedhian aprì la porta  e fece entrare il gruppo inzuppato che sgocciolava sul pavimento. I consiglieri erano seduti al tavolo tondo, Galion si trovava al fianco di Celeborn.

I pensieri di Celeborn correvano frenetici. Vide Thranduil entrare, era zuppo d’acqua ma non indossava i vestiti logori con cui l’aveva lasciato, aveva una camicia verde e dei leggins marroni con degli stivali a mezza gamba. Non potè fare a meno di notare che il passo dell’elfo non era ancora sicuro, sicuramente non era ancora guarito del tutto, anche se era in forma più che presentabile.

Rimase scioccato quando si accorse che Thranduil non era da solo, c’erano altre persone con lui. Al suo fianco poteva sentire Galion bloccare sul suo viso un mezzo sorriso. Cosa stava accadendo? Perché Galion non gli aveva parlato di tutti gli altri? E chi erano poi?

Per primo vide Elrond, il maledetto mezzelfo, il maledetto mezzelfo “orfano”. Sì, almeno una cosa era andata a buon fine, pensò soddisfatto.

Poi vide Haldir, e capì che Galadriel aveva intuito qualcosa, cominciò a respirare più pesantemente, non voleva un confronto con la moglie, né con qualcuno di così vicino a lei. Al fianco di Haldir stava Glorfindel, il grande guerriero. In pratica c’erano i rappresentanti dei tre Regni elfici e un guerriero.

Poi vide anche due nani, e subito ne riconobbe uno:  Rhiaian. In quel momento capì che Galion stava giocando sporco con lui, eppure aveva collaborato per la spada, ucciso Wisterian e cercato di eliminare Legolas. Cosa pensava di fare? Non si poteva essere su due schieramenti contemporaneamente. O si stava da una parte o dall’altra.

E infine  la goccia che fece traboccare il vaso e che lo sconvolse oltremodo: Celebrian. Il sangue gli andò alla testa, era completamente scioccato.

“Figlia mia”, disse prima ancora che gli altri avessero modo di parlare “Cosa ci fai qui? Perché non sei nel Lothlòrien, al sicuro tra le braccia di tua madre?”.

Celebrian non si aspettava questa dimostrazione d’amore. Suo padre era preoccupato per lei. “Padre, ho lasciato il nostro regno per congiungermi a Elrond”.

Celeborn lanciò uno sguardo carico d’odio al genero: “Tu! Maledetto! Hai lasciato che mia figlia abbandonasse la sua casa sicura  e vivesse nel pericolo per soddisfare la tua bramosità!”.

Elrond fece un passo avanti e con calma rispose: “Non ho mai chiesto a Celebrian di agire in tal maniera. E certamente non posso comandare i suoi desideri né le sue azioni. Io venivo a cercare Thranduil assieme a Haldir e il nostro amico Bolin” disse indicando il nano “quando lei ci ha raggiunto e per non tornare indietro da sola, ha deciso di restare con noi”.

“Figlia mia, perché…”…

“Basta!”, ordinò Thranduil richiamando l’attenzione, “arriverà anche il momento dei ricongiungimenti familiari, ma ahimè, non per tutti. Vero, Celeborn?”.

Celeborn non si fece intimidire, sapeva che i consiglieri avevano gli occhi puntati su di lui e voleva giocare le sue carte fino in fondo.

Intanto Bolin si avvicinò più che poté a Elrond e a bassa voce disse: “L’elfo. Quello vicino a Celeborn, è lui “Il Male””.

Elrond, come del resto tutti gli altri elfi nella sala, sentirono quelle parole. Alcuni si chiesero perché Galion fosse stato definito come “Il Male”, ma tutti gli altri già lo sapevano. Era dunque Galion ad avere contattato Neomat a Moria e aver gestito l’affare della spada.

“Suvvia Thranduil, non mi pare il caso che adesso ti disperi per non poterti ricongiungerti ai tuoi cari, quando tu, in prima persona hai agito perché ciò fosse possibile”.

I consiglieri erano attentissimi, questo era il confronto tanto atteso.

“Come ti permetti di muovere queste accuse nei miei confronti?”, urlò il giovane Re.

“Ho visto con quanto desiderio guardavi la spada di tuo padre, Thranduil. E ti ho visto maneggiare attorno  a quella prima della guerra. E guarda caso, tuo padre è morto proprio tenendo in mano quella spada. Quella che mai l’aveva tradito prima, come invece hai fatto tu!”.

“Io non ho mai tradito mio padre”, disse avanzando verso il tavolo tondo dove erano seduti i consiglieri. La gamba cominciò a pulsargli, aveva camminato molto, e anche andare a cavallo non gli aveva giovato poi tanto. Quel continuo rimbalzare aveva pressato molto sulla colonna vertebrale e sulle anche, e adesso che la rabbia e la tensione stavano uscendo fuori cominciava a sentirsi svuotato di tutto.

“Io non ho manomesso la sua spada, sei stato tu…tu che ne hai ordinato una coppia di minor fattura per poi scambiarla con quella vera”.

“Sono bugie!”, urlò Celeborn.

“Bugie! E’ una bugia anche che tu abbia cercato di uccidere Gil-galad, il Signore di Imladris?”.

Celeborn ebbe un tentennamento. Cosa significava “cercato di uccidere”? Era sicuro che Gil-galad fosse morto. I consiglieri bisbigliavano, tutti conoscevano Gil-galad, e l’uccisione di un elfo per mano di un altro elfo era cosa inaudita.

Celebrian cominciò a piangere. “Non piangere amore mio, non è vero niente, figlia mia”.

“Certo che è vero! Ed è anche vero che mi hai tenuto prigioniero, e che stai tenendo prigioniero mio figlio Legolas”.

La Sala del trono divenne muta. Nessuno doveva far male a un elfling, per nessun motivo. I consiglieri guardarono Celeborn con sospetto, dimenticandosi delle accuse rivolte a Thranduil.

Celeborn si sentì in trappola. “Sai usare bene le parole, ma le parole tali sono e tali rimangono. Dov’è la spada che dici io abbia fatto riprodurre, dov’è la spada originale?”.

Già, senza spade non c’erano prove solo un’infinità di sospetti.

Elrond, da sotto il mantello prese la spada che aveva in consegna e la porse a Thranduil.

Questo la sfilò dalla protezione e la posò sul tavolo. “Ecco qua la spada che hai fatto duplicare”, dicendo questo tolse le gemme dall’incavo mostrando le rune incise, “Questa era la garanzia del nano presso cui ti sei servito per la riproduzione”.

A questo punto senza riuscire a guardare in faccia Thranduil, fu Galion a intervenire: “L’originale la potrete trovare nella stanza in cui hai soggiornato, sotto il letto. Proprio dove mi hai detto di nasconderla!”.

Celeborn vide davanti a sé il Lothlòrien, Galadriel che lo aspettava sorridente e la sua piccola Celebrian. Non c’era niente da dire, niente da aggiungere. Alla fine i suoi piani gli si erano ritorti contro.

Thranduil aveva ancora una domanda: “Adesso ti chiedo, Celeborn. Dov’è mia moglie?!”.

“E’ stato Fidelhion…”, disse tentando ancora una volta di coprire le sue malefatte, poi si voltò da Galion e tra sé pensò, no è stato Galion, si stava per correggere quando si accorse che a nessuno gli avrebbe creduto, ormai lui era colpevole, colpevole di tutto.

Allargò le braccia per lasciarle cadere poi lungo i fianchi, a capo chino superò lentamente Thranduil, Elrond, raggiunse Celebrian e a mezza voce le disse: “Perdonami”.

Celebrian aveva già deciso di perdonarlo, era pronta ma ancora una volta pagò la sua ingenuità, infatti il padre le mise un braccio attorno al collo e con la mano libera le puntò alla gola un coltello.

Tutti sussultarono. “Lasciala!”, urlò Elrond.

“Fatemi passare, e non le succederà niente di male”.

“Padre, padre, ti prego, lasciami andare! Padre!”, pianse lei disperata, tenendosi la pancia in un tentativo disperato di proteggere la vita che portava in grembo.

Haldir, Glorfindel e Bolin si spostarono di lato, Rhiaian ne approfittò per scappare. Nedhian era scioccato. Celeborn si avvicinò alla porta e dopo aver dato un bacio alla nuca di Celebrian la buttò a terra correndo via. Celebrian sbattè violentemente la testa allo spigolo della porta, svenendo.

Thranduil fu rapidissimo nel seguire Celeborn, assieme a Galion e a Glorfindel, mentre Haldir e naturalmente Elrond rimanevano nella Sala per soccorrere la povera Celebrian. Bolin si guardava attorno assolutamente sconcertato dalla rapidità con la quale si erano svolti gli eventi. La prima cosa che pensò fu che doveva trovare Rhiaian.

Il vento batteva forte sugli alberi del Lothlòrien facendo cadere foglie dorate sul fiume. Galadriel le osservava tristemente, sembravano anime perse nella strada verso Valinor. Il porto sicuro che avrebbe potuto sanare tutti i dolori e le ferite dell’anima, sarebbe diventato irraggiungibile per coloro il cui cuore si era fatto corrompere.

Lo Specchio la chiamò. Lei prese la brocca e dopo averla riempita d’acqua la verso nello Specchio. Sapeva già cosa voleva conoscere, voleva la verità su Celeborn e voleva notizie della sua Celebrian.

Guardò dentro e vide dolore, tanto dolore e disperazione. Galadriel cadde a terra e coprendosi le mani pianse tutte le lacrime che aveva.

Lentamente le foglie dorate coprirono tutto lo Specchio.

Celeborn fu rapidissimo e arrivato al portone tirò la maniglia verso sé, ma cadde all’indietro. Il portone era chiuso. “Com’è possibile?”.

Galion, che era stato il più veloce a raggiungerlo, gli rispose: “Solo il legittimo Re può aprirlo o sigillarlo”.

“Perché mi hai tradito, Galion? Ti avrei dato un terzo di Boscoverde, te lo avevo promesso”.

“Ci siamo spinti troppo in là. Niente vale tanto quanto una vita, e quante ne abbiamo sacrificato noi?”, domandò l’elfo.

Celeborn era furioso: “Non stavamo prendendo niente che non ci spettasse, guarda quanto è grande Boscoverde! Perché deve stare interamente sotto il potere di uno solo?!”.

Intanto Thranduil arrivò zoppicando affiancato da Glorfindel. “Stai delirando, Celeborn. Anche tu hai un regno!”.

“Io voglio il potere! Come hai fatto a chiudere questo dannato portone?”, gridò rabbiosamente, mentre guardava le mani di Thranduil.

Thranduil capì subito cosa cercava il cugino. “Non ho nessun anello, nessun oggetto del potere. Gli elfi di Boscoverde mi hanno scelto, la foresta mi ha scelto, il mio potere sta nel mio sangue”.

“Bene”, sibilò Celeborn, “Allora te lo toglierò fuori”, e gli si lanciò addosso con lo stesso coltello con cui aveva minacciato la figlia.

Thranduil fece un passo indietro per scansare la minaccia ma era ancora debole e le gambe non lo ressero, ma fortunatamente Glorfindel gli era vicino e lo tenne su.

Nello stesso tempo Galion si mise in mezzo tenendo il polso nel quale Celeborn aveva l’arma. Allora spinto dalla rabbia per il tradimento di Galion e da una forza incredibile che non pensava di avere, Celeborn si liberò della presa del complice e con un colpo netto lo pugnalò al petto.

Una volta aiutato Thranduil a stare seduto per terra, Glorfindel si gettò su Celeborn e lo disarmò.

Thranduil si avvicinò a Galion. Il vecchio amico di suo padre, l’elfo con il quale aveva trascorso gran parte della sua infanzia e che lo aveva aiutato a crescere, stava morendo.

Le lacrime riempirono gli occhi del Re, era stanco, dolorante e provato da giorni e giorni di sofferenza, sapeva che Galion aveva ucciso sua moglie, ma non poteva fare a meno di provare dolore nel vederlo morire.

“Non … non pian..gere, mio Re. No..n meri…to le tu..e la…la…crime”.

Thranduil cercò di aprirgli la camicia per vedere quanto grave fosse la ferita.“Chiamate Elrond! Oh, Galion. Perché? Perché tutto questo?”, pianse Thranduil.

Galion respirava a fatica. “Io.. pensavo… poi … mi è sfuggi…to di ma..no. Tu…sara..i un bu…on Re”.

“Non mi interessa! Non mi è mai interessato!”, continuò a piangere il Re.

Galion cominciò a tossire sempre più forte, il sangue gli colava ai lati della bocca. “No, ba…sta …”, disse spostando la mano di Thranduil dal suo petto. “E’ giu…sto co…sì”.

“Galion, no! Resisti, devi reagire…”.

“No… Cel..orn cono…sce un mo…do per usci..re non vis..visto. St…ai attento”.

“Aspetta, aspetta ancora. Forse Elrond può …Elrond!”, urlò Thranduil.

Galion non credeva di meritarsi il perdono e la compassione di Thranduil, era troppo grande il male che gli aveva inflitto aiutando Celeborn a portargli via il padre e poi uccidendogli la moglie, eppure Thranduil era lì, che gli reggeva la testa e gridava perché un guaritore venisse a salvarlo.

Quanto si vergognava di quel che aveva fatto, ma non si poteva tornare indietro e così, convinto di non meritare la compassione di nessuno e in special modo del suo Re, si coprì il viso con le mani ed emise gli ultimi rantoli.

Le sue mani scivolarono piano sul  viso coprendolo di sangue e rendendolo quasi irriconoscibile. Le lacrime di Thranduil scesero copiose e senza vergogna. Quando dopo pochi minuti alzò lo sguardo vide che Elrond era giunto, al suo fianco c’era Celebrian con una garza in testa e Haldir che la sorreggeva.

“Ecco”, disse Elrond, “che il destino si compie svelandoci ciò che non capiamo. Questo è l’elfo della visione. L’elfo dai capelli neri coperto di sangue”.

“Dovremmo spostarlo, dove possiamo sistemarlo?”, domandò Haldir.

“Penso che le stanze della guarigione siano la soluzione migliore”, affermò Thranduil.

“Li accompagno io”, disse con voce tremante Nedhian che aveva seguito non visto gli altri.

Thranduil lo osservò attentamente, era dispiaciuto per il giovane, credeva di conoscere Galion e invece si era trovato di fronte un mostro. Avrebbe dovuto parlare con questo ragazzo, spiegargli tutto, anche se ciò che sapeva era davvero poco, ma forse sarebbe servito a lenire la sua anima tormentata.

Poi Elrond realizzò che mancava qualcuno all’appello. “Dove si trova Celeborn?”.

“Ho sentito che Glorfindel lo portava con sé per prendere la spada”, disse Thranduil e poi rivolgendo lo sguardo a Nedhian gli chiese se sapeva dove aveva alloggiato l’elfo.

“Nella stanza degli ospiti”, fu la risposta.

“Chiaramente”, constatò Thranduil alzandosi faticosamente.

“Aspetta, verrò con te”, disse Elrond “Non sei nella condizione di andare da solo”.

Thranduil non si oppose, si sentiva davvero stanco, e finché non avrebbe trovato Legolas non si sarebbe sentito meglio. Procedettero più in fretta che potevano, stavano arrivando quando videro un nano, Rhiaian , scappare seguito da un altro nano, Bolin.

I nani erano usciti dalla stanza degli ospiti e perciò i due elfi affrettarono il passo ancora di più. Dentro la stanza trovarono Glorfindel svenuto, nel collo potevano vedere un piccolo foro, che al tatto sembrava essere ghiacciato.

“Cosa può essergli accaduto?”, chiese Thranduil.

“Non lo so”, rispose Elrond “ma è ancora vivo”, disse sentendogli le pulsazioni del cuore.

Thranduil si passò le mani sulla fronte. “Dove può essere andato Celeborn?”.

Elrond sistemò un cuscino sotto la testa di Glorfindel, non aveva idea di dove poteva essere andato Celeborn. “Fammi pensare. Quali erano i suoi progetti?”.

“Conquistare Boscoverde!”, esclamò spazientito Thranduil. “Voleva uccidere me e …”.

La realizzazione di ciò che aveva in mente Celeborn gelò i due elfi, che però assieme dissero: “Legolas!”.

“Vieni con me. Dobbiamo raggiungere le prigioni in fretta”, ordinò Thranduil dirigendosi verso la sua stanza.

“L’uscita è dall’altra parte”, gli fece notare Elrond.

“Elrond”, disse Thranduil fermandosi e mettendo le sue mani sulle spalle dell’amico. “Quello che ti sto per mostrare è un segreto che solo io e Legolas conosciamo, confido che tu sappia mantenere un segreto quando è di grande importanza”.

“Assolutamente”, rispose Elrond.

E così i due elfi attraversarono il passaggio segreto che li portò direttamente all’esterno della fortezza.

 

Salve a tutti,

pensavo che sarei riuscita ad andare avanti di più con la storia, ma niente da fare. Comunque non potete dire che i fatti non stanno arrivando alla loro naturale conclusione. Io domani ho un esame di Interpretazione tedesca, perciò non riesco a scrivere di più. Mi raccomando, accendete una candelina per me, pregate i Valar o chi preferite…, e sperate che superi l’esame altrimenti non avrò tempo di scrivere nessun Sequel… Aiuto!!!!!

Ancora una volta attendo le vostre recensioni. Grazie a tutti.

Baci, Alida

 

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: alida