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Autore: emsugar    03/10/2014    4 recensioni
Questa OS ha tentato di ricostruire i pensieri sconnessi e disordinati di Achille, comandante di un’armata greca durante la seconda guerra mondiale. La notte prima dell’attacco nazista, preannunciato dalle spie italiane, Achille e Patroclo si nascondono, e il racconto struggente di un amore ancora non abbastanza assaporato prende forma nei vorticosi sogni di Achille, che considera la grandezza dell’animo di Patroclo e la potenza del suo affetto.
{PatrocloxAchille; Malinconico, introspettivo, drammatico} - Vincitrice del Super-duper Fangirl Contest sul forum di EFP, indetto da _juliet.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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he saved me.
 
 

Questa storia ha vinto il Super-duper Fangirl Contest sul forum di EFP, indetto da _juliet.

Aprile 1943 – Campo militare di Atene.



 
 
La guerra ti fa marcire: prende il meglio di te e lo accartoccia tra le mani, lasciandoti solo ogni notte a fare i conti con te stesso e con le grida che vagano per la tua mente. Combatto da quattro anni; ogni notte, appena chiudo gli occhi – se riesco a chiuderli – mi raggiungono le immagini più agghiaccianti che hanno popolato le mie giornate. La cosa peggiore è che spesso sono io il protagonista di tanto male; nei miei incubi non mi succede mai nulla di male, anzi, sono io a procurare male a chi mi sta intorno. Non sopporto l’immagine di carnefice che questa guerra inutile mi ha cucito addosso. I più dicono che dovrei ritenermi fortunato perché sono ancora vivo, ma continuo a chiedermi, ogni volta che il mio indice preme il grilletto, se magari non vorrei essere morto. Respiro in un’uniforme verde, vedo i miei compagni morire, soffro per le ferite che non mi hanno ancora ucciso. Uccidetemi! Vorrei che lo faceste. A volte immagino la morte come un’enorme distesa silenziosa. Un silenzio sovrumano, come diceva Leopardi. Abbiamo letto Leopardi, a scuola. A volte, quando il frastuono regna nella mia mente, mi sovvengono le strofe dei suoi canti:
 
“Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. “

 
Spesso mi sono addormentato pensando all’infinito. Spesso ho sperato la morte.
 
 
Mi sono innamorato di lui a primavera. I boccioli avevano appena schiuso i loro profumi, inondando l’aria di una scia agrodolce, pungente e speziata; ricordo ancora i petali vorticare impotenti nel vento, costretti ad una magnifica danza involontaria. Lui è comparso in mezzo alle macerie della mia vita, come se non avesse aspettato altro se non di vedermi cadere per potermi risollevare. Sono un essere sgraziato, duro come pietra, custodito in un involucro impenetrabile: lui, con la sua innata dolcezza ha bussato ed è entrato, senza chiedere il permesso ma facendo solo quello che era giusto facesse. Patroclo mi ha salvato.
Gli accarezzo la guancia, consapevole che sarà l’ultima notte di quiete. Dorme come un bambino, cullato da sogni che io ormai da anni non so più fare: è come se la sua purezza e incorruttibilità lo avessero protetto dagli effetti che la guerra produce su un uomo. Domani le truppe tedesche arriveranno sul suolo greco, così hanno detto le radio italiane che spiano la linea nazista; io e Patroclo ci siamo nascosti nel magazzino delle cucine, per abbracciarci più forte possibile e dimenticare quello che sta per succederci. Sento le sue mani grandi accarezzarmi la schiena, come ad assicurarsi che io sia tranquillo. Mi sento un bambino, quando mi lascio andare nell’incavo del suo collo: non devo essere l’eroe di nessuno, non devo comandare armate, non devo spiare i nazisti, non devo risollevare gli animi dei miei soldati, non devo essere forte. Quando sono con Patroclo posso essere debole. Posso urlare. Posso addirittura avere paura, se ne sento il bisogno. Come questa notte, in cui il silenzio è diventato più profondo nell’accampamento di Atene, perché tutti cercano di pensare. Ma non si può pensare, sapendo che domani potrebbe essere il nostro ultimo giorno. Si può solo cercare di dormire, con il rischio di farsi artigliare da un vortice di incubi meschini, o cercare di stare svegli, mentre le palpebre sfinite, annerite dalla cenere del terreno, tentano disperatamente di unirsi. Questa notte c’è silenzio ad Atene. C’è chi sogna e c’è chi vigila, aspettando l’ora del giudizio. Pensavo di non poter dormire: ma è più facile sognare quando puoi amare.
 
Sono le tre del mattino. La sua voce, profonda e roca, mi risveglia. Non riesce più a trattenere le parole, ha bisogno di parlarmi, anche a costo di disturbarmi.
- Se dovessi morire… -
Ma non continua. Aspetto istruzioni precise, ma lui resta zitto. Con fatica deglutisce la saliva sporca.
- Voglio che ti prendi cura di te stesso. Voglio che tu fiorisca. Come avrei dovuto farti fiorire io. -
Gli passo una mano tra i capelli corvini. Voglio che senta che ci sono, che ci siamo, che siamo ancora vivi.
- Non sei ancora morto. -
- Hai ragione. -
Non parlo più. Ma sento nel cuore nascermi desideri che prima non avevo mai provato. Sogno una casa con Patroclo. Sogno una piccola villetta bianca, nella Santorini in cui sono nato, dove poter nascondere il mio amore inaccettabile e con lui passare il resto della mia vita. Voglio orizzonti fiammeggianti, geranei rosa e il pane caldo la mattina. E una mano amica con cui condividerlo. Sento che ce la potremo fare. Sento che, un giorno, costruirò io stesso quella casa bianca e lui cucinerà il pane. E vivremo come la famiglia che non ho mai potuto avere.
 
Le cinque del mattino. L’orologio del campo rintocca i colpi nell’aria tremante. Il silenzio è carico di tutta la tensione inespressa che logora ormai da giorni i miei soldati sfiniti. So che manca poco, che tra poco verranno a chiamarci. Guardo Patroclo, avvolto in una cortina di dolce irrequietezza: posso vedere i suoi occhi muoversi sotto le palpebre, il sorriso piegato in una smorfia di paura, le sopracciglia tese, le orecchie all’erta. D’altronde, lui non dovrebbe nemmeno avere paura; lui resterà nell’infermeria, a fare ciò che gli è sempre venuto meglio: salvare la gente. Patroclo è cresciuto tra le braccia caritatevoli di una madre che lo ha amato, e di un padre che si è sacrificato per lui; non poteva che diventare un medico di campo, tenace ma innocente, deciso e sempre disponibile. I suoi grandi occhi verdi, due fiori primaverili, rassicurano e allietano gli animi; le sue mani, abili e delicate, sanno rimediare ad ogni pena. Anche il più riluttante degli animi non può che piegarsi a tanta dolcezza, tanta mansuetudine, tanta saggezza. Patroclo riflette, accarezza, consiglia: è come acqua gelida sulle ferite brucianti, lenisce ogni dolore metodicamente e pazientemente.
Ho imparato ad amarlo lentamente. Prima ho dovuto ammettere a me stesso la dolceamara verità: mi ero innamorato di un uomo. Ma quello non è stato davvero un problema; mi sono semplicemente arreso ad un sentimento che aveva già preso il sopravvento su di me. Poi ho dovuto ammetterlo a lui; altro passaggio che in realtà non ha creato particolari problemi, perché Patroclo è buono: ha accettato quell’amore grezzo e violento che ho potuto consegnarli, e l’ha fatto suo come un dono, ritornandomi tutto l’affetto di cui uno come me, marmo freddo rivestito di cotone verde oliva, ha decisamente bisogno.
 
Sette in punto. L’altoparlante richiama i soldati. Sapevamo entrambi che sarebbe arrivato questo momento.
Patroclo è già sveglio: ha il sorriso sulle labbra, mentre gli occhi brillano di terrore. Mi bacia piano. Sento sulla lingua il sapore della sua paura.
- Ci vediamo. È una promessa. - Ma lui non si fida.
- Non promettere. - Sospira. - Ti amo. -
- Ti amo. -
   
 
 
 
Patroclo è puro. L’innocenza la porta sul volto, come se fosse il suo segno particolare. Anche adesso, con il sangue che gli bagna ogni centimetro di pelle, le membra scomposte, il cuore ormai fermo, si legge chiaramente quella dignità, quell’amore per la vita, quella determinata ingenuità.
Dua anni fa, gli ho urlato in faccia che lo amo, timoroso che potesse scappare; lui mi ha preso le mani tra le sue, mi ha baciato e mi ha detto: “voglio fare con te ciò che la primavera fa con i ciliegi.” In quel momento non ho ben capito cosa intendesse, ma non gli ho chiesto nulla, mi sono fidato di lui. Non avrei potuto riporre la mia fiducia in un posto migliore.
Sussurro, e piango. Un soldato non piange. Ma lui, Patroclo, ha preso Achille e l’ha fatto fiorire. E ora Achille non ha più paura di piangere.
- Non serve che io fiorisca. Hai fatto con me quello che la primavera fa con i ciliegi. -








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