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Autore: windy_times    02/10/2014    2 recensioni
Lovino conosce Antonio sin da quando la famiglia dello spagnolo si è trasferita nella casa adiacente alla sua. Dieci anni sono passati, e niente è cambiato. Se non che, la sera prima di cominciare un nuovo anno scolastico, Antonio stravolge completamente il loro rapporto.
[Spamano]
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nota: le parti in corsivo sono flashbacks.


-Buongiorno!
-Chiudi il becco, bastardo.
Una delle cose che Lovino odiava di più era quello spagnolo irritante: e le cose che Lovino odiava erano molte.
-Dormito bene?
-Fatti gli affari tuoi.
Era irritante, dover fare tutte le mattine la strada con quell’essere fastidioso. Se solo non fossero stati vicini di casa…
Lovino Vargas, 16 anni, italiano. Antonio Hernández Carriedo, 18 anni, spagnolo. Amici d’infanzia… o almeno, a quanto detto da Antonio, perché Lovino sosteneva cocciutamente di non avere nulla a che fare con lui.
-Feliciano?
-Sta ancora dormendo.
-ASPETTATEMIII!
Un ragazzino basso e mingherlino si precipitò fuori dalla porta della vecchia casa dei Vargas, saltò impetuosamente sulla bicicletta nascosta dall’ombra delle due case, e sfrecciò come un fulmine sulla strada di ciottoli, frenando bruscamente appena ebbe raggiunto i due ragazzi più grandi.
Feliciano Vargas, 14 anni, italiano, fratello minore di Lovino.  
-Lovino, perché non mi hai svegliato?
-Non sono la tua babysitter!
Lovino non poteva sopportare l’atteggiamento del fratello minore, non ne era mai stato in grado. Necessitava continue cure e attenzioni, che lui non era disposto a dare… mentre Antonio sì.
Lo spagnolo sorrise al ragazzino.
-Hai dormito bene, Feliciano?
-Sì, grazie! Anche se ho fatto un incubo…
-Allora, andiamo o no? – insorse impaziente Lovino.
I tre inforcarono le biciclette e si avviarono verso il centro città, alla scuola del paese. Le abitazioni sfrecciavano veloci al loro passaggio, il freddo vento sferzava i loro visi e faceva ondeggiare le veneziane. Frequentavano tutti e tre al liceo: Feliciano era al primo anno, Lovino al terzo, e Antonio all’ultimo. Ormai anche il più giovane dei tre frequentava la scuola superiore, e si era unito agli altri durante il viaggio mattutino.
Anche l’autunno stava lentamente lasciando il passo all’inverno. Quello sarebbe stato l’ultimo anno che Lovino avrebbe passato con “lo spagnolo fastidioso”, come lo chiamava: sempre così gentile, smielato, appiccicoso…
Il ragazzo spostò lo sguardo dalla strada ai capelli scuri e mossi di Antonio, sulla destra davanti a lui, che pedalava. Aveva la carnagione olivastra; quando curvavano riusciva a scorgerne gli occhi verde smeraldo. Proprio in curva, Antonio guardò con la coda dell’occhio Lovino, e notando lo sguardo del ragazzo fisso su di sé gli sorrise. Lovino distolse immediatamente lo sguardo, arrossendo. Quello spagnolo era senza dubbio una persona irritante.
 
“Effettivamente, da quant’è che lo conosco?”
Lovino si dondolò sulla sedia, masticando il gommino della matita mentre osservava un punto indefinito della lavagna. Il professore parlava, scriveva ininterrottamente, e come al solito Lovino era perso nei suoi pensieri.
Dieci anni. Dieci anni che la famiglia Carriedo si era trasferita dalla Spagna all’Italia, insieme al piccolo Antonio, che allora aveva 8 anni. Si erano stabiliti nella casa adiacente a quella dei Vargas, che avevano un bar, mentre i Carriedo avevano cominciato a gestire un banco frutta e verdura al mercato. Com’era inevitabile, i bambini avevano fatto amicizia.
Lovino avvampava ancora, pensando a quanto era legato ad Antonio a quei tempi. Lo spagnolo per lui rappresentava, essendo più grande, un fratello maggiore (cosa che Lovino era per Feliciano), e ne cercava continuamente la protezione… Anche se aveva sempre avuto l’impressione che Antonio volesse più bene a Feliciano che a lui. D’altronde, Feliciano era quello dolce, quello innocente…
 “Non capisco. È ovvio che l’ha sempre preferito, eppure…”
Eppure, Antonio sosteneva di provare dei sentimenti per Lovino.
La faccia del ragazzo divenne rossa come un pomodoro, ricordandosi degli avvenimenti di qualche giorno prima.
-Lovino, te quiero.
“Oh Dio, oh Dio, oh Dio!”
Lovino si prese la testa fra le mani per nascondere il colorito paonazzo al resto della classe, che era però
abituata alle stranezze del ragazzo.
 
-Beh, che c’è? Che mi devi dire a quest’ora, bastardo?
Lovino era seccato… anzi, molto seccato, visto che il cattivo umore per lui era un’abitudine. Lui e Antonio avevano appena finito di aiutare nonno Roma al bar di famiglia, situato al piano terra di casa Vargas. Sul lato della casa, una scala portava al secondo piano, ospitante le camere private della famiglia.
Davanti alla porta principale, Lovino fissava a braccia conserte Antonio, che gli aveva chiesto di parlare qualche minuto prima, mentre si cambiavano dagli abiti lavorativi a quelli normali; dato che il giorno dopo sarebbe iniziata la scuola, il ragazzo voleva coricarsi al più presto, e non era proprio in vena di ascoltare Antonio, qualunque cosa egli gli dovesse dire.
-Vieni.
Senza aggiungere altro, Antonio lo prese per mano, e lo iniziò a trascinare nella direzione opposta alla scala, verso casa propria… prima di raggiungerla, svoltò a destra, infilandosi nello spazio fra le due abitazioni dove si trovavano, come sempre, le loro biciclette, legate a dei piccoli paletti.
-EHI, CHE STAI- MMPH!
Antonio si girò di scatto, e gli premette la mano sulla bocca, osservandolo determinato a pochi centimetri di distanza dal suo viso.
Lovino sentì il battito cardiaco accelerare improvvisamente, senza preavviso, mentre veniva fissato a distanza così ravvicinata da Antonio, solo una mano e pochi centimetri a separare le loro labbra, mentre l’altra era intrecciata con la sua. Lovino voleva distogliere lo sguardo, come sempre, ma quegli occhi verdi lo attiravano come calamite, calamite color smeraldo.
-Shhh. Vuoi svegliare tutti?
Non fossero stati così vicini, probabilmente Lovino avrebbe imprecato ferocemente contro lo spagnolo. Ma ora, il cuore che non accennava a frenare le pulsazioni, era solo in grado di aggrottare la fronte.
Antonio rimosse lentamente la mano, e Lovino rimase con le labbra socchiuse, perso negli occhi che aveva di fronte. Antonio si voltò, e lasciò andare la mano del ragazzo, reso innocuo dalla sorpresa, per afferrare la bicicletta. Gli fece un cenno col capo in direzione di una delle due bici rimaste appoggiate.
-Prendila e seguimi. – disse risoluto.
-Perché mai dovrei? – sussurrò nervoso Lovino, tornato nuovamente al suo carattere diffidente.
Sospiro.
-Por favor.
Lovino pensò che Antonio non si stava comportando come al solito. Aveva uno sguardo troppo… serio, per essere lui. Grugnendo qualcosa, si issò anch’egli su una bici, e lo seguì, nell’oscurità della notte, verso la campagna.
Gli edifici si facevano sempre più rari, man mano che si inoltravano nei campi, ordinatamente divisi per ortaggi, che di giorno splendevano dorati sotto il Sole, e che ora apparivano così scuri. Ogni tanto, qualche albero disseminato ai lati della strada frusciava, e qualche uccello notturno cantava, accompagnando lo scricchiolio della ghiaia sotto le ruote della bicicletta. Le uniche luci a guidarli erano i fanali delle biciclette, la Luna e le stelle. Nel portapacchi, Antonio aveva issata una lanterna.
-Si può sapere dove stiamo andando?! – chiese Lovino ad alta voce, spezzando il silenzio.
Antonio rise, ritornando sé stesso.
-Davvero non l’hai capito?
Effettivamente, a Lovino sembrava di aver già percorso questa strada… alzò lo sguardo, e vide i colli, così scuri da poter essere difficilmente notati, ergersi sopra i campi.
-La vecchia casa abbandonata?!
Sì, Lovino aveva capito dove stavano andando.
Quando erano piccoli, lui, Feliciano e Antonio sfuggivano agli occhi vigili di Nonno Vargas e dei signori Carriedo, e sfrecciavano per quella stessa stradina ghiaiosa, fino a un’enorme casa abbandonata, sul versante della collina, dove la vegetazione non era tenuta sotto controllo, e avvolgeva protettiva un vecchio casolare legnoso in rovina.
-Exacto! – rise lo spagnolo.
Ormai, erano alla base del colle. E, man mano che la stradina si faceva sempre più stretta e la vegetazione più selvaggia, si iniziava a scorgere la struttura.
Il legno era ormai ammuffito. Le finestre erano senza vetri, e i rami degli alberi si snodavano intorno ad esse, per poi entrarci e scomparire alla vista: di giorno, ricordava Lovino, sembrava un regno incantato, ma vedendola così di notte faceva un certo effetto. Lovino avrebbe voluto sbirciare l’espressione dell’altro ragazzo, ma questi era di schiena, mentre appoggiava la bici alla base di un albero, e non uno qualsiasi.
-Il Grande Albero.
Fin dalla prima volta in cui i bambini erano stati in quel posto magico, sul Grande Albero avevano trovato una piccola casetta, costruita da chissà chi, che li aveva ospitati durante le loro avventure immaginarie. In primavera e in estate, dava frutti: era un melo. Antonio era l’unico che arrivava a coglierli, essendo il più alto. Quando tornavano a casa, dopo essere stati a giocare per ore, quanto li sgridava Nonno Roma! D’inverno, il Grande Albero veniva lasciato a riposare, immerso nel silenzio, mentre i bambini andavano a scuola e giocavano dentro casa, al riparo dal freddo.
Lovino lasciò la propria bici sopra quella di Antonio, e grugnì, osservandolo appoggiare un piede sulla vecchia scala utilizzata per salire sull’albero.
-Non ci reggerà ancora.
-No, funziona. – rispose Antonio, salendo e allungano la lanterna all’interno della piccola struttura.
Dopo che uno dei due fu all’interno sano e salvo, l’altro si apprestò a seguirlo.
-Se cado ti uccido.
Antonio si sporse e gli sorrise, porgendogli la mano.
-Correrò il rischio.
Il ragazzo cercò di concentrarsi sui propri passi, anziché sul sorriso smagliante che avrebbe potuto osservare solamente alzando la testa, e salì da solo, scostando la mano che gli era porta.
-Bene. – disse, una volta che si fu accomodato a gambe e braccia incrociate.
-Mi hai portato qui per?
Antonio accese la luce, appoggiata fra loro due.
-Ti devo parlare. – rispose, fissandolo intensamente, serio, per qualche istante.
-Te quiero.
La mandibola serrata di Lovino si mollò di scatto, lo sguardo imbronciato si trasformò in un’espressione scioccata, le pupille si dilatarono e la presa fra le braccia si fece più debole.
-…
Le corde vocali del ragazzo faticavano a vibrare a causa dello shock, e rimase qualche secondo in silenzio, per poi riprendere il controllo della propria voce.
-C.. che… che COSA?! – urlò a pieni polmoni,  realizzando quanto aveva appena sentito. –COSA CAZZO STAI DICENDO?!
Lovino, paonazzo, si addossò con la schiena alla parete della minuscola casetta, mentre Antonio proseguiva tranquillamente.
-Te quiero, Lovino. Ti amo. Da sempre.
Lovino non riusciva a credere alle proprie orecchie.
-Tu… tu… - lo indicò tremante.
Antonio sospirò.
-Sì, sono innamorato di te. E non è una novità. –
Nella testa di Lovino regnava il caos più totale.
-Sin da quando siamo piccoli… - Antonio rivolse lo sguardo verso la finestrina della casetta, -ti sono stato vicino. All’inizio, ero convinto di sentirti come un fratellino minore. Poi, ho pensato che fossi un caro amico. Un bel po’ di tempo fa, ho realizzato che significavi di più per me, ma non volevo rovinare le cose fra noi due. Probabilmente non te ne avrei mai parlato, se non fosse stato che…
Fece una pausa.
-…questo è l’ultimo anno che passeremo insieme. Poi tornerò in Spagna, da mia nonna.
Il cuore di Lovino si agitò violentemente quando sentì la notizia.
-Non ne sapevo nulla. – sussurrò, riferendosi sia alla sua partenza, sia a quei sentimenti che gli venivano offerti.
-La nonna sta male. È sola, ma i miei non possono mollare l’attività. Quindi…
Antonio si decise a fissarlo dritto negli occhi.
-Dovevo dirti quello che provavo, prima di partire.
-Perché qui? Perché stanotte? – chiese Lovino, la cui testa era zeppa di domande.
- Qui, perché questo posto è speciale per noi. Possiamo parlare senza paura di essere sentiti. E stanotte… perché hai a disposizione un anno. Un anno per capire… – Lovino distolse lo sguardo, ma Antonio allungò dolcemente la mano verso la sua guancia e portò un paio di occhi color ambra, che amava, all’altezza dei suoi. Vedeva, in quegli occhi, paura e incertezza, dubbi. E sperava che, in mezzo a tutta quella confusione, ci fosse anche amore.  
-…cosa provi tu. Non voglio metterti fretta.
Lovino aveva paura.
-Io non ti amo. – sussurrò, dirigendo invece lo sguardo al pavimento legnoso, -Mi spiace.
Cadde il silenzio. Lovino non sapeva esattamente che espressione avesse in quel momento Antonio, perché non voleva, in nessun modo, alzare gli occhi. Non voleva ferirlo, eppure… era tutto così improvviso. Non era pronto, non…
-Ho capito.
L’italiano istintivamente alzò lo sguardo, e lo vide sorridere amareggiato. Sentì il proprio cuore spezzarsi. Lui non voleva…
-Scusa se ti ho infastidito. Facciamo finta che non sia successo nulla, ok?
No! Non stava andando bene. Per niente. In tanti anni che si conoscevano, Lovino non aveva mai visto Antonio così ferito, anche se era sorridente come al suo solito. Gli occhi non versavano lacrime, ma erano lucidi.
-Come posso far finta di niente?
-Beh, comportati come sempre.
Il ragazzo non sapeva cosa dire.
-Che dici, torniamo a casa? – chiese Antonio, iniziando a scendere la scala.
-Tu… - Lovino sentì salire una rabbia feroce, mentre lo osservava sistemare la lanterna sul portapacchi -…brutto BASTARDO!
 
-Vargas…
-…
-VARGAS, SEI FRA NOI?!
Lovino sussultò, sentendo l’insegnante che lo chiamava a gran voce. Si era di nuovo perso nei suoi pensieri. Anzi, più che pensieri, quelli erano ricordi, ricordi recenti per giunta.
-Sì?
-Allora, ha disegnato il ponte, come ho mostrato alla lavagna? – chiese severo il professore, picchiettando il gesso su un disegno perfetto di un’architettura romana.
-…sì, certo. - rispose il ragazzo, fissando disinteressando il foglio che aveva scarabocchiato svogliatamente prima. Aveva semplicemente disegnato una U ribaltata. D’altronde, il disegno non era mai stato il suo forte, al contrario del fratello minore.
-Che ne dice di venire alla lavagna a mostrarci le sue doti artistiche?
Tutta la classe ridacchiò. Lovino si alzò senza entusiasmo, e si diresse verso il professore, ripromettendosi di impegnarsi perfino in quella materia in cui combinava solo disastri, pur di non pensare ad Antonio.

*Angolino Autrice*
Innanzitutto vi ringrazio tantissimo se siete arrivati fino alla fine di questo primo capitolo! Ci metto molto amore a scrivere le mie storie, quindi sono contenta ^w^ Ahem! *si schiarisce la voce* se vi va lasciate una recensione, lo apprezzerei molto! Ho bisogno di giudizi, anche negativi, per migliorare! Detto questo, al prossimo capitolo! *hugs* Night (windy_times)
   
 
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