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Autore: PrettyHachiko_    03/10/2014    2 recensioni
Sebastian, un ragazzo di vent'anni, frequenta l'università russa per poter diventare un medico, esattamente come i suoi genitori.
E' dotato di un'intelligenza superiore alla media, non ha amici perché tutti - probabilmente - lo temono o hanno semplicemente disinteresse nel conoscerlo.
Un edificio abbandonato alimenta il suo interesse, vuole scoprire i segreti che si gelano all'interno ed essere il primo ragazzo ad essere a conoscenza.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Primo capitolo
Il cielo grigio d'Autunno. 

(1507 parole)

 

Il sole non splendeva quel giorno, fuori dalla finestra si poteva osservare una scia di nebbia.

Niente raggi che potessero scaldare la pelle di quegli alunni dal colorito scuro dell'abbronzatura estiva in quella classe fredda a quattro mura bianche, con un proiettore attaccato al soffitto e lo schermo su cui rifletteva quella pagina di Word. E quell'insegnate, un uomo di mezza età, alto con la pelle profumata di dopobarba e i capelli neri corvino ben pettinati all'indietro, che cerca di spiegare la lezione del giorno. Gesticolava con le mani, facendo delle brevi pause per dedicarsi a giocherellare aprendo e chiudendo con quel pennarello nero con cui scriveva su quella lavagnetta bianca tutte le informazioni importanti.

In fondo, all'angolo della stanza, un giovane ragazzo dal colorito pallido, non ascoltava l'uomo.
Era li, ad osservare fuori da quella finestra, il cielo grigio di quella giornata d'Autunno.
Era giovane, sui vent'anni circa, alto coi capelli di un color miele. E i suoi occhi erano come il cielo di quella giornata. Grigi.
Ma non un grigio acceso, tipo il ghiaccio, i suoi erano spenti, vuoti e senza emozione. Quello che provavano gli altri per lui, era il nulla.
Il suo sguardo, per quanto fosse già perso di suo, si era mescolato con la nebbia. Lasciandosi trascinare via da quella classe e da quelle parole di tutte quelle persone che continuavano a parlare di cose. Cose, e solo cose che a lui non interessavano per niente.
Il nome di questo ragazzo era Sebastian.
I suoi genitori erano tutti e due medici, specializzati in chirurgica. Infatti, speravano che la generazione di dottori andasse avanti.
Sebastian frequentava il secondo anno di università di Scientifico, appunto, per diventare medico.
Aveva il massimo dei voti, in ogni materia. Persino latino, una lingua ormai morta che nessuno sopportava.
Era popolare per la sua immensa intelligenza, ma – anche se era il secchione di turno – nessuno voleva nulla a che fare con lui. Forse metteva timore per via del suo aspetto un po' cupo? Oppure era lui che non voleva comunicare con i suoi simili ?
Nessuno potrà rispondere a queste domande, ma a lui non importava.
Aveva uno scopo, e avrebbe fatto di tutto per poterlo portare a termine. L'insegnante continuava a parlare, gli alunni ascoltavano e Sebastian continuava a guardare fuori dalla finestra; se l'avesse fatto un altro, a quest'ora, si sarebbe preso una nota sul registro.
Ma lui no, anche se era distratto, la sua mente immagazzinava ogni informazione possibile, interveniva solo quando era necessario.
Ma non per chiedere qualcosa, tipo dei chiarimenti o ulteriori informazioni sull'argomento, ma bensì per correggere il professore stesso.
Il quoziente intellettivo di quel giovane era superiore alla media, un piccolo genio in una gabbia di somari.
Così veniva definito in famiglia, anche se in quella scuola ne facevano parte solo persone valide.
Ma quel giorno non intervenne, stranamente quel che diceva l'uomo era tutto corretto, così poté continuare ad osservare quel cielo grigio senza sole e senza raggi.
Suonò la campanella.
Finalmente tutti gli alunni di quell'università, potevano recarsi nelle loro stanze; ognuno aveva una stanza tutta per sé, a seconda delle decisioni degli alunni. Volendo, una stanza poteva ospitare solo due persone, infatti tutti avevano preso quella decisione. Tranne lui, ovviamente.
La sua stanza affacciava ad un enorme edificio giallo, che stava – quasi – per cadere a pezzi, le mure di esso erano sgretolate dagli anni, le finestre erano spalancate e le tende bianco sporco erano metà bruciate e metà sporche di sangue ormai secco.
Nessuna luce illuminava il suo interno, era cupo e incredibilmente terrificante.
Purtroppo per lui, non sapeva nulla di quel posto, nessuno era a conoscenza dei suoi segreti.
Ma dentro le vene di Sebastian, circolava la voglia di scoprire e di sapere che cosa si gelasse in quel mistero di edificio; ma il regolamento della scuola vietava di uscire a meno che non ci fossero gite culturali oppure per bisogni propri. - Beh, se il regolamento dice che si può uscire ANCHE per propri bisogni, direi che il mio è un bisogno di sapere -.
Effettivamente aveva ragione, quindi poteva provare a chiedere un permesso. Rifiutato.
Purtroppo non poteva esprimere quel desiderio di scoprire quel posto così curioso, così si limitò ad osservarlo di notte. Mentre tutti dormono sonni profondi, mentre le loro menti viaggiano e costruiscono sogni che mai si realizzeranno e mentre la notte avanza e da spazio alle creature notturne a sorvegliare la città, lui era li a scrutare l'oscurità.
Quella mattina, l'insegnante assegnò alla classe un compito molto semplice da svolgere, almeno per Sebastian era semplice.
Era un insieme di equazioni e esercizi in latino.
Così, per potersi togliere di mezzo l'incarico, appoggiò la sua 24 ore sul comò di marmo bianco postato vicino ai piedi del letto del ragazzo, la fece aderire al muro, senza correre il rischio che potesse cadere, prendendo solo lo stretto necessario per studiare. Si avvicinò alla sua scrivania.
Su di essa c'era qualche cartaccia con scritto dei disegni o dei racconti insieme a qualche fumetto o volumi di racconti brevi di genere macabro.
Si sedette sulla poltroncina di pelle nera, e con la mano sinistra fece fare un giro dietro all'orecchio una piccola ciocca di capelli che gli cadeva sul volto.
L'altra mano si allungò per poter prendere gli occhiali da vista, li indossò ed iniziò a studiare latino.
Alla sua destra aveva un quaderno e la biro blu in mano e, dall'altra parte, il libro sulla pagina dettata dal professore.
Era solito che, mentre studiava, faceva scorrere un CD di musica classica, l'aiutava sulla concentrazione.
Passarono un paio di ore prima che potesse finire quella serie di frasi da tradurre in latino/russo e russo/latino.
Tirò un sospiro. - E questo è andato, continuiamo -. Prima di iniziare a studiare matematica, si alzò dalla sua postazione e si diresse verso il frigobar, l'aprì e al suo interno c'era solo acqua naturale.
Afferrò una bottiglietta e tornò alla scrivania, il libro e gli esercizi di latino furono accostati all'angolo, vicino ad una lampada verde pistacchio.
Controllò l'ora, erano solamente le 15:22, entrò dalla finestra un raggio di sole molto debole che fece illuminare di poco la stanza di Sebastian.
L'unica luce, dentro ad essa, era quella lampada posta all'angolo della scrivania che, appunto, illuminava solo il piano di studio. Il resto era tutto buio, fino a poco prima che entrasse quel piccolo bagliore, infastidito da essa, il ragazzo si alzò e accostò la tenda al muro impedendole di entrare e rovinare l'atmosfera creata dentro a quella stanzetta.
Fece un altro sospiro, ma questa volta più profondo, si risedette sulla poltroncina e riprese a studiare.
Un avviso rimbombò nella camera: recarsi in sala mensa. Erano già le 19:00.
Sebastian si alzò finalmente da quella poltrona, abbandonando i suoi studi per recarsi in mensa.
Con sé portò una giacchetta, dato che la sala si trova all'infuori dell'edificio scolastico, attraversò il corridoio buio, nessuno era in circolazione, probabilmente gli altri alunni si erano portati avanti, anticipando l'orario di qualche minuto.
Il ragazzo, dopo aver passato quel lungo androne della scuola, uscì dal portone di ferro battuto con lo stemma dell'università. Veniva rappresentato un pipistrello abbracciato ad un cuore, potrebbe nascondere un significato questo simbolo. Ma starà a voi a usare l'immaginazione, oh cari lettori. Ma torniamo alla storia.
Quella sera il cielo era ricoperto da nuvole, lasciando a malapena respirare la luna e poter illuminare le strade di quella città.
Sebastian oltrepassò il giardino; esso era decorato da fiori, statue in pietra e qualche panchina sotto a delle tettoie anche loro in ferro battuto.
Davanti a lui c'era la mensa, illuminata a giorno e le risate di tutti gli studenti, i chiacchiericci che si sentivano sin da fuori. Prese un respiro, abbassò lo sguardo ed entrò.
Tutte quelle parole furono spezzate dalla sua entrata, iniziarono ad osservarlo attentamente per poter anticipare i suoi movimenti. Manco fosse un serial killer. Non alzò lo sguardo per guardare tutte quelle persone che gli puntavano gli occhi maligni addosso, continuò per la sua strada andando al bancone.
Prese un vassoio, una bottiglia d'acqua naturale e un piatto di verdure fresche di stagione. Poi, finalmente, alzò lo sguardo e vide che ogni posto era occupato, tranne uno. Una sedia e un tavolino misero affiancato ad una finestra, esattamente come in classe. Col suo pasto si andò a sedere li, senza fiatare.
Si sedette e iniziò a mangiare, osservando fuori dalla finestra e ripensando a quell'edificio. Quando finì, se ne tornò in camera e sparì dalla circolazione come se fosse un fantasma. Entrò e chiuse a chiave, ripose la sua giacca sull'appendi abiti e si recò in bagno per potersi lavare e mettere il pigiama morbido e profumato alla lavanda. Si fecero l'1:00 di notte.
Il sonno non era ancora deciso di arrivare e, Sebastian, decise di affacciarsi al balcone fumando una sigaretta in pace.
Si soffermò ad osservare l'edificio e le sue finestre scure con quelle tende rovinate. Vide un volto.
Sgranò gli occhi ed osservò più attentamente, quel volto scomparve.


 


Nota:  Spero che possa piacervi, fatemi sapere con una recensione, vi ringrazio.

   
 
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