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Autore: Love_My_Spotless_Mind    04/10/2014    1 recensioni
Un incontro voluto dal destino può sconvolgere per sempre la nostra esistenza ed insegnare che in amore non esistono confini invalicabili.
Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lu Han, Lu Han, Xiumin, Xiumin
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Minseok prese un libro dallo scaffale della enorme libreria e lo soppesò con attenzione, poco prima di percorrerne la copertina di pelle con le dita. Era un volume datato e persino il titolo del romanzo si era sbiadito a causa del tempo, ma lui adorava tenere fra le mani libri con una notevole storia alle spalle, un passato che nessuno conosceva, che sarebbe per sempre restato solamente nelle memorie del libro stesso. Era incredibile il numero di segreti che gli oggetti potevano custodire silenziosamente per anni ed anni, senza mai tradire chi glieli aveva tramandati.
Alzò lo sguardò per ammirare l’alta libreria, i cui ultimi scaffali raggiungevano il soffitto ed erano tutti pieni zeppi di libri di diverse epoche, alcuni erano solamente manoscritti le cui pagine erano diventate consumate e fragili. Minseok sentì una strana sensazione crescergli nel petto, come se qualcosa che riguardava gli essere umani potesse realmente durare in eterno, come se le parole non fossero così evanescenti come si credeva.  Aveva spesso pensieri di quel tipo, quel genere di riflessioni che da un ragazzo della sua età nessuno si sarebbe aspettato, eppure per lui erano del tutto naturali, non si sentiva mai angosciato da quel che pensava.
Con il suo libro stretto tra le mani, percorse il corridoio costellato da imponenti librerie dal legno spesso, dal colore scuro, che ormai aveva perso lucidità, per raggiungere i vecchi tavoli dove gli avventori della biblioteca potevano sedersi comodamente a leggere. Scostò la sedia il cui ferrò arrugginito fece un brutto rumore, l’imbottitura sembrava consumata ma per Minseok quei particolari erano estremamente preziosi, non avrebbe rinunciato a nessuno dei difetti di quel luogo. Si accomodò ed aprì il libro, respirando l’odore delle pagine, dell’inchiostro, se ne riempì i polmoni per poi sorridere.
Si immerse nella lettura del romanzo con il fiato sospeso, si inoltrò nel mondo della storia narrata, iniziando a provare le emozioni descritte sulla sua stessa pelle. E se il protagonista era in un bosco notturno, Minseok poteva immaginare la sua agitazione, i suoi stati d’animo altalenanti. In quel modo poteva trascorrere diverse ore senza accorgersi del tempo che passava, semplicemente vivendo in una dimensione tutta sua, lontanissima e perfetta. Minseok aveva sempre preferito la vita dei romanzi alla sua che gli era sempre apparsa piatta, senza alcun tipo di significato. Pensando a se stesso non poteva che provare una certa malinconia. Era un ragazzo dedito allo studio, che stringeva difficilmente rapporti con i compagni perché era terrorizzato dai rapporti umani. Quello era stato un suo limite fin da bambino, non era mai riuscito a superarlo. Piuttosto che essere deluso era molto meglio rifugiarsi in una realtà fittizia che lo proteggesse dai reali sentimenti negativi.
Era arrivata l’ora di cena, si alzò e percorse nuovamente il corridoio per arrivare nell’ufficio del direttore, che era un caro amico della sua famiglia e che lo lasciava muovere nella biblioteca con assoluta libertà. Una volta entrato in quella stanzetta polverosa, la cui lampadina del lampadario faceva uno strano rumore simile ad un ronzio, si avvicinò alla macchinetta del caffè e se ne fece uno, in un bel bicchiere di plastica capiente. A Minseok piaceva cenare con un caffè lungo rigorosamente amaro, dall’aroma forte. I resti della cena del direttore erano ancora lasciati sulla scrivania, lasciava sempre qualcosa per il ragazzo, che però preferiva non mangiare assolutamente nulla. Osservò i piattini di plastica con all’interno dei salatini e del formaggio, c’era anche una lattina di birra a temperatura ambiente. Minseok respirò l’odore dei mozziconi di sigaretta non ancora spenti, quell’odore era il tipico che conservava suo padre sul giaccone invernale, quando rientrava dal lavoro. Il ragazzo bevve il suo caffè pensando al suo corpo da bambino stretto nel giaccone del padre che improvvisamente non aveva più fatto ritorno, per motivi che aveva preferito dimenticare.
Tornò a sedersi al suo posto e ad immergersi nel suo libro. Era arrivato al penultimo capitolo quando sentì la sedia al suo fianco venire scostata. Generalmente a quell’ora di sera la biblioteca era deserta, quindi per lui fu strano sentire quel rumore. Evitò di voltarsi, inizialmente, ma poi venne distratto dal modo nervoso di sfregarsi le mani della persona che aveva di fianco. Alzò lo sguardo e notò di essere in compagnia di un ragazzo, dai capelli tinti di biondo scuro ed il viso infantile. Si sfregava le mani e vi soffiava sopra, il suo respiro si condensava in nuvolette bianche come abbandonava le labbra.
Minseok restò a guardarlo in silenzio, lui non aveva affatto freddo, era solamente una sera di ottobre, d’altronde, la reazione del ragazzo appariva alquanto esagerata. In effetti aveva in dosso dei vestiti davvero leggeri, la maglietta a maniche corte sembrava andargli persino larga di un paio di taglie. Il ragazzo si voltò timidamente ed incontrò lo sguardo inespressivo di Minseok. L’odore forte del caffè raggiunse le sue narici e lo respirò a fondo, riscaldandosi solamente con il calore emanato dal fumo che si levava bollente da quella bevanda.
-Dove…dove posso prendere del caffè? –
Domandò inciampando un paio di volte in quelle parole, come se fossero molto difficili da pronunciare. La sua espressione non tradiva doppi fini, eppure Minseok non riusciva a far passare la severità dal proprio di sguardo.
-Si da il caso che questo non sia una caffetteria. –
Rispose tornando a voltarsi verso il libro ma a quel punto lo sconosciuto tremò più forte ed il suo viso divenne talmente pallido da far credere che sarebbe svenuto da un momento all’altro. Il suo corpo si piegò in avanti e le palpebre si chiusero contrariamente alla sua volontà. Minseok si voltò di scatto e riuscì ad afferrarlo per le spalle prima che cadesse in avanti. Senza fare storie si alzò in piedi e tirò su anche il ragazzo, notando improvvisamente che fosse notevolmente più alto di lui. Lo condusse a piccoli passi nell’ufficio del direttore, facendolo sedere sulla grande poltrona di pelle, consumata e sgualcita, con qualche foro dovuto alla cenere di sigaretta.
Minseok si mise immediatamente a preparare del caffè e vi aggiunse due bustine di zucchero, sperando che questo servisse a rimettere in forze il giovane avventore. A quell’ora di sera la biblioteca avrebbe dovuto essere chiusa, ma come al solito il direttore era distratto a leggere un enorme volume nel piano superiore, il suo reale ufficio, dove si ritirava quando Minseok andava a trovarlo, lasciando a lui l’incombenza di chiudere le massicce porte di legno, quando andava via. Si domandò se fosse il caso di distoglierlo dalla lettura e chiedergli di assistere il ragazzo, anche se sapeva quanto divenisse scorbutico se veniva interrotto quando era intento nello studiare testi antichi, magari anche di qualche lingua morta da secoli.
-Il mio nome è Luhan. –
Balbettò il ragazzo prendendo tra le mani il bicchiere di caffè bollente. Lo respirò a fondo prima di assaggiarlo, bevendolo molto lentamente, per evitare di scottarsi. Minseok gli porse anche i salatini ed il formaggio, che il ragazzo accettò con titubanza, mangiando poco come un uccellino. A guardarlo sembrava un cucciolo di qualche specie di volatile caduto dal proprio nido e rimasto gravemente ferito.
-Non sapevi che la biblioteca è chiusa a quest’ora? –
Luhan rispose facendo segno di no con la testa.
-Non hai letto i cartelli? Ce ne sono affissi a centinaia nell’entrata. –
Luhan terminò il caffè e restituì il bicchiere vuoto ed ancora caldo a Minseok, evitando di guardarlo negli occhi. Sembrava davvero un tipo strano, più lo guardava più il ragazzo  non riusciva a fare a meno di pensarlo.
-Comunque sia, se adesso ti senti meglio dovresti tornare a casa. –
Ancora una volta Luhan non rispose a voce ma si limitò a sospirare ed annuire. Attese qualche istante prima di tirarsi faticosamente in piedi e guardare Minseok in viso.
-Grazie. –
Sussurrò con un fil di voce, per poi abbandonare silenziosamente l’ufficio, percorrere il corridoio ed uscire dalla biblioteca senza far rumore, scomparendo dalla vista di Minseok prima che riuscisse a rispondere. Quella notte il ragazzo chiuse la biblioteca più tardi del solito, poiché si soffermò ad osservare il libro che lo sconosciuto aveva preso dallo scaffale e stava cercando di leggere quando lui lo aveva notato. Si trattava di un volume illustrato sugli agenti atmosferici, anche alquanto datato. Le fotografie, però, erano in buona qualità e si potevano distinguere numerosi particolari, se ci soffermava ad osservarle. Aveva lasciato aperta la pagina dei fulmini, grandi immagini di fulmini spaventosi riempivano tutto il capito, avevano colori sbiaditi, nascevano da gonfie nuvole scure. Minseok continuò ad osservare quelle immagini associandole al viso del ragazzo e quelle strane suggestioni create da un incontro tanto singolare restarono dentro di lui mentre si incamminava per raggiungere la propria casa. Nelle strade buie del piccolo paese provò ad immaginare quello strano ragazzo di nome Luhan che camminava barcollando e teneva la mano contro le pareti delle abitazioni, per evitare di cadere.

Trascorsero undici lunghi mesi, nei quali Minseok pensò solamente a studiare e leggere libri, senza mai una pausa, sempre immerso nel grigiore di una vita piatta e noiosa, povera di contatti umani. Era così solo da dimenticare persino come fosse parlare con qualcuno, alle volte. Era una situazione che non gli piaceva ma che gli apparteneva fino in fondo, a cui non poteva in alcun modo sfuggire, per questo non ci aveva mai nemmeno provato. Era il primo giorno di scuola, l’estate era stata spazzata via da un venticello fresco e da nuvole scure, dense come batuffoli di ovatta, che costellavano il cielo senza dar segno di volersi allontanare. Lui percorreva la strada di scuola tutto solo, osservava gli altri ragazzi muoversi in gruppi, con le biciclette o a piedi, nessuno si voltava verso di lui ma Minseok li analizzava attentamente, cercando di indovinare che genere di persone potessero essere. Le ragazze avevano la gonna della divisa lunga fino alle ginocchia e questo faceva apparire i loro corpi non proprio aggraziati, i calzettoni di lana, per di più, toglievano loro ogni tipo di fascino. Improvvisamente, tra quella folla, scorse un viso che gli parve già visto da qualche parte. Il ricordo lontano riemerse lentamente dal pozzo nero della memoria dove era tragicamente caduto e, soltanto arrivato all’entrata della scuola, si ricordò di chi si trattasse. Era proprio Luhan, lo strano ragazzo che aveva conosciuto quella sera in biblioteca. Indossava anche lui la divisa scolastica, i capelli erano di un biondo luminoso e vivo, il suo corpo non sembrava più fragile ed acerbo come un tempo. Minseok lo seguì con lo sguardo finché non lo vide allontanarsi verso la classe in fondo al corridoio. Per qualche decisione del destino non sarebbero stati in classe insieme, meglio così , pensò Minseok mentre saliva le scale per raggiungere la propria classe.
Alla fortuita occasione di rivedere il misterioso coetaneo, Minseok non diede troppo peso, non ci pensò più fino all’ora di educazione fisica, quando lo rincontrò nella palestra della scuola. A quanto sembrava entrambi avevano scelto come sport curriculare il nuoto. Luhan aveva già indossato il suo costume e stava facendo degli esercizi a bordo piscina per distendere i muscoli. Contrariamente a quanto Minseok aveva potuto immaginare la prima volta in cui si erano visti, aveva delle belle spalle ampie, i fianchi sottili ma la forma del suo corpo era davvero armoniosa e piacevole. Minseok era meno alto ed era notevolmente più magro, si poteva intravedere la forma delle costole sfiorare la pelle pallida e sottile. Fianco a fianco sul bordo vasca, Luhan non lo degnò nemmeno di uno sguardo, probabilmente non lo aveva nemmeno riconosciuto. Quando l’insegnante diede un bel soffio potente nel suo fischietto, tutti i ragazzi si tuffarono all’unisono e percorsero con potenti bracciate la vasca, per cinque volte di seguito, senza avere la possibilità di rallentare. Luhan era elegante e metodico, i suoi piedi battevano contro l’acqua senza mai fermarsi o perdere il ritmo, era spaventoso guardarlo all’opera, sembrava così determinato.
Finito l’allenamento Minseok venne ammonito dall’insegnante per i suoi scarsi risultati, mentre Luhan venne lodato per minuti interminabili, proprio lì di fronte a tutti gli altri studenti. Dopo essersi cambiati Minseok non vedeva l’ora di andarsi a rinchiudere in un angolo buio della sua camera da letto e restare lì immobile a fissare il nulla, per poter permettere ai suoi nervi di distendersi un po’. Ma mentre percorreva il vialetto che univa la scuola alla palestra, si sentì chiamare.
-Ehi tu! –
Diceva la voce per nulla famigliare. Minseok si voltò non pensando che qualcuno stesse chiamando proprio lui ed in quel momento vide Luhan venirgli in contro. Lo guardò con severità, come per rimproverarlo di non essere stato salutato fino a quel momento, ma il ragazzo parve non farci nemmeno caso.
-Sai per caso dove si trova la biblioteca? –
Minseok lo fissò perplesso, non riuscendo a capire se il ragazzo sapesse con chi stava parlando oppure ne fosse completamente ignaro.
-Non è che potresti accompagnarmi fin lì? Non vorrei perdermi. –
Continuò ad insistere, con tono sicuro ma cordiale.
-Si, tanto ci stavo andando. –
Mentì Minseok incamminandosi a qualche passo di distanza da Luhan, mostrandogli la strada da percorrere senza mai nemmeno voltarsi per accertarsi se lo stesse realmente seguendo. Il tragitto era abbastanza lungo e Minseok per abbreviarlo percorse delle stradine di cui Luhan non sapeva minimamente l’esistenza. Certe strade erano così strette da costringerli a camminare l’uno dietro l’altro, altre erano completamente desolate e persino le case che costeggiavano queste vie sembravano disabitate. Luhan osservava i particolari con curiosità, ripetendo a se stesso che sarebbe stato alquanto complicato ricordare quel tragitto, ma gli sembrava scortese domandare alla sua guida di procedere più lentamente. Una volta giunti di fronte alla biblioteca, Luhan accennò un breve inchino per ringraziare Minseok della gentilezza con cui lo aveva condotto fin lì.

Quella sera nella sua camera da letto Minseok si chiuse dentro l’armadio e respirò il  vecchio giaccone invernale di suo padre, l’odore di sigarette era scomparso del tutto, restava solamente un tessuto ruvido al tatto, senza alcun valore commerciale, che semplicemente suscitava,  a lui che conservava ricordi legati a quel misero oggetto, sensazioni diverse, contrastanti, incomprensibili. Si domandò come le persone potessero dimenticarsi di lui tanto in fretta e senza alcuna fatica e del perché lui conservasse tutti, continuando, però, a restare sempre da solo. Seduto nel fondo dell’armadio cercò un conforto che non riuscì a trovare, che gli parve così lontano da togliergli il respiro. Quando all’alba lasciò la sua casa per camminare nelle solite stradine desolate e prendere a calci i ciottoli dell’asfalto, si promise di non voler più scambiare parola con quel ragazzo, per il timore di essere nuovamente dimenticato.
Quando lo incrociava per caso nel corridoio della scuola cambiava immediatamente direzione e agli allenamenti si metteva sempre in fondo alla fila, lontano sia da lui che dall’allenatore, per poi dileguarsi in fretta nel momento di uscire. In questo modo riuscì ad evitare di incontrarlo almeno per cinque giorni, ma poi il suo piano non andò come avrebbe voluto. Una mattina vide Luhan sistemarsi al suo fianco, in fondo alla fila, e rivolgergli un sorriso sereno, dai toni gentili. Dopo gli allenamenti fece di tutto anche lui per prepararsi il più in fretta possibile ed uscire insieme.
-Devo offrirti qualcosa da mangiare per ringraziarti per qualche giorno fa. Ti piacciono le castagne arrosto? –
-Si, ma non ce n’è bisogno. –
Tentò di replicare Minseok, con la speranza di potersene tornare a casa in pace, ma prima che potesse dire altro il ragazzo si era già avvicinato alla bancarella ed aveva comprato due coni di carta contenti un mucchietto di castagne arrostite. Minseok le mangiò piano, attento a non scottarsi, mentre Luhan sembrava incurante di tale pericolo.
-Quando ero bambino ne mangiavo una qualità inimmaginabile. –
Disse e Minseok reagì con poco interesse, senza dir nulla. L’odore delle castagne calde portò alla mente di entrambi ricordi sbiaditi e nostalgici che svanirono vibrando piano nel vento, proprio come il calore sprigionato da quel cibo povero ma delizioso.
Luhan aveva i guanti di lana marrone dalle dita tagliate, il che faceva sembrare le sue mani ancora più sottili, impallidite dal freddo.  Minseok si concentrò nel guardare quelle dita dalla forma affusolata, le unghie tonde e curate, non aveva mai visto delle mani così belle nemmeno in una ragazza, poiché il duro lavoro di quella città le rendeva ruvide e dal colorito spento. A guardare le mani di quel ragazzo, invece, veniva voglia di stringerle.
Senza accorgersene stavano camminando in una direzione precisa, ovvero stavano raggiungendo la biblioteca. Evidentemente Luhan aveva imparato in fretta la strada ed ora sapeva percorrerla senza esitazione, destreggiandosi alla perfezione nelle scorciatoie.
-Quali sono i tuoi libri preferiti? Ho pensato che leggessi molto visto che conosci così bene la strada per la biblioteca. –
Domandò Luhan, con lo sguardo rivolto verso i suoi piedi che percorrevano lentamente la strada di ciottoli e polvere. Minseok ci pensò in silenzio. Cosa leggeva? Non aveva una predilezione per nulla, lui leggeva quel che capitava, si nutriva di parole e voleva conoscerne il maggior numero possibile. Per questa ragione, quando era molto annoiato, leggeva anche i dizionari, dalla A alla Z, senza mai stancarsi, come se si trattasse di un volume sacro o di un libro di poesie. Le parole avevano un grande fascino ai suoi di asolescente  
-Leggo qualsiasi cosa.Non ho preferenze.–
Rispose  semplicemente, stringendo il cono di carta ormai vuoto tra le dita, per rubarne tutto il calore rimasto.
-Impossibile. Qualcosa dovrà pur piacerti più del resto. –
-No, non ho preferenze. –
Luhan volse lo sguardo verso di lui per osservarlo attentamente, come se le sue parole fossero talmente strane da suscitargli dubbi. Cosa voleva comprendere guardandolo in viso? Minseok non poteva saperlo. Semplicemente sentirsi osservato iniziò ad infastidirlo terribilmente, volse il viso dal lato opposto del ragazzo per potersi sfiorare le guance arrossate.
-Che strano. Non ho mai conosciuto nessuno senza preferenze, è davvero strano, devo ammetterlo. –
Entrarono nella biblioteca, percorsero in silenzio il corridoio, Minseok salutò il direttore, seduto nella sua scrivania nell’ingresso, che occupava solamente di giorno, con un cenno del capo. Questi lasciò che i due ragazzi provvedessero da soli a scegliere i volumi da leggere.
I due effettuarono la loro scelta con molta calma, in silenzio, muovendosi cercando di non fare rumore. Alla fine si accomodarono l’uno di fronte all’altro a sfogliare il proprio libro con aria assorta. Luhan aveva scelto un volume illustrato sulle stelle. Osservando quel volume, Minseok ricordò alla perfezione il loro primo incontro. A quanto sembrava Luhan aveva una passione per le immagini più che per le parole. A Minseok le immagini non suscitavano nulla, riusciva ad osservarle  in modo esclusivamente superficiale, mentre Luhan ci si soffermava a lungo prima di voltare pagina.
Scese la sera ma Minseok non era riuscito a leggere nemmeno una parola del proprio libro, tanto era stato distratto dalla presenza dell’altro. Guardava, cercando di non farsi notare, l’espressione del suo viso, i capelli tinti che si sollevavano leggerissimi a causa del vento che filtrava dalla grande finestra sul fondo della stanza. La sua analisi delle immagini era durata più di quanto si potesse immaginare, era stata interminabile, aveva voltato solamente una decina di pagine in tutto il pomeriggio. Minseok avrebbe voluto domandargli cosa c’era di così interessante in quelle fotografie, ma preferì restare in assoluto silenzio.
Poi, all’improvviso, Luhan rinvenne dalla sua lettura e guardò l’altro ragazzo.
-Torniamo, domani. –
Propose a bassa voce, muovendo appena le labbra. Minseok annuì, senza trovare in sé il coraggio o il bisogno di rifiutare.
Quella sera si salutarono di fronte alla biblioteca, poi ognuno andò per la propria strada, senza nemmeno voltarsi, salutandosi a malapena. Il giorno dopo, finita la scuola, tornarono insieme alla biblioteca ed, ancora una volta, Luhan scelse un volume illustrato, mentre Minseok trascorse tutto il tempo semplicemente ad ammirare l’altro.

Il terzo giorno, quando stavano per salutarsi di fronte al portone massiccio della biblioteca, Luhan propose all’altro ragazzo di cenare insieme. Minseok avrebbe voluto rifiutare categoricamente ma fu incapace di farlo, la sua proposta era stata così gentile, non voleva essere maleducato . La strada fino all’enorme palazzo dalle mura in cemento armato e le mille finestre di ogni misura, dove Luhan abitava, era scura e fiancheggiava una strada  percorsa da molte automobili. I due camminarono in fila indiana, stando attenti alle vetture che percorrevano il tragitto ad elevata velocità, la strada era desolata e pericolosa, i pochi lampioni avevano smesso di funzionare chissà da quanto tempo, per Minseok era assurdo pensare di dover percorrere quella strada ogni giorno per poter tornare a casa. Eppure per Luhan quel tipo di routine era del tutto normale, se non scontata. Raggiunsero il palazzone, abitato da almeno un centinaio di famiglie povere.  Salirono le scale malmesse per raggiungere il minuscolo appartamento del ragazzo, al terzo piano. Possedeva solamente una stanza ed un bagno, aveva la carta da parati scura alle pareti ma, tutto sommato, era accogliente. Luhan mise a bollire dell’acqua nel piccolo fornellino che aveva sistemato a terra mentre Minseok si sfilava le scarpe per sedersi sul pavimento.
-Questo appartamento è minuscolo, il luogo potrebbe sembrare triste ma, alla fine, non mi ci trovo così male. Avere una casa non è da poco, sono stato molto fortunato. –
Con un paio di bacchette di metallo girò i ramen per farli cuocere per bene, li osservò con lo sguardo affamato. Minseok aveva posato la schiena contro la parete e guardava fuori dall’unica finestra dell’appartamento, del cibo non gli era mai importato molto e la fame aveva  imparato a non sentirla da molto tempo. Si potevano udire le voci dei vicini per quanto le mura fossero sottili, ma alla fine quell’appartamento non era sporco, solamente che Minseok non l’avrebbe mai definito un colpo di fortuna. Per di più non c’era nulla per riscaldare l’ambiente, Luhan poteva ripararsi solamente con gli indumenti invernali. Minseok pensò alla propria solitudine nella casa in cui era cresciuto, si domandò di dei due potesse ritenersi il più sfortunato, ma non seppe trovare una risposta.
Quando Luhan ebbe sistemato la cena in due ciotole i ragazzi iniziarono a mangiare inginocchiati a terra, uno di fronte all’altro . Una follata di vento freddo vorticò nella stanza, facendo tremare entrambi. Chissà quando avrebbe nevicato nuovamente, era difficile da dire, in certi inverni nevicava sempre ed in altri non si vedeva cadere nemmeno qualche fiocco di neve, nemmeno nei giorni più freddi. Luhan aveva un’espressione rilassata mentre mangiava e per Minseok fu comunque un sollievo riempirsi lo stomaco con qualcosa di caldo e sostanzioso.
-Vivi da solo? – gli domandò all’improvviso Luhan, prendendosi una pausa dalla sua cena.
-Si, da molto tempo, ormai. –
Luhan annuì ma non voleva ancora chiudere il discorso.
-Ed io tuoi genitori, dove sono? Non tornano mai a trovarti? –
Minseok pensò all’ultima cena di famiglia trascorsa tutti insieme. Quella memoria non riemergeva dal luogo lontano in cui l’aveva sepolta da svariato tempo, fu come tornare indietro del tempo ad una velocità impressionante, rivide ogni particolare, respirò l’aria di quel tempo, la sua mente girò vorticosamente, come se quella fosse solamente una vertigine. Senza che se ne accorgesse i suoi occhi grandi, dalle iridi di un nero scurissimo, si erano riempiti di lacrime. Respirò piano, cercando di afferrare gli ultimi stralci dei suoi ricordi, anche se ora stavano già svanendo, per tornare al buio dal quale erano riusciti così faticosamente ad emergere. Non aveva avuto nemmeno il tempo di ricordare il viso di sua madre, la voce di suo padre. Tutto era tornato proprio lì, da dove era venuto, lasciandolo solo e confuso, seduto su quel pavimento dalle assi consumate, che ora appariva freddo come il marmo.
 -Mai. –
Rispose il ragazzo rannicchiandosi su se stesso, cercando di non far vedere all’altro quelle lacrime infantili che non avrebbe mai voluto versare, nemmeno per i suoi genitori.
-Sono partiti per un lungo viaggio? –
Domandò a quel punto Luhan, con lo sguardo curioso di un bambino.
-Insomma! La vuoi smettere di farmi domande? Non ti interessa. –
Rispose maleducatamente Minseok, alzandosi in piedi, con la chiarissima idea di andar via. Ma a quel punto la sua testa girò più  vorticosamente e lui si ritrovò con la schiena contro la parete, senza riuscire più a muoversi. Perché la sua mente agiva in un modo così assurdo? Era quasi infuriato, i suoi lineamenti delicati, quasi da bambino, divennero improvvisamente più duri, corrugò la fronte cercando di resistere a quel dolore alle tempie che ora lo stava attanagliando. Lacrime grandi e dolorose scivolarono lungo le sue guance scavate, lasciando lunghe scie che lui cercò immediatamente di asciugare. Poi si sentì stringere, il suo viso affondò nel maglione di lana ruvida dell’altro, le braccia sottili del ragazzo andarono ad avvolgerlo, protettive, sicure, le sue dita gli scorsero la nuca. Minseok non sapeva nemmeno più come fosse essere abbracciati da qualcuno, essere stretti talmente forte da sentirsi bene, come se ogni problema del mondo fosse completamente svanito. La sua rabbia si dissipò così in fretta da lasciarlo senza respiro, si domandò dove fosse finito quello che provava ma ancora una volta non seppe rispondersi, riuscì semplicemente ad udire un altro cuore che batteva, proprio contro il proprio orecchio.
Si aggrappò a quel maglione con forza, chiuse gli occhi cercando di riprendere lentamente il respiro, sollevando ed abbassando ritmicamente il petto scarno. Il profumo del ragazzo invase le sue narici, sentì l’odore del suo corpo, così naturale, quell’odore che nessun altro al mondo poteva possedere poiché era solamente suo. Chissà che odore aveva sua madre, doveva averlo sentito per forza, eppure ora non riusciva proprio a ricordarlo. Quanti dettagli erano svaniti con il passare del tempo, quanti di questi non sarebbero più tornati, era assurdo come il tempo potesse essere così spietato. Avrebbe voluto possedere ancora qualcosa, ma non aveva più nulla. Minseok era solo al mondo, completamente, anche se adesso un ragazzo lo stava abbracciando stretto a sé.
-Dove sono i tuoi genitori? –
Domandò a quel punto Minseok, con un fil di voce, scostando appena il viso dal maglione ruvido, che quasi gli aveva graffiato le guance.
Luhan stranamente non rispose, semplicemente si scostò e si avvicinò alla finestra. Solamente in quel momento Minseok riuscì a notare che la finestra del ragazzo ridava proprio sulla scala anti-incendio del palazzo. Luhan la aprì completamente, fece segno all’altro di seguirlo, e si calò sull’impalcatura di ferrò, iniziando a salire le scale che portavano ai piani superiori.
L’aria gelida soffiava contro le loro spalle, facendoli tremare come foglie, e più andavano in alto più avevano freddo, poi, finalmente, raggiunsero il tetto dell’edificio. Luhan si mise a sedere sul bordo, con le gambe a penzoloni nel vuoto e Minseok fece lo stesso. Da lì la città sembrava qualcosa di così lontano, le luci andavano diffondendosi soltanto verso il centro, mentre quella zona era quasi completamente sepolta dalle tenebre dense della notte. Le stelle nel cielo brillavano in una maniera mai vista, sembravano lontanissimi riflettori ed i due ragazzi si sentivano quasi gli attori protagonisti su un palcoscenico. Erano sospesi nel vuoto, lontano da tutto e da tutti, per quella sera riuscirono persino a credersi irraggiungibili. Minseok alzò un braccio per cercare di afferrare una stella ma non ci riuscì.
-Eccoli i miei genitori! –
Annunciò Luhan con entusiasmo, indicando una costellazione che si riusciva a malapena a scorgere. Rappresentava un disegno che Minseok non riusciva perfettamente a decifrare. Avevano entrambi alzato il viso verso quelle minuscole luci e le fissavano silenziosamente, con la piena concentrazione. L’abbraccio di poco prima si era interrotto così bruscamente che Minseok arrivò a domandarsi se ci fosse veramente stato.
-Sono cinese. –
Spiegò Luhan parlando lentamente, senza mai distogliere lo sguardo dall’alto.
-Ed i miei genitori, per quanto ci abbia provato, non riesco in alcun modo a ricordarli. So soltanto che fecero di tutto pur di non farmi crescere nel mio paese d’origine, non so che ragioni avessero, non so nemmeno se sia stata solamente mia madre a decidere. Non so se siano ancora vivi, quale sia il loro nome, in che regione vivessero, non so nulla. Semplicemente mi sono cresciuto da solo, come ho potuto, fino ai quattro anni, poi delle suore mi hanno garantito una casa, un cognome, l’iscrizione a scuola. Non so come io sia arrivato qui, quanti anni avessi, i miei ricordi sono molto contraddittori a proposito di questo. –
Una stella cadente attraversò il cielo estremamente veloce, lasciando una scia luminosa che invase il cielo solamente per altri istanti. Minseok chiuse gli occhi, lui ai desideri non credeva affatto, ma quella volta volle esprimermene uno per quel ragazzo che aveva di fianco. Si concentrò come se si trattasse di una preghiera, trattenne dentro di sé le parole per svariati minuti, in modo che la stella potesse riceverle con chiarezza.
-Loro sono quella costellazione, per me, perché proprio come è accaduto per loro non conosco il suo nome né quello che rappresenti, ma dev’essere destino se da questo posto riesco a vedere proprio lei. Per questa motivazione non ho mai cercato un’altra abitazione, ora che li ho trovati, in qualche modo, non voglio perderli ancora, voglio che risplendano e veglino su di me. Anche se non li ho mai conosciuti so di amarli tanto. –
-Credo che ovunque si trovino ti siano grati di essere amati. –
-Sento di avere tanto amore da poter dare e non voglio in alcun modo rinunciare. –
Minseok l’amore non sapeva se lo possedesse o se lo avesse mai posseduto, si sentiva completamente arido dentro, come se un vento gelido avesse fatto morire tutto. Tremò a causa del vento e si strinse nelle proprie spalle, pensò nuovamente a quell’abbraccio, a quanto si fosse sentito sul punto di sprofondare in un mare sconosciuto.
-Credo sia ora di tornare a casa. –
Sussurrò come se parlasse tra sé e prima che l’altro potesse rispondere, scese le scale antincendio per tornare all’interno dell’appartamento. Percorse la strada fiancheggiata dalle automobili tutto solo, avvolto da un senso di tristezza che conosceva fin troppo bene, ormai. Alla fine si ritrovava sempre senza nessuno al proprio fianco, anche se fino a poco prima lo aveva avuto.
Lo stesso era accaduto con i suoi genitori che erano scomparsi senza una ragione, da un giorno all’altro, e di cui non aveva saputo più nulla, anche perché aveva continuato ad aspettarli, sempre nello stesso luogo, che probabilmente avevano dimenticato.
  
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