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Autore: DeadlyPain    04/10/2014    2 recensioni
L'ira è impersonata da Furio. Cosa succederà quando la sconfitta contro Gold lo costringerà ad ammettere le sue debolezze e scatenerà la sua ira?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
- Questa storia fa parte della serie '7 Deadly Sins'
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Sono arrabbiato.
Sono furioso.
Quel ragazzino mi ha sconfitto, ha negato la mia potenza.
Io sono la forza.

È accaduto molto in fretta, io suoi pokèmon erano in vantaggio come tipo, non potevo fare nulla contro la sua tecnica e la sua strategia.
È stato come togliersi un cerotto. Veloce.
È stato come un espianto d'organi a mente cosciente. Doloroso.
Credevo di poter vincere nonostante il mio tipo fosse in svantaggio, credevo che la mia furia e la mia forza avrebbero spiazzato quel ragazzino dal cappello nero e oro e si sarebbe piegato di fronte alla mia potenza. Invece è stato lui a piegare me.
Il suo sangue freddo mi ha fatto impressione. Tecnica. Bravura. Agilità. Decisamente più forte di me.
Non c'è da discutere.
Eppure... eppure...
Eppure non ha battuto ciglio di fronte alla violenza dei miei attacchi.
Sento la rabbia salirmi.
È stato un irrispettoso, ecco cos'è stato. Solo perchè aveva più tecnica cerca di sbeffeggiarmi così, davanti a tutti i miei discepoli.
“AH!” urlo, mentre sferro un pungo al mezzo busto di fianco alla mia postazione da capopalestra, la colonna si frantuma al contatto col mio pugno e la statua di Rhydon cade al suolo rompendosi a metà.
Mi passo la lingua sui denti con nervosismo.

Sono arrabbiato.
Furioso.
Ho voglia di distruggere qualcosa.

La mia mano non ha neanche un graffio, non ho sentito dolore. Devo allenarmi, devo diventare più forte, devo incanalare tutta questa rabbia nei miei pugni e nella mia mente. Per resistere. Per diventare più forte.
Sfrutterò la mia rabbia come motivazione.
Con la rabbia in corpo ogni cosa diventa eterea. Il dolore fisico non si sente, solo un po' di fastidio; le voci delle persone, solo un leggero mugulio; i volti delle persone, così sfuocati ed indistinti, come se ci fosse la nebbia.
È tutto concentrato su quel grosso pugno allo stomaco, nello stomaco. Si è rabbiosi, si vede rosso, si è pronti ad attaccare come un toro durante una corrida.
Si vuole il sangue.
Si vuole il dolore.
SI vuole solo placare un'inestinguibile sete di vendetta.
L'ira rende ciechi.
Io sono cieco.

Ho bisogno di sfogare tutta la mia rabbia prima di far del male a qualcuno. Torno a casa, prendo una valigia e ci butto dentro qualche vestito e poche provviste. Mi nutrirò cacciando, uccidendo, disintegrando, massacrando. Già mi vedo, in mezzo alla radura, catturare Magikarp a mani nude, infilzarli dalla bocca su un ramoscello, vedere il loro sangue che mi gocciola sulle mani, e poi arrostirli.
Mia moglie mi disse qualcosa, non la sentii.
“vado” le dissi “ho bisogno di andar via di qui”
Mi incamminai per le cime dell'isola, non sono molto alte, ma sono inesplorate. Non c'è traccia umana qui. Nessun'orma. Io e la natura.
Molte persone trovano lo stare in natura rilassante, le calma. Io. Io sto ancora fremendo di rabbia, mi sento paonazzo in volto. Tirai un pugno a vuoto contro un albero. Si spezzò facilmente, nessuna scheggia entrò nella mia pelle, l'albero crollò ai miei piedi.
Lo scavalcai.
Volevo distruggere quel paradiso in terra.
Renderlo invivibile.
Renderlo desolato.
Distrutto.

Sono arrabbiato.
Furioso.
Ho voglia di distruggere qualcosa.

Un urlo nella notte. Un Ursaring mi attacca. È quello che cercavo, una sfida, un'opportunità per distruggere. I miei pugni colpiscono l'addome di quell'orso, il suo pelo morbido cede con facilità sotto i miei pugni. Urla e mi tira una zampata in volto, la sue unghie mi lacerano la pelle, dolore, ma resisto. Sento il sangue caldo scorrermi sulla pelle e bagnarmi i vestiti. Sono ancora caldo di rabbia, colpisco con più forza, colpisco con più potenza. La pelle cede, si lacera, ed io sono libero di colpire il suo tessuto muscolare.
Il suo cerchio sembra incitarmi.
Colpisci qui.
Colpisci qui.
Il pelo bruno si tinge di rosso, le fibre si lacerano, i tendini saltano, l'Ursaring soffre così tanto che non è più in grado di attaccare.
Attacca Bastardo!
Rendimi difficile sconfiggerti.
Rendi più dolce la mia vittoria.
Colpisco a vuoto.
L'ursaring è disteso al suolo, un foro nell'addome, l'intestino che fuoriesce, sangue sull'erba.
Dovrei essermi sfogato, invece no. Ribollisco ancora di rabbia.
Voglio distruggere di nuovo.
Voglio combattere.
Prendo un coltello e taglio a pezzi il pokèmon orso, il sangue continua a colare, ma non è più caldo, piano piano ne tolgo le pelle.
Me ne vado, una nuova pelliccia, un riparo caldo dal possibile freddo di stanotte. Dietro di me lascio un corpo senza vita, con il sistema muscolare ben in vista, qualche tendine, tanto sangue.
Sento già lo sbattere d'ali dei Murkrow avvicinarsi.
Li vedo scendere in picchiata sulla carcassa.
Li vedo smembrarla.
Portar via muscoli.
Mangiar l'intestino fuoriuscito grazie ai miei pugni.
Cavar gli occhi e ingoiarli interi.
Mai sfidare la forza.

Sono arrabbiato.
Furioso.
Ho voglia di distruggere qualcosa.

Mi rifugio in una grotta. Qui cercherò la pace interiore. Per essere calmo. Per sferrare buoni pugni efficaci devo calmare la mia mente. L'Ursaring me l'ha dimostrato, colpivo alla cieca, senza uno scopo preciso, non calcolavo i punti vitali in cui colpire.
Colpivo e basta.
Come una furia.

La mattina dopo pioveva, faceva freddo. Mi spogliai e mi misi sotto l'acqua piovana, quella pioggia fredda avrebbe dovuto calmare i miei bollenti spiriti. Macchè.
Pensavo ancora a quel ragazzino.
Così calmo e pacato.
Il silenzio nei suoi occhi quando consegnai lui la medaglia.
Questo pensiero mi face arrabbiare ancora di più, non ci scommetterei che l'acqua a contatto con la mia pelle non abbia cominciato a evaporare.
Come diavolo si permetteva?
Cominciai a colpire l'aria.
Con più forza e più violenza.
Io sono Furio.
La bestia.

Ero irato, se solo avessi avuto tra le mani quel ragazzino gliel'avrei fatta vedere io, l'avrei preso, mani intorno al collo. Stringere sempre più forte, finchè non avrebbe esalato l'ultimo respiro.
Volevo ucciderlo. Con le mie mani.
Ogni altra cosa che avrei distrutto sarebbe stata solo un ripiego.
Nulla poteva darmi la stessa soddisfazione di sconfiggerlo, di piegarlo con forza di fronte alla mia potenza.
Presi a colpire le roccie.
Ma quel ragazzino qui non c'era, sarà andato da Jasmine, a ottenere la prossima medaglia.
Qui non c'è, e non tornerà mai.
Le rocce si frantumano, gli alberi si spezzano, i pokèmon soccombono.
“Dannazione!” Urlai al vento.
Mi rintanai nella grotta, non avevo freddo. Volevo solo cercare di calmarmi. Finchè stavo fuori avrei colpito qualsiasi cosa su cui avessi posato lo sguardo.
“calma calma calma Furio. Calma”
dissi a me stesso, come per autoconvincermi, nessun effetto logicamente.

“Furio...”
Una voce rimbombò nella grotta.
Mi voltai.
Una sagoma in controluce alle porte della grotta.
Quel ragazzino.
“tu..”
“Oh, per fortuna ti ho trova...”
“Sei tornato per farti beffe di me?” Tuonai.
La potenza della mia voce fece tremare le rocce.
Non glielo permetterò, non deve deridermi.
Mi ha umiliato.
È ora.
L'ora della mia vendetta.
“Furio...”
Non lasciai lui il tempo di ribattere, di difendersi.
Ero cieco.
Ero Furio.

Sono arrabbiato.
Furioso.
Ho voglia di distruggere qualcosa.

Presi lui la testa e la sbattei ferocemente contro la parete di roccia, il suo cranio era morbido e tenero, si spaccò facilmente a contatto con la fredda roccia.
Le mie mani si coprirono di sangue ed il caldo odore del ferro si propagò per tutta la grotta.
Lasciai la presa.
Non sapevo cosa colpire.
Non avevo tempo per pensare.
Non riuscivo a pensare.
Volevo solo ucciderlo.
Disintegrarlo.
Distruggerlo.
Cominciai a tirare pugni sul suo addome. Sentivo le ossa della gabbia toracica spezzarsi contro i miei pugni, le tue ossa non ti proteggeranno. Non contro di me.
Muori. Soffri. Muori.

Lasciai la presa, finalmente mi calmai. Era finita.
Ora potevo tornare a casa.
Da mia moglie.
Dalla mia vita.
Feci un lungo respiro. Finalmente i pensieri cominciarono a rifluire con più calma, potevo pensare, potevo concentrarmi.
Aprii gli occhi.
Urlai.

Caddi a terra, tremavo, ero sbiancato.
No. NO. NO!
Com'è stato possibile?
Cos'è successo?
Perchè?
Perchè?
A terra, accanto a me c'era un cadavere umano. Mia moglie.
Era venuta forse a recuperarmi, nella rabbia non ho sentito che era preoccupata per me.
Nella rabbia non ho visto che era lei.
Volevo solo distruggere, rompere, uccidere.
E lei ne ha subito le conseguenze.
Lei non c'entrava nulla.
Non lei, chiunque ma non lei.
Il suo corpo a terra, bagnato di sangue, il cranio rotto a metà, del cervello ancora attaccato agli spunzoni di roccia, poi una lunga colata di sangue fino a terra, una scatola cranica quasi vuota, delle schegge di osso sparse sul terreno, poi il resto del corpo, contuso, pieno di lividi, delle costole che escono dal petto.
Oddio, che ho fatto?
Che ho fatto?

Volevo urlare, volevo piangere.
Dannato me, dannato me! Perchè accecato dall'ira colpii a caso?
L'ira mi ha rovinato, mi ha fatto vivere male una semplice sconfitta, mi ha fatto uccidere e distruggere un paradiso in terra, mi ha fatto avere allucinazioni, mi ha fatto uccidere la mia splendida moglie.
Sono un mostro.
Sono un mostro.

Non riuscivo a piangere, non riuscivo a sfogare il mio dolore, sentivo solo la rabbia salirmi di nuovo.
No.
Non mi avrai stavolta, abbiamo già fatto abbastanza danni.
Aprii la borsa, presi una corda. L'avevo presa per scalare una possibile montagna.
Uscii dalla grotta, la pioggia non cessava, anzi, stava cominciando un temporale, vedevo i fulmini in lontananza.
Legai forte la corda ad uno spuntone di roccia, un bel noto, forte, che possa resistere al peso.
“perdonami amore mio”
Dissi, mentre legavo l'altro cappio al mio collo, non sapevo come fare il nodo a forca, non mi interessava, sarebbe funzionato comunque.
Si dice che la morte sopraggiunge perchè il colpo fa smettere di respirare.
È una lunga agonia.
Un respiro.
Un tuono.
Mi lanciai nel vuoto.
Un forte dolore alla gola.
Buio.
   
 
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