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Autore: luxuryloser    28/09/2014    3 recensioni
La maggior parte della gente beve per dimenticare, Merlin per permettere a se stesso di abbassare le proprie barriere e ricordare. E, a volte, anche il destino ha bisogno di alcolici.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Tutto è partito da questo post su tumblr e da questa canzone, incolpate loro.
E so che dovrei scrivere il prossimo capitolo di How many thousand years? , ma l’ispirazione fa quello che vuole, e essere ubriachi e depressi è una buona condizione da descrivere. Non è niente di più del flash che mi è venuto in mente rebloggando il post, ma mi piace, la sento.
Merlin e Arthur non mi appartengono, come non mi appartiene nessuna bevanda alcolica citata in quest’opera, o scriverla in maniera coerente sarebbe molto più difficile. E nessuno mi pagherebbe mai per scrivere cose del genere, quindi non lo dico nemmeno.

Rettifica alle note precedenti:
Okay, non ho scuse per HMTY?, ma stasera dovevo pubblicare questa, per via di cose che sono successe. E qualche bevanda alcolica mi appartiene.

 
Drunk again, to feel a little love.
L’unico modo per liberarsi dalla disperazione cosmica
È essere ubriachi.
-Arthur Schopenhauer

“Tu gli somigli molto.”
Almeno questo, nonostante la visione offuscata, era semplice da dichiarare, dal momento che lo sconosciuto era a neanche un metro da lui. Indossava una felpa sportiva (la zip era aperta su una t-shirt bianca scollata a v, con tutte le intenzioni di mandarlo fuori di testa) e aveva i capelli biondi visibilmente spettinati ad arte, l’aspetto di chi era lì ma non c’entrava, capitato per caso sullo sgabello alto accanto al suo, una distanza irrisoria tra le loro mani appoggiate sul bordo del bancone. I suoi contorni erano un po’ sfumati, e Merlin si ritrovò ad assicurare a se stesso che quegli occhi azzurri, quei maledetti occhi azzurri, erano due e non quattro. E che quel sorriso trattenuto solo a metà non era davvero…
“Ma non puoi essere lui.”
Il suo settimo drink era rosa e sapeva di delusione e mancanza, con un retrogusto di succo di fragola. L’idea era quella di tornare a casa dopo il quinto, finché riusciva ad ordinare qualcosa di virile come un whiskey senza ghiaccio e, non di secondaria importanza, a camminare quasi in linea retta: si sarebbe appallottolato in una coperta e non si sarebbe più alzato per il resto della sua vita.
Poi il barista gli aveva offerto uno shot. Un doppio shot di vodka e sidro di mele. Aveva detto che era già stato pagato, e Merlin aveva deciso che quella sera voleva permettere a se stesso di demolire le proprie barriere e permettersi di ricordare, perché poi voleva bere per dimenticare.
“Perché lui è tanto, tanto lontano da me.”
Quel pub era un posto da oggetti smarriti. Da telefoni dimenticati che, in caso fossero ancora stati carichi, avrebbero squillato molto tardi la mattina dopo, voci impastate a chiedere di tenerli al sicuro fino a quando non avrebbero potuto essere ritirati dai legittimi proprietari, che magari ne avrebbero approfittato per farsi una birra. Da ricordi lasciati in fondo ad un bicchiere, tra un cubetto di ghiaccio e la plastica della cannuccia, solo per il tempo di far loro imparare a nuotare. Da persone abbandonate come lui, e così ovviamente diverse. Lui si sentiva un oggetto smarrito, di quelli che però non si ritrovano.
“Cammina tra le stelle. In un altro mondo.”
Stelle. Champagne. Ordinò un Bellini e il barista gli lanciò un’occhiata di rimprovero prima di versare il succo di pesca. La vita era la sua, come i soldi con cui stava riempiendo la cassa un drink dopo l’altro, come quella sensazione di incompletezza che quella sera non lo lasciava libero nemmeno di allontanare per troppo tempo lo sguardo dal suo interlocutore, quasi come essa volesse colpirlo ripetutamente attraverso l’incredibile azzurrità dei suoi dannati occhi. La testa gli girava come mai, e insistere nell’incolpare l’alcol che gli scorreva nelle vene, più denso del sangue, più potente della magia, era più semplice che accettare le proprie stesse parole. I contorni dello sconosciuto erano sempre meno nitidi, l’immagine si sovrapponeva ad un’altra ben più nota e certamente meno tangibile. Come se non avesse tentato di allungare la mano.
“E’ stato solo un sogno.”
Ne era certo, e stava parlando da solo con il mondo che non si curava di lui e il barista che, strofinando un bicchiere con uno straccio troppo lontano dalla normale idea di pulizia, si chiedeva quando avrebbe dovuto gentilmente scortarlo a vomitare l’anima fuori dal suo locale. Solo un sogno, l’ennesimo dello stesso tipo, l’ennesimo in cui si ritrovava ad annegare in quei fottuti occhi, l’ennesimo non premonitore. Niente era reale, e Merlin scopriva di amare i fumi dell’alcol, le allucinazioni che esso dava, in quella maniera un po’ masochista che comprendono solo i disperati.
“E io non ho fatto in tempo.”
Resta con me, gli aveva chiesto. Un altro miracolo. Ma era lui quello con la magia, lui quello da cui ci si sarebbero potuti aspettare i miracoli, lui che invece non aveva potuto far altro che urlare. Dei, se voleva urlare, quella sera più di tutte le altre, completamente ubriaco per il mero bisogno di sentire qualcosa. Si accasciò teatralmente con la testa sul freddo bancone di marmo, lasciandosi sfuggire un singhiozzo che non valeva più la pena di trattenere, con tutta l’intenzione di non rialzarsi fino a quando il mondo non avesse smesso di girare. Letteralmente.
“Pensi che avrebbe potuto… che lui avrebbe potuto amarmi?”
Ebbe la vaga percezione del tocco di una mano sulla spalla, sul collo, sulla nuca, finché non si trasformò nella chiara sensazione di una stretta più salda sui suoi capelli, che gli sollevava il viso delicatamente, irresistibilmente. Ancora quegli occhi, e non erano nella sua testa, non soltanto. Così reali, così vicini, così fottutamente arthuriani. Non ebbe il tempo di dire una parola prima che la mano destra dell’uomo… prima che la mano destra di Arthur lasciasse i suoi capelli scompigliati per spostarsi delicatamente sulla sua guancia, e all’improvviso non si sentiva più la testa sul punto di scoppiare, e quei contorni erano di nuovo perfettamente, straordinariamente definiti, mentre quelle labbra conosciute solo da lontano si avvicinavano pericolosamente, per sussurrare nell’infrangersi contro le sue.
“Io penso che non abbia mai smesso.”





  
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