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Autore: CarolPenny    29/09/2014    3 recensioni
[Dal Capitolo 8] “Quindi è così che succede?” domando.
“Cosa?”
“Se vieni ferito da uno di quei cosi sei condannato a morire o a diventare come loro…”
“Direi entrambe le cose.”
Mi acciglio. Ho parecchie domande per la testa. Non sono ancora sicura di ciò che stiamo dando per scontato.
“Quindi tu credi davvero che loro si siano risvegliati dalla morte?”
“Ho visto diverse persone farlo, sì. Nelle settimane prima che tutto degenerasse. Compreso un mio collega. Quindi sì, ci credo.”
La possibilità è reale, ma c’è una parte di me che ancora stenta a crederci.
“Ma questo non rende tutto più semplice.”
Mi racconta di alcune conversazioni avute con la signora De Blasio quando ero stata portata a casa della donna. Ovviamente l’infermiera non era al corrente di ciò che aveva provocato quell’infezione, ma tra la sua testimonianza e quella di Dean, su una cosa erano stati d’accordo: il morso è letale. Se la saliva di uno degli infetti entra in circolazione nel sangue, sei spacciato.

(UNA STORIA PARALLELA A QUELLA DELLA SERIE TV)
Genere: Angst, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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“Loro erano troppo deboli per il vecchio mondo, troppo anche per quello che sta per nascere”
Sono di nuovo nella cantina della signora De Blasio, di nuovo in quella stanza semibuia e puzzolente.
C’è una persona a terra e un’altra in piedi. Quest’ultima ha i capelli rossi, lunghi e mi ha notata. È mia madre.
Ripete la frase pronunciata poco prima, aggiungendo. “E anche tu lo sei”
Ha il coltello da cucina in mano e lo solleva pronta a colpire il corpo steso a terra.
In un primo momento noto il caschetto biondo della signora De Blasio, poi mi avvicino di più e mi accorgo che in realtà i suoi capelli sono più lunghi e più scuri.
Quella a terra sono io.
No, come è possibile? Io sono qui in piedi, non posso essere lì a terra.
Forse sono morta?
“Tu sei qui, e sei viva e devi continuare ad esserlo per loro.”
Qualcuno ha parlato, ma non riesco a vederlo.
“Tu sei qui, e sei viva e devi continuare ad esserlo per loro.”
Continua a ripetere questa frase. Mi giro ovunque, ma non capisco da dove provenga quella voce.
Mi madre alza il braccio e colpisce il corpo con l’arma, in pieno petto. La carne inizia a sanguinare abbondantemente, ma dalla bocca non escono urla, ma proprio quelle parole.
“Tu sei qui, e sei viva e devi continuare ad esserlo per loro.”
Va avanti senza sosta, è come una cantilena. Qualcun altro si unisce a quella preghiera. Mia madre continua a colpire il corpo, il mio corpo, ma le voci non si arrestano, anzi, diventano sempre più numerose e più rumorose. La frase pian piano inizia ad essere urlata.
Dall’oscurità appaiono Mae e Jae. Dietro di me vedo zia Betty, Lola e John. Forse ci sono anche zio Ed e Paul ma non li vedo. Sento la loro presenza, ma non riesco a vederli. Le voci adesso urlano la frase in modo straziante. C’è anche la signora De Blasio, vestita come l’ho vista l’ultima volta, che però viene improvvisamente presa alle spalle e morsa da uno di quei mostri.  Ma continua ad urlare quella frase. C’è anche il mio vecchio psichiatra.
Devo andare via da quello scantinato. Solo così posso salvarmi. L’ho già fatto una volta. Sono scappata ed è andato tutto bene.
Raggiungo le scale. Non riesco a vedere l’uscita, ma improvvisamente una luce mi investe.
C’è Dean lì sopra e anche lui sta urlando quella frase.
 “Tu sei qui, e sei viva e devi continuare ad esserlo per loro.”
Dietro di lui scorgo due ombre. Una più alta e una invece molto piccola.
Inizio a salire. Gli scalini sono così pesanti da essere costretta a strisciare su di essi. O forse sono le gambe a pesare? La luce è più vicina. Non vedo più nessuno, solo quel bianco e sento sempre più caldo.
Finalmente la frase cambia.
“Atlanta. Raggiungete il centro di Atlanta. Sono stati allestiti dei centri per i rifugiati.”
Le parole diventano più confuse. C’è un rumore sordo tutto intorno a me. Qualcuno sta salendo le scale e sento i suoi passi pesanti. Sono come dei colpi. A due alla volta, poi a tre o anche a quattro.
Qualcuno alla fine mi afferra.
“Sam!”
Apro gli occhi di colpo e la luce del sole mi investe con violenza. L’occhio leso inizia a farmi male poiché ho aperto anche quello repentinamente e nonostante il bendaggio. Lo tampono con due dita e spero che il dolore passi.
Sono in macchina, non nello scantinato della signora De Blasio. Dean è accanto a me. Ma non siamo soli. Intorno a noi si sono ammassate molte persone, e a quanto pare sembrano essere persone sane, persone vive.
“Tutto bene?” mi chiede il ragazzo “Ti ho sentito lamentarti nel sonno”.
Annuisco velocemente, e vedo qualcuno fuori bussare sui nostri finestrini. Il rumore sordo che avevo sentito nel sogno.
Dean abbassa il vetro e inizia a rispondere a due uomini e una donna.
“Signori, signori calma.” stanno parlando tutti contemporaneamente e non si capisce nulla “Come ho detto prima ai signori nella macchina qui di fronte, l’unica cosa da fare è raggiungere il centro di Atlanta e il centro rifugiati. Non ho avuto nessun’altra direttiva per ora. Per favore, cercate di collaborare e fate passaparola.”
Qualcuno bussa dalla mia parte. Inizialmente non so che fare e Dean è ancora impegnato con il gruppo dalla sua parte. Abbasso il finestrino e due donne iniziano a parlare freneticamente e riesco a capire poco. Inoltre fa caldissimo. Ho i capelli e le bende completamente bagnati e appiccicati in faccia.
“È tutto bloccato!” dice una donna grassoccia.
Guardo avanti a me, mettendomi una mano in fronte per coprire i raggi del sole.
Siamo imbottigliati nel traffico. C’è una fila lunghissima avanti a noi. Mai vista una cosa del genere. In lontananza riesco a vedere i grattaceli della città.
Siamo ad un passo da Atlanta, ma a quanto pare siamo bloccati. Tutti sono fuori dalle loro auto e non sanno cosa fare.
“Cosa dobbiamo fare?” domanda, infatti, l’altra donna.
Balbetto, ma poi ripeto ciò che ho sentito dire da Dean.
“Il centro rifugiati, cercate quello. Raggiungete Atlanta in qualunque modo e cercare il centro rifugiati. Non ci sono state altre direttive.”
Richiudo il finestrino in fretta anche se le donne non sembrano soddisfatte e noto che il ragazzo ha fatto lo stesso.
“Questo è il quinto gruppo che ci ferma.” spiega.
Anche dietro di noi c’è una fila di macchine, ma almeno riesco a vederne la fine. Ce ne sono molte anche dal lato opposto della corsia che stanno andando via dalla città, apparentemente.
“Andrei personalmente di macchina in macchina, ma sono troppe.” lo dice con frustrazione.
“Da quanto siamo fermi?” gli chiedo. Non so neanche quanto tempo ho dormito.
“Un’ora probabilmente… ho perso il conto.”
Mi giro a guardarlo. Ha un’aria decisamente sconfortata e stanca.
“Mi dispiace. Avrei dovuto guidare io per un tratto di strada, come stabilito.”
“Non importa” risponde subito. Il suo sguardo si è addolcito. “In ogni caso siamo rimasti bloccati.”
Noto che poco più indietro c’è uno spartitraffico e che in casi estremi possiamo raggiungere l’altra corsia per tornare indietro. Gli propongo l’idea. Magari possiamo trovare un’altra strada e in effetti lui ne conosce diverse. Ma mentre ne discutiamo, altre due persone si avvicinano alla macchina, urlando.
“Vi prego, vi prego aiutateci!” esclama subito una donna.
Sono sicura che Dean stia per dire loro di raggiungere il centro della città in qualche modo e che non può fare nulla, ma l'altra persona, un uomo, lo anticipa.
“Dovete scortarci in ospedale! Mia nuora sta male!”
“Che cos’ha?” domanda Dean.
“La febbre alta. Da quando siamo partiti stamattina.”
“Solo febbre?” chiede ancora il ragazzo. “Siete sicuri?”
Non capisco subito perché Dean sia così sospettoso, ma mi maledico da sola per essere stata così stupida.
La donna inizia a piangere.
“È stata ferita, stamattina poco prima della partenza. Le ha staccato un pezzo di carne dalla spalla, le ha…” l’uomo non finisce la frase. Dean apre lo sportello ed esce della macchina.
“Resta qui.” mi comanda con serietà. Io non obbietto e lo vedo allontanarsi con i due.
Raggiungono una macchina solo due file più avanti a noi. Vedo Dean osservare qualcosa dentro l’autovettura, probabilmente la donna di cui parlavano i due, i quali continuano a parlare con l’agente, ma lui li sta ignorando.
Improvvisamente impugna la pistola e repentinamente toglie la sicura e spara.
Mi metto una mano davanti la bocca appena percepisco il rumore del colpo.
Abbasso il finestrino e sento urlare. Intorno alla macchina si stanno avvicinando parecchie persone. I parenti della donna a cui Dean ha sparato hanno iniziato ad inveire contro il ragazzo.
Era stata infettata, era malata, era… condannata, ormai.
Cerco di convincere me stessa che quel gesto sia giustificato. Sono tutti sconvolti e la loro sofferenza riporta i miei pensieri all’incubo fatto prima. Respiro profondamente per calmarmi. Il caldo è quasi asfissiante e i miei lunghi capelli sono in parte stati bagnati dal sudore. Mentre cerco di legarli in una treccia, torno a guardare il gruppo lì avanti, aspettandomi di vedere Dean tornare in macchina. Ma non è così. Le cose non si stanno mettendo bene. I due uomini (presumibilmente il marito e il suocero della ragazza morta), si stanno accanendo con violenza sul giovane agente. Il più anziano lo sta spingendo e lui va a sbattere contro la macchina.
Lascio i miei capelli ricadere oltre le spalle e rimango impietrita. Qualcuno si avvicina per fermarli, ma l’uomo anziano è aggressivo anche con lui. Dean sembra aver preso bene quel colpo e ancora una volta cerca di parlare con i due, con calma e freddezza. Tipico dei poliziotti. Ma gli arriva un altro pugno, questa volta in pieno petto.
Mi muovo per scendere dalla macchina. Non posso difenderlo fisicamente, ma con le parole me la sono sempre cavata. Mi ritorna in mente, però, ciò che Dean mi ha raccomandato.
Resta qui.”
Sono scesa ma non so cosa fare. Continuano a minacciarlo, la situazione sta diventando sempre più calda. Anche la gente intorno a loro sta iniziando a discutere.
Metto una mano sul cofano e mi rendo conto che è bollente. Questo porta la mia attenzione su quello che c’è scritto sopra.
Polizia.
Dean è un agente, questa è l’auto della polizia. Prima tutti si sono fermati per ricevere aiuto e informazioni. Non so bene cosa mi sta passando per la testa, ma seguo il mio istinto.
Rientro velocemente e metto in moto. Inizio a cercare pulsanti o leve che so non essere parte di una normale macchina e infine eccola lì, la sirena si accende.
Premo l’acceleratore e inizio anche a bussare.
Come previsto, le persone si spostano, alcuni salgono nelle loro autovetture per fare spazio ed io in effetti riesco a passare e a raggiungere velocemente il gruppo. Freno poco prima di arrivare a tamponare delle macchine che non si sono spostate e mi muovo per aprire lo sportello dall’altra parte.
“Dean!” urlo, nello stesso istante in cui il ragazzo schiva un altro colpo e riesce per un attimo a tenere testa all’uomo che è più grosso di lui ma molto più lento.
In molti si girano verso di me, anche il ragazzo. Lo vedo esitare per un attimo ma poi urla anche lui.
“Se non l’avessi fatto, lei sarebbe diventata uno di loro. Una di quelle creature da cui stavate cercando di scappare! Portarla in ospedale non avrebbe fatto alcuna differenza!”
È riuscito a far incrociare le braccia dell’uomo dietro la schiena, ma non riesce a tenere la presa. L’altro si libera.
“Dean!” urlo di nuovo e questa volta il ragazzo si gira verso di me e raggiunge la macchina. Entra e chiude subito lo sportello.
“Questo è abuso di potere!” sentiamo urlare l’uomo anziano. Qualcun altro gli fa coro.
E adesso che si fa?
“Dobbiamo andarcene.” mi dice Dean, con naturale freddezza. “Togliamoci di qui!”
“Dove?” gli chiedo disperata.
“Torna indietro… proveremo a prendere un’altra strada.”
Non posso girare l’auto, così sono costretta a fare retromarcia tra macchine e persone, ma cerco di nascondere il mio nervosismo.
Torniamo molto indietro e raggiungiamo l’altra corsia. Dean mi da diverse indicazioni ed le eseguo senza aggiungere nulla. Guardo velocemente verso di lui più di una volta. Ha lo sguardo duro, fisso avanti a sé.
“Hai fatto la cosa giusta. Quella donna sarebbe diventato un pericolo, ma non l’hanno capito perché erano accecati dal dolore.”
Quelle mi sembrano le parole più adatte, ma restano nella mia testa.
Continuo a guidare per parecchio e per un momento ho come l’impressione che lui abbia cambiato idea sul centro rifugiati perché ci stiamo allontanando dalla città, ma invece poi, eccoci di nuovo a poca distanza dai grattacieli della capitale della Georgia. Troviamo di nuovo traffico, ma questo volta riusciamo ad arrivare in città.
Le code trovate per arrivare lì non erano nulla in confronto al caos che c’era per le strade di Atlanta.
Era esattamente come l’avevo vista nel notiziario l’ultima volta, forse solo più affolata.
Dean mi fa improvvisamente girare a destra e ci ritroviamo in un vicolo senza uscita.
“A questo punto credo sia meglio proseguire a piedi. Non ha senso rimanere bloccati in macchina.”
Sono d’accordo con lui, quindi spengo la macchina.
Prendiamo zaini e borsoni e li riempiamo. Dean dice che portare l’essenziale e di lasciare il resto lì in macchina e solo dopo trovato il centro rifugiati ritornerà a prendere il resto. Ha ancora quello sguardo serio. Vorrei dire qualcosa, ma sento che non è il momento.
Indossiamo le maschere antigas e scendiamo dall’auto. Quando raggiungiamo la strada principale un elicottero passa sopra le nostre teste, volando a bassa quota. Una famiglia ci supera correndo. Quattro persone che si tengono per mano, con zaini e borsoni. Tutte le persone intorno a noi sembrano fare lo stesso. Due uomini in divisa militare in lontananza puntano un fucile verso una donna ferita e poi sparano.
Cosa stanno facendo?” mi chiedo preoccupata.
Dean se ne accorge, così indico in quella direzione, ma i due uomini sono andati via e il cadavere è a terra. Ci passiamo accanto e mi accorgo, forse con sollievo, che era uno di quei malati. Era così scheletrico, la pelle aveva perso il suo colore, diventato grigio, e c’era parecchio sangue.
Non sono malati.
Cavolo, no! Sono veri e propri mostri.
Mi sento strattonare, così mi affretto a seguire Dean, anche se non sono sicura sappia dove sia il centro rifugiati. Camminiamo per un buona mezz’ora, controllando le entrate dei palazzi, dei negozi, delle banche, di tutti i luoghi, ma molte sono sbarrate. La luce del sole sta diventando sempre più debole, segno che sta per arrivare il tramonto.
Cerchiamo di seguire altri gruppi di persone, ma ogni volta che cerchiamo di fermarli per chiedere loro del centro, riceviamo sempre la stessa triste e negativa risposta:
Non lo sappiamo.”
Uno dei militari è sulla nostra traiettoria, così Dean lo ferma.
Non riesco a sentire la loro conversazione. C’è troppa confusione intorno a noi, per di più la maschera attutisce comunque i suoni. Noto che Dean ha pensato la stessa cosa e l'ha tolta. A quel punto, lo imito.
“Di cosa stai parlando, ragazzo?” riesco a sentire, finalmente.
A causa del movimento con la maschera, le bende sul viso scivolano via. Riesco a recuperare solo un piccolo pezzo, mentre il resto vola sull’asfalto.
“Il centro rifugiati! Quale direzione devo prendere?”
“Quale centro rifugiati?”
“Ce n’è più di uno, quindi?”
“Ragazzo. Non vedi il caos che c’è? Non c’è nessun centro rifugiati qui!”
A quelle ultime parole, guardo anche io il soldato e lui guarda me.
“La tua amica, è stata ferita?” urla verso Dean.
“Sto bene!” urlo in risposto e il ragazzo ripete la stessa cosa.
“Come si è procurata quella ferita? È stata presa da uno di quei cosi?”
“No!” risponde ancora Dean, ma l’uomo ha estratto una pistola.
Prima di capire cosa stia succedendo, vengo spinta via e solo dopo noto che Dean si è buttato di peso contro il militare. Entrambi cadono e si rimettono in piedi con gesti veloci, anche se Dean è più lento a causa dello zaino pesante che ha sulle spalle.
Vedo il soldato alzare di nuovo la pistola, ma improvvisamente viene ancora una volta spinto a terra, ma questa volta non è stato Dean a farlo, ma uno di quei mostri
Li guardo lottare fino a quando il ragazzo non mi prende per un braccio e ci allontaniamo.
Non so dove stiamo andando, ma ovviamente mi lascio strascinare. Siamo parte di quel caos, ormai, quindi non mi sorprendo più di quello che abbiamo intorno o che ci lasciamo alle spalle. Ho tanti pensieri nella mia testa. Quell’uomo ha puntato la sua pistola verso di me, senza aver aspettato alcuna spiegazione. Quell’uomo ha detto… ha detto…
Non c’è nessun centro rifugiati qui.
Quando rallentiamo il passo mi accorgo di conoscere la strada che stiamo attraversando.
Certo che la conosco. L’abbiamo già attraversata. Stiamo tornando indietro.
Ho la conferma quando vedo in lontananza la nostra macchina parcheggiata.
Dean mi guarda.
“Si sta facendo buio e non c’è traccia di un posto dove rifugiarsi. Ritorniamo in macchina, è molto più sicuro.”
Qualcuno urla.
Dietro di noi, una donna sta tenendo lontano uno di quei mostri con quello che sembra il braccio di una sedia e dietro di lei una bambina sta piangendo, spaventata.
Dean punta velocemente la sua pistola, ma prima di sparare si avvicina un po’ di più.
Quando il corpo del mostro cade a terra, la donna guarda verso di noi.
Ci urla un ringraziamento, prende la bambina in braccio e ci raggiunge.
“Grazie, agente. Grazie!” continua a dire “Ho bisogno di aiuto. Ho perso mio marito!”
Vedo Dean esitare, ma poi si avvicina alla donna, che nel frattempo sta cercando di calmare la figlia.
“Quando è successo?” chiede il ragazzo.
L’altra sta lacrimando, ha il viso sporco e un taglio visibile sulla fronte. Anche bimba continua a piangere.
“Mezz’ora fa, circa. O forse poco più… Era insieme ad altri miei due figli. Siamo stati attaccati da un gruppo di questi mostri.”
Mi stupisco nel sentire che anche lei li chiama in quel modo, ma ne sono compiaciuta.
Ci giriamo tutti verso due elicotteri che stanno illuminando la strada ormai quasi completamente buia. La corrente elettrica è probabilmente andata.
“Vorrei aiutarla” Dean non continua la frase. Lo vedo  in difficoltà.
“Ma suo marito e i suoi figli potrebbero essere ovunque.” Mi intrometto.
La donna mi guarda e sento che si sta soffermando sulla mia ferita, con timore.
“Le strade sono un caos e camminare al buio non è sicuro.”
C’è uno scambio di sguardi tra me e Dean.
“Venga con noi.” dice infine lui porgendole una mano.
La donna non sembra del tutto convinta.
“Siete venuti per il centro rifugiati, vero? Anche noi. È molto probabile che suo marito sia lì a questo punto. Faremo passare la notte e poi cercheremo insieme di raggiungerlo.”
Mi escono quelle parole senza neanche pensarci molto, soprattutto senza pensare a quello che il militare aveva detto, ma servono al loro scopo. La donna si fa di fianco a Dean e tutti e quattro ci dirigiamo verso l’auto.
Facciamo accomodare le due sui sedili posteriori e cerchiamo di far entrare anche gli zaini, mentre lasciamo i borsoni a terra.
“Sam, aiutami!”
Inizialmente non capisco cosa Dean voglia fare, mi chiede di aiutarlo a spostare alcuni bidoni della spazzatura di fianco alla macchina.
“All’interno dell’auto siamo al sicuro, ma è meglio avere delle difese!” mi spiega mentre cerchiamo altri bidoni più piccoli da posizionare tutti intorno a noi.
Geniale!
Sorrido leggermente, ma non credo che lui se ne sia accorto.
 *

La notte passa molto lentamente e non dormo quasi per niente, e potrei dire lo stesso degli altri. Dean ha tenuto un fucile in mano per tutto il tempo, e più di una volta è sceso dall’auto e ho sentito partire dei colpi.
La donna che abbiamo salvato, il cui nome è Alyssa, ha cercato invano di calmare sua figlia Janet che invece ha pianto fino allo sfinimento. Ho provato a dare alla piccola il robot giocattolo lasciatomi da Paul, ma ancora una volta non è servito a nulla.
In totale abbiamo avuto solo un paio d’ore di calma, poi, non molto prima dell’alba, abbiamo sentito la terra tremare.
“Carri armati” annuncia Dean e carica il suo fucile.
“Sono venuti a salvarci?” chiede Alyssa, con ansia.
Ha un aspetto orribile. La luce all’interno dell’auto non è molto intensa, ma riesco a vedere quanto è pallida ed ha viso e braccia sporche. Sono sicura che sia stanca quanto lo siamo noi e se lei è in quelle condizioni non oso immaginare io con quella ferita ancora non guarita.
“Che cosa facciamo?” chiedo al ragazzo.
Lui si passa le mani tra i capelli.
“Restiamo qui, per il momento”
E così facciamo. Restiamo lì, in ascolto.
Urla, spari, le ruote dei carri armati sull’asfalto, sono le uniche cose che riusciamo a sentire senza avere il coraggio di uscire fuori.
Ad un tratto, la luce fioca del sole si fa spazio tra le nubi di polvere che ormai hanno inondato le strade e capiamo che l’alba è arrivata.
I rumori all’esterno si stanno facendo sempre più deboli, la macchina non sembra più traballare.
“Non muovetevi!” ci ordina Dean, mettendosi il fucile a tracolla e aprendo lentamente lo sportello dell’auto.
Io e Alyssa seguiamo i movimenti del ragazzo con lo sguardo. Si avvicina furtivamente ai bidoni che hanno fatto da difesa e si mette leggermente sulle punte per sbirciare. In un primo momento lo vediamo semplicemente muovere la testa a sinistra e a destra. Si aggiusta il fucile sulla spalla e per un attimo penso che lo stia prendendo, invece si muove velocemente indietro e sposta uno dei bidoni, per poi passare dall’altra parte. Lo chiamo istintivamente ad alta voce, ma lui non si gira. Ha lasciato un’apertura nella nostra barriera. Perché l’ha fatto?
Penso in fretta e l’unica cosa che mi viene in mente e spostare di nuovo il bidone dov’era prima. Prendo un pezzo di garza e lo metto nella parte destra della maschera antigas, che poi indosso il più velocemente possibile. Dico ad Alyssa di rimanere in macchina. Lei risponde con un brevissimo cenno e continua ad abbracciare la figlia, così come aveva fatto per tutta la notte.
Quando scendo dall’auto mi accorgo che l’aria intorno a noi è strana. Con la maschera, infatti, non sento nulla, ma non si tratta semplicemente delle nubi dovute al continuo uso di polvere da sparo, è l’atmosfera ad essere diversa.
Mentre mi avvicino al cassonetto, cercando con lo sguardo di trovare Dean, noto anche un’inaspettata calma. Dopo una giornata intera nel caos più totale, quel silenzio non passa inosservato e al dire il vero non è rassicurante.
Forse è per via della maschera? Me la tolgo, ma sono costretta a mettermi comunque una mano davanti alla bocca per evitare di tossire a causa del fumo. Ho superato i cassonetti e rimango sorpresa da ciò che vedo:
Niente.
Il vicolo in cui ci siamo rifugiati è completamente vuoto. Non c’è nessuno a parte noi. Ne persone, né tantomeno  (e per fortuna) quei mostri.
Sposto il mio sguardo a sinistra e finalmente individuo Dean. È alla fine della strada e sembra accovacciato davanti a qualcosa. Con un occhio solo è difficile mettere a fuoco, così, prima di raggiungerlo, mi guardo di nuovo attentamente intorno per essere sicura che la strada sia veramente ed effettivamente vuota.
Il ragazzo finalmente mi nota e con un gesto della mano mi chiede di raggiungerlo in silenzio. Mentre mi avvicino, capisco cosa c’è lì davanti. Una fila di sacchi blocca il passaggio alla strada principale. Mi inginocchio accanto a Dean e lo guardo, aspettando una sua spiegazione.
“Hanno sigillato la strada” mi dice, infatti, sottovoce “Ma non solo qui. Hanno isolato la strada principale e barricato tutti i vicoli per almeno un chilometro se non più.”
“Cosa c’è dall’altra parte?” mi viene spontaneo chiedere, anche se credo di conoscere già la risposta.
Ci alziamo insieme lentamente e guardiamo oltre la barricata.
Come spiegato da Dean, tutte i vari vicoli che si diramavano dalla strada principale sono stati bloccati con file di sacchi e a destra, all’altezza di un incrocio, c’è un ultima barricata e un carro armato che però è fermo e con molta probabilità anche vuoto.
Il giorno precedente, tutto quello spazio era stato popolato da gruppi di persone che scappavano, da militari e da qualche poliziotto. Tutti che correvano e tutti che urlavano. E poi, ovviamente, c’erano stati anche i mostri.
Ed è tutto ciò che vedo ora. Un ammasso di corpi barcollanti.
I loro volti sono deformi, pezzi di carne mancano in più punti, anche su braccia e gambe. Sangue, sporcizia, puzza e fumo.
Quello è il volto dell’epidemia. Quello è il volto dell’apocalisse.
E per la prima volta me ne rendo conto davvero, comprendendo la gravità della situazione.
Ritorno ad accovacciarmi e guardo altrove. Sento crescere il panico dentro di me. Dean nota subito la mia preoccupazione e mi scrolla le spalle.
“Lo so che hai paura!” esclama “Anche io ne ho, puoi starne certa. Anche se ho ricevuto un addestramento, nessuno ci ha mai preparato a questo.”
Le sue parole non sembrano consolanti, ma di certo, anche se ha paura, riesce a nasconderlo bene. Nella sua voce noto sempre tanta determinazione.
“Non possiamo restare qui. Lo capisci, vero? Abbiamo scorte di cibo, ma non dureranno. E se questi cosi dovessero riuscire a superare la barricata, saremmo immediatamente sopraffatti e senza via di fuga.”
Siamo in una situazione pericolosa e Dean lo ammette senza remore. Meglio la triste realtà di una triste illusione, forse…
“Dobbiamo raggiungere il centro città” continua “Se hanno isolato questa zona, con molta probabilità le altre strade oltre la barricata sono libere e possiamo continuare a cercare il centro rifugiati o qualunque cosa ci sia!”
Dean è così pieno di speranza. Vorrei tanto essere come lui.
Mi scrolla di nuovo le spalle e mi chiede di guardarlo.
“Ora ascoltami bene. Ho bisogno del tuo aiuto per questa cosa. Uscirò per primo e cercherò di raggruppare queste creature intorno a me”
Non sono più persone, sono qualcos’altro. Devo cercare di ricordarlo.
“Tu dovrai occuparti di Alyssa e Janet. Quando la strada sarà abbastanza sgombra, iniziate a correre. Andate in direzione nord, verso il carro armato. Non preoccupatevi di loro, sono lenti e potete superarli con facilità”
“Ma tu sarai circondato!” obbietto “È… è un suicidio!”
La cosa mi terrorizza. Se Dean muore, io sono perduta…
“Avrò il fucile e le altre armi che ho recuperato mentre tu…” si interrompe portandosi una mano sul fianco ed estrae la sua pistola di servizio. “Prendi questa!”
Me la porge e quando si rende conto della mia indecisione mista a sorpresa, mi costringe a prenderla.
“Questa è la sicura” cerca di spiegarmi velocemente  “Devi toglierla prima di sparare, altrimenti il colpo non partirà. Stringi forte l’arma e non lasciarla andare.”
“Non… non ho mai sparato prima d’ora.” ammetto e sento la mia voce tremare. 
“Lo so, ma non abbiamo tempo per poter fare pratica, al momento.”
Ci alziamo.
“Metti la pistola avanti a te, nella stessa traiettoria dei tuoi occhi e cerca di mirare alla testa. Se anche non dovessi riuscire a colpirli, comunque li rallenterai.”
Mi guarda attentamente.
“Lo cosa più importante è che corriate. Corriate fino alla barricata.” sospira “So che puoi farcela! Ho bisogno che esca fuori la Sam che ieri mattina ha messo in moto l’auto ed è venuta in mio soccorso!”
Quella cosa mi sorprende. Non so perché, ma c’era una parte di me che pensava che non l’avesse apprezzato, che non avesse dato peso a quel mio gesto difatti improvviso e istintivo.
Non riesco a trattenere un colpo di tosse, questa volta, e purtroppo esce fuori  anche piuttosto rumorosamente.
Ci allontaniamo dalla barricata e nostro malgrado notiamo che qualcuno di quei mostri si sta avvicinando ai sacchi. Raggiungiamo velocemente l’auto e iniziamo a dividerci zaini e borsoni.
Quando spieghiamo il piano ad Alyssa ancora una volta la sua è una risposta molto silenziosa. È stanca, sfinita, lo si vede dallo sguardo.
“Un ultimo sforzo. So che può farcela!” la incoraggia Dean.
La bimba non sta più piangendo, ma potrebbe ricominciare da un momento all’altro.
“Troveremo il centro rifugiati e anche suo marito e i suoi figli.”
Dean le porge una borsa e la maschera antigas che aveva preso per la signora De Blasio e che in quel frangente si rivela utile.
Ci carichiamo, ma non troppo, visto che dobbiamo muoverci velocemente.
Dean strappa un pezzo di una camicia e lo trasforma in una sottospecie di bandana che mette intorno alla bocca di Janet (perché difatti la maschera antigas è troppo grande per lei).
Prima di uscire, il ragazzo mi guarda di nuovo.
“A nord. Andate verso il carro armato.”
È l’unica cosa che mi dice prima di indossare la sua maschera.
Usciamo dall’auto tutti insieme, lui in testa, mentre Alyssa ha in braccio sua figlia, dietro di me.
Dean si gira verso di noi e ci fa segno di aspettare lì. Qualcuno di quei mostri si è effettivamente avvicinato alla barricata, così il ragazzo va dalla parte opposta, solleva e mette da parte qualche sacco e poi, salta dall’altro lato.
Sentiamo dei grugniti intensificarsi ogni secondo che passa, poi uno sparo. Restiamo in silenzio e sono sicura che Alyssa e Janet siano terrorizzate quanto me. Purtroppo la visuale non è delle migliori. I sacchi ci impediscono di vedere. Ma sentiamo quella che senza dubbio deve essere la voce del ragazzo.
Li sta distraendo, sta urlando per attirare la loro attenzione. Sì, sta andando così, come stabilito dal suo piano.
Le mani mi stanno tremando, così stringo forte la pistola, per evitare di farla cadere. Devo avere anche il coltello da cucina preso nella casa della signora De Blasio da qualche parte nella borsa per porto a tracolla, ma non ho il tempo di cercarlo ora.  Alyssa invece ha il manganello di Dean, ma non sembra proprio essere pronta ad attaccare o difendersi.
Prendo un bel respiro e insieme alle due mi avvicino lentamente alla barricata.
Le maschere antigas si rivelano una doppia fortuna. Non solo siamo al sicuro dall’eventuale contagio di quella malattia (o qualunque cosa sia) per via aerea, ma i nostri sguardi e il nostro terrore sono nascosti, non sono visibili agli altri. Forse, se non guardo quanto sia spaventata Alyssa sarà più facile affrontare quella situazione, forse avrò meno paura anche io. In quel momento mi aggrappo a qualsiasi cosa pur di farmi coraggio. Cerco di sbirciare oltre i sacchi. In un primo momento non riesco a vedere Dean, e ancora una volta vengo presa dal panico, ma poi individuo un gruppetto più numeroso di mostri, alcuni dei quali cadono a terra con violenza.
Lo vedo riemergere e correre sempre più lontano da dove ci troviamo noi.  Un paio di quei così compare improvvisamente sulla nostra traiettoria, ma mi abbasso velocemente per non farmi notare. La cosa sembra funzionare, ci hanno superati.
Non so quanto tempo passa. Forse pochi minuti, forse molto di più, non riesco a tenere il conto. Guardo semplicemente Dean allontanarsi e fare fuori parecchi di quei mostri, ma so che non durerà a lungo, so che prima o poi le munizioni finiranno e con i coltelli sarà più difficile occuparsi della cosa.
Purtroppo la strada non è sgombra, ma ci sono parecchi spazi vuoti nei quali possiamo correre ed avere una giusta distanza tra noi e loro.
Penso sia arrivato il momento. Non c’è più tempo per tirarsi indietro o per avere delle indecisioni. Dobbiamo uscire.
Dean è arrivato accanto ad un’altra barricata e sta cercando di salire sui sacchi. Alcuni li butta addosso ai mostri.
Respiro a fatica e mi giro verso Alyssa e Janet. Porgo la mia mano libera alla donna e le faccio cenno con la testa che è arrivato il momento di correre. La sua presa è molto debole, così ci penso io a stringere.
Ci avviciniamo all’apertura nella barricata lasciata da Dean prima e la superiamo in punta di piedi.
Siamo fuori.
In un primo momento restiamo immobili. Cerco di individuare di nuovo Dean, ma non è più arrampicato sulla barricata di poco prima. Non so neanche se lui abbia individuato noi, ma non ho il tempo di capirlo, sento dei rumori alla mia destra e mi accorgo che qualcuno di quei mostri ci sta raggiungendo.
Le gambe si muovono da sole e dopo pochi attimi mi ritrovo a correre verso la zona più libera, così come avevo immaginato di dover fare poco prima. Quei cosi sono parecchi, ma come il ragazzo aveva supposto, sono lenti e riusciamo a superarli. Mi rincuora saperlo e mi da la forza di correre più veloce. Il carro armato non è poi così lontano. Mi giro per un attimo verso le due e mi accorgo che Janet sta piangendo di nuovo e la presa della mano di Alyssa si fa sempre più debole. Ancora una volta le stringo la mano più forte che posso, ma ad ogni passo mi sento più pesante.
Urlo verso la donna. Cerco di farle capire che siamo quasi arrivate, il carro armato è a non molti metri da noi, adesso, ma non serve a nulla.
Alyssa si ferma, barcolla su se stessa e poi mi cade addosso.
Non capisco nulla. Non capisco cosa stia succedendo e perché. Lo zaino attutisce la mia caduta, ma sento il peso della donna sullo stomaco e per un attimo il mio respiro si ferma.
Tossisco e con un gesto involontario mi tolgo la maschera antigas. Sento il mio viso completamente sudato e probabilmente la ferita si è aperta di nuovo, ma la paura è più forte e non ci do peso. Quando riesco a spostare il corpo di Alyssa dal mio, lei non reagisce. Sembra svenuta.
Cosa è successo?
Sono in preda alla confusione più totale, non so che fare.
L’urlo della piccola Janet rende le cose peggiori. Uno di quei mostri l’ha presa e le sta mordendo una caviglia.
No…
La pistola? Dove è finita?
Quando siamo precipitate sull’asfalto deve essermi caduta, così la cerco con lo sguardo e la trovo proprio accanto al corpo di Alyssa.
La prendo, punto verso il mostro, premo il grilletto.
Non succede nulla.
Inizialmente non capisco, ma poi ricordo quello che Dean mi ha detto sulla sicura.
Ma ormai non c’è più tempo, sono circondata, non so usare quell’arma.
Per un attimo ho davvero sperato di farcela. Ma è tutto più difficile di quanto credessi.
Sento uno sparo nelle vicinanze e uno di quei cosi cade proprio dietro di me.
CORRI!”
Dean mi raggiunge e mi prende violentemente per un braccio. Farfuglio qualcosa riguardo Alyssa e Janet.
“Non c’è più tempo, non possiamo più salvarle.” dice, o almeno è quello che io capisco.
Stiamo correndo in direzione del carro armato, dove a quanto pare i mostri  sembrano essere di nuovo numerosi.
“Sali!” Dean mi spinge verso quell’accozzaglia di ferro. Mi dice di arrampicarmi in prossimità di una delle ruote e io obbedisco.
Sono attimi strani, sento la testa girare e non sono sicura di reggere. Mi ritrovo sul tetto del carro armato senza rendermene conto. Sarà stata la paura, sarà stato l’ultimo spiraglio di forza di volontà, forza di vivere…
Dean è dietro di me. Da qui possiamo vedere le strade sicure oltre la barricata. Ma purtroppo non è affatto come il ragazzo aveva immaginato. Quella zona non è stata sigillata o isolata per fare in modo che le altre vie fossero libere.
Sono ovunque. Qualunque cosa siano, sono ovunque.
Siamo circondati. 

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Spero di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo prima della messa in onda della quinta stagione! Nel frattempo, grazie per le letture. E se non vi fa schifo, lasciatemi anche un parere. Alla prossima!
Carol.
p.s. sto per cambiare nickname, quindi prossimamente mi troverete sotto il nome "CarolPenny".  
   
 
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