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Autore: SisterofNicoDiAngelo    29/09/2014    1 recensioni
Tratto dal primo capitolo:
"Ciao sono Nico di Angelo, e sono vivo e vegeto....ma che dico?! Okay, ricomincio.
Ciao, sono Nico di Angelo e i miei polmoni fanno un vero schifo come la mia vita! Ora sembra perfetto come inizio, vero?"
[Hazel/Nico] [Gus/Percy] [Storia ispirata al libro di Jonh Green "Colpa delle Stelle", non copyright. Solo la trama]
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jason Grace, Nico di Angelo, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Uno.
Do molta confidenza agli sconosciuti.
 

Ciao sono Nico di Angelo, e sono vivo e vegeto. Ma che dico?! Okay, ricomincio.
Ciao, sono Nico di Angelo e i miei polmoni fanno un vero schifo come la mia vita! Ora sembra perfetto come inizio, vero? Beh, dico per cominciare la mia storia che io non sono depresso, cosa che qualcuno come per esempio mia madre crede di sapere sul mio conto. Se per depresso intendete un ragazzo che legge lo stesso libro, dorme sempre, guarda la tv costantemente da mattina a sera e non frequenta nessuno per pura noia che cresce ogni minuto.. quello ero io per essere onesti. Certo, potevo ammettere che  la mia vita non è stata così facile fin dall’inizio. I miei polmoni non funzionavano un granché e di solito mi ritrovavo dell’acqua in essi, portandomi a soffocare e ad urlare come un pazzo nel bel mezzo della notte. Quanto odiavo essere così... malato. Sbuffai pestando il piede a terra, quando mia madre continuava e continuava a dirmi che dovevo socializzare. Ma io stavo già socializzando con il divano: ci volevamo così bene che ci dormivo abbracciandolo. Chi mi credeva pazzo aveva ragione. Meglio non dirlo a mia madre, peggiorerebbe solo la situazione. La sua fantastica e mitica idea per me era una semplice e deprimente idea, dovrebbe far due più due. Andare al gruppo avrebbe solamente portato la mia vita alla morte, ma più in fretta. Perché prima o poi ci arriverò, giovane o vecchio che importa! Ognuno muore, nessuno è immortale.
« Certo che sei un testardo, Nico! » Ringhiò infastidita mentre ripuliva un altro piatto. Sgranocchiai tranquillamente un biscotto al cioccolato da lei preparato, e finii in fretta per risponderle.
« Se io non voglio andare a questo santissimo e sottolineo santissimo gruppo di sostegno, supporto o come lo vogliamo chiamare, non mi ci manderai mai e poi mai senza il mio permesso! » Le dissi. Mi pulii le labbra con il dorso della mano e battei un pugno sul banco di lavoro della cucina. « Ci sono le Haribo? » Chiesi affamato.
« Finché non ti deciderai ad andare al gruppo di supporto, niente Haribo. E neanche Happy Meal, amore mio. »
Posso dire che era un bel ricatto per mandarmi a quel gruppo, però avrei rinunciato anche ad un Happy Meal solo per non poggiare il piede su quel suolo piatto e liscio. Non mi avrebbe aiutato così tanto quanto me ne serviva per la mia stabilità mentale, ma certo che era veramente una grande testarda se non capisce che sto rifiutando!
« Mamma, rinuncio anche ai Happy Meal ma io non voglio andarci! » Sospirai affranto. « Non puoi costringermi, e non chiamarmi amore mio. »
« Sei un adolescente, tesoro. Okay? Non puoi passare tutti i santissimi giorni a casa, su un letto, senza far nulla e a leggere quel cavolo di libro ogni volta che entro in stanza! » Sibilò a denti stretti. « Goditi la vita, perché ne hai solo una purtroppo. E non cento come nei cartoni animati, che quando muoiono si ricreano o peggio. »
« Sì, un adolescente con dei ormoni a mille  che si innamorerebbe della prima ragazza che passa per strada. » Presi la bombola d’ossigeno in braccio e la poggiai sul tavolo. Poi mi sedetti affaticato per lo sforzo. « Se devo vivere la vita, fammi un documento falso e mandami in una discoteca, a bere e a sparare erba. Sarebbe un bel modo per socializzare. »
« Amore, l’erba non si spara come dici tu. » Mi corresse  riponendo l’ennesimo piatto nel mobile davanti a sé, poco sopra al lavello. « Sei testardo come un mulo. »
« Chissà da chi ho preso. » Commentai sorridendo maliziosamente.
« Non da me, amore. » Ghignò divertita. « Semmai da tuo padre, quell’idiota quando si ritira a casa?! »
« Oggi aveva il turno di notte, mamma. La vecchiaia si fa sentire presto, eh! » Le ricordai sghignazzando.
« Ragazzino, tengo solo quarantadue anni e per questi quindici anni non ti ho educato solo per passatempo, sia chiaro. Prendi esempio da Bianca, no? Rispetta chi ti ha messo al mondo. »
« Lo farò madre. » Dissi con tono aristocratico. « Iniziando da domani, quando io dormirò alle sei nel mio lettuccio caldo invece di partecipare a quel fastidioso incontro che inizia alle cinque in punto nel pomeriggio inoltrato. »
« Cosa devo fare per farti dire sì? Quel fatidico sì?! »
« Niente, perché io non cambierò idea, mamma. » Sbuffai alzandomi, afferrai  la bombola e la trascinai con il manico fino alla mia stanza che si trovava a pochi centimetri dalla cucina.
Non potevo sopportare le scale, avrei preso un infarto o cosa se mi sforzavo ancora di più. Se non fosse per i miei polmoni fradici e inutili, in quel momento potevo essere insieme  a due sconosciuti per strada, a bere qualcosa di alcolico come la tequila e fumare di brutto venti Merit di fila. Se non fosse per i miei polmoni avrei fatto tutto, apparte tenere una bombola d’ossigeno sempre dietro che mi dava aria nei polmoni ogni minuto. La trasmetteva in un tubo (una cannula che io miseramente chiamavo tubo) che arrivava fino al collo, ma si divideva sotto al mio pomo d’Adamo, poggiati dietro alle mie orecchie e si piegavano fino a riunirsi sotto al mio naso, nelle mie narici. Certamente in quelle condizioni non mi avrebbe notato neanche un miserabile. Onesti al cento per cento. Misi lentamente la bombola a terra, accanto al mio letto dove in pochi minuti mi ritrovai con la faccia che sprofondava nel cuscino a piume. Perché non avevo una vita facile. Il mio telefono, poggiato sul mio comodino vibrò per qualche secondo per farsi notare dal sottoscritto. Mi rimisi seduto sbadigliando, e trascinai il dito sul touch screen del mio Iphone 4S leggendo il messaggio di mia madre.
“Pronto per un incontro al gruppo di supporto, amore? :) ”
Con tanto di faccina, anche. Era seria la situazione.
“Manco se sprofondassi negli abissi dell’Inferno, madre!”
 
Se solo potessi aprire la terra sotto i miei piedi, e sprofondare lo farei. Se solo mia madre con euforia e forza il giorno dopo non mi avesse infilato in macchina e portato nel retro della chiesa dove si teneva l’incontro starei a casa nel mio letto a dormire. Comunque, il merito era tutto di Jason. Un ragazzo che avevo incontrato proprio ad un incontro, il primo. Potevo definirlo uno che era simpatico, anche se era difficile ammetterlo per uno come me. Solitario e diverso. Jason aveva avuto il cancro agli occhi (possibilmente, non ne ho la minima idea di come fosse capitato proprio in quel punto). Portava delle lenti invisibili, che li rendevano celesti e enormi. Erano bellissimi da vedere, come potevo non dirlo?! La sua fidanzata, Reyna, lo veniva sempre a trovare, poi chissà dove se ne andavano. Ma questo, di certo, non erano affari miei. Con mosse meccaniche scesi dalla macchina, non appena mia madre si fermò sul vialetto accanto alla chiesa. Posai la bombola che poco fa era sul mio ventre a terra e aspettai che il rimbombo del motore finisca.
« Ti voglio bene, amore. »
« Anch’io, mamma. Ci vediamo dopo. » Le dissi baciandole le guance.
Arrossì leggermente, lo notai poco per la sua carnagione olivastra ma sorrisi. La sensibilità delle donne era così fragile e carina, pensai avviandomi lentamente nella porta della sala. Quel che sembrava una palestra con un parquet liscio e levigato era invece il posto in cui si teneva l’incontro del gruppo di supporto che dovevo sopportare ogni venerdì alle cinque in punto. Nel bel mezzo della sala padroneggiava un enorme tappeto con raffigurante il viso angelico di Cristo, e ben dodici sedie che lo accerchiavano.  Chirone era seduto a gambe incrociate sul tappeto, mentre la stanza si riempiva in pochi minuti. Be’, che dire? La solita riunione fin quando nella stanza non irruppe un ragazzo dai capelli neri con riflessi verdi (sì, lo trovai stranamente strano e carino) e gli occhi di questo medesimo colore, ma sembrava come un oceano poco profondo. Camminava zoppicando e si sedette accanto a Jason, i quali si scambiarono delle pacche sulla spalla e delle risatine nervose ad ogni battuta squallida dell’altro.
« Buon pomeriggio, ragazzi. » Iniziò Chirone, attirando l’attenzione dei dodici presenti, compreso me. «       Oggi abbiamo l’onore di ospitare un nuovo ragazzo nella nostra famiglia. Con le presentazioni ci penseremo dopo, chi ha voglia di parlare? »
Era tutto così palesemente noioso. La stanza si ammutolì all’istante, quando Chirone finì di proporre la sua richiesta che nessuno voleva eseguire. Quel nessuno era Jason che alzò la mano in attesa che il vecchio esaudisse il suo desiderio.
« Jason Grace. Parla pure. »
Il ragazzo balzò in piedi provocando le risate di tutti, anche di Chirone, ma le cessò tossendo. « Okay, uhm. Sono Jason, Jason Grace e ho compiuto diciotto anni l’altro ieri. Sono affetto da un cancro agli occhi, e purtroppo diventerò cieco in meno che non si dica. Per essere precisi e sinceri, fra due settimane o il mese prossimo. Che dire? Non è mica bellissimo o stra-figo essere cieco all’età di diciotto anni? Affatto, dico che mi fa disgusto sapere che sarò peggio di un vecchietto di ottanta anni, cosa che diventerò per la mia malattia rara. Ma con me c’è Reyna, la mia ragazza, e questo idiota di un Percy Jackson. Posso almeno accontentarmi, fino a questo punto no? »
« Certo che sì! » Annuì il vecchio. « Percy! Vuoi parlare tu? »
« Ehm, io? » Domandò rosso. Deglutì con così tanta foga e rumorosamente che lo sentii perfino io. « E cosa..? »
« Raccontaci di te, di cos’hai, se ti senti bene.. » Disse Chirone incoraggiandolo, nel frattempo diedi uno sguardo ai ragazzi e le ragazze lì. Leo Valdez, leucemia. Annabeth Chase, cancro all’appendice. Direi che uno era in un mare di guai più dell’altro. E non notai neanche i bellissimi occhi grigio tempesta di Annabeth fissavano incessantemente quelli di Percy che boccheggiava trovando delle parole giuste da dire. Quando venne il momento, si alzò quando scoccarono le cinque e un quarto. Il tempo non volava mai.
« Ehm, ciao! Mi chiamo Percy Jackson, e ho diciassette anni. Fin da piccolo ho avuto un osteosarcoma alla gamba destra. Vedete? » Si piegò in avanti e alzò il lembo del jeans mostrandoci la sua gamba artificiale. La abbassò poi sospirando. « Ho abbandonato il nuoto, l’unica cosa che mi rendeva felice. Ma ora mi sto rialzando, grazie a quest’idiota. »
Darsi dell’idioti a vicenda era davvero entusiasmante. Jason che ci rimaneva male poi era la fine del mondo, perché sporgeva il labbruccio e si ancorava a Percy dicendogli “ma mi vuoi sempre bene, vero?”. E quest’ultimo rispondeva un “va al diavolo”. Scena esilarante, fin quando Chirone mi inquadrò e mi indicò.
« Nico, vuoi parlarci di te? » Mi chiese divertito. La mia risata cessò come quella degli altri quando iniziai a balbettare e a sudare freddo stringendo tra le braccia la mia bombola d’ossigeno. Peggio di un’interrogazione, davvero, pensavo che sarei svenuto da un momento all’altro per il nervosismo che circolava nelle mie vene. Mi diedi una regolata, feci un sospirone e cominciai a parlare di quel che ne so sulla mia vita contata.
« Mi chiamo Nico, ho quindici anni e sono affetto da una tiroide con metastasi polmonari. E’ uno schifo non respirare. Seriamente, ve lo sconsiglio. » Commentai sospirando.
L’aula cadde in un silenzio assordante, tutti cacciavano sospiri e altri bisbigliavano come se stessero svelando un segreto troppo segreto. Due di questi erano infatti Percy e Jason che non la smettevano di  ridere e parlare. Incrociai le braccia al petto, e in quello stesso momento Chirone aprì bocca.
« Percy Jackson. » Lo interruppe il vecchio, avvicinandosi al corvino. « Vorresti raccontarci delle tue paure? »
« Cosa? »
« Le tue paure. Sveglia ragazzo! »
Rise. « Oh, le mie paure?  Ehm…io ho paura dell’oblio. Già. Oblio, brutta cosa. » Con un po’ di esitazione divenne talmente rosso che mi fece pena. Pena?! Nico! Risvegliati porca miseria!  Mi trattenni da non schiaffeggiarmi da solo, ma forse Chirone mi fissò non appena chiusi gli occhi talmente forte che ebbi paura di non vederci mai più un attimo dopo averli aperti.
« Nico.. » Sibilò con tono innocente. «Vorresti dire qualcosa?  »
« I-io? » Poggiai una mano al petto, certo, sei l’unico Nico di Angelo qui! Fesso! Svegliati! Scossi il capo e sospirai, nonostante l’aria si fosse riempita di risate dirette a me, che avevo fatto la figura dell’idiota davanti undici ragazzi, tra i quali anche il nuovo arrivato. Con enorme fatica, mi misi in piedi e....
« Fra qualche anno, non ora forse, saremo tutti morti. Nessuno escluso, tutti noi saremo, che ne so, negli Inferi o a ricevere congratulazioni dagli angeli in Paradiso. Non so, tutto questo sarà perso. Non potremmo riaverlo indietro, mai, tutto ciò che stiamo vivendo e questo momento andrà disperso tra i nostri ricordi. Non rimarranno persone che si ricorderanno Napoleone e come morì, o Cristoforo Colombo che scoprì l’America nel 1492 con le Tre Marie. Neanche te ricorderanno, sai? Un tempo in cui noi non saremo presenti quando verrà.. » – feci le due virgolette con l’indice e il medio – « “La fine del mondo”, o forse sì, saremo qui quando il mondo andrà completamente nell’oblio. Se ti preoccupa, ignora tutto. Okay? Un consiglio tra due che ne sanno del male che ci porta ad affrontare il nostro mondo. »
Dopo che sospirai per il lungo discorso, Chirone fissava le sue unghie mentre il resto del gruppo aveva abbassato lo sguardo, poiché ciò che avevo detto non era andato perso all’aria nella stanza. No, coloro che partecipavano non erano undici bambini che da un orecchio entrava e dall’altro usciva: quella era la dimostrazione alla mia affermazione che era sbagliata. Jason mi fissò inquietante, poi strizzò l’occhio; Percy invece aveva spalancato la bocca e si sporse verso di me, con il pugno chiuso. Credei che volesse battere il suo con il mio così mi avvicinai e li scontrammo.
Accompagnato dal suo sorriso, e gli occhi verdi luccicanti che ricordavano il mare annuì. « Sei molto interessante, hai le idee chiare. Mi piaci ragazzino. »
Feci per ribattere che io non ero un ragazzino se aveva sputato quelle parole come veleno. Dovrebbe rendersene conto, per un momento immaginai di prenderlo a schiaffi e a pugni, anche a calci per essere onesti. Ma non lo feci purtroppo, perché il rumore delle sedie che strisciavano sul pavimento attirò la mia attenzione, anche il braccio di Jason che tirava il mio.
«Eh- » Gridai arrabbiato, ma l’enorme mano del biondo tappò le mie parole premendoci, quasi facendomi male. Increspai le labbra chiudendo le palpebre, quasi per trattenere il male che Jason mi causava solo con la sua mano. Il tubo mi fece male, che per un momento avevo quasi dimenticato, poi lo staccò sussurrandomi uno “scusa” dispiaciuto. Veramente. Risistemai i tubicini sotto al mio naso a distanza perfetta poi Chirone ci ricordò di prenderci per mano per la preghiera finale. Non mi ero reso conto che era passata mezz’ora, volando.
« Cristo, Signore, siamo riuniti qui, nel tuo cuore, essendo sopravvissuti al cancro. Tu e solo tu ci conosci come noi ci conosciamo. Guidaci attraverso l’oscurità, verso la luce nei momenti di difficoltà. Preghiamo per gli occhi di Jason, per il sangue di Leo, per la gamba di Percy, per la gola di Hazel, per le braccia di Frank, per i polmoni di Nico, per l’appendice di Annabeth, per il cuore di Piper. Preghiamo che tu possa guarire e che noi possiamo finalmente meritarci il tuo amore e la tua pace che supera ogni comprensione. Ricordiamo color che noi abbiamo amato e supportato, che in questo momento sono tornati a casa. Da te. Preghiamo per Percy, Nico, Jason, Leo, Annabeth, Hazel, Frank, Piper, Silena, Reyna, Calypso e Will. Amen. »
Dopo che fummo liberati, chiusi le palpebre deciso ad essere il primo ad uscire. A pochi passi dall’uscita del retro della chiesa, sentii afferrarmi la maglia, cadendo per terra. Non proprio a terra, bensì tra le braccia del nuovo arrivato, fortunatamente Jason salvò la mia bombola d’ossigeno, o sarebbe esplosa. Mi rimisi in piedi completamente confuso, ripresi il mio ‘porta-ossigeno’ e diedi uno sguardo ai due ragazzi che ridevano da ebeti. « Chi è stato? »
« Jackson. » Rispose il biondo con un tono malizioso.
Percy gli rivolse un’occhiataccia poi iniziò a fissarmi, quasi scrutando nel profondo dei miei occhi d’ossidiana. « Sì, sono stato io. Volevo parlarti. »
Mi ammutolii all’istante poi sospirai. « Ah sì? »
« Sì. Come ti chiami? »
« Nico. » Risposi da ‘capitan ovvio’.
« Il tuo nome completo, ragazzino. »
« Primo, io non sono un ragazzino! Secondo..Nico di Angelo. »
« Hai il nome di un angelo ma non ci assomigli neanche un po’. » Sghignazzò il corvino. Sbattei le palpebre per poco, fermando la voglia di rovinargli il suo bel sorrisino scorbutico e feci per andarmene scendendo le scale con lentezza. Misi a terra la bombola e la trascinai fino al marciapiede dove incominciai ad avviarmi verso casa.
« Aspetta! » Urlò Percy venendomi incontro. Cercai di affrettare il passo, ma i lampioni accesi non illuminavano granché. Una più avanti scoppiò in mille scintille: Come non detto.
Percy mi raggiunse, si mise davanti a me come per proteggermi nel suo enorme abbraccio poi si scostò imbarazzato. Si grattò la nuca e rise. « Scusami, troppo protettivo con la gente che mi interessa. »
« Scommetto che l’hai fatto anche con Annabeth prima di entrare nel “cuore di Gesù”. » Ribattei provocatorio. « Posso? »
« Eh no. » Scosse il capo, poggiò il braccio sulle mie spalle e mi ricondusse verso la chiesa quasi lanciando un’occhiataccia al lampione esploso. « Tu vieni con me. »
« Casa mia è dall’altra parte!! »
« Stai zitto. » Rise. Quando passammo davanti alla chiesa, mi strinse ancora più forte e salutò quel che pensai fosse Annabeth, ma invece era Jason che sbaciucchiava amorevolmente una ispanica di spalle. La riconobbi dalla treccia ordinata che le cadeva sulla schiena in seguito i suoi jeans skinny e la maglia da football senza cognome: Reyna Avila Ramìrez Arellano.  Ci fermammo poco dopo davanti alla fermata dell’autobus, in quel preciso istante ci allontanammo entrambi ma il suo sguardo rimaneva sul mio corpo esile come se lo stava attraendo.
« Perché mi fissi Jackson? »
« Perché sei carino, e bello.. forse ho sbagliato. Mi sembri un vero angelo..dark. » Commentò.
Purtroppo la mia attenzione non era su di lui, ero attratto da figure lontane, quasi irriconoscibili, ma i muscoli delle braccia di Jason che guizzavano ad ogni movimento, le avrei riconosciute ovunque. Percy colse il mio sguardo, e tutti e due allo stesso tempo facemmo una faccia disgustata. Reyna aveva bloccato al muro Jason, nonostante le lamentele di lui che voleva liberarsi dalla stretta della ragazza. Ma non volevano saperne affatto.
« Ehw, che schifo. » Sputai come se fossero veleno, ma Percy ricominciò a fissarmi. « Smettila. »
« Okay. » Alzò le spalle e frugò nelle sue tasche da dove uscì un pacchetto di sigarette nuovo, aprì il coperchio e ne sfilò uno che mise tra i denti, manualmente. Il tutto seguì con lo sguardo i movimenti che fece per afferrarla e metterla tra le labbra. Strinsi i pugni e pestai il piede sul marmo rivolgendomi contro di lui con un rabbia davvero inimitabile.
« Hai rovinato tutto! Sei un’idiota! » Ringhiai portandomi le mani ai capelli, ringhiai a denti stretti e abbassai il capo, come se mi stesse per venire un’emicrania. La sua risata cristallina fece di scatto aprire i miei occhi e iniziarlo a osservare come faceva cadere di proposito la sigaretta che riprendeva di scatto.
Sorrise, un mezzo sorriso inquietante. « Semmai te. »
« Stai parlando con il tuo assassino, deficiente. » Lo provocai con uno sguardo a dir poco di fuoco. « Non sai come si può sentire maledettamente da schifo non avere dei polmoni buoni come i tuoi. Vorrei fare quel che fai tu, ma non posso. Perché vuoi farmi incazzare?! Lo fai apposta?! Sei un’idiota! Un’idiota che sa solo far star male la gente! Stronzo, cretino, egoista.. » Di scatto con una mano afferrò il mio viso, e mi costrinse a schiudere le labbra.
« Schiudi le labbra. »
« Niu. » Quel che era un semplice ‘no’ divenne un ‘niu’ specie ad un mugugno di un bambino. Alla fine le schiusi e poggiò la sigaretta così da farmi star zitto.
« Niu? Ti sta bene piccoletto? Guarda, tieni la cosa che può ucciderti. Ma se non la accendi, non lo farà mai capisci? E’ tutta una metafora, ragazzino. Oh scusa, angelo. » Si corresse automaticamente prima che io aprissi bocca per ribattere. « Ti metti la cosa che può ucciderti fra i denti, ma non le dai il potere di farlo se non la accendi, okay? »
« Oh. » Sospirai, quasi mortificato. Mortificato? Ma sei scemo o cosa Nico! « Dove vuoi portarmi? » Nonostante fosse quasi sera, tirava un aria gelida così feci per prendere i lembi della giacca e stringerli in un pugno.
« A vedere un film. A casa mia, ti va? »
« Mi ucciderai? » Sfilai la sigaretta di bocca, sorridendogli.
« No. » Scosse il capo poggiando nuovamente il braccio sulle mie spalle. « Tranquillo, sono un’amorevole mammone. »
« Mamma! » Esclamai scrollandomi il suo avambraccio dal collo, mi schiaffeggiai inutilmente la faccia e afferrai di fretta e furia il telefono, facendo partire la chiamata con mia madre.  « Mamma! Sì, È finito da un bel po’. Dove sei? Cosa!? Oh dio mio! Dalle le congratulazioni e dille che le voglio un mondo di bene! Senti, tornerò più tardi a casa, vedo un film con un amico. Sì, avevi ragione tu.. ok? Okay, ti amo mamma. Sì, anch’io. Ciao. »
Mi voltai verso il corvino, che increspava le labbra per non scoppiare a ridere da solito deficiente. Trascinai la cartellina che manteneva la bombola e con la mano libera gli afferrai il polso. « Oggi l’autobus mi odia. »
« Ma dove vai?! Non sai neanche dov’è casa mia! »
« C’è Google Maps. E io… »
« Nico. » Sibilò Percy serio. « Sei stanco.. »
« Non..fa niente. » Sospirai enormemente quasi cadendo per lo sforzo delle parole cacciate , ma quando Percy fece per inchinarsi davanti a me di schiena capì che volle portarmi sulle spalle. Gli fui sopra all'istante in cui lo vidi, poggiando il mento sulla sua spalla e allacciando le gambe attorno la sua vita mentre trascinava la mia bombola con facilità. La sua schiena, ad essere sincero, sembrava una nuvola. 
« Un piccolo angelo stanco. » Sghignazzò.
« Sta’ zitto, Jackson. »
 

Da perfetta cretina che sono ho voluto scrivere una Pernico in stile "The Fault In Our Stars". Spero vi piaccia e scusate i piccoli (o grandi) errori ortografici nel capitolo. :)

SisterOfNicoDiAngelo vi ama <3

 
  
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