Libri > Storia di una ladra di libri
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Autore: ester_potter    29/09/2014    0 recensioni
Saaalve, questa è la mia seconda fanfiction. Praticamente riscrivo il film TUTTO dal punto di vista di Liesel, quindi sarà più introspettivo. Sono attaccatissima sia al libro che al film, per cui vi posso assicurare che rimarrò fedele il più possibile e cercherò di non sfociare mai nell'OOC con i personaggi. Buona lettura :)
[Estratto dal capitolo 37:
È iniziato tutto con la morte di mio fratello: lì, per la prima volta, mi sono ritrovata a rubare un libro. È capitato altre volte, in contesti diversi, ma c’era sempre una costante.
Sentivo l’instabilità della vita. Ogni volta che mi capitava di rubare un libro, sentivo tutto talmente fragile e instabile, da aver bisogno di qualcosa che rimanesse per sempre con me (...)
Un libro sarebbe rimasto sempre mio. Nessuno me l’avrebbe mai portato via. Gli scrittori sono immortali perché sono immortali le loro opere. Ancora oggi ci ricordiamo di persone come Shakespeare, Victor Hugo, Lev Tolstoj, Mark Twain, e sono sicura che fra cent’anni il mondo di ricorderà ancora di loro. Perfino il Mein Kampf resterà sugli scaffali delle librerie. Forse è questo, il motivo che mi ha sempre spinta a rubare libri.]
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Liesel Meminger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XXIII

Non ci posso credere. Mi ha mandata via. Cioè, non ha voluto nemmeno sentire le spiegazioni di sua moglie… Mi ha mandata via a basta.
Appena sono uscita da casa loro mi ha letteralmente chiuso la porta in faccia. Pensavo… non so. Che gli andasse bene. Che c’era di male, in fondo?
Forse sa che sono una comunista? Ma se lo sapesse allora mi avrebbe rispedito dritta dritta da mia madre. Non so. Davvero, non capisco.
Mi ritrovo a camminare da sola per la strada, a testa bassa, come ipnotizzata a guardare i sassolini che scricchiolano sotto i miei piedi. A un tratto, però, mi torna in mente il pensiero peggiore: mia madre. Come faccio a dirle che il borgomastro d'ora in avanti non vorrà più... Com'è che ha detto? 'Avvelersi dei nostri servizi'.
Accidenti, già ogni volta che perdiamo un cliente è una tragedia, per mamma, e adesso fra tutti proprio il borgomastro! Mi ucciderà.
No, non se ne parla. Devo trovare una scusa, o stavolta mi ammazzerà. Lo farà sul serio.
Quando arrivo a casa, mortificata e umiliata, mamma capisce subito che qualcosa non va. Le riferisco semplicemente la frase che il borgomastro mi ha effettivamente detto, ma senza precisare il motivo o il contesto. Mi sento giusto un filino meglio nel farlo, ma solo un po'. Non è che abbia mentito... Ho solo omesso delle cose.
Ma ciò che mi dà più da pensare è l'imprevedibile reazione di mamma: non esplode. Non si arrabbia affatto... almeno, non subito. Rimane TALMENTE basita che si siede, fissandomi come se non riuscisse a credere alle sue orecchie.
“E non ha detto il perché?” mi chiede.
Io scuoto la testa, evitando di guardarla. Mi sento molto, molto a disagio.
La mamma abbassa lo sguardo e continua a rimuginare. “Io non capisco… Ho sempre stirato le sue camice nello stesso modo…” Ecco, ora comincerà a sentirsi in colpa lei e io ci starò talmente male che non ci dormirò la notte.
“Forse non se lo possono più permettere” prova a dire papà, rimanendo calmo, mentre apparecchia per la cena.
“LORO non se lo possono permettere!?” sbotta alla fine mamma, alzandosi in piedi. Ecco. Ora la riconosco. “NOI non ce lo possiamo permettere! Un altro cliente che se ne va… E quattro bocche da sfamare!” Papà cerca di zittirla, invano. In effetti, di clienti se ne andranno sempre di più con la guerra.
Hitler dice che per vincere bisognerà fare dei sacrifici. Spero solo che questi sacrifici non ricadranno sempre su di noi, almeno. Papà si siede e fa segno anche a me di sedermi.
Sospiro, e riesco a trovare il coraggio di avvicinarmi e sedermi davanti a mamma. Dai, non è difficile, Liesel, stai calma. Devi solo evitare di guardarla negli occhi. “Ebbene,” ricomincia lei, “si fanno due pasti al giorno d’ora in poi. Non tre. Non c’è altro da dire.”
Fine delle discussione; nessuno obietta.
Papà, con il suo solito sorriso complice, mi fa l’occhiolino. Riesce a strapparmi un sorriso, ma solo per poco. Però, dai. Non è andata tanto male.
   
 
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