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Autore: unannosenzapioggia    29/09/2014    2 recensioni
Spencer gli sorrise con le lacrime agli occhi e in quel momento si accorse di tremare. Non era più il freddo, ne la tristezza, ne il pensiero che nel giro di un paio di giorni Ashton sarebbe ripartito. Adesso, Spencer tremava di felicità.
E allora – dio! – smettila di tremare, che ci sono qui io, adesso.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando Spencer aprì la finestra, quella mattina di Settembre, il cielo era azzurro e il sole splendeva come se fosse stato luglio. Gli alberi di casa Bennett, però, già mostravano vanitosamente le loro prime foglie gialle, annunciando l’arrivo imminente dell’autunno. Erano le nove e trenta e la loro grande casa era gremita di gente, che parlava, dava ordini, sbraitava, correva su e giù per le scale, entrava ed usciva dalla camera della sposa. La ragazza sospirò di fronte al proprio giardino addobbato per il ricevimento del matrimonio e tornò a specchiarsi per un’ultima volta. Sua madre le aveva raccolto i capelli in uno chignon morbido, a cui lei aveva aggiunto una coroncina di margherite, perché così aveva voluto la sposa. Indossava un vestito leggermente sopra il ginocchio: la parte superiore era bianca, leggermente trasparente, con decorazioni floreali, mentre quella inferiore – la gonna – era di un rosa antico, che a Spencer era piaciuto sin dall’inizio. Si infilò le ballerine, ringraziando sua sorella per averle permesso di mettere un paio di scarpe basse ed uscì, attraversando il corridoio. Quando entrò nella camera degli ospiti, alla vista di Ashton in difficoltà con la cravatta, scoppiò a ridere.
“Cazzo – imprecò – Odio le cravatte!”
Spencer si avvicinò a lui continuando a ridere e beccandosi un’occhiataccia da parte sua. Quella situazione la divertiva: era abituata a vederlo con una maglietta di qualche band, un paio di pantaloni neri strappati e una bandana; a vederlo andare sullo skate o in bicicletta intorno casa, cantare ogni sera su un palco diverso. Era un po’ strano vederlo indossare un abito da cerimonia.
Le mani del ragazzo tremavano leggermente e sembrava spazientito.
“Stai tremando?”
“No, sono solo nervoso” rispose lui aggressivamente.
“Lascia, faccio io – disse sorridendogli incoraggiante e iniziò ad armeggiare con la cravatta – Ti prometto che stasera riavrai la tua maglietta bucata dei Nirvana e potremo tornare a vedere film sotto le coperte e-”
“A fare l’amore” la interruppe Ashton, sorridendo.
Spencer arrossì e abbassò lo sguardo sulla cravatta, cercando di concentrarsi, ma la vicinanza di quel ragazzo, il modo in cui la guardava dentro e le mani sui suoi fianchi erano troppo da sostenere.
“Sei bellissima, lo sai?”
La ragazza aggrottò la fronte senza rispondere e finalmente trovò il modo di fargli il nodo. Ashton le strinse i fianchi, facendole il solletico e si abbassò per baciarla sul collo, facendole venire i brividi. Spencer scoppiò di nuovo a ridere e fece un passo indietro.
“Smettila, Ash – gli ordinò, cercando di fare una faccia seria – Ce la fai a stare fermo un attimo? Ho quasi finito”
Il ragazzo sbuffò e scosse la testa “Mi farai morire”
“Però aspetta la fine del matrimonio per morire – Spencer lo prese per mano ed uscirono dalla camera – Siamo in ritardo”
 
La cerimonia era stata lunga e intensa.
Seduta in quinta fila, Spencer si era quasi addormentata sulla spalla di Ashton, che più volte le aveva dato un pizzicotto sulla gamba, lasciata scoperta dal vestito, per tenerla sveglia. Entrambi non vedevano l’ora di poter uscire alla luce del sole, per tenersi per mano e guardarsi senza mai veramente toccarsi.
Il ricevimento era stato organizzato nel loro giardino, che era stato addobbato in maniera sobria. Spencer era contenta che sua madre non avesse pagato una wedding planner per sistemare tavoli, sedie, piatti, luci, forchette e decorazioni varie. Aveva fatto tutto da sola e camminando sotto gli alberi, le sembrò di essere entrata in un mondo fatato. Piccole luci bianche e gialle decoravano gli alberi, ai cui rami più bassi erano appese alcune lanterne. C’erano numerose tavole coperte da tovaglie color avorio, che entravano in contrasto con i bicchieri, quasi tutti pieni di vino e le sedie nere.
Il sole caldo della mattina aveva lasciato il posto ad una leggera brezza pomeridiana che si sarebbe conclusa con un tramonto rosso, al di là del fiume, proprio alle spalle della casa di Spencer.
Lei ed Ashton camminavano nell’erba verde per mano, badando bene ad evitare la pista da ballo, che il fratello della sposo aveva montato in fondo al giardino in tre giorni. Si fermavano di tanto in tanto, per parlare con i parenti degli sposi ed ogni volta Spencer era costretta a presentare Ashton e lui a stringere mani: questo accadeva perché nessuno, ad eccezione dei suoi genitori e di sua sorella, conoscevano il ragazzo che stava a casa sì e no per un mese e mezzo e girava il mondo in un tour bus per il resto dell’anno. All’inizio – ricordava Spencer, mentre lo guardava parlare con lo sposo – era stato difficile per entrambi accettare di dover vivere così lontano l’uno dall’altro; persino i suoi genitori non avevano visto di buon occhio la vita che Ashton aveva scelto.
Si voltò di scatto tornando alla realtà, quando sentì qualcuno sfiorarle la gonna. Sorrise vedendo Kevin, un bambino di sette anni, figlio del cugino di sua madre. Da sempre, aveva una cotta per lei.
“Ciao – lo salutò Spencer – Tutto bene?”
Il bambino si sistemò la piccola giacca e sorrise, tendendole la mano “Balli con me?”
La ragazza si guardò intorno in cerca di Ashton, ma non riuscì ad incrociare il suo sguardo. Non che non volesse passare del tempo con Kevin, ma l’idea di ballare – sapendo di non esser brava – le metteva sempre ansia.
Kevin la trascinò sulla pista da ballo e le strinse la mano.
“Allora – iniziò la ragazza, per rompere il silenzio – Ti diverti?”
“Molto”
“Non ti piacciono gli altri bambini?”
Kevin non rispose e Spencer cercò un modo per lasciare la pista da ballo senza però ferirlo: era pur sempre un bambino.
“Scusa – una voce dietro la ragazza parlò; la fece sorridere – Posso rubarti la dama?”
Il bambino lo guardò in cagnesco per qualche secondo, poi lasciò la mano di Spencer e tornò dagli altri bambini.
Ashton rise, prendendo per mano la ragazza e tornando a ballare, nonostante le sue lamentele. Alla fine, si arrese e iniziarono a muoversi lentamente a tempo di musica.
“Come ti sembra?” Spencer cambiò argomento, guardandosi intorno.
“I matrimoni non sono il mio forte – rispose alzando leggermente le spalle come se avesse voluto nascondersi e le dette un bacio sulla fronte – Ma tua sorella è una delle spose più belle che abbia mai visto”
Spencer non rispose e si strinse al ragazzo continuando a ballare. L’idea di farlo partecipare al matrimonio non era stata sua, ma di sua sorella. Non che non volesse che Ashton fosse presente, ma lo sapeva: lui non era il tipo di ragazzo che frequentava posti del genere e partecipava a cerimonie del genere – che fossero matrimoni, battesimi, feste di beneficenza o eventi organizzati da suo padre. A lui piaceva vivere all’aria aperta, stare da solo a pensare, suonare. In posti del genere – Spencer ne era certa – non si sentiva mai a suo agio.
“Ti va di andare a fare un giro?” gli chiese d’un tratto.
Ashton aggrottò la fronte, ma la ragazza potè giurare di aver visto i suoi occhi illuminarsi “Scherzi?”
Spencer scosse la testa “Preferisci rimanere qui vestito come un pinguino o venire con me e toglierti questa cravatta che – potrei giurarlo – ti sta soffocando?”
 
A dieci chilometri dalla casa di Spencer, si estendeva una piccolo terreno rimasto in disuso da anni. Da quello che le aveva detto suo padre, quello spazio puntellato da alberi secolari e attraversato da un paio di ruscelli era stato acquistato da un americano che però non aveva mai costruito ed era ripartito per Miami una settimana dopo la vendita, senza mai tornare.
Avevano parcheggiato all’ombra di una quercia; Ashton aveva tolto la cravatta, le scarpe e aveva sbottonato la camicia, appoggiandosi allo sportello posteriore, con la schiena al finestrino, mentre Spencer aveva sciolto i capelli e si era adagiata comodamente sul petto del ragazzo.
La luce del sole, divenuta ormai arancione, filtrava attraverso il vetro del finestrino, ostacolata dalla giacca appesa di Ashton.
Il silenzio regnava e questo non dispiaceva a Spencer: a lei faceva paura il silenzio, carico di attesa, paura, preoccupazione, consapevolezza che il ragazzo fosse dall’altra parte del mondo a chissà quanti chilometri da lei, ma quando regnava quel genere di silenzio tra loro, Spencer era felice. Un po’, perché una frase detta male poteva sempre rovinare tutto, un po’ perché – conoscendo se stessa e conoscendo lui – non avevano mai avuto bisogno di molte parole per capirsi. A loro bastavano un’occhiata, un sorriso, una lacrima, una mano intrecciata all’altra, un braccio intorno alla vita, un bacio, un abbraccio, un momento perfetto per fare l’amore – a loro, tutto sommato, bastava veramente poco per star bene.
Ashton si appoggiò meglio al sedile e rise, quando Spencer tirò fuori un suo paio di occhiali da sole dal cruscotto del sedile anteriore e glieli mise. Lui li lasciò sui suoi occhi e riprese a disegnare piccoli cerchi immaginare sulla gamba della ragazza, mentre lei giocherellava con le sue mani, intrecciandole alle proprie.
Ashton chinò la testa e baciò dolcemente il collo di Spencer, facendola rabbrividire. Continuò, scendendo in basso, verso la spalla, la clavicola, le braccia, ma fu costretto a fermarsi quando Spencer si mosse, voltandosi verso di lui, per far combaciare le loro labbra. Il ragazzo poteva baciarla ovunque, ma niente le provocava le farfalle nello stomaco come faceva un bacio vero e proprio. Ashton la strinse a sé, prendendola per i fianchi e premendo le sue dita lunghe e callose su di essi, facendola ridere sulla sua bocca.
Non ebbe il tempo di intensificare il bacio, che il cellulare della ragazza iniziò a squillare. Spencer afferrò la borsa e lo tirò fuori, notando che fosse sua madre. Sbuffò e accettò la chiamata.
“Tesoro, dove sei? – la voce della madre tuonò talmente forte che fu costretta ad allontanare l’orecchio dal telefono; il ragazzo soffocò una risata – Ashton è con te? Non riesco a trovare nemmeno lui”
“Sì, siamo insieme”
Sentì sua madre sospirare, come per mantenere la pazienza. Sicuramente, non si era chiusa in bagno per chiamarli, ma aveva preso una pausa tra una conversazione e l’altra con i vari invitati  e non poteva – certamente! – mettersi a sbraitare in mezzo a loro.
“Allora, trovate il modo di tornare, ovunque siate! – sibilò, abbassando la voce – Tra poco ci sarà il taglio della torta e poi tua sorella partirà subito per il viaggio di nozze! Non vuoi nemmeno salutarla? – Spencer abbassò gli occhi sulla sua gonna: sua madre aveva ragione – Vi do mezz’ora”
La linea cadde immediatamente e Spencer non disse niente: si limitò a riporre il cellulare nella borsa.
“Allora, che ha d-” iniziò Ashton, ma Spencer aveva già annullato di nuovo le distanze tra loro, baciandolo con foga. Inizialmente, il ragazzo ne rimase sorpreso, poi l’assecondò, finché non si rese conto che quel bacio non aveva alcun senso.
Si staccò di malavoglia da Spencer, che si sedette vicino a lui e mise il broncio.
“Torniamo a casa” le disse.
“Che cosa? – esclamò – No! Possono aspettare”
“Perché siamo qui Spence?”
Lei abbassò lo sguardo: in quel momento le sue ballerine appoggiate per terra erano molto più interessanti “Ti stavi annoiando al matrimonio e pensavo ti avesse fatto piacere andartene per qualche ora”
Ashton sorrise e le prese il volto tra le mani, in modo da costringerla a guardarlo. Quegli occhi verdi avevano sempre imbambolato Spencer e lui lo sapeva. Erano la sua debolezza e l’usava ogni volta che voleva che lei gli dicesse la verità.
“Sì, mi ha fatto piacere – disse alla fine – Ma so anche che tu, se lasciassi partire tua sorella senza averla salutata, te ne pentiresti a vita – continuò – So quanto tieni a me, ma tieni moltissimo anche a lei. Non voglio che tu stia qui, per fare un piacere a me, quando soffri dentro, perché stai rischiando di lasciarla partire senza nemmeno salutarla. Questo non mi fa piacere”
Spencer sorrise, con gli occhi lucidi. Perché sì, di ragazzi del genere ce n’erano pochi in giro, ma forse lei era stata abbastanza fortunata da incontrare e innamorarsi di uno di loro.
“Davvero?” fu l’unica cosa che riuscì a dire.
Ashton annuì, si abbottonò la camicia, si infilò le scarpe e la giacca, fece per annodarsi la cravatta – ma Spencer lo fermò perché “stai meglio senza” – e baciò la ragazza.
“Forza, guido io”
Nel giro di un quarto d’ora, furono di nuovo nel parcheggio di fronte alla casa di Spencer; era ancora pieno di auto con addobbi nuziali. Quando arrivarono, il sole era quasi tramontato.
La ragazza si guardò nello specchietto, controllando velocemente il trucco. Afferrò le fermezze che aveva tolto dai capelli e ne infilò due in bocca, in modo da aver le mani libere per tirar su i capelli e imitare l’acconciatura che la madre le aveva fatto quella mattina.
Ashton, però, gliele tolse di bocca e le gettò sul sedile posteriore, porgendole poi solo la coroncina di fiori.
“Metti solo questa – gliela passò e Spencer la indossò – Sei più bella con i capelli sciolti”
Scesero dall’auto e s’incamminarono verso il ricevimento – ormai giunto quasi a termine – mano nella mano.
 
Meredith aveva lasciato per sempre casa propria, per iniziare – dopo il viaggio di nozze – una nuova vita con l’uomo che da poche ore era divenuto suo marito, ma che lo sarebbe rimasto per sempre. Erano partiti dopo cena, quando il sole aveva lasciato spazio alla luna, le stelle avevano fatto capolino e una brezza più fredda del solito si era sollevata e aveva fatto sì che tutti indossassero qualcosa di più pesante.
Ad un’ora dalla loro partenza, gli invitati se n’erano andati e adesso il giardino era completamente vuoto, ad eccezione dei genitori di Spencer e del catering – che avevano prenotato per il matrimonio – che stavano sparecchiando e staccando le lanterne dagli alberi.
Spencer osservava la scena, seduta su una panchina in fondo al grande giardino, con un’espressione malinconica, mentre si chiedeva se il giorno seguente, quel giardino senza gli sposi e la sua camera senza la sorella sarebbero stati diversi. Erano cresciute insieme, diventando migliori amiche, complici e scambiandosi segreti. Meredith era stata la prima a sapere di Ashton e Spencer la prima a sapere che la sorella aveva ricevuto una proposta di matrimonio da parte del fidanzato. Meredith era l’unica che riusciva a tirar su il morale e tener compagnia a Spencer, quando Ashton non c’era. Invece, da quel momento in poi, sarebbe stata da sola. Quel pensiero la fece rabbrividire.
Ritornò immediatamente al presente, quando si accorse di Ashton seduto vicino a lei.
“Stai bene?”
Spencer annuì, sorridendogli debolmente e si strinse nelle spalle. Dopotutto, era merito suo se era tornata in tempo a casa per salutare Meredith.
“Che freddo che fa stasera – notò Ashton; si sfilò la giacca e l’appoggiò sulle spalle di Spencer – Stai tremando”
Ci furono alcuni attimi di silenzio. Il ragazzo non sapeva che dire, perché – ammettiamolo – non era bravo con le parole, ma avrebbe fatto di tutto per toglierle quell’espressione triste dal viso. Quella ragazza significava tutto per lui, ma soprattutto voleva dire “vita normale”: alzarsi al mattino e fare colazione, uscire per andare a scuola, vedere gli amici, baciarsi senza essere fotografati, fare l’amore per ore nel capanno degli attrezzi su un vecchio materasso bucato, ma che a loro andava bene, scattare fotografie, andare in bicicletta, fare il bagno al lago. Spencer era la vita normale che Ashton aveva lasciato con tanta velocità, ma che rivoleva indietro ogni giorno di più. E il solo pensiero di non riuscire a far niente per farla sorridere lo uccideva.
“Credi che un giorno mi sposerò anch’io?”  Spencer parlò dopo momenti interminabili di silenzio, come se si fosse risvegliata da un lungo sonno. Aveva continuato ad osservare i suoi genitori eliminare dal giardino tutto ciò che ricordava il matrimonio e non aveva più aperto bocca.
Ashton le cinse le spalle con un braccio, sorridendole, e le dette un bacio leggero su una tempia.
“Certo, signora Irwin”
La ragazza si scostò bruscamente, aggrottando la fronte e guardò il ragazzo. I suoi occhi verdi la scrutavano curiosi in attesa di una risposta e brillavano ancora di più, sotto la luce della luna.
“Tu credi che ci sposeremo?” chiese Spencer e lui annuì.
“Perché?”
Ashton sospirò e la strinse a sé “Perché sono innamorato di te – confessò, mentre Spencer lo fissava ad occhi aperti – Lo so che non te l’ho mai detto, ma te lo dimostro in continuazione. E capisco che tu non te ne accorga, perché un qualsiasi ragazzo direbbe “ti amo”, ma io.. Lo sai, no?, che non sono bravo con le parole? Per me è più facile dirtelo con un bacio, con un sorriso, con una giacca sulle spalle e un “cazzo, odio le cravatte”, con un “mi manchi” al telefono alle tre di notte, dopo un concerto e una doccia, e Calum che rompe le palle perché vuole dormire, con tu che mi prendi all’aeroporto, prepari la colazione e balli con me, con noi che facciamo l’amore e tu che dopo indossi le mie magliette – deglutì, non riuscendo a interpretare la faccia di Spencer – Non è una cosa facile da dire per me; in realtà non lo è mai”
Spencer gli sorrise con le lacrime agli occhi e in quel momento si accorse di tremare. Non era più il freddo, ne la tristezza, ne il pensiero che nel giro di un paio di giorni Ashton sarebbe ripartito. Adesso, Spencer tremava di felicità.
Appoggiò la propria spalla a quella di Ashton, che la strinse di nuovo a sé e poi nascose il viso contro il suo petto.
Nemmeno lui disse niente, perché sapeva che loro due erano esattamente uguali: nemmeno Spencer era brava a parole, ma a lui andava bene così. Perché quell’abbraccio significava “ti amo”  e un milione di altre cose.
E allora – dio! – smettila di tremare, che ci sono qui io, adesso.





 
ciao a tutti!
questa è una one shot di quasi tremila parole che ho scritto in pochi giorni.
in realtà, scrivo su questi due personaggi da quasi un anno, ma non avevo mai pubblicato niente su di loro, perchè non ero soddisfatta abbastanza, quindi sappiate che sono molto affezionata a loro! hahah
non ho molto da dire su queste tremila parole, se non che ogni tanto mi fa bene scrivere su ragazzi così dolci e quasi perfetti, che - so benissimo! - non esistono nella realtà (o al limite, ne esistono davvero pochi).
per ultima cosa, se cliccate sul titolo, potrete ascoltare la canzone che mi ha ispirato (e che tutt'oggi è una delle canzoni più utilizzate per i matrimoni)!
spero che vi piaccia, fatemi sapere!
un bacio,
Giulia
ps. vi pregherei di non rubare la "locandina" perchè l'ho fatta io, grazie






 

 
  
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