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Autore: Wendy90    03/10/2014    4 recensioni
Dopo la tragedia che ha sconvolto completamente la sua vita, Diletta Monteri è costretta a trasferirsi dalla sua bella e soleggiata Sicilia alla cupa e nebbiosa Milano per andare a vivere con le uniche parenti che ancora le rimangono: tre zie zitelle e svitate, direttrici di un convitto universitario del tutto fuori dal comune. La povera Diletta si ritroverà catapultata improvvisamente in questa stravagante ed disparata famiglia allargata, composta da una compagna di stanza “un po’ gay e un po’ no”, un aspirante calciatore dalle false speranze, una studentessa modello di medicina senza vita sociale, un arrogante playboy dalla faccia d’angelo e dal tormentato e misterioso “ragazzo con la tuta” della stanza 106. Riuscirà Diletta a ritagliarsi un posto in questo strambo mondo e a cancellare i fantasmi del passato che le impediscono di sorridere e tornare ad essere felice?
Genere: Commedia, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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WEST SUNRISE

................Un mondo pericoloso per le tue emozioni...............

 
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Il treno sotto di me comincia lentamente a perdere velocità.
Alzo gli occhi dal mio libro giusto in tempo per sentire la voce macchinosa all’autoparlante avvisare che siamo quasi arrivati alla stazione di Milano Centrale.
La signora anziana del posto accanto comincia a riporre nella borsa il suo cucito, con un sorriso che si allarga sempre di più sulle sue guance.
«Non vedo l’ora di riabbracciare i miei nipotini!», mi spiega, notando forse il mio sguardo su di lei «Sono tre mesi che non li vedo», continua a dire, continuando a radunare le sue cose in tutta fretta «Sono salita qui a Milano dalla Puglia solo per passare una settimana con loro!».
La signora, tutta rossa in volto per l’emozione, mi mostra una foto nel suo portafoglio, l’unica a colori in un mare di bianco e nero. I volti di tre ragazzini con i capelli rossi mi sorridono da sotto le lentiggini.
«Ecco! Questi sono loro...Andrea, Giovanni e Sara! La mia gioia sono. Vivo solo per loro!».
Accidenti.
Allora esistono ancora le nonne amorevoli che danno la vita per i nipotini e che passano il tempo libero a sferruzzare maglioni e cappelli con i pon pon?
La voce metallica annuncia che tra cinque minuti saremo arrivati. Per fortuna la signora anziana comincia a chiedere concitata ad un pendolare se l’aiuta a tirare giù dal portabagagli la sua valigia, così che non sia costretta a guardare tutto l’albero genealogico della sua famiglia.
Non è che io non sia umana, per carità! A chi non piace guardare le fotografie e conoscere ogni particolare della vita di qualcun’altro?
È che in questo momento ho così tanta paura di quello che mi aspetta una volta scesa da questo treno di non riuscire a concentrarmi su nient’altro. Mi alzo anche io dal sedile e comincio a raccogliere le borse. Devo faticare parecchio per riuscire a tirare giù la valigia più grande, tanto che mi arriva dolcemente sui piedi.
Fantastico. Gran bell’inizio, non c’è che dire...
«Beh, buona continuazione, cara. È stato bella chiacchierare con te!», esclama la signora alle mie spalle, caricandosi tutte le borse in spalla e sorridendo affettuosamente.
Io ricambio il sorriso, senza aggiungere altro; anche perchè non saprei cosa rispondere a questa sua affermazione, dato che ha parlato solo lei per tutto il tempo.
Mi metto in fila dietro la signora, proprio mentre il treno comincia a rallentare fino a fermarsi del tutto. Sbircio fuori dal finestrino, ma tutto quello che riesco a vedere sono solo altri treni identici al mio.
Chissà se nel futuro inventeranno un modo per rendere il paesaggio delle stazioni un po’ meno malinconico e deprimente. Forse le persone che non hanno nessuno motivo per essere felici di essere a Milano, sarebbero rincuorati da qualche bel paesaggio di mare o di montagna.
Mentre con il corpo sono ancora in attesa di scendere dal treno, con la mente sono già sdraiata sulla mia adorata spiaggia di scogli, con il mare che si infrange schizzandomi di acqua gelata, subito asciugata dal sole cocente.
Ma quando voltandomi per afferrare il mio libro preferito sento la voce di mio fratello che mi prega di giocare con lui all’esploratore, il bel sogno si trasforma in un ricordo doloroso, che riesco a scacciare dalla mente soltanto stringendo le labbra e costringendomi a tornare sul Frecciarossa, circondata da gente che brontola per la troppa attesa e che non ha smesso un attimo di smanettare col telefono. Ovviamente un I Phone o uno Smartphon o chissà cos’altro.
Il mio vecchio Nokia 300, tutto ammaccato e con un pezzo di tastiera che manca, è sepolto chissà dove nella borsa, senza l’ombra di una rete wireless o di uno sfondo in 3D.
Sospiro, prendendo in considerazione l’idea che forse dovrei tirarlo fuori, se non voglio rischiare di non sentirlo squillare.
E infatti, mentre scendo dal treno contorcendomi per riuscire a tenere con una mano le valigie e il borsone e con l’altra cercare il cellulare, ecco che la sinfonia de “Il lago dei Cigni” sprigiona le sue note melodiche a gran volume.
Guardo il display, sbuffando per togliere i capelli dagli occhi, e leggo il nome della zia Ginevra.
Alzo lo sguardo per vedere se riesco a trovarle in mezzo la folla e premo il tasto di risposta.
«Ciao zia Gin!».
«Tesoro bello, dove sei?». La voce della zia arriva disturbata con la voce dell’altoparlante della stazione di sottofondo.
«Sono appena scesa dal treno!», rispondo, guardandomi intorno «Dove siete?».
«Noi siamo davanti al tabellone delle partenze...è proprio all’ingresso!».
Sento la voce della zia Morgana gridare concitata «Eccola! Eccola l’ho vista!».
Tra la folla di sconosciuti vedo tre volti familiari che si sbracciano per farsi notare; la zia Ginevra, alta e impeccabile come sempre, zia Ava, con i lunghi capelli stretti in una treccia all’amazzone e la zia Morgana, piccola e paffuta, con i capelli bianchi a sbuffo.
Chiudo il cellulare e alzo un braccio per far capire che le ho viste.
La zia Morgana sta saltellando da una parte all’altra, salutandomi con il braccio cicciottello.
Non appena le raggiungo, la zia Ava mi strappa di mano la valigia per stringermi un abbraccio mozzafiato.
«Oh, piccolina! Finalmente sei arrivata! Non ce la facevamo più con questa attesa!», mi urla nelle orecchie, stampandomi due baci al sapore di ciliegia sulle guance.
«Lasciala respirare, Avalon, per l’amore del cielo!», esclama subito la zia Ginevra, sbuffando e alzando gli occhi al cielo. Quando però riesco a staccarmi dall’abbraccio di zia Ava ed ad andare da lei, il suo volto scocciato si apre in un bel sorriso.
«Hai fatto buon viaggio, tesoro?», mi chiede, allontanandosi per guardarmi meglio. I suoi occhi color non ti scordar di me, così simili a quelli di mio padre, scandagliano tutto il mio viso, alla ricerca di qualche segno premonitore.
Mi affretto a sorridere, staccandomi da lei e andando ad abbracciare la zia Morgana, che a malapena mi arriva all’ombelico talmente è piccolina. Finiti gli abbracci, i saluti e i convenevoli di rito, mi lascio guidare dalle zie fuori dalla stazione dei treni. La zia Morgana e la zia Ava cominciano a ciarlare a voce alta come loro solito.
«Vedrai, amore della zia, Milano ti piacerà moltissimo!», esclama la zia Morgana, saltellandomi affianco con una forza e un’energia tale che mi lasciano basita. Nonostante sia vicina ai settant’anni ha la vitalità di una bambina di dieci anni. Aveva ragione papà, quando diceva che con le zie Camelot non ci si annoia mai. Le abbiamo sempre chiamate così, Camelot, perchè la bisnonna Isabella aveva davvero una specie di venerazione per le leggende britanniche di re Artù e della tavola rotonda, tanto da chiamare tutti i suoi figli con i nomi più simbolici del romanzo.
Mio nonno si chiamava Arturo. E ho detto tutto.
Mentre ci avviamo verso il parcheggio, pieno zeppo di macchine e suoni di clacson impazziti, le zie cominciano a parlare l’una sopra l’altra.
«Appena ti sarai sistemata un po’ le tue zie ti porteranno a vedere un sacco di posti bellissimi!», sentenzia la zia Ava, mettendomi una mano intorno alle spalle e insistendo per portare lei il mio borsone.
«Al convitto sono tutti così eccitati all’idea di averti con noi!», rincara la dose la zia Morg, fermandosi un secondo per frugare dentro il portafoglio. Ne tira fuori una banconota da dieci euro e si avvicina ad un senzatetto sdraiato su una pila di cartoni, con un cane sporco e pulcioso a fargli compagnia «Questi sono per il cagnolino», spiega, sorridendo al senzatetto che la guarda stupito « Proprio dietro l’angolo c’è un alimentare che vede cibi per animali. Mi raccomando ci faccia un salto appena può, non vorrà mica far morire di fame questo povero cucciolo?» e si fa leccare la mano dal cagnolino, che già sembra averla presa in simpatia
La zia Morgana fa un enorme sorriso e torna trotterellando verso di noi, sotto lo sguardo basito e palesemente scocciato del senzatetto.
Mi lascio scappare una risata, notando l’espressione esasperata che assume la zia Gin quando porge alla zia Morgana il disinfettante per le mani. Dalla piccola scenetta che ha fatto, deduco che la zia Morgana ha ancora la fissazione per i cani o i gatti randagi; mi ricordo che da piccola, le poche volte che venivamo in visita alle zie, la zia Morg mi portava sempre con lei a distribuire cibo in scatola per tutti i randagi del quartiere, affermando che se non ci pensava lei a quelle povere bestie di sicuro sarebbero morte di fame. Lei è fatta così. A volte si preoccupa più degli animali che delle persone che ha attorno...il senzatetto ne è decisamente una prova vivente!
 Di recente ha persino inviato alla mia famiglia una petizione da firmare via e-mail per la salvaguardia delle lumache del giardino. Mi ricordo che abbiamo riso un sacco mamma, papà, Rebecca, Marco ed io, quando abbiamo letto l’e-mail, anche se siamo praticamente stati costretti a firmare o, come ci ha fatto notare papà, la zia Morg ci avrebbe tolto dall’eredità.
Il ricordo di quel momento felice mi colpisce in pieno come un pugno allo stomaco.
Cerco di ricordare quello che mi ha detto il dottor Argentieri nella nostra ultima seduta e faccio dei respiri profondi. Senza farmi accorgere dalle zie, che ancora sono tutte prese a parlare tra di loro della figuraccia fatta dalla zia Morg, afferro la pallina di spugna dalla borsa e la stringo a me come se fosse un salvagente.
Camminiamo una manciata di minuti in direzione del furgoncino verde pistacchio della zia Ava, tirato a lucido e perfettamente pulito, ma ammaccato come lo ricordo.
«Abbiamo dovuto prendere il furgoncino perchè non ci stavamo noi e i bagagli tutti nella mia macchina», mi spiega la zia Gin, notando forse la mia espressione, cominciando a caricare il portabagagli.
Con una mezza risata, aiuto la zia Morg prendere posto sul sedile posteriore: è talmente piccola che i piedi non arrivano nemmeno a toccare a terra.
Mi infilo accanto a lei con il forte odore di deodorante alla camomilla già nel naso.
Una volta a bordo, dopo un breve bisticcio tra la zia Gin e la zia Ava per la cintura di sicurezza, ci avviamo fuori dal traffico della stazione in direzione di quella che da oggi in poi sarebbe stata la mia nuova casa.
C’ero stata solo due volte nella mia vita al West Sunrise: la prima ero troppo piccola perfino per capire cosa diavolo fosse un convitto universitario, la seconda a dodici anni, quando per una visita medica ero stata costretta a passare una settimana a Milano dalle zie, insieme alla mamma e a Rebecca. Ricordo che all’epoca il convitto stava muovendo i suoi primi passi; era ancora la spaziosa villetta appartenuta a nonna Isabella, molto più simile ad una casa che ad un alloggio per ragazzi. Inoltre c’erano solo tre studenti che vivevano lì, tutti figli di papà specializzandi in legge che non uscivano mai dalle loro stanze se non per andare all’università o per la cena.
Sono talmente persa nei miei ricordi che nemmeno mi accorgo che il furgoncino è fermo e che le zie stanno mobilitandosi per scendere dalla macchina.
«Ecco qui pulcina, siamo arrivate», cinguetta zia Ava tendendomi la mano per prendere la mia borsa.
Esco dal furgoncino e alzo gli occhi verso l’insegna appostata in precario equilibrio sul cancello che da sul viale d’ingresso, ricoperto da piante rampicanti che fanno da passatoia per la pioggia.
Seguo le zie sul sentiero acciottolato, litigando con le ruote della valigia che si incastrano tra un sasso e l’altro finchè non arriviamo alla porta d’ingresso.
«Morgana passami le chiavi per favore, non voglio disturbare i ragazzi», dice la zia Gin, tendendo la mano.
Tra la zia Morgana e la zia Ava passa uno sguardo di confusione misto a panico che non sfugge alla zia Gin.
«Oh per l’amor del cielo ragazze! È possibile che perdiate sempre tutto?» sbotta la zia, portandosi due dita alla tempia e alzando gli occhi al cielo.
Le zie aprono la bocca insieme sicuramente per ribattere qualcosa, ma prima che facciano in tempo a formulare parole di scusa la porta d’ingresso del convitto si apre e un ragazzo dai capelli rossi, tutto lentiggini e occhi grandi fa capolino con la testa.
«Zie Monteri, già di ritorno?».
«Oh, ciao Simone, per fortuna ci sei tu in casa», esclama con un sospiro di sollievo la zia Gin «Giuro che dalla prossima volta le chiavi del convitto le tengo tutte io», la sentiamo borbottare, mentre fa cenno al ragazzo rosso di allontanarsi per far entrare le valige.
«Non prendertela con me, Morgana aveva il compito di portare le chiavi», protesta zia Ava, dando un buffo affettuoso alla guancia del ragazzo prima di oltrepassarlo.
«In realtà sei tu che mi hai detto di metterle nella tasca della giacca che poi non ho portato», risponde la zia Morgana, cercando con uno sforzo immane di sollevare la mia borsa delle scarpe; sia Simone che io ci affrettiamo a prendergliela dalle mani, ma lei nemmeno si accorge, tanto è presa a seguire la zia Ava per la stanza con un dito alzato.
«E così tu devi essere la piccola trovatella della Sicilia, giusto?», mi chiede Simone con un largo sorriso «da un sacco di giorni qui non si parla altro che di te».
Gli rispondo con un sorriso abbozzato, mentre il mio sguardo vaga per la grande stanza riccamente arredata in cui ci troviamo.
«Questa è la sala comune», esclama la zia Gin, una volta mollate tutte le borse accanto alla parete «Di solito è qui che i ragazzi trascorrono la maggior parte del tempo».
La sala comune, che in passato doveva essere un salotto, è grande abbastanza da contenere tre divani disposti a semicerchio intorno ad un tavolo di legno e alla televisione. Ad entrambi le pareti sono appoggiate librerie stracolme di volumi di ogni genere. Li guardo affascinata, posando il dito sulle copertine e sulla scritta in rilievo dei titoli.
«Bello eh?», esclama Simone, avvicinandosi a me silenzioso come un gatto «Alcuni sono libri universitari lasciati qui dai vecchi alloggianti, altri ce li regalano le Zie ogni tanto ma la maggior parte di questi sono di Tamara».
Prima che possa chiedergli chi sia Tamara, la zia Gin richiama la nostra attenzione.
«Simone, per favore, puoi mostrare a Diletta il resto della Casa? Io ho dei documenti da sbrigare e le zie sono già in ritardo per la cena», afferma la zia con un sospiro «Dio solo sa che confusione combinerebbero i ragazzi se non trovano pronto in tavola alle otto». La zia mi sorride e mi porge un mazzo di chiavi.
«Certo Zia Ginevra, non preoccuparti, la nipotina è in buone mani», dice Simone allargando di più il suo sorriso. Lo guardo, affascinata, cercando di capire come fa a sorridere così tanto da far vedere tutti e venti i denti bianchissimi.
«Alle valige ci pensa Claudio dopo, tesoro», aggiunge la zia, sparendo dietro la porta che conduce alla cucina.
«Vieni Rosaspina, ti faccio vedere le camere».
Mentre lo seguo su per le scale, con la borsa a tracolla che insisto a portarmi dietro, gli lancio un’occhiata confusa «Rosaspina?».
«Mi piace affibbiare soprannomi disneyani», risponde lui, sorridendomi sa sopra la spalla «E la tua storia è uguale identica alla Bella Addormentata nel bosco».
«Non sei un po’ troppo grande per queste cose?», gli chiedo, decisamente stupita.
«Non si è mai troppo grandi per sognare», esclama lui con voce divertita.
Faccio uno sbuffo ma non rispondo, anche perchè ho già il fiatone.
«Le nostre camere sono al terzo piano», mi spiega Simone, continuando a salire «Il secondo è l’alloggio delle zie: le camere e lo studio di Zia Ginevra. Al terzo cominciano le nostre, io sto alla 102. Il mio compagno di stanza, Tommy, non c’è praticamente mai – è troppo occupato a dormire a casa delle ragazze che rimorchia – quindi è come se avessi una camera tutta per me».
Arriviamo al corridoio del terzo piano, lungo quasi quanto tutta casa mia. Le stanze sono disposte una accanto all’altra, dalla 100 alla 106.
«Ecco, questa è camera tua!». Simone si ferma davanti alla camera 105 «La chiave è quella più grande, le altre due sono della porta d’ingresso e del cancello, quella più piccola è la cantina. La cena è alle otto: una delle poche regole qui al West Sunrise è sedersi a tavola tutti insieme come una vera famiglia».
Simone si appoggia alla parete con un braccio, sorridendomi mestamente «Lo so che tutto questo può sembrarti strano. Anche io la prima volta che i miei mi hanno mollato qui volevo scappare via a gambe levate; ma vedrai che alla fine non è poi così male».
Simone mi fa l’occhiolino e si allontana in direzione della sua camera.
Io rimango a guardarlo finché non sparisce dietro la porta. Poi faccio un enorme sospiro e infilo la chiave nella serratura.
Spalanco la porta e a malapena riesco a trattenermi dal gridare.
Sdraiate su uno dei letti a baldacchino della stanza ci sono due ragazze, completamente nude a parte la biancheria intima, strette in un abbraccio mozzafiato.
Una di loro, la più minuta con i capelli castani a folletto, alza lo sguardo verso di me e mi sorride.
«Oh, tu devi essere Diletta. Benvenuta al West Sunrise!».
 
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti! Grazie a chiunque sia arrivato fino a qui nella lettura! Forse la storia non è un completo disastro! :P è la mia prima storia romantica, di solito sono più ferrata per le fan fiction, e spero davvero che ci sia qualcuno così gentile da dirmi cosa ne pensa, perchè si sa che le recensioni spingono gli aspiranti scrittori come me ad andare avanti.
Questa storia mi sta particolarmente a cuore, perchè è basata un po’ sulla realtà e io amo questi personaggi dal primo all’ultimo!
Ringrazio davvero chi l’ha letta e do un arrivederci al prossimo capitolo!
Grazieee

Wendy

 

  
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