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Autore: shelters    22/09/2014    3 recensioni
I'm holding on to what I haven't got.
 
(missing moment di Buzzing Strings, leggibile anche separatamente)
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Luke Hemmings
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.58

(x) 


when i close my eyes and try to sleep

 

C’era stata un’estate, anni prima, in cui aveva piovuto sempre.
America se lo ricorda perché vicino alla testiera del letto, dietro una delle spirali rigorosamente in ferro battuto, aveva tracciato una breve linea per ogni giornata bagnata e giusto le sue dita lunghe e ossute- e la sua mania strana di impugnare la penna dove la mina tocca il foglio- ci sarebbero potute arrivare.
Li ritrova così, i simboli che facevano un po’ carcere, quando l’orecchino scivola dietro il letto e lei deve spostarlo.
Sorride malamente, la mente che corre nella cronologia del tempo, e tocca con il polpastrello una tacca diversa.
Quattro linee, una quinta che taglia a metà, uniforme nelle righe storte; una penna diversa, un tratto insolito, che tremolando aggiunge SOS e un piccolo cuore, più un ovale con una linea al centro.
Agosto?

 

Il letto non è cambiato, con le caviglie di Luke che ancora escono dal piumone e il cuscino di America in bilico per metà.
Ci sono tre molle in più che scricchiolano rispetto alle tegole del pub, ma se stacchi leggermente il letto dalla parete non fanno più rumore.
Sopra il comodino c’è uno swatch di gomma, azzurro come gli occhi di Luke- per America- e come il cielo del loro ultimo viaggio in Italia- per Luke-, e le pare i secondi girino più lentamente, nonostante lei sia pienamente sveglia.
Fa caldo, troppo per il temporale che sta scendendo. Ci sono le gocce che battono a ritmo di una ballad sul balcone, la grondaia che lavora all’impazzata e America si trova ad incrociare le dita e sperare che finisca presto.
Luke occupa il lato sinistro del letto, come sempre, e ha le gambe piegate per rimanere dentro; il ciuffo ormai distrutto, il piercing sul labbro inferiore più gonfio per la notte e le mani sul ventre della mora.
America prova ad appoggiarne una sopra la sua, e nemmeno copre la seconda falange.
Sua madre le ha sempre detto che aveva preso mani e piedi dal nonno Vincenzo- Guido come soprannome- e che avrebbe potuto suonare il piano, con le sue dita lunghe e un po’ storte.
Quindi prova a chiudere gli occhi e si immagina prendere sua madre in braccio per la prima volta, toccare il legno di una crociera elegante con i polpastrelli, sentire il cancro fino alla punta delle dita. Tutto però è in bianco e nero, “perché la luce è migliore” aggiunge la sua parte da fotografa.
Luke ha la mano grande, un callo perenne tra l’anulare e il medio, i polpastrelli rossi contro il pallore del resto, e il polso cosparso di wristbands. Lei gioca un po’ con quelli, tra i Blink che si è dimenticato di togliere e quello del Leeds dell’anno scorso.
Intanto fuori piove.

 

Un lampo frusta il cielo. Lo sente partire con la cattiveria di un boia, e schioccare contro la pelle dura del cielo, che porta una cicatrice accecante, prima di assorbire il dolore in solitudine.
America ha gli occhi chiusi, mordicchia un’unghia con fare pensieroso e dà le spalle alla finestra.
Il secondo lampo lo vede, più che sente; passa attraverso le fessure della veneziana, illumina a giorno quello che c’è intorno.
In un battito di ciglia vede il pannello appeso alla parete, con la rosa di carta che ha dalla terza media, polaroids disposte senza senso, qualche ricordo di tour che Luke ha conservato per lei e foto, cartoline, spartiti e due plettri.
Un viale dei ricordi che sembra dire “Guarda la strada che abbiamo fatto insieme, guarda il mondo che ho visto con te alla mia destra. Come la volta che ti ho portato a vedere i Mayday Parade, e mentre ti asciugavi di soppiatto una lacrima durante Stay, un po’ ho pianto anch’io.”
Si gira in fretta, lo sente nel ginocchio destro che di lampi ne scoppieranno ancora, e a lei bastano i flash artificiali.
Il naso nella maglietta di Luke, la stanza diventa buia.
America odia i sentimentalismi, la realtà dei fatti e le lettere d’amore, e quando alza lo sguardo tenta con tutta se stessa di non farsi prendere dal momento.
Tiene stretta l’imparzialità ma apre un cassettino per riempirlo del ricordo fugace del naso all’insù, della curva del collo, con il pomo d’Adamo- anche se lei ne conta tre- in rilievo, della testa appoggiata con naturalezza sul cuscino, senza una ruga in mezzo alla fronte e l’insicurezza padrona.
Forse è la sua mente che la inganna, ma d’un tratto la presa è più salda sul suo corpo, e i sensi amplificati.
La maglietta di cotone sulla sua guancia, le ginocchia incastrate tra le sue gambe, il piede destro freddo e la bocca rossissima.
Lui è lì.
Non è nella fantasia di America, su un palco a metri e metri di distanza, in una replica di un’intervista o sulla copertina di un CD.
Ha passato anni a immaginarselo, vero come fosse semplicemente dall’altro capo del letto, non in qualche stato straniero, un hotel a caso; e ora c’è davvero.
La mora arriccia le dita dei piedi, lo fa sempre quando la semplice gioia della semplicità la riempie, e d’improvviso ha una mano sulla guancia che poggia sui suoi capelli. La barba ispida, l’acne ormai un ricordo d’adolescenza, le ciglia toccano l’accenno di occhiaie.
America odia i sentimentalismi, ma in questo momento al mondo ci sono solo lei, Luke e un letto troppo piccolo per una sensazione così grande.
Può anche lasciarsi andare, insieme alla pioggia.

 

La macchina che passa le fa perdere il filo, non ricorda più la trama ormai sfilacciata.
La ringhiera del balcone silenziosa, tra gli pneumatici schizza un po’ d’acqua, il cemento sicuramente più grigio.
Il mondo è perfettamente in silenzio.
Un po’ le pare di essere tornata al pub, con il brusio che cessava appena impugnava il manico della chitarra classica e le orecchie d’improvviso tese.
Non sa il Mondo cosa stia aspettando di ascoltare, tutti sintonizzati su un canale che a casa Hemmings/Carter non prende.
Forse anche Luke non vuole perdersi la messa in onda, perché le palpebre iniziano a tremare, fino a dipingere i sensi di America di blu.
Le viene in mente un quadernetto perso chissà dove, tinto di azzurro e senza righe, con parole in obliquo, verticale e orizzontale, scritte troppo tempo fa contro materassi e angoli bui, dove sua madre non l’avrebbe beccata.
La guarda intensamente, e non gli interessa cosa ci fa sveglia, se sta bene o se ha caldo.
Le prende la mano e gli spazi vengono riempiti a vicenda da dita pallide o lunghe.
In un battito di ciglia sente suo nonno tremare, mentre un anello d’oro scorre sulla pelle giovane della nonna Maria, Dio testimone di un’unione spezzata troppo presto.
Trema un po’ anche lei, mentre arriccia le dita dei piedi smaltate di verde.
“Penso di amarti, Luke”
“Io invece ne sono certo”

 

In camera c’è poggiato un IPhone, e se i lampi hanno smesso di illuminare le pareti, è il cellulare che le illumina ad intermittenza.
Come sfondo una foto di poche settimane prima, abbracciati stretti e un grande sorriso a dipingere il volto di lei, anche meglio della Monna Lisa.
America è girata su un fianco, le ginocchia di Luke piegate e le mani in un complesso groviglio.
Sopra il comodino c’è uno swatch di gomma, azzurro come gli occhi di Luke- per America- e come il cielo del loro ultimo viaggio in Italia- per Luke-, ma le lancette dei secondi hanno smesso di girare, insieme al tempo.
C’è un letto troppo piccolo, il buio troppo infinito e America ha meno problemi con i sentimentalismi- e i sentimenti-.

 

E’ 1.58, chissà per quanto ancora.

 

 

I still remember the look on your face,
lit through the darkness at 1.58
the words that you whispered
for just us to know.

Viola.
  
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