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Autore: mardeybum    28/09/2014    6 recensioni
La vita è una bastarda; Calum l'aveva imparato con il tempo e nessuno mai gliel'aveva detto, né gli era stato insegnato a scuola. Perché l'attimo prima sei a festeggiare i tuoi diciotto anni, in un pub di periferia, con i tuoi migliori amici di sempre e il tuo ragazzo, e cazzo se sei felice, ci potresti addirittura scrivere una canzone su quanto sei felice. [...] L'attimo dopo invece il dottore ti dice che è spiacente, che hai un fottutissimo cancro al rene e che potresti non farcela. La vita è doppiamente bastarda se quello col cancro è il tuo ragazzo.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Calum Hood, Luke Hemmings
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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November rain


Now turn away, 
'Cause I'm awful just to see 
'Cause all my hairs abandoned all my body, 
Oh, my agony, 
Know that I will never marry, 
Baby, I'm just soggy from the chemo 
But counting down the days to go 
It just ain't living 

[My Chemical Romance, Cancer]

 

Calum scivolò nell'edificio, mentre la fredda pioggia di novembre cadeva con prepotenza sull'asfalto. Il consueto odore di disinfettante che gli faceva pizzicare le narici ricordava tutte le volte in cui era stato costretto a fare il prelievo del sangue, nonostante gli aghi lo terrorizzassero. Piangeva un fiume di lacrime, ma poi sua madre gli comprava un nuovo giocattolo nel negozio all'angolo, quindi, tutto sommato, c'erano dei lati negativi e dei lati positivi. Insieme all'odore di disinfettante c'era una punta più aspra che Calum aveva associato alla malattia. Storse il naso, nonostante ne fosse ormai abituato. L'infermiera caposala gli dedicò un sorriso dolce non appena lo vide arrivare e Calum firmò tutte le scartoffie con la sua calligrafia poco chiara e trasandata, dettata in parte dalla stanchezza. Non c'era bisogno di chiedere se ci fossero dei miglioramenti, comunque. La strada la conosceva a memoria, tanto da poterla percorrere anche bendato, se ce ne fosse stato bisogno; svoltò immediatamente nel primo corridoio alla sua destra e, via via che superava le porte coi numeri – centosettantotto, centosettantanove, centottanta... –, si chiese se tutto quello un giorno sarebbe divenuto soltanto un lontano brutto ricordo. La stanza era la centottantadue. Con la mano sulla maniglia, si ritrovò ancora una volta incerto se volere constatare o meno cosa ci fosse quel giorno dietro di essa. Calum difatti non era mai stato un ragazzo coraggioso. Certo, alle scuole medie si vantava di esserlo e rispondeva con spavalderia ad ogni provocazione, risultando bello ed inossidabile agli occhi dei suoi coetanei. Ma lui in realtà era un vigliacco; bastava lanciargli un'occhiata più approfondita per notare le gambe che tremano convulsamente e lo sguardo che vacilla e si spezza sotto un peso un po' più generoso. Per questo, dopo poco meno di nove mesi, era ancora dannatamente spaventato. Tratteneva il respiro come se dovesse immergersi nelle acque di un mare profondo, mentre apriva lentamente la porta. Sotto il suo sguardo, a pochi passi da lui, c'era Luke. Adagiato su un letto che pareva volerlo inghiottire sempre di più, il ragazzo aveva gli occhi chiusi e il petto gli si alzava ed abbassava ritmicamente, segno inconfutabile che stesse dormendo. Il cuore di Calum perse un battito nel notare le ultime ciocche di capelli color grano sparse sul cuscino lindo, le stesse ciocche che tempo prima Luke aggiustava con precisione per donare alla capigliatura un aspetto curato. Calum aveva smesso di piangere mesi prima, quando credeva di avere esaurito tutte le lacrime ed era sicuro non si sarebbero mai più rigenerate. Si limitò quindi a sedersi sulla poltrona grigia al lato del letto, su cui aveva speso intere notti ed interi dì in attesa di un miracolo che non sarebbe arrivato ed a pregare come mai aveva fatto. E forse Dio non gli avrebbe concesso niente, perché lui non era mai stato un ragazzo troppo religioso, ma era di Luke che si parlava, quindi uno strappo alle regole era più che accettabile. Con le spalle curvate su di lui, si permise di osservarlo un attimo in più. I cerchi neri sotto i suoi occhi apparivano più marcati quando tutto intorno era di un bianco che accieca e sembravano come una macchia di inchiostro color pece su di un foglio. Gli zigomi pronunciati parevano volersi aprire un varco nella pelle soprastante per uscire allo scoperto. Sotto il naso, un tubicino sottile e trasparente era diventato un tutt'uno col suo viso. Nonostante questo e mille altre cose, Calum pensava che Luke fosse ancora bellissimo. Proprio come la prima volta che l'aveva incontrato.

Passarono ore, o soltanto pochi minuti, prima che un paio di occhi azzurri si fissassero su di lui. Un sorriso dolce fece capolino sul viso di Luke e Calum fu sicuro di non aver bisogno di nient'altro nella vita. Dimenticate i soldi, la fortuna, la fama; dimenticate anche la musica. Dimenticate tutto, perché il sorriso di Luke valeva più di tutte quelle cose messe insieme. 

Si raddrizzò sulla sedia scomoda, la schiena che in alcuni punti reclamava pietà e minacciava di spezzarsi in due, e ricambiò il sorriso come poté.

“Buongiorno dormiglione.”

Non si dissero più niente; a Calum bastava ascoltare i loro respiri che andavano in sincronia e a Luke bastava sentire il calore della mano di Calum sulla sua, che era fredda e pallida. Era la loro routine e fino a quando sarebbe stata possibile, andava bene così. Qualche volta invece, quando il silenzio diveniva impossibile da sostenere, Luke gli chiedeva di raccontare una storia, perciò Calum gli parlava di due ragazzi che si amavano e sarebbero rimasti insieme per sempre, non importa quali ostacoli avrebbero incontrato, perché li avrebbero affrontati e superati. Calum non gliel'aveva mai detto, ma Luke aveva intuito da sé che quei ragazzi erano in realtà loro due.


 

La vita è una bastarda; Calum l'aveva imparato con il tempo e nessuno mai gliel'aveva detto, né gli era stato insegnato a scuola. Perché l'attimo prima sei a festeggiare i tuoi diciotto anni, in un pub di periferia, con i tuoi migliori amici di sempre e il tuo ragazzo, e cazzo se sei felice, ci potresti addirittura scrivere una canzone su quanto sei felice. Al momento delle candeline, che poi scopri sono quelle che non si spengono se non dopo svariati tentativi perché i tuoi amici sono coglioni, desideri per dieci volte di fila che tutto quello non abbia mai fine e ti auguri che ce ne siano altri cinquanta di compleanni del genere. L'attimo dopo invece il dottore ti dice che è spiacente, che hai un fottutissimo cancro al rene e che potresti non farcela. La vita è doppiamente bastarda se quello col cancro è il tuo ragazzo e tu non puoi far altro che vedere il suo corpo che si consuma sotto i tuoi stessi occhi, impotente. La vita è una grande e grossa bastarda e nessuno può fare niente per cambiarlo.

Seduto sulla sua sedia sedia a rotelle, perché troppo debole per camminare da se', Luke indicava e salutava i pazienti che aveva già conosciuto. Chiedeva di Marie, ma nessuno gli rispondeva. Capì da solo perché il suo letto fosse vuoto e la stanza chiusa a chiave. C'era uno spiraglio di sole quel giorno e lui era chiuso nel suo giubbotto di lana. Un cappellino nero gli copriva la testa, perché tutti i capelli avevano ormai abbandonato il suo corpo e lui si vergognava di farsi vedere senza. Calum spingeva la sedia al ritmo della canzone che proveniva dal suo telefono e che l'altro aveva scelto con cura, impiegandoci qualche momento di troppo. Era una canzone metalcore, che né i pazienti e né gli infermieri gradivano troppo, soprattutto perché il suo titolo era “aldilà”*. Era una delle preferite di entrambi e ricordava i momenti in cui restavano per ore stesi sul letto con la stessa canzone a ripetizione. Luke gli chiese di accelerare, fino a quando non furono finalmente all'aperto. Il sole colpì la sua pelle chiara dopo tempo e, anche se non era per nulla caldo, Luke si sentì scottare. L'odore di malattia fu sostituito da quello delle ultime margherite dell'anno che crescevano nei giardinetti tutt'intorno. Un odore che presto si sarebbe impregnato sui loro vestiti e sui loro corpi. Fermo davanti ad una panchina vuota, Calum vi si sedette sul bordo. Accanto a lui, Luke sceglieva un'altra canzone. Una folata di vento li costrinse a stringersi meglio nei loro vestiti; faceva davvero freddo.

“Sai,” stava dicendo, mentre scrollava con il dito il lettore musicale, il labbro inferiore catturato tra i denti. “Un po' mi dispiace sapere di non poterti sposare.”

Le sue parole colpirono Calum come un proiettile sparato dritto alla nuca; il dolore che provò fu praticamente lo stesso, se non peggiore. Smise di guardare gli altri pazienti che avevano deciso di fare una passeggiata, per appoggiare lo sguardo su di Luke. Un Luke con una smorfia d'amarezza sul volto e che pareva così vulnerabile e piccolo rispetto al mondo, che al contrario è grande e pericoloso. Calum l'avrebbe protetto e sarebbe rimasto fino alla fine. Perché la fine non era ancora arrivata e perché non lo avrebbe fatto per molto altro tempo. Probabilmente la sua era solo una speranza, ma aveva sentito dire che quando una cosa la si spera ardentemente, questa si avvera. Calum riponeva la sua fiducia sulla tipica frase che si troverebbe sui biscotti della fortuna, eppure arrivi a credere un po' a tutto in alcune circostanze.

“Io ti sposerò, Hemmings,” rispose allora. “Non importa come o quando, ma giuro che lo farò.”

E poiché le sole parole non gli sembrarono abbastanza e riusciva ancora a vedere la tristezza che macchiava gli occhi di Luke, si assentò qualche secondo per raccogliere una dozzina delle margherite più belle tra quelle rimaste e intrecciarle in una coroncina profumata. Ancora qualche secondo per sistemare la carrozzella di Luke sotto uno dei pochi alberi con ancora poche foglie, il tutto sotto lo sguardo interrogativo del più piccolo. Gli era sempre piaciuto sorprenderlo.

“Allora, Hemmings, ti va di sposarmi adesso?”

Luke spalancò le labbra sottili in una perfetta “O”. Era così bello, con gli occhi che brillavano dopo tutto quel tempo in cui erano stati spenti. Poi ridacchiò – lo stesso suono che potrebbe avere la felicità –, una mano all'altezza delle labbra per nasconderle, gesto che era sempre stato suo negli anni. “Tu sei pazzo, Hood. E non provare neanche a rispondere che sei pazzo di me, perché altrimenti ti pianto sull'altare.”

“Era un sì?”

Luke annuì, senza smettere neppure per un istante di sorridere, e Calum gli adagiò la coroncina di fiori sul cappellino, attento a non romperla.

“Ci dichiaro marito e marito. Ora puoi anche baciarmi.”

Lui lo fece; appoggiò le sue labbra a quelle di Calum, in un bacio al sapore di sensazioni nuove e sensazioni vecchie, di cui nessuno dei due si sarebbe mai stancato, perché avevano imparato che sarebbero state effimere. Un bacio che sapeva di promesse e di speranze, a cui entrambi erano saldamente aggrappati. Luke Hood non suonava per niente male nella sua testa.


 

La pioggia di novembre non regalò altre tregue. Un po' come la malattia di Luke, che le chemioterapie non riuscivano a vincere. Luke era debole e sull'orlo del precipizio; Calum era distrutto, ma soltanto quando credeva che Luke non stesse guardando. Nove mesi erano passati da quando tutto era cominciato; gli stessi che occorrono per dare inizio ad una nuova e giovane vita, ora la stavano portando via. Stavano portando Luke via da Calum e lui semplicemente non poteva sopportarlo. Aveva abbandonato l'università quando il carico si era fatto troppo oneroso per le sue spalle e quando tutto gli faceva pensare a Luke. Andò in chiesa una domenica e conobbe un gruppo di ragazzi della sua età che facevano del volontariato. Qualcuno gli disse che avrebbe pregato per lui e per la sua altra metà ; Calum gliene era grato. Lo raccontò a Luke lo stesso pomeriggio; lui parve felice di sentire cosa avesse fatto. Ogni tanto, Calum veniva bloccato da un colpo di tosse del più piccolo, una tosse che sembrava volerlo scaraventare sempre più in profondità, come se non avesse toccato il fondo già tempo prima.

Una sera Luke gli chiese se si sarebbe mai dimenticato di lui. Lo chiese con una genuina curiosità, gli occhi grandi che lo guardavano aspettandosi il peggio, come se avesse potuto essere un qualcosa di plausibile. Calum gli posò due baci sulle labbra screpolate e uno sul collo scoperto, laddove sapeva che Luke avrebbe apprezzato – conosceva a memoria i suoi punti deboli nello stesso modo in cui conosceva i suoi nei sul collo che spesso amava collegare con un dito alla mattina presto. Ogni volta, Calum scopriva nuove costellazioni e dava un nome ad ognuna di esse. Un “come potrei se tu sei qui” sussurrato a metà tra l'orecchio e la clavicola. Non lo vide, ma fu certo che Luke stesse sorridendo. Magari non sarebbe stato lì fisicamente, perché le speranze sono solo speranze, ma Calum sapeva che ci sarebbe stato. Luke dormì tra le braccia di Calum, il calore rassicurante del suo respiro e il petto che gli si abbassava ed alzava ritmicamente appoggiato alla sua schiena; le gambe incrociate sotto le lenzuola e le mani che si cercavano e si congiungevano. Odiava pensare che tutto quello presto non sarebbe mai più successo.


 

Calum riusciva a vedere la vita di Luke spegnersi un po' di più ogni volta che varcava la porta della centottantadue, una tazza di caffè bollente tra le mani e un sorriso forzato sul volto. Si appoggiava accanto al letto, finiva di bere il liquido scuro, ormai freddato, e guardava Luke. Un senso di impotenza ed inutilità cresceva nella sua mente ogni volta che i giorni passavano e Luke, sfinito per la chemio e i suoi effetti collaterali, ma pur sempre bello da mozzare il fiato, declassava il tempo che gli rimaneva da trascorrere sulla terra. Calum pensava che contare i giorni rimasti semplicemente non fosse vivere. Il dottore gli dava meno di un mese. Calum permetteva al suo cuore di pensare che Luke fosse abbastanza forte da riuscire a sopravvivere di più. Tanto da guardare insieme a lui i fuochi d'artificio a Capodanno e stilare una lista di buoni propositi, che poi sarebbero stati tutti “stare con te per sempre”. Perché, alla fine, cos'era Calum senza Luke se non una nave senza la sua bussola, spaesata ed in cerca della sua meta, che si rivelava la bussola stessa? Luke era casa; era il profumo di biscotti al cioccolato alla domenica e quello dell'ammorbidente alla lavanda sulla sua sciarpa preferita. Luke era una canzone d'amore suonata e cantata con passione; era il caldo di un fuoco acceso in pieno inverno e il refrigerio dell'acqua di mare in piena estate. Luke era tutto ciò che il mondo aveva da offrire di buono e Calum aveva bisogno di lui per non perdersi.

“Voglio fare ancora una volta l'amore con te.”

Luke glielo disse quando ormai novembre si stava preparando per farsi da parte e per lasciar spazio ai canti e agli addobbi natalizi del mese di dicembre. Calum l'aveva guardato; dal corpo scarno, con un groviglio di vene azzurre in evidenza, agli occhi spenti e si rese conto che forse, forse quella era la vera fine. Capì che una speranza è sicuramente soltanto una speranza e non importa quanto tanto tu abbia pregato che si avverasse, perché quella rimarrà tale. Fecero l'amore in una stanza del reparto di oncologia di un ospedale, perché le regole morali persero d'importanza, con le tende abbassate e al buio. Lo fecero lentamente e senza fare rumore, tranne per qualche gemito pigro che scappava dalle labbra sbiadite del più piccolo e di cui Calum si beò. Attorno a lui, Luke sembrava ancora più bisognoso d'amore, quando in realtà era Calum ad averne più bisogno. Per quei pochi attimi, entrambi si scordarono delle malattie bastarde che portano via le persone migliori, delle medicine aspre, del male e del mondo intero. C'erano solo loro due e nient'altro. E dopo un'infinità, si sentirono entrambi felici.


 

Luke se ne andò come la pioggia di novembre, in punta di piedi ed in un modo del tutto inaspettato, per quanto le circostanze lo permettessero. Calum era lì quando successe.

“Ce la farai,” aveva detto in un momento di puro e sconfinato ottimismo, le loro dita intrecciate. “Non puoi lasciarmi da solo dopo che ci siamo sposati, no? Abbiamo ancora mille cose da fare. Dobbiamo guardare i fuochi d'artificio insieme.”

“Mi piacciono i fuochi” commentò Luke, con voce roca e flebile, quasi inudibile. Ad ogni sillaba, le corde vocali sembravano volersi spezzare per il troppo sforzo.

“A me piaci tu, perciò non ti azzardare a lasciarmi Luke, perché altrimenti potrei diventare pazzo senza di te.”

Nell'ammettere le sue paure e ciò che sarebbe successo, Calum smise di tenersi tutto dentro. Pianse, dopo mesi e mesi in cui si era rifiutato di farlo, perché piangere equivale ad essere debole e lui voleva essere forte. Per Luke. Le lacrime che gli striavano le guance erano amare e se le sentiva bruciare per tutto il loro tragitto fino alla mascella. E Luke, che era bellissimo ed era nato per brillare, ma che aveva scelto di stare con uno come Calum, smise di lottare.

La vide con gli occhi acquosi la vita che scivolava via da lui quasi fosse impermeabile; vide il cuore smettere di pompare sangue, i polmoni sfiatarsi e gli occhi divenire vitrei e perdere quel colore caratteristico che solo loro avevano. Si lasciò strattonare via dagli infermieri, senza riuscire ad opporsi. Anche lui morì in quella stessa stanza d'ospedale, ma non per colpa di una malattia.


 

Le foglie secche scricchiolavano sotto le sue scarpe ad ogni suo passo. L'aria fredda gli colpiva il volto e pizzicava come una dozzina di spilli affilati. Si alzò la sciarpa fin sopra il naso e si strinse nel suo cappotto – nel cappotto di Luke, nelle cui cuciture e nelle tasche restava ancora un po' della sua essenza e Calum si rifiutava di lavarla via. I cipressi nel buio della notte somigliavano a cupe guardie e si aspettava quasi che gli sbarrassero la strada con i loro rami. Tuttavia non successe. Neppure quando tento di scavalcare il cancello di ferro battuto, con la sciarpa che s'impigliava ad ogni sporgenza. Il sentiero era scuro e gli suggeriva che il non portare una torcia era stato un errore. Affondò le mani coperte dai guanti nelle tasche e accelerò il passo. Tutt'intorno, superfici di pietra e marmo dalle forme simili ospitavano sotto di esse le case eterne di persone dormienti che mai più si sarebbero risvegliate. Quella che cercava non era particolare come il mausoleo a dieci passi da lui, fatto di materiali costosi e sigillato da una porta apparentemente indistruttibile, ma era una semplicissima lapide che stava tra quella di una ragazza dai tratti dolci e quella di un bambino di poco più di sei anni. Su quella di mezzo, la foto di un ragazzo coi capelli biondissimi gli sorrideva, fiocamente illuminato dalla luna. Calum sorrise a sua volta, mentre gli si sedeva di fronte. La lapide diceva: “Luke Hemmings, 16 luglio 1996 – 27 novembre 2014”. Sotto, tra due virgolette, un breve epigrafe che avrebbe fatto storcere il naso a Luke. Qualcosa di estremamente cliché che c'era scritto su qualunque altra lapide presente lì e nel resto del mondo. Invece Luke aveva sempre voluto distinguersi dalla massa; l'aveva notato sin dal primo giorno che l'aveva conosciuto, quando lui aveva capito che Calum non era così impavido come dava a vedere. Indossava un paio di occhiali fluo e, nonostante fosse più basso della media di qualche centimetro, riusciva a farsi notare tra tutti. O almeno, Calum l'aveva notato. Allora avevano poco più di tredici anni e il più grande sapeva già che il piccoletto sarebbe rimasto con lui per tanto tempo. Purtroppo però c'era rimasto meno di quanto avesse previsto. Perché, nonostante le sue insicurezze, le sue paure e il suo parlare a vanvera ogni qualvolta che era nervoso, Calum adorava averlo attorno. E quando Luke a sedici anni gli aveva rivelato che gli piaceva da morire, con la testa bassa e le mani che si torturavano, Calum aveva capito che sarebbe stato il grande amore della sua vita. Lo era ancora, nonostante il suo corpo fosse ad un paio di metri sotto terra. Una piccola scintilla nel cielo seguita immediatamente da un botto, lo trascinò via da i suoi pensieri. I fuochi d'artificio brillavano nel cielo e si specchiavano nelle lapidi sottostanti. Calum si sistemò meglio a terra e incrociò le gambe, pronto a godersi lo spettacolo.

“Ti avevo promesso che avremmo visto i fuochi insieme, perciò buon anno nuovo, Hemmings.”

Sussurrò anche un “ti amo”, coperto dal tonfo assordante dei botti. Fu certo però che Luke l'avesse sentito, ovunque fosse in quel momento.



*la canzone è Afterlife degli Avenged Sevenfold, se mai v'interessasse.

Note d'autrice
Ho sinceramente paura di cosa possiate dirmi ora.
A parte "fari morire sempre Luke, bastardaAaaA!", perché vi capisco, non so perché lo faccio (sarà che Calum è il mio bby e non ci riesco proprio a farlo crepare, smielata).
Quindi, una cancer!au (ispirata proprio all'omonima canzone di quegli stronzi dei My Chem-- whoops intendevo di quell'idea), yay, ci voleva proprio dopo che mi avete quasi fatto fuori per Asleep. E' molto più breve di Asleep e forse un po' più cagosa e cliché, but who knows (visto che per me fanno tutte schifo allo stesso modo). Per il titolo ho preso ispirazione da November Rain dei Guns.
Probabilmente ci saranno errori sparsi ovunque perché figurati se mi cerco una beta oppure se rileggo quando non ho il cervello ucciso post-matematica.
E niente, spero non mi uccidiate e spero che vi piaccia.
Un bacio :)

   
 
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