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Autore: _Cthylla_    03/10/2014    3 recensioni
In "occhi di smeraldo III" viene citato il primo ed ultimo torneo di tennis della Muscle League, in cui Robin Mask ha avuto modo di conoscere Lionel e trovarlo simpatico nonostante...l'amico megalomane!
"vedendo le occhiate mortifere che Robin Mask stava rivolgendo ad Howard, che probabilmente non se ne stava accorgendo nemmeno, Lionel decise di provare a calmare un po’gli animi. Si avvicinò alla rete.
«non prendertela» Howard aveva presentato lui e Robin già da prima, e si era deciso di darsi reciprocamente del “tu” «lo sai che ad Howard piace fare teatro. I megalomani sono megalomani».
«ma chi diamine si crede di essere, John McEnroe?!»"
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Robin Mask
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Tre ore di gioco. Tre ore di dritti, rovesci e finte in un clima tipico del febbraio inglese, in quanto era in Inghilterra che la Muscle League aveva giocato il suo primo -ed ultimo- torneo di tennis.

Tre.

Lunghissime.

Ore.

E tutto questo per cosa?

«dai Robin…è stata comunque una finale molto combattuta…abbiamo dato loto filo da torcere».

Alla moglie, Mr. Mask rispose con un mezzo sbuffo e mezzo ringhio dopo aver rotto la racchetta in un moto di pura stizza.

«i secondi sono solo i primi tra i perdenti!»

Ecco, quella sua fissa per la vittoria era uno dei tanti motivi per i quali Alisa iniziava proprio a non poterne più. A pensare di lasciare suo marito e basta, invece di accontentarsi di qualche scappatella…anche se quella con Quarrelman, che andava avanti ormai da agosto dell’anno prima, sembrava stare diventando qualcosa di molto più serio.

Quarrelman, buon Dio. Quarrelman. O Neptuneman, che dir si voglia. Se ad Alisa lo avessero detto un anno prima, non ci avrebbe creduto. Eppure era andata proprio in quel modo, si erano incontrati, si erano piaciuti, e poi…era accaduto quel che era accaduto.

E che continuava ad accadere da ben sette mesi.

Alisa non osava immaginare la reazione che avrebbe avuto Robin se disgraziatamente avesse scoperto per puro caso della sua relazione extraconiugale anche se, sinceramente, l’amore e l’affetto che li avevano indotti a sposarsi non esistevano più da tempo. Il troppo odio verso i Kinniku, con i quali solo di recente aveva finito per seppellire l’ascia di guerra, aveva consumato il suo Robin al punto che spesso stentava a riconoscerlo. Più volte Alisa si era trovata ad avere a che fare con il Barracuda, invece che con il suo amato. E non era facile.

Per niente.

«…e ora che fa?!...»

E c’era da dire che il cosiddetto “migliore amico” di suo marito -con il quale peraltro era stata a letto circa sei anni prima- non facilitava le cose.

«grazie, grazie, vi ringrazio, eh si, una vittoria tanto sudata quanto meritata, grazie, grazie…»

Nonostante il bene che gli voleva, in quel momento Robin avrebbe soltanto voluto avere un’altra racchetta tra le mani per poterla spaccare in testa al ventiquattrenne che, come aveva appena pensato anche Alisa, avrebbe dovuto essere il suo “migliore amico”. O qualcosa del genere.

«grazie, grazie…un autografo? Ma certo! Anche due! Come si chiama la bambina?...”ad Eloisa con simpatia”…»

Ma Robin non era il solo poco contento da quel che stava facendo Howard, ossia fare il giro dello stadio per stringere la mano e fare autografi a tutti quelli che glielo chiedevano, nemmeno avesse appena vinto a Wimbledon; infatti nemmeno Lionel Lancaster apprezzava quel lato del cugino, tanto che alzò gli occhi al cielo emettendo un breve sbuffo con aria piuttosto seccata.

Voleva bene ad Howard, ma non per questo era cieco riguardo i suo difetti, come la sua megalomania, la sua teatralità a volte quasi eccessiva anche -e soprattutto- quando questa non era minimamente necessaria.

Come in quell’occasione, per esempio. Avevano vinto di poco, e nemmeno grazie a lui, ma ad un rovescio micidiale di Lionel stesso, quindi Howard avrebbe avuto ben poco per cui andare in giro a stringere mani e fare autografi. Iniziava a pentirsi di essersi lasciato convincere a venire via da Belfast, nella quale si era trasferito da appena un anno, per farsi coinvolgere in quel torneo. Ma Howard era stato in grado di toccare la corda giusta, ossia la sua grande passione per il tennis, ed ecco che -come accadeva quasi sempre- aveva ottenuto quel che voleva.

Di una cosa però era certo…

«…siete tutti invitati nella mia villa per festeggiare degnamente questa vittoria!»

…non lo avrebbe portato con sé nel viaggio in Croazia che intendeva fare a breve.

Assolutamente no.

“aveva detto che non avrebbe dato feste folli, scemo io che ho voluto credergli!” pensò il marchese trentatreenne trovandosi a scuotere la testa con aria ancor più seccata di prima. Eppure Howard lo sapeva che lui non amava granché la vita mondana. Soprattutto come la intendeva lui, ed il modo in cui Howard la intendeva non era cambiato quasi per nulla nonostante fosse sposato da passa quattro anni e lui e Janice stessero provando ad avere figli.

Ad ogni modo vedendo le occhiate mortifere che Robin Mask stava rivolgendo ad Howard, che probabilmente non se ne stava accorgendo nemmeno, decise di provare a calmare un po’gli animi. Si avvicinò alla rete.

«non prendertela» Howard aveva presentato lui e Robin già da prima, e si era deciso di darsi reciprocamente del “tu” «lo sai che ad Howard piace fare teatro. I megalomani sono megalomani».

«ma chi diamine si crede di essere, John McEnroe?!» sbottò l’inglese mascherato afferrando la racchetta della moglie e…rompendo pure quella.

«Robin!!! La racchetta!» protestò Alisa.

«non seccarmi, non è il momento!» fu la dura risposta dell’inglese, che a Lionel non piacque affatto, ma non essendo fatti suoi rimase in silenzio a riguardo «ma guardatelo, nemmeno avesse appena vinto gli Open statunitensi! Che poi, il punto che vi ha fatti vincere l’hai fatto tu. Ma non sei andato a stringere la mano a tutto lo stadio!»

Poteva sembrare assurdo che ce l’avesse con Howard pure se ad averli battuti era stato Lionel. Ma Lionel era il tipo di persona che non rompeva minimamente le scatole al prossimo -privo, oltretutto, anche della mania di ficcanasare posseduta da vari Lancaster di discendenza diretta- e non sembrava eccentrico come il cugino, sul quale peraltro non si era risparmiato nel dare un giudizio non proprio edificante ma oltremodo realista.

«beh, mettila così… i parenti non si possono scegliere» e comunque nonostante i difetti Lionel ad Howard voleva bene, al di là di quel che stava dicendo «ma gli amici sì. Puoi sempre togliergli il saluto».

«giusta osservazione» disse Alisa, tentando di entrare nella conversazione.

“i parenti non te li scegli…ma ti scegli sia gli amici che i mariti!” pensò la donna, il cui pensiero tornò a Neptuneman.

Alle parole del marchese Robin iniziò a borbottare insensatezze varie, sempre guardando male Howard che ancora era a poco più della metà del suo giro.

Lionel poteva non avere torto, ma per quante arrabbiature l’atteggiamento di Howard potesse provocargli, Robin sapeva che difficilmente avrebbe finito per togliergli veramente il saluto. Avrebbe dovuto capitare qualcosa di veramente grave tra loro due perché questo succedesse, e francamente Robin sperava che ciò non avvenisse mai.

Era vero. Howard Lancaster era megalomane.

Teatrale.

Con la tendenza a prendere troppo sul serio il motto di famiglia, “We can”.

Eccentrico al punto che chi, come lui, lo conosceva particolarmente bene a volte avrebbe potuto arrivare quasi a definirlo un pazzo.

Un pazzo spericolato che guidava a trecento all’ora sbagliando strada e portando la gente in locali equivoci, per poi far bere come una spugna la suddetta gente -ossia Robin stesso- e ballare Y.M.C.A. sempre con suddetta gente ed un mucchio di drag queen.

Un pazzo che da più giovane si era divertito a fare lo spogliarellista.

Che suonava divinamente il violino, ma non era in grado di disegnare un pallone da calcio.

Che in quel periodo stava contemporaneamente dietro agli studi universitari alla Winchester, alla moglie, all’insegnare nella Scuola di Ercole ed anche alle attività del padre Hogan, e tanto riusciva a trovare pure il tempo di uscire con lui, come se avesse avuto a disposizione una giornata di trenta ore invece che ventiquattro.

«mpf. Tsk. Meglio lasciar perdere và…lasciamogli fare il cretino».

   
 
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