Siamo stati figure ritmiche:
abbiamo sempre mantenuto la
stessa distanza
l'uno dall'altro,
senza riuscire mai a
colmarne il vuoto
assoluto nonostante
i nostri tentativi d'avvicinarci.
Forse,
scegliendo strade inverse,
un giorno torneremo a
sfiorarci la mano.
Ma intanto le dita
stringono il nulla,
un nulla troppo pieno di
sé per essere un
vuoto effettivo.
Il freddo delle mancanze.
Tu dicevi che non ci si
poteva arrampicare sugli specchi.
Io dicevo che non ci si
poteva aggrappare al nero.
Eppure entrambi abbiamo
continuato con i nostri tentativi di
avvicinamento falliti,
ignorando l'uno le
parole dell'altro.
Se per una volta avessimo ascoltato,
invece che cercare di non far
crollare il nostro ego pericolante,
forse le cose sarebbero state diverse,
ora.
Ma è inutile piangere su
errori già commessi:
conservo lacrime per lutti peggiori
- e magari ci sarà ancora
pioggia a cadere.
A bagnare volti già
umidi di pianto.
Senza orgoglio alcuno a
soffocare i singhiozzi.
A dissetare labbra avide di
scuse da porgere l'uno all'altro.
Senza paura d'apparir debole.
Perché forse l'unico ostacolo è
il riconoscere d'aver sbagliato.
Ma il nostro ritmo sta ne
l aver pensato d'esser colpevoli,
ma solo per poi puntare il
dito all'altro gettando malamente colpe
non vere.
Senza accettare le
colpevolezze che
dovremmo invece imparare a
render nostre.
Senza mai negare quel
"io" che s'è fatto troppo grande da
sostenere per
persone fragili come noi.
Io e te.
Tu m'avevi detto:
"Non ti muovere".
E non ti avevo ascoltato.
Io t'avevo detto:
"Solo se poi torni".
E non mi avevi ascoltata.
Io avevo continuato a vagare.
Tu non eri più tornato.
Forse,
un giorno,
rivedendoci,
dirai:
"Avresti dovuto ascoltarmi".
E io dirò:
"Avresti dovuto farlo anche tu".
Magari ci ascolteremo,
quel giorno.
E getteremo le nostre maschere.
Noi,
che siamo stati colpevoli.
Noi,
che siamo stati vittime.
abbiamo sempre mantenuto la
stessa distanza
l'uno dall'altro,
senza riuscire mai a
colmarne il vuoto
assoluto nonostante
i nostri tentativi d'avvicinarci.
Forse,
scegliendo strade inverse,
un giorno torneremo a
sfiorarci la mano.
Ma intanto le dita
stringono il nulla,
un nulla troppo pieno di
sé per essere un
vuoto effettivo.
Il freddo delle mancanze.
Tu dicevi che non ci si
poteva arrampicare sugli specchi.
Io dicevo che non ci si
poteva aggrappare al nero.
Eppure entrambi abbiamo
continuato con i nostri tentativi di
avvicinamento falliti,
ignorando l'uno le
parole dell'altro.
Se per una volta avessimo ascoltato,
invece che cercare di non far
crollare il nostro ego pericolante,
forse le cose sarebbero state diverse,
ora.
Ma è inutile piangere su
errori già commessi:
conservo lacrime per lutti peggiori
- e magari ci sarà ancora
pioggia a cadere.
A bagnare volti già
umidi di pianto.
Senza orgoglio alcuno a
soffocare i singhiozzi.
A dissetare labbra avide di
scuse da porgere l'uno all'altro.
Senza paura d'apparir debole.
Perché forse l'unico ostacolo è
il riconoscere d'aver sbagliato.
Ma il nostro ritmo sta ne
l aver pensato d'esser colpevoli,
ma solo per poi puntare il
dito all'altro gettando malamente colpe
non vere.
Senza accettare le
colpevolezze che
dovremmo invece imparare a
render nostre.
Senza mai negare quel
"io" che s'è fatto troppo grande da
sostenere per
persone fragili come noi.
Io e te.
Tu m'avevi detto:
"Non ti muovere".
E non ti avevo ascoltato.
Io t'avevo detto:
"Solo se poi torni".
E non mi avevi ascoltata.
Io avevo continuato a vagare.
Tu non eri più tornato.
Forse,
un giorno,
rivedendoci,
dirai:
"Avresti dovuto ascoltarmi".
E io dirò:
"Avresti dovuto farlo anche tu".
Magari ci ascolteremo,
quel giorno.
E getteremo le nostre maschere.
Noi,
che siamo stati colpevoli.
Noi,
che siamo stati vittime.
Agerath