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Autore: ShadowsOfBrokenGirl    25/09/2014    0 recensioni
In un grande prato pieno di papaveri rossi ce ne sono due candidi, rari e bellissimi. Le donzelle che si recano a raccogliere i fiori, osservano quei due esemplari inconsueti e rinunciano a strapparli. Per loro i papaveri devono essere necessariamente rossi e quei due non sono altro che un errore a cui la natura non è stata capace di rimediare.
Quei due fiori sono Destiny e Fabrizio, che ognuno a modo suo si distinguono dalla società che li guarda e non riesce a comprenderli. Quando il caso un giorno li farà incontrare nascerà tra i due un'amicizia che supererà ogni ostacolo e li aiuterà ad andare avanti. Si trasformerà in amore?
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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La zingara dalla pelle diafana

I am yours

Seduta nell’auto in silenzio ripensai a quello che era accaduto nel teatro. Grazie alle parole di quella magica canzone io e Fabrizio eravamo riusciti ad esprimere i nostri sentimenti più reconditi. L’amore che legava profondamente le nostre anime l’una all’altra. La paura che le strappava violentemente l’una dall’altra. 
Ci eravamo abbracciati e questo aveva creato un vincolo che i nostri piccoli terrori non avrebbero più potuto scalfire. Peccato che quel momento così romantico fosse stato interrotto in modo così brusco. Il direttore del teatro era spuntato all’improvviso e ci aveva inopportunamente chiesto di congedarci e lasciare quella sala. Eravamo scattati come molle e ci eravamo all’istante separati. Con gli sguardi abbassati avevamo chiesto scusa ed eravamo scappati via. Entrati in macchina, ancora imbarazzati, non eravamo stati capaci di rivolgerci la parola e nemmeno di guardarci. Non facevamo altro che scrutarci rapidamente con circospezione, per poi distogliere subito gli occhi non appena ci accorgevamo che anche l’altro ci stava fissando. 
Il motore della vettura smise di scoppiettare e l’automobile si fermò. Eravamo tornati a casa di Fabrizio. Aprii la portiera e scesi, tenendo alzato il lembo della gonna affinché non si sporcasse. Camminai lentamente e cautamente in direzione della grande porta di legno. Quell’uscio rappresentava ormai la mia unica via di fuga a quella situazione imbarazzante, a quella serata inizialmente magica, ma che si era presto trasformata in qualcosa da dimenticare. Una mano si pose sulla mia spalla e mi costrinse a fermarmi. 
-Aspetta, ti prego- mi fermò. –Non lasciamo che un piccolo inconveniente ci rovini la serata. Io non rimangio quello che ho detto e tu?-
Mi voltai e vidi le sue iridi scure, bramose di conoscere la verità. “Neanche io”sussurrai.
Mi accarezzò il mento con le sue mani morbide e mi sorrise. Avvicinò le sue labbra alle mie con un’audacia, che non avevo mai visto manifestarsi in lui prima.
Tuttavia fu interrotto da uno strano rumore. Ci voltammo e vedemmo un’automobile avvicinarsi a noi. La luce dei fari di quella vettura ci accecò. Sbattemmo diverse volte le palpebre, prima di riuscire a vedere nuovamente in modo nitido. Ci allontanammo l’uno dall’altro e guardai Fabrizio per cercare di capire cosa stesse accadendo. Lui era sconvolto : le braccia gli tremavano ed il sudore bagnava la sua fronte. Ebbi un brutto presentimento e mi feci prendere dallo sconforto.
L’automobile si fermò e da essa scesero due individui, avvolti dall’oscurità. Man mano che si avvicinarono a noi, potei vederli meglio.
Uno era un uomo alto e robusto. La sua espressione era severa : i suoi occhi erano cupi e penetranti, le sue labbra disegnavano un terribile ghigno, messo in evidenza da un paio di folti baffi neri.
L’altra era una donna alta e minuta, dotata di una certa eleganza innata che le avrebbe permesso di brillare anche con indosso uno straccio. I suoi capelli color nocciola le incorniciavano il viso pallido e smorto. Lo sguardo era spento e triste. 
Fabrizio si incamminò verso di loro e sussurrò con un filo di voce: “Madre, Padre siete tornati”.

Mi sfilai il vestito lentamente, mentre lei mi fissava. Glielo porsi e lei lo sistemò nell’armadio. Mi rivestii velocemente con i miei stracci da zingara. Il mio viso era completamente rosso per la vergogna e speravo di poter fuggire presto da quella casa. Guardai il volto della mamma di Fabrizio che mi fissava con durezza. La mia testa era stata bassa per tutto il tempo, proprio come le mie labbra erano state sigillate. Un terribile silenzio aveva seguito ogni mio movimento. Infilai i miei stivaletti di cuoio sporchi di terra e camminai fino alla porta. Prima di aprirla però mi voltai e osai finalmente rompere quell’assurda quiete. 
-Signora, mi dispiace. Le giuro che non volevamo fare nulla di male. Adesso magari lei non ci crede, ma io le avrei riportato il vestito indietro. Mi serviva solo per non essere riconosciuta a teatro! So che abbiamo fatto una sciocchezza, ma me ne assumo tutta la colpa. Non mi dica che lei non ha mai fatto una stupidaggine da giovane!- cercai di convincerla.
La donna incrociò le braccia e mi lanciò uno sguardo così freddo che capii di non avere speranze. Compresi che essere comprensiva non era esattamente nella sua natura. 
-Perché siete andati a teatro?-mi chiese sprezzante.     
-Era il mio compleanno e Fabrizio ha voluto farmi un regalo … -biascicai.
La domanda seguente arrivò all’istante, senza nemmeno darmi il tempo di terminare la risposta destinata al precedente quesito. Pensai che in un interrogatorio del tribunale non sarei stata torturata tanto e con tale veemenza. 
-State insieme?-
Mi soffermai a pensarci qualche istante. I suoi occhi inquisitori intanto cercavano di scrutare ogni espressione del mio viso. 

Ricordai di aver letto in Orgoglio e Pregiudizio un capitolo, in cui si era verificato un episodio analogo a questo. Lady Catherine de Bourgh si era, infatti, recata a casa di Elizabeth per essere informata riguardo la veridicità della voce secondo cui suo nipote, Mr Darcy, si fosse fidanzato con lei.
“Cercate di capirmi. Questo matrimonio, a cui voi avete la presunzione di aspirare, non potrà mai avere luogo. Mai. Mr Darcy è fidanzato a mia figlia. Ed ora cosa avete da dire a proposito?”aveva detto Lady Catherine de Bourgh.
“Semplicemente questo : che se è così, non avete motivo di temere che egli faccia proposte di matrimonio a me.”aveva risposto l’acuta e forse un po’ sfacciata Elizabeth.
“Ditemi, una volta per tutte, vi siete dunque fidanzata con lui?”
“No, non lo sono”
“E mi promettete di non impegnarvi mai in tal senso?”
“Non ho intenzione di fare promesse del genere.”
Elizabeth era stata coraggiosa ed era riuscita a zittire la dama che aveva di fronte. Tuttavia io non ero dotata dello stesso ardimento.

Abbassai dunque il capo e negai la relazione tra me e Fabrizio, nonostante fossi a conoscenza della menzogna, che si celava dietro al mio gesto. Se dichiararsi il proprio amore l’un l’altro ed essere sul punto di baciarsi non vuol dire stare insieme, allora cosa vuol dire essere fidanzati? Ero convinta che neanche la madre di Fabrizio mi avesse creduto, tuttavia non lo diede a vedere. 
Prese la parola e fui sollevata dal fatto che non si trattasse di un’altra domanda. 
-Ne sono felice. Devi sapere che suo padre non approverebbe una relazione con una zingara. Lui vuole che diventi un uomo d’affari sposato con una fanciulla ricca e soprattutto rispettabile-disse.
-E lei è d’accordo? Lei cosa ne pensa?- chiesi, facendo appello al suo affetto materno. 
“Una madre non può volere altro che la felicità per suo figlio”pensavo infatti.
-Non devo pensare. Così deve essere e così sarà.- rispose fredda. 
Scrutai gli occhi di quella donna in cerca dell’amore che ogni mamma dovrebbe avere, ma scoprii che ne erano assolutamente privi. Qualcosa di terribile aveva svuotato l’animo di questa signora da ogni forma di tenerezza e affetto. In lei non restava altro che un’ arida indifferenza. 
Mi tornarono in mente le parole di Fabrizio, quando mi aveva descritto sua madre come un albero vivo che si stava lasciando morire. Non potei non concordare con la sua riflessione. 
Sua madre si accorse che la stavo fissando e probabilmente intuì i miei pensieri. Dunque mi cacciò via chiamandomi “sporca zingara”.

Scesi di corsa le scale e mi ritrovai di fronte ad una porta attraverso la quale si udivano le grida di un uomo. Non riuscivo a capire cosa dicesse, ma intuii che era il padre di Fabrizio che lo stava aspramente rimproverando a causa mia. Misi la mano sulla maniglia, intenzionata ad entrare e a difenderlo. Una voce però mi fermò e mi costrinse a rinunciare al mio piano.
Mi voltai e riconobbi Mrs Grammy nella donna che si stava avvicinando a me. La sua voce dolce mi disse che avrei solo peggiorato la situazione e il suo sguardo triste e preoccupato mi convinse ad andarmene in fretta. Aprii la porta ed uscii fuori. Cominciai a correre via, nonostante mi vergognassi della mia fuga. Un’ eroina non sarebbe scappata, non avrebbe negato, ma avrebbe lottato per il suo amore. Ma io, a quanto pare, non lo ero. 

Pensai che l’ultima cosa che volevo era tornare nel campo e spiegare alle mie amiche entusiaste quanto male fosse andata la serata. Così mi diressi nella foresta, correndo nell’oscurità. La notte mi avvolgeva e la luce della luna non riusciva a filtrare attraverso il fitto fogliame di quegli alberi. Per fortuna io non volevo essere trovata né orientarmi. Vagare era il mio obiettivo, la mia meta era sconosciuta persino a me stessa.
Il rumore dei miei stivali vecchi che schiacciavano, senza pietà, le foglie secche cadute in terra rompeva l’armonia di suoni della natura. Il lugubre verso del gufo che si alternava al canto dell’assiuolo e insieme si sovrapponevano allo scroscio del fiume. 
Intanto io camminavo : mi perdevo e mi ritrovavo. Il dolore e l’imbarazzo lottavano dentro di me, lacerandomi l’anima. Ero stata sorpresa in casa d’altri con indosso abiti che non mi appartenevano : per quel che ne sapevo avrebbero anche potuto denunciarmi. Sbattei i pugni contro la corteccia di una quercia, rimproverandomi per la mia incoscienza.
Ma soprattutto ero stata offesa, come mai prima d’ora. Spesso le persone mi avevo attribuito appellativi maligni e ingiusti. Questa volta tuttavia mi era stato detto che “non ero all’altezza di Fabrizio poiché non ero una donna rispettabile”.
-E invece sono più che rispettabile! Sono educata, gentile e guadagno da vivere onestamente. Leggo le mani delle persone e predico loro il futuro!- gridai furiosa, come se la madre di Fabrizio potesse davvero udirmi.  Già, il mio lavoro non mi dava molta credibilità! Mi faceva sembrare una ciarlatana …
Nonostante tutte le rassicurazioni di Flora, infatti, io non riuscivo a non credermi un’imbrogliona. “Se non ci credi tu, come pretendi che possano farlo gli altri?”mi aveva detto.
Esposi i miei palmi alla fioca luce della Luna e cercai le linee guida. Strizzai gli occhi e feci innumerevoli tentativi. Niente, non riuscii a ricavarne nulla. 
-Perché non ci riesco? Perché non posso conoscere il mio futuro? Adesso ne avrei così bisogno! Vorrei tanto sapere che ne sarà di me, di Fabrizio, del nostro amore ancora in boccio!-
Mi chiesi per l’ennesima volta se io fossi davvero dotata di quel potere o se stessi davvero imbrogliando tutti. 
In fin dei conti non avevo mai potuto sapere se si fosse avverato quanto avevo predetto agli allocchi che mi avevano pagato perché lo facessi, dato che non li avevo più visti. 
Mi sentii al confine tra due mondi: non riuscivo ad appartenere completamente a nessuno dei due. Così restavo in bilico. Ero una zingara, vivevo in un campo con le mie compagne, avevo come loro un forte legame con la natura e la Madre Terra, conoscevo ed amavo le loro leggende, le tradizioni e le canzoni. Tuttavia mi sentivo anche una cittadina : leggevo i loro libri, avevo un’istruzione e credevo profondamente nella loro religione cristiana. La mia serata al teatro, inoltre, mi aveva introdotto in un mondo luccicante ed altolocato, che mi aveva conquistato. Mi aveva anche fatto capire che ero all’altezza di quella società e che potevo amalgamarmi in essa. 
Ricordai una canzone della tradizione zingaresca che amavo particolarmente e che avevo ascoltato spesso, quando ero bambina. 

Not because of who I am,
But because of what you've done.
Not because of what I've done,
But because of who you are.


Mi sedetti sull’erba bagnata e appoggiai la schiena al tronco di un albero, coperto in buona parte dal muschio. Respirai profondamente e con gli occhi chiusi cominciai a cantare : 

I am a flower quickly fading,
I am a wave tossed in the ocean,
A vapor in the wind.
You, you catch me when I'm falling,

And you've told me who I am.
I am yours.


Quella canzone riuscì a darmi la pace necessaria per pensare lucidamente. Non importava chi fossi, ma le decisioni che avrei preso. Potevo essere qualunque cosa volessi : una scrittrice, un’infermiera, una dama. Anche la fidanzata di Fabrizio!  E se per esserlo avrei dovuto abbandonare la mia comunità di zingare ed entrare nell’alta borghesia, lo avrei fatto senza indugio. 
I am yours.
Mi addormentai, mentre l’oscurità della stava svanendo. Quando il Sole sorse mi trovò assopita contro una quercia con un sorriso speranzoso sulle labbra.  

 
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo! La canzone che ho usato si chiama Who Am I  dei Casting Crowns, anche se per adattarla ho dovuto modificarla un po’. 
  
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