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Autore: Chaotic Alaska    29/09/2014    1 recensioni
~ Quarta classificata al contest "Impossible love stories" indetto da Geah.Nee ~
Non credo nel colpo di fulmine, sia ben chiaro. Non sono tipa da “grande amore” o cazzate del genere. Credo nell’amore formato tascabile, quello con la ‘a’ minuscola.
Era quello che credevo fino a questa mattina.
Finché non ho aperto il frigo per prendere il cartone del latte e la mia giornata è radicalmente cambiata.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Milk
Milk


Accendo il fornello e, reprimendo a stento uno sbadiglio, ci sbatto sopra la caffettiera.
È una nuova, magnifica giornata.
Afferro la tazza più pulita che trovo nel lavello e la poso sul tavolo, rischiando di mandarla a frantumarsi contro il pavimento. Non sono esattamente la persona più aggraziata sulla faccia della Terra e, appena sveglia, la mia goffaggine peggiora drasticamente. Mi accascio su una sedia, stremata: sono sveglia da appena dieci secondi, ma già non vedo l’ora di tornare a dormire.
«Maledettissima università» brontolo, sconsolata. Attendo che il caffè sia pronto.
Accendo la TV e cerco un canale di musica. Insomma, un inizio giornata come tanti altri.
Finché non apro il frigo per prendere il latte.
Avete presente le foto dei bambini scomparsi che in America stampano sui cartoni del latte? Ecco, una cosa del genere. Se non fosse che il ragazzo stampato sulla confezione di latte che ho in mano … beh, per cominciare, non è decisamente un bambino. E, nonostante la scritta “MISSING” in rosso sotto la sua foto, non credo nemmeno che sia scomparso. Da quando in Italia si usa fare una cosa del genere?
Ultimo, ma non meno importante, è il ragazzo più bello che io abbia mai visto.
I sottili capelli color sabbia gli circondano il viso, macchiato da qualche lentiggine. Un dread fermato da una perlina blu gli piove sulla spalla, più lungo rispetto al resto dei capelli. Il suo sorriso sembra propagarsi al resto del viso come le increspature in uno stagno, quando lanci un sasso in acqua. Gli occhi, di un verde impensabile, sono animati da una scintilla divertita.
Non mi accorgo nemmeno del caffè che trabocca dalla caffettiera sul fornello.
La mia attenzione è completamente concentrata su quel ragazzo. Un unico pensiero di senso compiuto mi svolazza in testa: non voglio definirmi una sfigata, ok, ma quante possibilità ci sono di trovare l’uomo dei tuoi sogni … in una foto sul cartone del latte?
Studio con attenzione quel volto perfetto, cercando di ragionare. È forse un attore? Non l’ho mai visto prima, me ne ricorderei. È una nuova, strana forma di pubblicità?
Sono in ritardo per la prima lezione, quindi indosso i primi vestiti che mi capitano a tiro e, mentre cerco di pettinarmi i capelli, spengo il fornello sotto la caffettiera. Il caffè è ormai dilagato sul ripiano della cucina, ma non ho il tempo di occuparmene.
In tram, faccio una veloce ricerca su Internet: digito le parole “cartone del latte” e “ragazzo scomparso” e mi sento un’idiota. Cancello. Riscrivo. Clicco su “Cerca”. Niente, nada.
Non può essere una trovata pubblicitaria, ci sarebbe qualche informazione a riguardo, in rete. Scendo dal tram e vado praticamente a sbattere contro un giubbotto verde. Il giubbotto verde si volta e mi trovo a fissare la mia più grande persecuzione.
«Ehi, Tobia!» esclamo, allegra, mentre internamente supplico di sparire in un buco nel terreno.
«Maya!» urla lui, saltandomi addosso e abbracciandomi come se non mi vedesse da un secolo, o giù di lì. Ok, Tobia sarà anche il ragazzo più dolce e gentile sulla faccia della Terra, ma è letteralmente un parassita. All’inizio, pensavo mi seguisse, giuro. Continuavo a trovarmelo davanti (o, come in questo, a sbattergli contro) ovunque andassi.
Poi, mi sono resa conto di essere semplicemente molto sfigata.
Si sistema gli occhiali sulla punta del naso e mi regala un sorriso a trentadue denti «Andiamo?»
Ovviamente, è iscritto alla mia stessa facoltà, c’era qualche dubbio?
Attacca a parlare di non so quale nuovo videogame che sta sviluppando, ma io non lo seguo più. Gli avrò ripetuto centinaia di volte che non capisco nulla del linguaggio tecnico che usa, ma lui continua imperterrito a blaterare, agitando con foga le mani. Mi fa piacere passare del tempo con lui, perché, quando non parla di videogames, è una persona gradevole, a suo modo. Il problema è che mi si è dichiarato già tre volte. Non serve a nulla che io gli spieghi, gentilmente, che non ricambio i suoi sentimenti. Continua a tirare fuori il discorso, come per i videogames. Inizio a credere che abbia qualche problema di udito.
Oggi, però, sono troppo distratta per prestargli la benché minima attenzione. Il volto del ragazzo col dread continua a perseguitarmi, come una specie di chimera. Possibile che me lo sia immaginato? Sto forse impazzendo?
Non credo nel colpo di fulmine, sia ben chiaro. Sono una persona coi piedi ben piantati per terra, vado all’università e lavoro part-time in una copisteria. Avrò avuto due o tre storie, nel corso dei miei ventiquattro anni di vita. Non sono tipa da “grande amore” o cazzate del genere. Credo nell’amore formato tascabile, quello con la ‘a’ minuscola.
Eppure, mi pare di ricordare a memoria ogni singola sfumatura di verde di quegli occhi.
È come se qualcuno mi avesse messo in mano una matita e mi avesse chiesto di disegnare il mio ragazzo ideale. E avesse poi stampato il risultato su un cartone del latte.
In quel momento, mi rendo conto che c’è un unico posto in cui posso andare a cercare spiegazioni.
«Maya, mi stai ascoltando?» chiede Tobia. Ha un’aria leggermente seccata. Mi guardo intorno e noto, sorpresa, che la lezione è quasi finita.
«Oh, ehmm, sì. Stavi parlando di … un nuovo videogame, giusto?» azzardo.
«Che figata, vero?» mi abbaglia con un sorriso, e mi sento quasi in colpa per non aver ascoltato una parola di quello che ha detto «È assolutamente geniale!»
«Tobia, ascolta.» Non riesco a trattenere la domanda, per quanto lui possa essere l’ultima persona a cui voglio chiedere una cosa del genere. «Pensi mai che ci si possa … non so, innamorare di una persona al primo sguardo? Come se tu fossi immerso in questo grande caos che è il mondo, poi vedi lui e tutto sembra recuperare un qualche senso? Credi che sia possibile?»
«Ne sono convinto, mia dolce Maya» risponde, annuendo «Credo che sia la forma d’amore più puro, perché ci innamoriamo della nostra stessa idea di amore.»
«Sì, ma non ha senso.» Rivedo il sorriso del ragazzo del latte, quell’onda che increspa l’acqua prima immobile «Come puoi innamorarti di qualcuno che neanche conosci? Potrebbe avere un carattere mostruoso. Potrebbe essere un serial killer, o che so io!»
Tobia sorride. «Chi l’ha mai detto che ci innamoriamo di quel qualcuno? Non facciamo altro che innamorarci di un’immagine che noi stessi proiettiamo. C’è la Maya reale, quella un po’ stronza che non mi ascolta mai quando parlo, e la Maya nella mia testa, che è la persona di cui sono innamorato. E, purtroppo per me, il cuore non riconosce la differenza.”

***

All’uscita, accampo il pretesto del lavoro per sfuggire ad Tobia. Mette su un’espressione ferita, con il risultato di farmi innervosire ancora di più. Dio, ma che problemi ha? Devo forse gridarglielo contro, che non mi piace?
Ha ragione lui, so di essere abbastanza stronza, quando mi comporto così.
Ma andiamo, io mi sarei messa l’anima in pace, dopo tre tentativi a vuoto. O al massimo avrei tentato di suicidarmi per l’imbarazzo.
Non riesco a fare a meno di ripensare alle parole di Tobia. Eliminando la conclusione, mi ha sinceramente stupita. Non mi sarei mai aspettata una tale maturità da un ragazzo che passa le sue giornata a progettare videogames.
Ha centrato in pieno il problema: sono innamorata della mia idea del ragazzo con il dread. Per quanto ne so, potrebbe essere uno psicopatico che strangola gattini.
“Ed è per questo che devo trovarlo” mi ripeto, tentando di autoconvincermi.
Ho poco tempo, quindi faccio di corsa la strada fino al supermercato. Il cuore mi martella nel petto e mi sento decisamente stupida, ma non c’è un’altra pista da seguire.
Arrivo trafelata al banco frigo e mi fermo lì. Nessuna foto sui cartoni del latte.
Li esamino attentamente, per evitare di farmi sfuggire qualche dettaglio importante. Indosso persino gli occhiali da vista, cosa che evito accuratamente di fare in pubblico (non ci vedo tanto bene da vicino, ma non è un problema così grave), ma non c’è assolutamente nulla. Sono banalissimi cartoni di latte.
Butto gli occhiali in borsa e, col morale a terra, esco dal supermercato. Probabilmente, stamattina ero talmente rincoglionita dal sonno che mi sono immaginata tutto. Come ho potuto crederci, anche per un solo istante? Come se fosse possibile che l’uomo dei tuoi sogni compaia magicamente sul cartone del latte o … su un palo della luce.
Un volantino incollato al palo della luce.
Un altro volantino, scivolato sul marciapiedi. Ce ne sono un paio attaccati al muro. Altri tre o quattro sono affissi ad una bacheca per gli annunci di vendita e affitto.
Il suo volto, sorridente e perfetto, è ovunque. Il vento solleva i volantini e li porta via con sé, quasi fossero petali di un qualche fiore esotico. Nella luce morente di un pomeriggio invernale, con la luce dei lampioni e il traffico che scorre sulla strada accanto a me, sembra ancora più bello rispetto a stamattina.
E il pensiero che non sarà mai mio è una fitta al petto.
I passanti fissano increduli quella pioggia di carta, scrutando sospettosi il volto stampato sui fogli bianchi. Perché il suo viso è dappertutto? Chi è questo ragazzo? È davvero scomparso?
Al momento, il mio corpo è composto al 70% d’acqua e per il restante 30% di frustrazione.
È troppo chiedere una storia d’amore normale? È troppo chiedere di non innamorarsi di un ragazzo scomparso la cui foto tappezza il mio quartiere?
Sembra una favola con i ruoli invertiti, dov’è la principessa che deve mettersi alla ricerca del suo principe scomparso, e non viceversa. Ed è tutto così assurdo da non sembrare neanche reale. È a questo che penso, mentre nevicano volantini. Ne afferro uno e me lo infilo in borsa, poi riprendo a correre, perché sono di nuovo in ritardo.
«Dov’eri finita?» mi aggredisce Claudia, la proprietaria della copisteria, un’acida donnina di mezz’età.
Sbuffo rumorosamente e poso il giubbotto e la borsa in un angolo. Poi mi giro, pronta ad aiutare il primo cliente. E mi lascio sfuggire un sospiro rassegnato.
«Tobia» saluto, neutrale.
«Maya, scusa il disturbo.» Mi rendo conto di essere stata un po’ troppo brusca. In fondo, non è colpa sua se prova quel genere di sentimenti per me. Provo a immaginare come potrei sentirmi se, una volta trovato il ragazzo del latte, quello scappasse via dopo che mi sono dichiarata. E giuro solennemente di trattare meglio Tobia, d’ora in poi.
«Nessun disturbo, dimmi pure» esclamo, sorridente.
Sembra un po’ sorpreso. Probabilmente, sta pensando che devo essere bipolare.
«Oh, vorrei un centinaio di fotocopie di questo.» E mi porge un volantino.
E mi ritrovo a fissare, per l’ennesima volta in questa giornata eterna, il ragazzo del latte.
 «Co-com’è p-possibile? Tu … Tu conosci questo ragazzo?» lo aggredisco, sbattendogli il volantino praticamente in faccia.
«Maya, Cristo santo, ma davvero non ascolti mai una parola di quello che dico?» Alza gli occhi al cielo, strappandomi di mano il volantino.
Vuol dire che me ne ha già parlato? E che io, come una cogliona, non lo stavo a sentire? Ok, d’ora in poi, ascolterò sempre ogni singolo, maledettissimo discorso di Tobia. Anche i monologhi pallosi sui videogames.
Cerco di mantenere la calma. Non deve capire che il discorso di oggi a lezione era riferito a lui. E se gli andasse a riferire qualcosa?
«No, ecco, è che il quartiere è sommerso da volantini come questo» spiego, con nonchalance «Quindi, ehmm, mi chiedevo chi fosse.»
Non sembra molto contento. Che abbia capito qualcosa?
«Maya … Senti, ho passato l’intera lezione a parlarti del nuovo videogame che sto sviluppando. Potevi dirmelo che non te ne fregava un cazzo.»
Perché mette in mezzo questi cazzo di videogames? È ovvio che non me ne frega niente, soprattutto in questo momento.
«Tobia, per favore, maledizione» sbotto, senza riuscire a trattenermi «Dimmi. Chi. È. Questo. Ragazzo.»
«È il protagonista del mio nuovo videogame, cazzo! Stamattina, ti avrò ripetuto duecento volte della mia geniale trovata per pubblicizzarlo. Mezza città si sta chiedendo chi sia.» gongola lui, tutto soddisfatto.
Aspetta. Che cosa?
«… E pensa che ho anche incollato la foto su qualche cartone del latte al supermercato, ieri. Hai presente come fanno in America? È stato un colpo di genio...»
È uno scherzo, vero?
«… Molto realistico, vero? Il tuo giudizio, però, non conta molto. Senza occhiali, sei praticamente una talpa.
   
 
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