Serie TV > Merlin
Segui la storia  |       
Autore: AsfodeloSpirito17662    29/09/2014    5 recensioni
Merlin lo aveva aspettato. Giorni, anni, secoli, completamente da solo. Aveva visto morire tutti coloro a cui aveva voluto bene e non aveva potuto fare niente per evitarlo.
Era rimasto completamente alla mercé di se stesso. Unico custode del suo segreto, unico custode della propria identità, della propria unicità.
Merlin lo aveva aspettato ed alla fine, dopo più di mille anni - Cristo, mille anni! - era impazzito. Aveva dato di matto.
Iniziò a buttarsi quasi consapevolmente, contro i tronchi degli alberi.
Il dolore era giusto. Doveva essere punito. Aveva bisogno, del dolore.
Merlin si era perso, stava radendo al suolo Albion, aveva ucciso delle persone.
Ed era tutta colpa sua.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Drago, Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

QUINTO CAPITOLO

5. Il male di Albion


Inghilterra, qualche mese prima, 2020


Merlin irruppe nel bagno. Non fece in tempo a raggiungere il water e sollevare la tavoletta, che il suo corpo iniziò a rigettare tutto ciò che aveva ingerito da quella mattina - una quantità veramente scarsa di cibo -. Strizzò le palpebre e per lo sforzo dovuto ai rumorosi conati, i suoi occhi iniziarono a lacrimare; cadde pesantemente sulle ginocchia ossute e le spalle furono scosse da alcuni tremiti. Qualcuno mi uccida, pensò intensamente, sentendo che non aveva più nient'altro da rimettere a parte i suoi stessi organi. Quando l'ondata di nausea fu passata e si sentì in grado di aprire nuovamente gli occhi, notò che l'acqua all'interno del water era diventata rossa. Aveva vomitato sangue.


Il suo vecchio corpo si risvegliò ansante ed in un bagno di sudore. Piantò lo sguardo verso il soffitto, sentendo la magia palpitare attraverso le vene come un cane rabbioso. Quando aveva iniziato a disintegrare ogni piccola parte di ciò che più di mille anni prima aveva aiutato a far nascere, non aveva avuto idea che sarebbe stato così: i suoi poteri, da qualche tempo, si comportavano in maniera strana e questo lo spaventava; spesso aveva la sensazione che la sua magia volesse prendere il sopravvento su di lui, per comandarlo e spingerlo sempre di più al limite. Merlin si mise a sedere con una certa fatica e guardò le mani che gli tremavano: quando avvicinò i palmi tra di loro, delle piccole scariche elettriche percorsero le sue dita, fin quando sulle lenzuola bianche non iniziarono ad apparire delle piccole macchie scure, sempre più numerose. Il mago corrugò la fronte, toccando con incertezza la coperta; a quel punto un'altra macchia comparve, stavolta sulla sua mano. Mosso da un'intuizione oscura, portò le dita al viso e lo sentì bagnato di qualcosa di denso: le nuove scariche elettriche che fecero piegare le falangi fragili, illuminarono del sangue.


Guardò con un distacco del tutto nuovo ed estraneo il casino che aveva fatto. Il fumo che dalle macerie saliva in rivoli lenti verso il cielo, gli fece inumidire gli occhi. Scostò con un piede un grande tocco di quello che doveva essere stato il muro di una qualche stanza dalla carta da parati fiorita ed attraversò zoppicando la strada principale. Si complimentò con se stesso ad un certo punto, non poté proprio evitarlo: più esaminava il risultato della sua opera, più aveva la certezza che non avrebbe potuto trovare modo migliore per scatenare un terremoto. Guardò con indifferenza tutte le anime che avevano avuto la prontezza di uscire dalla propria casa prima che quella crollasse loro addosso e grugnì, poiché era impossibile non notare come la maggior parte degli abitanti di quella piccola cittadina fosse riuscita a sopravvivere. Merlin si arrestò accanto ad un palo della luce che non funzionava più e vi si appoggiò stancamente. Le persone che si erano riversate nella strada, si agitavano in un panico del tutto comprensibile. I soccorsi erano già stati chiamati.

Non provò assolutamente niente quando un gruppo di volontari riuscì ad estrarre dalle macerie di un garage i corpi di una donna ed una bambina, entrambi senza un alito di vita; l'urlo di profondo dolore di quello che ne era stato probabilmente marito e padre, riuscì soltanto ad infastidirlo. C'era davvero bisogno di gridare a quel modo?

Un ragazzino, dall'altro della strada, lo stava fissando.

Merlin ricambiò gelidamente il suo sguardo, ignorando qualcosa di copioso che gli colava dal naso e dalle orecchie. Con il maglione, la faccia e la barba imbrattati del suo stesso sangue, il vecchio schiuse le labbra...

L'incantesimo che aveva avuto intenzione di pronunciare per far comprendere a quel moccioso che mai, in nessun modo alcuno, sarebbe esistito qualcuno che avrebbe avuto il permesso di guardarlo a quel modo, gli morì nella bocca. Avvertì un forte dolore al petto, una fitta talmente acuta che il mago cominciò a strattonarsi il maglione all'altezza del cuore, come volesse scavarsi nella pelle per estrarre il muscolo stesso e gettarlo via. Si sorresse al palo della luce e piegò la schiena in avanti, gli occhi strizzati forte per il dolore ed i denti digrignanti. Era insopportabile. Con la vista sfocata dalle lacrime a stento trattenute, vide che il bambino ancora lo guardava immobile, fisso come una statua; Merlin sputò a terra saliva mista a sangue e lottò intensamente contro se stesso. Era come se una parte di lui volesse a tutti i costi punire la curiosità di quel ragazzino, mentre la restante metà cercasse in ogni modo di fargli annodare la lingua per farlo morire soffocato.

Con il dolore che proprio non accennava a diminuire, il vecchio decise di aver fatto abbastanza per quel giorno e con evidente fatica, voltò le spalle alla miseria che aveva scatenato con le sue mani, ignorando le due belve che, dentro di lui, ancora stavano cercando di mangiarsi l'un l'altra.


Aveva degli spaventosi vuoti di memoria, non avrebbe potuto ignorare quel fatto un minuto di più. Non quando il continuare a negarlo era diventato praticamente impossibile. Si guardò attorno, tossendo più volte a causa della gola infiammata e della bocca asciutta. L'odore forte di bruciato lo costrinse a portare la manica del cappotto davanti la faccia, con la nausea che era prepotentemente salita poco dopo aver ripreso conoscenza - o forse non l'aveva mai persa e semplicemente non se lo ricordava? - Un gemito di profonda angoscia traboccò dalle sue labbra, mentre gli occhi bevevano ciò che era accaduto e si lasciò cadere pesantemente sulle ginocchia malandate: una riserva, un'intera riserva naturale inglese completamente incenerita dalle fiamme. Morta. Andata. Cancellata dalla faccia di Albion. Merlin abbassò lo sguardo sulle sue mani, che pulsavano di dolore: numerose piaghe dovute ad ustioni ne deturpavano i dorsi ed i palmi.

Lo sapeva. Sapeva che era stato lui. Ma perché non lo ricordava? Voltò di scatto la testa e mormorò qualcosa a fior di labbra, in una lingua sconosciuta, poi iniziò a negare con veemenza, come stesse parlando con qualcuno. La distruzione di Albion doveva funzionare, era l'unica chance che aveva, l'unica carta che gli era rimasta da giocare. Aveva deciso molto tempo prima di attaccarla, di indebolirla e danneggiarla, eppure alle volte l'angoscia ed i sensi di colpa lo atterrivano con una potenza così devastante da mandarlo totalmente in confusione. Ma perché non ricordava niente? Aveva deciso lui di sputare su tutto quello che, con fatica, aveva costruito insieme ad Arthur. L'aveva fatto con consapevolezza, l'aveva voluto con tutta l'anima.

Odiava Albion. La odiava. Da secoli non significava più niente per lui, eppure aveva atteso, aveva lasciato che il destino facesse il suo corso, che il tempo continuasse a scorrere. Aveva pazientato. Fin quando, un bel giorno, la sua pazienza era andata a farsi allegramente benedire ed aveva quindi deciso di rimboccarsi le maniche.

Afferrò della terra scura come il carbone e ne saggiò la consistenza con le dita. Non sentì niente a causa delle ustioni che gli coprivano le mani, soltanto un intenso bruciore di realtà. Era lì, lo era per davvero. Non stava sognando, aveva distrutto lui quel lembo di terra e tutte le piccole e medie città che si era lasciato alle spalle. Ma come sono arrivato qui? si domandò, lasciando cadere tra le dita la poca terra che aveva raccolto.


Si lasciò cadere stancamente sulla vecchia poltrona marrone, che aveva posizionato davanti al caminetto acceso. I suoi occhi blu, incredibilmente vividi nonostante l'età, si fissarono sul gioco di ombre che le fiamme creavano lungo il tappeto consunto. Gli inglesi credevano che la loro amata patria fosse caduta vittima di qualche strana maledizione, poiché da qualche mese a quella parte, con dell'insistenza che aveva dello spaventoso, una miriade di calamità naturali si stavano abbattendo - senza nessuna apparente logica -, su disparate parti del paese.

Merlin grugnì con disappunto, schioccando la lingua contro il palato; miserabili imbecilli, non poté fare a meno di pensare. Eppure sapeva che per loro era praticamente impossibile imputare a lui la causa di tutte quelle devastazioni. Non esiste la magia. Certo, continuò la mente del mago, lo vedremo se non esiste. Nessuno si era accorto che quei disastri imprevedibili una logica l'avevano eccome. E come potrebbero notarlo? ponderò in silenzio, Merlin. In effetti, nessuno avrebbe mai potuto farci caso, perché già da secoli fin al 2020, nessuno conosceva più per davvero la reale locazione ed estensione del regno di Albion, anzi! La sua terra era diventata addirittura materia di improbabili fiabe. Eppure... eppure era così facile da capire. Non stava abbattendo la sua ira a caso. La stava abbattendo esclusivamente su Albion.

Nonostante tutta la devozione estrema che aveva messo nel disintegrare quello che da sogno si era tramutato nel suo incubo più ricorrente, i suoi sforzi non avevano nemmeno vagamente accennato a voler dare i loro frutti. Non aveva avvertito nulla, non aveva sentito nulla, non aveva sognato nulla. Eppure Kilgarrah aveva parlato chiaro: il Re sorgerà di nuovo quando Albion ne avrà più bisogno. Con ironia sprezzante, Merlin piegò le labbra secche e pallide nell'ombra di un sorriso: se Albion non aveva davvero bisogno di lui in quel momento, allora non ne avrebbe mai avuto. Quindi il destino aveva voluto prenderlo in giro sin dall'inizio?

In tutti quei mesi, Merlin era diventato il riflesso opaco di se stesso: la sua pelle aveva un pallore anormale, simile a quello di una persona malata, profonde occhiaie gli segnavano la porzione di pelle sotto gli occhi, le labbra erano spaccate in più punti, la barba era sporca di sangue secco, così come il contorno delle orecchie ed una lieve patina di sudore imperlava perennemente il suo volto. Quel vecchio stanco ed emaciato, abbandonato su quella poltrona, sembrava essere già con un piede dentro la fossa. Ma quegli occhi... gli occhi erano ardenti, vivi, mutevoli. Bastava guardarlo fisso lì, per capire che non aveva nessuna intenzione di morire. Come se avesse potuto farlo, poi. Il destino aveva deciso di deriderlo anche su quello.

No, disse Merlin al demone che lo tormentava, c'è un'ultima cosa che devo provare. Una mano raggrinzita sparì all'interno della tasca dei pantaloni e ne estrasse qualcosa; il mago portò quella che era la riproduzione in miniatura del Big Ben di Londra davanti al viso, per fissarla intensamente. Finora abbiamo giocato con i pesci piccoli. Vediamo se quelli più grossi riescono ad attirare la tua attenzione, Sire.


Si era addormentato. Il Big Ben gli era scivolato dalle dita ed ora giaceva riverso sul tappeto, illuminato debolmente dal fuoco morente nel camino. Il suo respiro era pesante, ma regolare, e l'unica cosa che lasciava intendere una profonda agitazione interiore, era il continuo muoversi degli occhi sotto le palpebre chiuse. Ad un certo punto, dalle labbra semi aperte fuoriuscì un lungo, ma flebile sospiro e poi all'improvviso il suo petto smise di muoversi. Un'immobilità innaturale calò sul quel vecchio corpo stanco, lo avvolse come una coperta nera e l'aria lì attorno parve cristallizzarsi all'istante. Se non fosse stato impossibile, per uno come lui, chiunque l'avrebbe dato per morto, chiunque avrebbe attribuito a quell'ultimo, lungo e flebile sospiro, il termine di tutte le sue fatiche che abbandonavano il piano materiale. Tutto sommato, quello sarebbe stato un buon modo per morire: uno con la coscienza sporca come la sua, non se lo sarebbe proprio meritato, perciò sarebbe stata una vera fortuna per lui. Eppure c'era l'immortalità, con cui dover fare i conti: non l'avrebbe mai avuta vinta così.

Ci fu il rumore di un lento strappo e poco dopo, dei sottili fili scuri fuoriuscirono oltre lo schienale della poltrona dove il mago stava abbandonato. La luce del fuoco era appena sufficiente per comprendere, ad un'analisi più attenta, che non si trattava di semplici fili, bensì di fragili ramoscelli; mano a mano che i ramoscelli si facevano strada lungo la pelle della poltrona, diventavano via via più robusti, più spessi. Scivolando sinuosamente come serpenti in una lenta ed ipnotica danza, alcuni di loro arrivarono ad accarezzare il volto del vecchio mago. Si strinsero intorno al suo collo, lo abbracciarono amorevolmente come una madre, si allacciarono ai suoi polsi ed alle sue caviglie. Uno di loro, forse il più meschino o il più astuto, strisciò silenziosamente fin sul suo petto, risalendo lungo una delle gambe; quando raggiunse l'altezza del cuore si arrestò, quasi indugiando. La morbidezza dei suoi movimenti fu brutalmente cancellata nel momento in cui, con un colpo secco, penetrò spaventosamente nelle carni dell'inerme Merlin, facendosi strada tra strati di muscoli e pelle fino a raggiungere il cuore, sul quale si avvolse gelosamente.

Di colpo, un'intensa esplosione spense immediatamente le poche fiamme rimaste ad alimentare le braci nel camino: i vetri delle finestre erano saltati in aria e la brezza invernale si era immediatamente insinuata nella casa, abbracciando l'intera stanza con le sue gelide spira. I vetri che erano andati a cospargere il pavimento del salotto, vennero poco dopo smossi da quello che sembrava essere un piccolo terremoto; le mattonelle si spaccarono in diversi punti e, direttamente dal terreno sottostante la casa, delle enormi radici si fecero strada sin dentro la stanza occupata dal mago. Attraverso le finestre vuote, la natura divenuta improvvisamente incolta e selvaggia del giardino pretese la sua strada: invase in breve tempo il salotto, ricoprendone le mura ed il soffitto, marcando il territorio anche sulle facciate esterne della malandata abitazione.

Era il caos. La magia di Merlin, alimentata direttamente dalle forze della natura, era stata sopraffatta dalla natura stessa; quella si era ribellata, probabilmente non approvando più il modo in cui il mago le sottraeva energia per utilizzarla con scopi ben lungi dall'essere degni di onore.

Dal ramo che si era infiltrato sin nel cuore di Merlin, nacque un bocciolo. Il gambo che alimentava il bocciolo, lo accompagnò sino a farlo poggiare con delicatezza sul pavimento dissestato; il suo colore scuro non era dovuto al gioco di ombre nel quale era calata la gelida stanza, per niente: era davvero nero come la pece, non si trattava solo di un'impressione. Il bocciolo aumentò notevolmente le sue dimensioni e non ci volle molto tempo, prima che iniziasse a schiudersi.

A quel punto, accadde una cosa strana: più quello si ammorbidiva e si apriva, più il Merlin imprigionato contro la poltrona perdeva le sue rughe. La barba gli cadde a ciuffi dal volto, i capelli tornarono ad essere più folti oltre che neri e lucenti, la pelle diventò nuovamente liscia ed elastica. Nel giro di qualche minuto, del vecchio Merlin non c'era più alcuna traccia. Quello ad essere tenuto stretto tra spire di rami, più come un figlio che un ostaggio, divenne un mago nel pieno della sua giovinezza, più ragazzo che uomo.

Dal bocciolo oramai completamente dischiuso, si erse su due gambe insicure un bambino completamente nudo. Il gambo che aveva gentilmente guidato ciò che l'aveva racchiuso sin sul pavimento, si era inerpicato morbidamente lungo la sua piccola schiena, sparendone all'interno proprio in mezzo alle scapole. Quello stesso gambo, era ancora connesso con l'altro che era penetrato nel petto di Merlin.

Il bambino dischiuse lentamente le palpebre ed i suoi occhi dorati baluginarono malignamente nel buio spesso della stanza, come quelli di un gatto.

E se di un gatto non si trattava, allora doveva per forza essere il diavolo.








NOTE DELL'AUTORE: Eccoci qui con il quinto capitolo. Buon inizio settimana a tutti! Sinceramente questo è uno dei capitoli che temo di più, perché ho come la sensazione di non essere riuscita ad esprimere bene ciò che realmente intendo trasmettere. Spero però che non sia andata così male come penso. Finalmente la storia comincia a delinearsi un po' e credo che, dopo oggi, alcune domande che sicuramente vi state facendo inizieranno a chiarificarsi. Ringrazio come sempre Mimiwitch per il suo betaggio e tutti coloro che leggono/recensiscono/seguono. Il capitolo è stato VOLUTAMENTE scritto in 'colonne' di destra e sinistra, vi avviso quindi che dal cellulare potrebbe essere visualizzato male :D Mi farebbe piacere cosa ne pensate di questo Merlin completamente perso in se stesso :)

Un bacetto,

Asfo

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Merlin / Vai alla pagina dell'autore: AsfodeloSpirito17662