Questa storia ha partecipato al Terzo contest di Elf, arrivando 5°. Ringrazio Izumi e Melantò per averlo indetto, mi hanno fatto scoprire e amare un personaggio che avevo un po' sottovalutato.
E' dedicata alla "compagnia della panchina" e, in particolare, ad Eos e all'Arpia che hanno sempre tanta pazienza con tutte le mie paturnie xD
Marsiglia cambia faccia con
il calare del sole.
Di giorno le
strade e le piazze sono invase dai turisti armati di macchine fotografiche, che
passeggiano ovunque ammirando i monumenti e visitando le sue spiagge bagnate dal
mare. Di notte tutto sembra avvolto da un’atmosfera diversa.
Louis Napoleon
sta camminando lungo il marciapiede, con le mani in tasca e lo sguardo basso,
rivolto a terra. Il suo viso è una maschera immobile, le labbra sono serrate in
una linea sottile. Non sembra notare i gruppi di ragazzi fuori dai bar, intenti
a chiacchierare e ridere anzi, ne è quasi infastidito. Cammina dritto, deciso,
costringendo a scansarsi borbottando chi si trova lungo la sua strada. E'
immerso nei suoi pensieri e non sembra avere una meta precisa.
Percorrendo le
vie strette e sinuose arriva fino al vecchio porto. Qui il chiasso dei bistrot è
solo un lontano ricordo e gli unici suoni provengono dalla risacca delle onde
contro le chiglie delle barche ormeggiate, che schiaffeggiano le fiancate.
Soffia una brezza abbastanza fredda, è il Mistral che comincia a farsi
sentire.
Alcune
coppiette stanno camminando cercando un posto riservato dove scambiarsi,
probabilmente, effusioni più o meno spinte.
Dopo qualche
minuto Napoleon si ferma davanti ad un minuscolo caffè. Sembra un posto senza
troppe pretese, piccolo e fuori moda.
Proprio quello
di cui ha bisogno.
Di solito
predilige esclusivamente i locali alla moda, con la musica in sottofondo, pieni
di gente pronta a ridere, a divertirsi e, soprattutto, di belle ragazze
compiacenti che fanno a gara per attirarsi le sue attenzioni. Ma non questa
sera.
Vuole solo un
posto dove nessuno lo conosca e lo infastidisca, un luogo dove poter affrontare
i fantasmi del suo passato, che proprio quel giorno hanno deciso di fargli
visita.
Qui non ci
sono molti clienti. In un angolo alcuni uomini stanno giocando a carte. La loro
pelle è scura, bruciata dal sole, probabilmente sono dei pescatori locali. Dopo
aver dato un'occhiata intorno si avvicina fino al bancone, sedendosi su uno
degli alti sgabelli. Qualche secondo più tardi si avvicina il barman.
"Cosa
desidera?"
"Un bicchiere
di pastis con ghiaccio"
"Glielo
preparo subito"
Louis si passa
una mano nei capelli biondi nervosamente. Dopo un tempo che a lui pare infinito,
anche se in realtà è passato appena un minuto, il cameriere gli appoggia sul
bancone, davanti, quanto ha ordinato. Immediatamente afferra con decisione il
bicchiere e ingoia un lungo sorso tutto d'un fiato. Il liquido giallo chiaro è
come fuoco mentre scende giù per la gola, fino ad arrivare allo stomaco, forte
come se avesse ricevuto un pugno. Chiude gli occhi cercando di assorbire il
colpo, mormorando una parolaccia a denti stretti.
Brucia
dannazione!
Ma non è
niente se paragonato alla rabbia che ha in corpo.
Nel pomeriggio
c'è stata un'amichevole tra la sua squadra, il Bordeaux, e l’Olimpique Marsiglia
allo Stade Vélodrome.
Tutti i
pronostici li davano favoriti. L’attaccante di punta dei loro avversari,
Jean-Pierre Croix, era rientrato da poco in seguito ad un infortunio. Non
sapevano ancora se avrebbe giocato, ma in ogni caso, non era importante perché
sarebbe stato lui, il grande Louis Napoleon, a dettare le regole e a segnare i
goal. A due minuti dalla fine del primo tempo il Bordeaux stava vincendo per due
reti a zero. Grazie ad una doppietta che portava la sua firma, modestamente.
Nessuno poteva
sapere quanto fosse importante per lui il risultato di quella partita. Non aveva
a che fare con la reputazione della sua squadra né ci teneva per un semplice
vanto. Era una questione più profonda e personale. Inconsciamente si lasciò
sfuggire una smorfia. Era qui, da solo, arrabbiato con sé stesso per colpa del
calcio.
Del
calcio.
Tutto ciò era
molto ironico dato che, all’inizio, aveva odiato quello
sport.
La sua
famiglia era vissuta a Marsiglia per diverso tempo, prima che suo padre venisse
trasferito per lavoro. Aveva all’incirca otto anni in quel periodo ed era un
bambino abbastanza solitario. Forse quell’atteggiamento era dovuto alla sua
timidezza, all’essere figlio unico oppure ai frequenti spostamenti in seguito
all’impiego paterno. Non lo sapeva e non era molto importante ormai.
Il fatto che
fosse piuttosto chiuso era stato sempre un cruccio per il padre. Lui non
riusciva a comprendere come potesse divertirsi da solo e non mancava mai di
farglielo notare.
Più volte si
era lamentato.
"Louis perchè
non vai a giocare con gli altri bambini?"
Non aveva mai
capito il disagio che provava quando stava insieme agli altri, quell’insicurezza
che lo bloccava e non gli permetteva di
esprimersi.
Se l'ultima volta che avevano
avuto quel tipo di conversazione Napoleon lo avesse guardato negli occhi forse
avrebbe visto la luce diversa che lo animava e si sarebbe preoccupato. Invece
quando, qualche giorno più tardi, tornò da lui furono un fulmine a cielo sereno
le sue parole.
"Ho una
sorpresa per te Louis: ti ho iscritto in una squadra di
calcio"
Il figlio,
incredulo di fronte a quella notizia, aveva aperto la bocca senza dire nemmeno
una sillaba. Henri aveva interpretato quel comportamento in modo positivo e
aveva continuato il suo discorso.
"Sono sicuro
che ti troverai bene. E' importante che tu faccia un po' di esercizio fisico e,
soprattutto, sarà un modo per farti degli amici. Vedrai che mi ringrazierai fra
qualche settimana"
Mai
affermazione fu più falsa.
Il primo giorno era stato
presentato agli altri giocatori, che l'avevano guardato sospettosi, assumendo il
normale comportamento tenuto da chiunque di fronte ad un estraneo che arriva a
spezzare gli equilibri. Dopo aver corso varie volte intorno al campo come
riscaldamento, erano cominciati i tiri con il pallone.
Quando era arrivato il suo
turno, Louis aveva sentito su di sé gli occhi di tutti. Si era ripetuto più
volte che era normale, che era solo un gioco e basta. L'agitazione, purtroppo,
gli aveva fatto sbagliare mira e la sfera che aveva calciato era rotolata, come
una trottola, senza nemmeno arrivare vicino allo specchio della porta.
Un
disastro.
Dietro di sé
aveva sentito i suoi compagni ridacchiare e anche mormorare delle battutine su
di lui.
Quella sera,
andando a dormire, aveva capito di odiare il calcio.
Negli
allenamenti seguenti il copione si era ripetuto uguale, come un film che viene
trasmesso più volte. Non era capace di giocare e, ovviamente, gli altri ragazzi
se ne approfittavano prendendolo in giro ogni volta che mancava un passaggio o
tirava la palla in una direzione sbagliata.
Si sentiva
umiliato.
Tutti i giorni
era costretto ad andare in quel campo ed essere deriso da quelli che suo padre
sperava diventassero amici. Più di una volta aveva fantasticato di andare dalla
madre e raccontarle ogni cosa, pregandola di portarlo via da lì.
Ma non l’aveva
mai fatto.
Per quanto
fosse una sofferenza, chiedere aiuto sarebbe equivalso ad essere un debole e lui
non voleva esserlo. Non lo era.
Poi, un
giorno, tutto cambiò.
L’allenatore
li aveva divisi in due squadre per giocare una vera partita. Durante il primo
tempo un avversario aveva tirato in porta e, più o meno volutamente, l’aveva
colpito allo stomaco. Il colpo l’aveva fatto cadere ed era rimasto riverso a
terra, con un dolore sordo che quasi gli impediva di respirare. Le lacrime
pungevano negli occhi mentre cercava con tutte le forze di trattenerle.
Ironicamente i
suoi compagni, con quel gesto, gli avevano fatto un favore.
In quel lungo
minuto trascorso a terra, tra l’erba e la polvere del campo, aveva sentito
crescere nel suo animo tutta la rabbia accumulata, trovando infine la forza di
reagire e combattere.
Aveva giurato
dentro di sé, in quell’istante, di diventare un grande calciatore e ripagare con
la stessa moneta i suoi cari compagni.
Si era
impegnato con tutte le sue forze durante gli allenamenti e, anche a casa, ogni
momento libero era dedicato al calcio. Giorno dopo giorno, con sorpresa, si era
reso conto di come gli riuscisse facile gestire il pallone. Non sembrava nemmeno
lo stesso ragazzino che, qualche mese prima, non riusciva a calciare la sfera
nella direzione giusta. Aver acquisito sicurezza e fiducia in sé stesso aveva
portato a galla le sue vere attitudini.
Giocare a
calcio era diventata la cosa più facile del mondo.
Nell’ultima
partita di allenamento era riuscito ad impossessarsi del gioco e aveva dribblato
tutti i suoi avversari, lasciandoli di stucco, fino a giungere davanti alla
porta. Ricordava ancora, come fosse ieri, lo sguardo ironico del portiere che lo
fissava con indulgenza, ritenendolo incapace di centrare persino lo specchio
della porta. Quei pochi secondi trascorsi prima di tirare se li era gustati fino
in fondo. Aveva stretto gli occhi e sorriso con strafottenza al suo compagno,
prima di tirare una bordata che si era insaccata alle sue spalle, senza che
questi riuscisse nemmeno a muoversi per tentare di
pararlo.
Soddisfatto si
era leccato le labbra assaporando virtualmente il sapore della rivincita e della
vendetta, scoprendo quanto dolci fossero.
Quella sera,
per la prima volta da mesi, era riuscito a chiudere gli occhi e ad addormentarsi
serenamente perché aveva finalmente uno scopo.
Ma la cosa più
importante era stata aver capito di non odiare il calcio,
anzi
Purtroppo la
sua battaglia per emergere non era ancora finita. L’allenatore era rimasto
sorpreso dal suo modo di giocare ma aveva deciso di impiegarlo in difesa.
C’erano altri ragazzi, in squadra da molto più tempo, già abituati a stare in
attacco e lui non se la sentiva di rischiare il campionato solo perché aveva
mostrato di saper finalizzare un’azione.
Ma
Louis non era per niente d’accordo. Aveva capito di non essere fatto per stare
nella retroguardia, a contrastare gli attaccanti avversari e recuperare la palla
da passare al centrocampo. Non sopportava di dover faticare, riguadagnando il
gioco, e poi rimanere a guardare mentre i suoi compagni correvano verso l'area
di rigore e segnavano un goal, raccogliendo gli applausi e il tifo del pubblico.
Lui voleva
essere un protagonista.
Desiderava
correre lungo il campo, scartare i giocatori che cercavano di bloccarlo e
arrivare fino alla porta, insaccando con un'azione spettacolare la palla in
rete.
Questo voleva
fare.
Sapeva di
avere le qualità necessarie, l’abilità e l’intelligenza per essere un grande
goleador.
Così aveva
insistito con l’allenatore, arrivando anche a scontrarsi duramente con lui,
rimanendo fermo nelle proprie convinzioni. Poteva fare la differenza in campo,
ne era più che certo. Era sicuro che non fosse un caso il fatto che si chiamasse
come un grande condottiero.
Era nato per
essere un leader e portare alla vittoria la sua squadra.
Non avrebbe
mai dimenticato la sua prima partita da attaccante. Si era rifiutato di
impegnarsi nel ruolo di difensore ma quell’atteggiamento, però, era servito a
fargli ottenere solo la panchina. Furente per la sua cocciutaggine, l’allenatore
lo aveva estromesso affermando che non voleva un giocatore in campo così
indisciplinato. Lui aveva serrato le labbra e aveva accettato, senza commentare,
quella decisione.
Tutto o
niente.
Avrebbe
giocato da attaccante o non avrebbe giocato
affatto.
L’amichevole
prevista si sarebbe svolta nel prestigioso Stade Velodrome, riaperto di recente
dopo essere stato ristrutturato.
A pochi minuti
dalla fine del primo tempo la loro squadra stava perdendo per 2-0. Chiaramente i
loro avversari erano superiori come gioco. Lui era rimasto seduto, a braccia
conserte, quasi contento di quel risultato. Era la giusta punizione per averlo
estromesso. Durante la pausa il mister aveva cercato di caricare i ragazzi,
spronandoli a reagire. Poi si era zittito per qualche secondo e, infine, aveva
girato il capo nella sua direzione.
“Preparati
Napoleon, entri tu nel secondo tempo… al posto di
Fontaine”
Un sorriso di
trionfo era comparso sulle sue labbra.
Finalmente
sarebbe entrato come punta.
I successivi
quarantacinque minuti videro una squadra completamente diversa. Prima di tornare in
campo aveva ammonito i suoi compagni: dovevano passargli ogni palla recuperata,
ci avrebbe pensato a lui a segnare.
Il primo
tempo, passato in panchina, gli era servito per studiare il modo di muoversi dei
loro avversari. Per questo motivo era stato un gioco da ragazzi aggirare la
difesa, entrare con facilità nell’area di rigore e infine caricare il piede
destro per un micidiale tiro ad effetto. Il portiere si era lanciato verso il
secondo palo a sinistra, convinto di poterlo intercettare ma, all’improvviso, il
pallone si era spostato insaccandosi nel lato opposto della porta. I loro
tifosi, ormai rassegnati alla sconfitta, erano rimasti stupiti e increduli per
qualche secondo di fronte alla sua azione perfetta. Poco dopo però l’urlo di
gioia, che si era alzato dagli spalti, lo aveva avvolto come un abbraccio e lui
si era goduto il trionfo, soffermandosi per un momento a guardare il mister, con
espressione soddisfatta. La partita si era conclusa con l’inaspettato risultato
di 3-2 per il Marsiglia, con una tripletta siglata dalla nuova stella nascente
Louis Napoleon.
Quell’incontro
aveva rappresentato la sua prima vittoria e l’inizio della sua
carriera.
Era stata
inebriante la sensazione di sentirsi un grande calciatore, di entrare in campo e
fare la differenza in mezzo a tanti giocatori mediocri. Nel corso degli anni
aveva anche scoperto di provare un perverso piacere nell’umiliare gli avversari
che non erano alla sua altezza.
Il calcio
aveva trasformato totalmente la sua vita.
L’aveva
reso sicuro di sé. Aveva fatto emergere la sua vera personalità e questo nuovo
Louis gli piaceva molto.
Napoleon beve
l’ultimo sorso di whisky tornando al presente.
E’ questo il
motivo per cui teneva particolarmente a quella partita. Lì era nato come
attaccante e avrebbe voluto dimostrare una volta di più la sua superiorità,
invece di farsi buttare fuori nel tentativo di eguagliare la prima tripletta.
Forse è stata una parte del vecchio sé stesso, timido e insicuro, a farlo
reagire in quel modo falloso nel tentativo di ottenere il terzo
goal.
Piano piano si
accorge che la rabbia sta svanendo, probabilmente gli alcolici bevuti iniziano a
fare il loro effetto o forse ha accumulato troppa stanchezza, non può spiegare
in altro modo il momento di debolezza di questa sera. Non gli piace commiserarsi
e ripensare al passato.
Piega il
braccio controllando le lancette del suo costoso orologio. Ormai è tardi per
tornare in centro, in qualche locale un po’ più movimentato. Tanto vale rimanere
qui e bersi un altro bicchiere di pastis, piuttosto buono considerato il posto
in cui viene servito.
Da tanto non
si gode una serata tranquilla. Nemmeno se lo ricorda più da quanto tempo non sta
da solo!
Questa sera,
proprio a Marsiglia, prova a riassaporare il piacere della solitudine, del
rimanere semplicemente con i propri pensieri.
Solo per
questa notte.
Da domani
tornerà ad essere di nuovo sé stesso, l’attaccante francese osannato dalla
folla, capace di stupire il pubblico e far vincere la propria
squadra.
Perché lui è,
e sarà sempre, il grande Louis Napoleon.
Stood there boldly
Sweatin' in the sun
Felt
like a million
Felt like number one
Rimanevo
là con coraggio
Sudando sotto il sole
Sentendomi come uno in un milione
Sentendomi come il numero uno
My hands were steady
My eyes were clear and bright
My walk had purpose
My steps were quick and light
And I held
firmly
To what I felt was right
Like a
rock
Le
mie mani erano salde
I
miei occhi limpidi e luminosi
Il
mio camminare aveva uno scopo
I
miei passi erano rapidi e leggeri
E
sostenevo con fermezza ciò che pensavo fosse giusto
Come
una roccia
“Like A Rock” di Bob Seger