I corvi torneranno a reclamare il sangue.
Ma ciò ch'è morto non sanguina più,
e le cicatrici mie tacciono.
Non è mai il tuo nemico ad ucciderti per primo
- è la mano fidata a farlo,
silenziosa,
ad infliggerti il più triste dei dolori.
E non c'è salvezza,
non da chi prima ti guardava con occhi sinceri
- un cielo senza nubi ad inghiottirlo -
occhi che prima ti sembravano un riparo sicuro,
e che ora son gli stessi che ti guardano mentre trattieni
- senza successo, forse -
un lamento tra le labbra,
mentre tra le costole s'annida la voce
d'un pianto ferito.
Non ci sono suppliche che ti sussurrerei
con parole umide di lacrime,
solo la consapevolezza d'averti lasciato troppo spazio,
nella mia vita,
per non poterti guardare,
ora,
con indifferenza.
Ed è forse peccato aver amato?
Il sangue parla da sé,
ma non so se io e te riusciamo a
leggere le stesse parole da esso.
Cade la pioggia
- pioggia che si finge eterna, oramai -
ma le lacrime dopo un po' finiscono,
e rimangono,
strette in gola,
frasi che t'avrei voluto tanto dire.
Frasi che,
però.
ti direi solo ora,
ora che ho ripreso il coraggio che in
quel momento avevo
messo da parte,
assieme alla mia dignità;
a estrarre i miei artigli riesco solo ora,
ma non ne vale più la pena.
Non più.
E io non mi sento pronta a
esporre ancora la
mia pelle a chi
m'ha procurato ferite
- forse -
mortali.
Nonostante tutto,
finisco sempre col
lasciarti l'idea di una me fragile,
ma io le mie armi le ho.
E le custodisco per guerre migliori.
Dove le mie braccia,
finalmente,
sapranno proteggermi.
E saranno rifugio
più saldo
degli occhi tuoi.