Camminava
per la strada
sterrata del parco, tutta ghiaia e pietre, osservando i bambini
rincorrersi,
acchiapparsi l’uno con l’altro a vicenda, gridare e
cadere e poi ancora gridare
e ridere.
Dall’alto
della sua giacca
perfettamente in tinta coi pantaloni giudicava il tutto con una certa
aria di
sufficienza.
Lo
stesso fece poco dopo
quando incrociò una donna che spingeva un passeggino.
Gettò
uno sguardo al bimbo e
poi lo alzò subito, facendo fremere i baffi neri in una
specie di ‘Tsè’.
Fermandosi
ad un edicola
sulla strada, si premurò di comprare, mettendo bene in
mostra il suo nuovo
portafoglio in pelle e curandosi che si vedessero le banconote uscire
di poco,
tutti i quotidiani, dal ‘Corriere della sera’ a
‘La stampa’.
Con
quei fogli sottobraccio
riprese la sua abituale passeggiata nel parco, guardando con cipiglio
altezzoso
ogni singola cosa, da un bambino che piangeva a un barbone che dormiva
su di
una panchina.
Questo,
per semplificare le
cose, lo definiremo ‘il signore’.
Dunque,
il signore camminò
per altri metri finché non arrivò nei pressi
della panchine. Ne scelse una
sotto un albero robusto, pieno di fronde ma dalle foglie ingiallite per
via del
periodo autunnale, che si raccoglievano ai piedi in tanti mucchi.
Appunto
poco lontana c’era
la panchina, rossa, in ghisa, leggermente arrugginita dal tempo,
scritta di qua
e di là con bianchetti, pennarelli ed evidenziatori.
Il
signore si sedette col
suo modo di fare composto, stando bene attento a non sporcarsi la
giacca o i
pantaloni.
Poggiò
una gamba sull’altra
e dispiegò il giornale, iniziando a leggere i titoli di
testa.
Notò
solo allora che accanto
a lui era seduto un altro uomo.
Era
più giovano di lui di
almeno una decina d’anni, se ne stava seduto tranquillo col
suo maglioncino blu
annodato sulle spalle, le braccia mollemente abbandonate ai lati della
panchina. In una di queste era stretta una cinghia, che il signore, col
suo
occhio attento e indagatore, ricondusse al collare di un cane che se ne
stava
beatamente accucciato lì accanto.
Questo
tipo, per nostra
comodità, lo definiremo ‘il ragazzo’,
essendo più giovane del primo uomo.
La
cosa che colpì più di
tutte il signore fu il fatto che il ragazzo, benché fosse
una mattinata uggiosa
e grigia, portasse un bel paio di occhiali neri, che gli fasciavano gli
occhi.
Di
nuovo fece muovere i suoi
baffetti in quel buffo gesto di prima, guardandolo di tanto in tanto
con
superiorità. Notò poi la camicia mezza fuori dai
pantaloni, la cintura che
saltava un passante dei jeans e i capelli messi insieme in un modo
stranamente
assurdo.
Si
accigliò, continuando a
gettargli occhiate di sottecchi per non parere invadente, ma sempre
rimanendo
della sua idea: per lui quello era ora un
‘trasandato’.
Di
quelli che pensano di
vestirsi alla moda. Il signore fissò compiaciuto la propria
cintura nera,
dentro la quale si perdeva il tessuto della sua camicia, perfettamente
accordata
con la cravatta, anche quella annodata a regola d’arte.
Con
una certa arietta
compiaciuta, tornò a leggere.
Poco
dopo un ragazzino tirò
il pallone in quella direzione. La palla finì giusto vicino
al ragazzo, e il
rumore venne attutito dall’erba.
Il
signore si staccò dalla
lettura per osservare la reazione dell’altro.
Il
ragazzo rimase
perfettamente immobile, senza muovere un muscolo. Irritato da questo,
aggiungendo ‘sfaticato’ alla lista di aggettivi che
gli aveva appropriato,
lasciò perdere il proprio giornale e raccolse la palla da
terra; stando molto
attento a non sporcarsi col fango, la rilanciò ai bambini.
Poi
si risedette. Di tutto
questo il ragazzo sembrava non essersi minimamente interessato.
Il
signore volle fargliela
pagare, sfoderando la sua arma preferita.
Tossì,
una tosse finta, e si
schiarì la voce.
-Mi
scusi, saprebbe
gentilmente dirmi che ore sono?- chiese.
Il
ragazzo si voltò nella
sua direzione solo dopo qualche secondo.
-Mi
dispiace molto, ma non
ho un orologio-
Compiaciuto,
ma ben attento
a non darlo a vedere, lui si guardò il polso. Scintillava un
bel quadrante in
acciaio, col cinturino di metallo pure, e le lancette sottili.
-Ah
che sbadato- disse
simulando sorpresa, e mettendo bene in vista l’elaborato
orologio -quasi
dimenticavo di averlo-
Fece
il gesto di rimboccarsi
le maniche, come se avesse avuto caldo, e così facendo
metteva in evidenza
ancora di più l’accessorio. Poi lo
voltò dalla parte dell’altro, lasciandolo
libero di ammirarlo. Si aspettava che indugiasse almeno un momento sul
suo
polso, con sguardo interessato e avido, ma questo non accadde.
Il
ragazzo si disinteressò
dell’orologio, e tornò a guardare la strada
davanti a sé.
Il
signore corrugò le
sopracciglia, perplesso da quel suo atteggiamento. Non aveva finora
conosciuto
nessuno che, osservando il polso fasciato da quel
bell’orologio, non vi si
soffermasse un po’ di più per studiarlo.
Allora,
ben deciso ad
umiliarlo, lisciò le piaghe della sua giacca.
-è
un vero peccato- disse,
tornando all’attacco -che il tempo sia così, non
trovate?-
-Non
saprei- rispose l’altro
con voce atona.
-Andiamo,
suvvia… in una
così bella giornata di sole…- disse con un
piccolo sorriso malvagio mascherato
sotto i baffi -portare gli occhiali mi sembra d’obbligo-
Sperava
di indurlo ad
arrossire per il fatto di essersi messo gli occhiali da sole. Il
signore guardò
con affetto il suo soprabito coordinato all’ombrello e alla
stagione autunnale,
propensa alle piogge.
Il
ragazzo rispose
-è
che questa luce strana mi
dà fastidio agli occhi…-
Sapendo
di aver fatto
centro, il signore disse
-Mi
dispiace contraddirla,
ma…- fece un verso divertito -…ma dovrebbe alzare
gli occhi al cielo e
guardare: c’è un tempo così
brutto…-
Il
ragazzo si limitò a
scrollare le spalle con indifferenza.
Irritato
maggiormente da
questo suo comportamento, il signore tirò fuori da sotto i
piedi la sua
valigetta di pelle nera, con la fibbia dorata, il manico resistente.
Non
una qualsiasi ventiquattr’ore,
ma una borsa pregiata, di sicuro pagata molto.
La
sporse verso l’altro, con
superiorità.
-Vede,
è un peccato che si
sia sporcata così… una borsa come questa ha un
alto valore, non trova?-
Così
dicendo sperava di
costringerlo a guardarla con desiderio, almeno con una piccola
scintilla
d’invidia.
Il
ragazzo fece un'altra
cosa, però.
Si
sedette più composto,
voltando lo sguardo a sinistra, verso di lui.
-Non
so…-
Il
signore iniziò ad
irritarsi maggiormente.
-Non
mi dica che non trova
che questa sia una borsa di lusso!- disse, quasi indignato.
-Mi
dispiace, ma non so
dirle…- rispose il ragazzo con tono più calmo
possibile.
-E
perché mai? Devo forse
dedurre che non ha parole?-
Il
ragazzo lentamente lo
guardò, da dietro gli occhiali da sole.
Forse
dovremmo cambiare
verbo però.
Si
abbassò gli occhiali,
scoprendo due occhi. Il signore si sentì mortificato.
Due
occhi gelidi, vitrei,
senza espressione.
Due
occhi che, pur essendo
tali, non avevano mai potuto guardare.