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Autore: Kara Clary    23/09/2014    9 recensioni
E se aprendo il vostro diario segreto ad un certo punto comparissero i pensieri di qualcun altro? E se questa finestra verso il suo animo vi rendesse partecipe delle sue sofferenze e del suo primo amore? Cosa fareste?
Questa è la storia di come Zoe Summers reagì e di come il suo cuore iniziò a battere per le parole di qualcuno a cui non poteva dare un volto.
Genere: Comico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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Note autrici:

Ciao a tutti!
Eccovi la nostra prima originale scritta a quattro mani, partorita in una notte d'ispirazione.

Io e Clary eravamo un po' titubanti, il mondo delle originali su EFP ci è piuttosto sconosciuto e non sappiamo bene come sia il seguito. Speriamo veramente che questo tentativo non sia un buco nell'acqua con voi lettori.
Se ci farete sapere cosa ne pensate ne saremmo più che contente, anche se saranno critiche spietate. 
Buona lettura!

 

 

 




Prologo

 

«Ma dove diavolo sono le chiavi?»
Con l'unica porzione di mano libera stavo frugando disperatamente nello zaino alla ricerca delle chiavi di casa; ma, naturalmente, loro avevano deciso di non farsi trovare. Nel bel mezzo della ricerca, la miriade di buste della spesa che avevo appese ad ogni possibile appiglio sul mio corpo si sfilarono e caddero, producendo un preoccupante rumore di vetri infranti.
«Maledizione!» Urlai esasperata davanti alla porta di casa. Una vecchietta del vicinato, che stava passando proprio in quel momento, si voltò scandalizzata e con lei quel suo cane/topo dal muso perfido. “Stupida vicina e stupido cane, neanche avessi inneggiato a Satana!”
Cercai di scrollarmi il tutto di dosso, ma naturalmente le cuffiette dell'iPod si incastrarono nei miei capelli, i quali a loro volta rimasero impigliati allo zaino, provocandomi un dolore lancinante alla testa.
«Ma porc...» la vecchietta ripassò sul vialetto, osservandomi con aria schifata.
“Ma questa non le conosce altre strade dove andare?”
Rimasi in una posa contorta e dolorosissima cercando di capire come districarmi da quell'intreccio imbarazzante, mentre le cuffiette continuavano a sparare a tutto volume “ Black Sheep” di Gig Wigmore.
“Al Diavolo, mi piace anche questa canzone.”

«Zoe? Ti serve una mano per caso?»
“No, no... fa che non sia lui... fa che non sia lui.”

Mi voltai e naturalmente era lui. Rimasi imbambolata a guardarlo, piegata in quella posizione goffa a forma di “L”, con le braccia ancora bloccate dalle pesanti buste e le cuffiette, che probabilmente presto mi avrebbero strozzato. Il mio nuovo vicino, nonché nuovo compagno di scuola, nonché pezzo di manzo da far produrre una salivazione altissima a qualunque essere umano di genere femminile provvisto di occhi, era in piedi accanto a me.
«Ehm... ciao Scott! Credo che forse mi serva più di una mano.»
Scott era chiaramente divertito, come dargli torto, probabilmente al posto suo mi sarei sbellicata dalle risate, puntandomi un dito contro e urlandomi “scema”. Lui naturalmente fu più maturo di me e da perfetto gentiluomo si avvicinò e mi tolse il peso delle buste dalle mani, girandosi e poggiandole delicatamente a terra (e dandomi una visuale completa del suo scultoreo lato b).

«Zoe credo che qui si sia rotto qualcosa, la busta sta perdendo uno strano liquido rosso.»

«Si chiama sugo Scott, lo strano liquido rosso» non era tanto sveglio il ragazzo però «e probabilmente si è rotto il contenitore di vetro che… dannazione!»

Mentre cercavo di liberarmi dallo zaino, scoprii che una ciocca dei miei capelli castani si era appiccicata ad una delle varie cerniere a strappo delle tasche dello zaino. Mi ripromisi di comprarne uno nuovo, diciamo uno più simile a un mero porta libri, che a una trappola mortale. Sempre se fossi riuscita ad uscire viva da quella situazione.

«Aspetta, aspetta, ti aiuto.» Scott si avvicinò e con delicatezza mi scostò i capelli da un lato. La sua pelle luminosa, alla luce rossa del tramonto, assumeva una sfumatura così calda... soprattutto alla base del collo, dove la vena pulsava vigorosa...

«...eh Zoe? Come mai?» Mi riscossi dalla mia ipnosi ormonale e lo guardai stralunata.

«Io... ehm, scusa Scott non ti ho sentito. Uhm, sai le cuffie.»

«Ma certo! Che sciocco, te le sfilo.» Il meraviglioso e gentile ragazzo che avevo davanti si accostò ancora di più a me, il suo profumo di sapone misto a deodorante mi riempì le narici, le sue mani raggiunsero le mie orecchie avvolgendomi il viso. Con delicatezza mi sfiorò il collo e i lobi, per liberarmi da quegli aggeggi infernali. Mi controllai, non chiusi gli occhi per assaporare quel tocco, anche se devo ammettere di esserne stata tentata, ma alzai lo sguardo e lo incrociai al suo, sorridendogli. Lui contraccambiò con quei profondi occhi scuri e mi aiutò a liberarmi delle ultime cose, ovvero zaino ed una busta che era risalita fino al gomito, quasi tagliandomi la pelle.

«Cosa mi hai chiesto prima ?» Domandai, massaggiandomi l'interno del gomito, dove la busta aveva lasciato un profondo solco rosso. Scott si guardò in giro e poi riportò gli occhi su di me.

«Dicevo, come mai ti sei caricata così tanto di roba? Tua madre non poteva aiutarti?» Sbuffai quasi senza volerlo, lui aggrottò la fronte, incuriosito dalla mia reazione.

«Nah, mia madre è al lavoro, credo tornerà in serata. Sai, lei è una grande donna in carriera, quindi la figlia si deve arrangiare da sola.» Scimmiottai queste ultime parole cercando di fare la simpatica, ma Scott si rabbuiò, scalciando con il piede un sassolino a terra.

«Beh… deve essere bello avere come madre un avvocato di successo. Insomma, è un buon esempio per te e ti ha dato una bella vita.» E in quel momento ricordai: i suoi genitori erano disoccupati, il padre era un depresso cronico ed alcolizzato, mentre la madre riusciva a stento a portare avanti la famiglia. E io stavo lì a lamentarmi di una madre con un lavoro irreprensibile e anche piuttosto ben retribuito. Riconfermai senza troppi sforzi la tesi che ero una cretina senza filtri.

«Scott,io... mi spiace.» Scott scosse la testa e la rialzò, mostrandomi un sorriso a trentadue denti.

«E di cosa? Ma figurati»

«Ehm, ascolta, sta sera ho intenzione di preparare la pizza, vuoi... vuoi rimanere a cena da me? Sai, per ringraziarti dell'aiuto.» Azzardai. L'invito era per scusarmi, per avere compagnia e perché no, anche per conoscerlo meglio. Scott sembrò pensarci un attimo, poi si soffermò sulle macchie di sugo a terra: «credo che ti sarà difficile prepararla senza sugo» mi sbeffeggiò «comunque no, grazie dell'invito, ma devo tornare a casa. Però, se ti va, potremmo andare a scuola insieme domani, che ne dici?»

Non ci pensai due volte: «Si certo! A domani mattina allora.»

«A domani!» Scott scese le scale del portico, si ravviò i capelli leggermente lunghi e scuri come la liquirizia e si allontanò. Casa sua era a qualche isolato di distanza, una casa molto più piccola della mia e anche più malandata.

 

Finalmente entrai in casa ed accesi le luci esterne, ormai il sole era tramontato. Portai dentro un pezzo alla volta i vari strumenti di tortura che avevano preso parte al mio spiacevole teatrino. Alla fine raccolsi i pezzi di vetro sparsi davanti alla porta e pulii le macchie di sugo simili a sangue fresco. Tutto il quartiere sembrava immobile e silenzioso, le strade erano deserte, la mia casa era buia e completamente addormentata e da quelle accanto non giungeva alcun rumore, come se fossero tutti spariti dalla faccia della terra. Un'improvvisa tristezza mi assalì, purtroppo conoscevo bene quella sensazione, quei momenti in cui a volte mi sembrava di entrate in contatto con l'essenza delle cose, con il vero senso della vita e sapete qual'era? Il nulla... l'inutilità del tutto. Lo so, decisamente troppo per un'adolescente, ma purtroppo ero fatta così. Passavo da momenti di totale euforia, ad uno stato di totale depressione, ed era tutto merito della recentemente diagnosticata sindrome bipolare associata ad un bisogno costante di controllare ogni cosa, o almeno così diceva il mio bastardissimo psicologo. Lo definivo bastardissimo, ma in realtà mi ci ero piuttosto affezionata, ciò non toglieva che a volte si comportasse da vero stronzo.

La stanchezza di tutta la giornata e la totale solitudine mi colpirono dritta come un pugno nello stomaco e mi tolsero ogni forza. Accesi la luce della cucina e mi sedetti al tavolo, trascinandomi dietro lo zaino. Iniziai a svuotarlo con una lentezza che nei miei momenti di “up” avrei definito esasperante e cercai il mio diario. Non era in realtà proprio il mio diario, era un piccolo quaderno vuoto e rilegato in cuoio, con delle belle pagine ingiallite, quasi troppo belle per essere massacrate dalla mia scrittura a zampe di gallina. L'avevo acquistato perché mi piaceva e perché lo psicologo mi aveva dato come compito quello di annotare i miei sbalzi d'umore e i miei stati d'animo nel così detto “diario terapeutico”, solo la parola mi faceva venire la nausea.
Aprii il diario, nel silenzio immobile della casa e fissai le pagine bianche. Per iniziare mi sarebbe servito qualcosa con cui scrivere; mi allungai verso il mio astuccio e tirai fuori una penna biro nera. Rimasi ancora a guardare le pagine candide, sfogliandole, quasi cercando qualcosa, decisi allora che forse un bel biscotto mi avrebbe dato la giusta ispirazione. Mi alzai, aprii la dispensa e dopo aver aperto la busta ne addentai uno con gocce di cioccolata fondente (delizioso), mi versai un bicchiere di latte e con ancora il biscotto in bocca e il bicchiere in mano mi voltai verso il diario.  

Un urlo proruppe dalla mia gola e feci cadere a terra il biscotto, seguito a ruota dal bicchiere che si frantumò sul pavimento, spargendo il liquido bianco ovunque. Sbattei gli occhi più volte e cercai di mettere a fuoco il diario, ma la situazione non cambiò. Le pagine non erano più vuote, una grafia ordinata e scorrevole si estendeva per tutta la prima metà del foglio, continuando ad apparire e prendere sempre più spazio nella pagina, come se una mano invisibile stesse scrivendo al posto mio. Piuttosto terrorizzata presi la prima cosa che mi ritrovai vicino, una paletta di plastica, se fosse stato un film di zombie probabilmente sarei già morta. Mi avvicinai con cautela alla sedia, con il timore di sentire qualche presenza. Agitai convulsamente la paletta davanti a me facendo un passo alla volta verso il tavolo, ma non c'era nessuno, solo il mio diario che, a quanto pare, aveva preso vita. Per un attimo pensai che si trattasse di una visione. Mi avevano detto di non essere un soggetto mentalmente instabile, ma tutto quello che in quel momento si stava svolgendo davanti ai miei occhi mi fece venire il dubbio che avessero preso una bella cantonata. Mi avvicinai ancora di più, ma non potevo avere dubbi, quelle scritte erano reali, lo sentivo, lo vedevo… non erano frutto dell'immaginazione di una folle. Mi allungai stringendo ancora la paletta in mano e iniziai a leggere:

21 Maggio, ore 18:00.

Forse sono l'unico studente al mondo che odia tornare a casa. Forse solo l'unico che vorrebbe restare tutto il giorno chiuso in quella scuola, circondato da persone leggere ed allegre, che non sanno veramente come è la vita, ma che a volte mi aiutano a dimenticare... forse sono l'unico che odia ogni attimo passato tra queste mura, l'unico che sente la propria casa come il luogo meno sicuro sulla faccia della terra, che è terrorizzato dai passi del proprio padre e che ogni volta che apre la porta d'ingresso decide con quanta velocità scappare nella propria stanza in base all'odore di alcool che aleggia nell'aria. Vorrei essere come loro, vorrei vedere tutto in modo diverso, senza questo alone di consapevolezza che noi non abbiamo nessuno scopo, che nulla ha senso.

“ Oggi è 21 Maggio...” guardai l'orologio appeso in cucina, segnava le ore 18:05 “Ok, Huston abbiamo un problema.”

 

 

  
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