Storie originali > Favola
Ricorda la storia  |      
Autore: Egomet    06/10/2008    3 recensioni
Fece il gesto di rimboccarsi le maniche, come se avesse avuto caldo, e così facendo metteva ancora di più in evidenza l'accessorio. Poi lo voltò dalla parte dell'altro, lasciandolo libero di ammirarlo. Si aspettava che indugiasse sul suo polso con sguardo interessato e avido, ma questo non accadde.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Camminava per la strada sterrata del parco, tutta ghiaia e pietre, osservando i bambini rincorrersi, acchiapparsi l’uno con l’altro a vicenda, gridare e cadere e poi ancora gridare e ridere.

Dall’alto della sua giacca perfettamente in tinta coi pantaloni giudicava il tutto con una certa aria di sufficienza.

Lo stesso fece poco dopo quando incrociò una donna che spingeva un passeggino.

Gettò uno sguardo al bimbo e poi lo alzò subito, facendo fremere i baffi neri in una specie di ‘Tsè’.

Fermandosi ad un edicola sulla strada, si premurò di comprare, mettendo bene in mostra il suo nuovo portafoglio in pelle e curandosi che si vedessero le banconote uscire di poco, tutti i quotidiani, dal ‘Corriere della sera’ a ‘La stampa’.

Con quei fogli sottobraccio riprese la sua abituale passeggiata nel parco, guardando con cipiglio altezzoso ogni singola cosa, da un bambino che piangeva a un barbone che dormiva su di una panchina.

Questo, per semplificare le cose, lo definiremo ‘il signore’.

Dunque, il signore camminò per altri metri finché non arrivò nei pressi della panchine. Ne scelse una sotto un albero robusto, pieno di fronde ma dalle foglie ingiallite per via del periodo autunnale, che si raccoglievano ai piedi in tanti mucchi.

Appunto poco lontana c’era la panchina, rossa, in ghisa, leggermente arrugginita dal tempo, scritta di qua e di là con bianchetti, pennarelli ed evidenziatori.

Il signore si sedette col suo modo di fare composto, stando bene attento a non sporcarsi la giacca o i pantaloni.

Poggiò una gamba sull’altra e dispiegò il giornale, iniziando a leggere i titoli di testa.

Notò solo allora che accanto a lui era seduto un altro uomo.

Era più giovano di lui di almeno una decina d’anni, se ne stava seduto tranquillo col suo maglioncino blu annodato sulle spalle, le braccia mollemente abbandonate ai lati della panchina. In una di queste era stretta una cinghia, che il signore, col suo occhio attento e indagatore, ricondusse al collare di un cane che se ne stava beatamente accucciato lì accanto.

Questo tipo, per nostra comodità, lo definiremo ‘il ragazzo’, essendo più giovane del primo uomo.

La cosa che colpì più di tutte il signore fu il fatto che il ragazzo, benché fosse una mattinata uggiosa e grigia, portasse un bel paio di occhiali neri, che gli fasciavano gli occhi.

 

Di nuovo fece muovere i suoi baffetti in quel buffo gesto di prima, guardandolo di tanto in tanto con superiorità. Notò poi la camicia mezza fuori dai pantaloni, la cintura che saltava un passante dei jeans e i capelli messi insieme in un modo stranamente assurdo.

Si accigliò, continuando a gettargli occhiate di sottecchi per non parere invadente, ma sempre rimanendo della sua idea: per lui quello era ora un ‘trasandato’.

Di quelli che pensano di vestirsi alla moda. Il signore fissò compiaciuto la propria cintura nera, dentro la quale si perdeva il tessuto della sua camicia, perfettamente accordata con la cravatta, anche quella annodata a regola d’arte.

Con una certa arietta compiaciuta, tornò a leggere.

Poco dopo un ragazzino tirò il pallone in quella direzione. La palla finì giusto vicino al ragazzo, e il rumore venne attutito dall’erba.

Il signore si staccò dalla lettura per osservare la reazione dell’altro.

Il ragazzo rimase perfettamente immobile, senza muovere un muscolo. Irritato da questo, aggiungendo ‘sfaticato’ alla lista di aggettivi che gli aveva appropriato, lasciò perdere il proprio giornale e raccolse la palla da terra; stando molto attento a non sporcarsi col fango, la rilanciò ai bambini.

Poi si risedette. Di tutto questo il ragazzo sembrava non essersi minimamente interessato.

Il signore volle fargliela pagare, sfoderando la sua arma preferita.

Tossì, una tosse finta, e si schiarì la voce.

-Mi scusi, saprebbe gentilmente dirmi che ore sono?- chiese.

Il ragazzo si voltò nella sua direzione solo dopo qualche secondo.

-Mi dispiace molto, ma non ho un orologio-

Compiaciuto, ma ben attento a non darlo a vedere, lui si guardò il polso. Scintillava un bel quadrante in acciaio, col cinturino di metallo pure, e le lancette sottili.

-Ah che sbadato- disse simulando sorpresa, e mettendo bene in vista l’elaborato orologio -quasi dimenticavo di averlo-

Fece il gesto di rimboccarsi le maniche, come se avesse avuto caldo, e così facendo metteva in evidenza ancora di più l’accessorio. Poi lo voltò dalla parte dell’altro, lasciandolo libero di ammirarlo. Si aspettava che indugiasse almeno un momento sul suo polso, con sguardo interessato e avido, ma questo non accadde.

Il ragazzo si disinteressò dell’orologio, e tornò a guardare la strada davanti a sé.

Il signore corrugò le sopracciglia, perplesso da quel suo atteggiamento. Non aveva finora conosciuto nessuno che, osservando il polso fasciato da quel bell’orologio, non vi si soffermasse un po’ di più per studiarlo.

Allora, ben deciso ad umiliarlo, lisciò le piaghe della sua giacca.

-è un vero peccato- disse, tornando all’attacco -che il tempo sia così, non trovate?-

-Non saprei- rispose l’altro con voce atona.

-Andiamo, suvvia… in una così bella giornata di sole…- disse con un piccolo sorriso malvagio mascherato sotto i baffi -portare gli occhiali mi sembra d’obbligo-

Sperava di indurlo ad arrossire per il fatto di essersi messo gli occhiali da sole. Il signore guardò con affetto il suo soprabito coordinato all’ombrello e alla stagione autunnale, propensa alle piogge.

Il ragazzo rispose

-è che questa luce strana mi dà fastidio agli occhi…-

Sapendo di aver fatto centro, il signore disse

-Mi dispiace contraddirla, ma…- fece un verso divertito -…ma dovrebbe alzare gli occhi al cielo e guardare: c’è un tempo così brutto…-

Il ragazzo si limitò a scrollare le spalle con indifferenza.

Irritato maggiormente da questo suo comportamento, il signore tirò fuori da sotto i piedi la sua valigetta di pelle nera, con la fibbia dorata, il manico resistente.

Non una qualsiasi ventiquattr’ore, ma una borsa pregiata, di sicuro pagata molto.

La sporse verso l’altro, con superiorità.

-Vede, è un peccato che si sia sporcata così… una borsa come questa ha un alto valore, non trova?-

Così dicendo sperava di costringerlo a guardarla con desiderio, almeno con una piccola scintilla d’invidia.

Il ragazzo fece un'altra cosa, però.

Si sedette più composto, voltando lo sguardo a sinistra, verso di lui.

-Non so…-

Il signore iniziò ad irritarsi maggiormente.

-Non mi dica che non trova che questa sia una borsa di lusso!- disse, quasi indignato.

-Mi dispiace, ma non so dirle…- rispose il ragazzo con tono più calmo possibile.

-E perché mai? Devo forse dedurre che non ha parole?-

Il ragazzo lentamente lo guardò, da dietro gli occhiali da sole.

Forse dovremmo cambiare verbo però.

Si abbassò gli occhiali, scoprendo due occhi. Il signore si sentì mortificato.

Due occhi gelidi, vitrei, senza espressione.

Due occhi che, pur essendo tali, non avevano mai potuto guardare.

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Favola / Vai alla pagina dell'autore: Egomet