Seduto
poco più lontano del bagnasciuga, Makoto osservava l'acqua
muoversi
e brillare di mille colori. Sousuke, poco più lontano, stava
per
fare la stessa cosa prima di vederlo e, beh, sì, avvicinarsi.
Non
perché gli interessasse parlare con lui, e davvero non gli
interessava, ma essendo amico di Haruka poteva trarre informazioni
utili scambiando due parole con lui. Parlare con qualcuno di nuovo,
comunque, non gli avrebbe fatto male. Magari gli sarebbe addirittura
piaciuto.
«Yo,»
disse infine. Makoto attese prima di voltarsi, per pensare: era Rin
che attirava l'attenzione di qualcuno chiamandolo in quel modo, e
aveva sentito anche Haruka dirlo di quando in quando.
Ma
Rin non era lì. E nemmeno Haruka.
«Y-Yamazaki?»
balbettò il suo nome come se avesse avuto paura di
pronunciarlo.
Sousuke lo guardava dall'alto e sul suo volto vi era un'espressione
dura e fredda, non gli piaceva essere chiamato per cognome. Al
momento, comunque, andava bene così.
«Tachibana,»
disse infine. Makoto, pazientemente, aspettava che Sousuke facesse
qualcosa – il che poteva essere qualsiasi cosa, veramente,
dal
continuare a parlare al, magari, sedersi accanto a lui, non doveva
per forza parlare, il silenzio gli andava bene. Nel peggiore dei
casi, sarebbe potuto andare via.
E,
ecco, ancora non sa dire perché quell'opzione lo turbasse
tanto.
Probabilmente perché si era sentito completamente solo per
l'intera
settimana (per quanto Nagisa e Rei volessero dargli una mano, e
davvero, apprezzava molto quello che stavano facendo per lui, erano
finiti per non dare l'aiuto che avrebbero voluto: sempre occupati
nelle loro faccende, i loro “piccoli segreti”, come
piaceva dire
a Nagisa), probabilmente perché voleva qualcuno che
riempisse il
posto vuoto accanto a lui. Probabilmente perché Sousuke gli
ricordava di Haruka, e Haruka era così importante per lui,
così
necessario, Dio, gli mancava così tanto, gli mancava tanto
da fargli
male.
«Suppongo
tu non abbia altro di meglio da fare che stare a guardare il nulla
tutto questo tempo,» disse Sousuke. Makoto scrutava i suoi
occhi
come se stesse cercando di capire qualche antica scrittura, e nemmeno
lo stesso Sousuke sembrava voler distogliere lo sguardo. Lo scambio
di occhiate era tanto intenso, e Makoto non si era accorto di star
trattenendo il respiro.
Infine,
si decise a rispondergli, buttando fuori l'aria con un breve sospiro:
«Non è il nulla che sto guardando,
veramente,» e Sousuke si sentì
sorpreso da quanto davvero
il suo tono suonasse così gentile, così
invitante, come Rin glielo
aveva descritto. Aggrottò le sopracciglia e
gonfiò il petto mentre
Makoto tornava a rivolgere il suo sguardo in avanti, rompendo con
esitazione il contatto visivo che, in tutta franchezza, cominciava a
stancarlo.
Intere
guerre averbbero potuto cominciare e finire nel tempo che Sousuke
impiegò per posizionarsi accanto a lui e sedersi sulla
sabbia
bollente della spiaggetta deserta, attirando l'attenzione di Makoto,
ma non l'occhiata sorpresa che si aspettava.
«Quando
Rin era in Australia, tempo fa,» cominciò Sousuke,
portandosi le
ginocchia vicino al petto con un braccio. Makoto notò che il
braccio
libero era quello della spalla rotta, e si chiese se fosse un gesto
volontario o meno, «Mi piaceva guardare il mare dalla
finestra e
pensare che anche Rin stesse facendo la stessa cosa. Dopotutto,
è lo
stesso mare.»
Makoto
non rispose. Abbassò gli occhi.
«E'
Nanase il problema, non è vero?»
«Haru
non è un problema,» si sentiva quasi offeso da
certe parole, come
se la colpa de suo malumore fosse lui. Ed era vero. Gli faceva male
pensarci perché sapeva che era vero, lo sapeva, sapeva che
era
proprio quell'Haruka dai capelli neri e gli occhi azzurri il motivo
principale dei suoi mali.
Forse
era per questo che amava tanto guardare il mare, se ci pensava. Il
mare aveva lo stesso colore dei suoi occhi.
«Qualcosa
ti turba e la colpa è sua. Difficile girarci
intorno.»
«Beh,»
rispose, «Haru è comunque sempre stato molto amico
di Rin. Se non
sono riuscito ad aiutarlo, Rin lo farà al posto
mio.» Perché
probabilmente per Haru è un amico migliore di quanto lo
possa mai
diventare io, non disse.
«Ah,»
Sousuke rise.
Rise.
Rise?
Makoto
attese che si spiegasse, che dasse una motivazione logica a quello
che aveva appena fatto perché trovava il suo intervento
così
fottutamente
antipatico
e strinse la sabbia tiepida tra le dita in una morsa rabbiosa e
carica di odio.
«Rin
non si sbagliava su di te,» continuò, sorridendo:
un sorriso
piccolo, timido, uno di quelli che Haruka faceva sempre, «Sei
talmente attaccato a Nanase, che pensi più al suo bene che
al tuo.»
«Cosa
vuoi dire?»
«Lo
sai cosa voglio dire.»
Lo
sapeva?
«Da
amico mi preoccupo per lui, tu non fai la stessa cosa con
Rin?»
L'attimo
di esitazione che si prese Yamazaki per rispondere non indicava
insicurezza; Makoto poteva chiaramente vedere un velo scuro di
ricordi posarsi sopra i suoi occhi.
«Rin
sa badare a se stesso,» disse, c'era incertezza nella sua
voce, «E
dopo tutto quello che è successo mi sono ritrovato a capire
troppo
tardi di quanto abbia trascurato me stesso per causa sua.»
Le
sue erano parole dure. Makoto deglutì.
«Si
fanno sacrifici,» continuò, «e nel mio
caso ne è valsa la pena.
Ma nel tuo,» si voltò e tornò a
guardare Makoto con
quell'intensità che prima erano stati costretti ad
interrompere,
«Nanase deve essere completamente cieco per non capire quanti
sacrifici hai fatto per lui. E' testardo, ed egoista.»
Abbassò
gli occhi e terminò ridendo una breve risata: «Ora
capisco perché
lui e Rin siano tanto vicini.»
Voleva
dissentire, ma poteva? Non aveva tutti i torti, dopotutto. Haruka si
era comportato in modo piuttosto infantile sotto quel punto di vista,
a pensare solamente ai suoi bisogni e a non capire i suoi. A volte
avrebbe voluto che fosse una persona diversa.
Aveva
trovato le parole giuste per rispondere quando Sousuke si
alzò e gli
tese una mano.
«Alzati,»
gli disse, «andiamo a parlare altrove.»
Makoto
esitò prima di sorridere e intendere il suo come un gesto
per
conoscersi meglio: gli strinse la mano, accettando il suo aiuto.
Gli
mancava potersi confidare con qualcuno.