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Autore: agatha    09/10/2008    7 recensioni
Louis Napoleon è famoso per essere un promettente calciatore, estroverso, egocentrico, sicuro di sé: questo è il lato che mostra al mondo. Ma se sotto quell’apparenza ci fosse ben altro? Ecco il volto nascosto di un campione.
Genere: Sportivo, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Luis Napoleon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia ha partecipato al Terzo contest di Elf, arrivando 5°. Ringrazio Izumi e Melantò per averlo indetto, mi hanno fatto scoprire e amare un personaggio che avevo un po' sottovalutato.

E' dedicata alla "compagnia della panchina" e, in particolare, ad Eos e all'Arpia che hanno sempre tanta pazienza con tutte le mie paturnie xD

 

 

 

 

Marsiglia cambia faccia con il calare del sole.

Di giorno le strade e le piazze sono invase dai turisti armati di macchine fotografiche, che passeggiano ovunque ammirando i monumenti e visitando le sue spiagge bagnate dal mare. Di notte tutto sembra avvolto da un’atmosfera diversa.

                  

Louis Napoleon sta camminando lungo il marciapiede, con le mani in tasca e lo sguardo basso, rivolto a terra. Il suo viso è una maschera immobile, le labbra sono serrate in una linea sottile. Non sembra notare i gruppi di ragazzi fuori dai bar, intenti a chiacchierare e ridere anzi, ne è quasi infastidito. Cammina dritto, deciso, costringendo a scansarsi borbottando chi si trova lungo la sua strada. E' immerso nei suoi pensieri e non sembra avere una meta precisa.

Percorrendo le vie strette e sinuose arriva fino al vecchio porto. Qui il chiasso dei bistrot è solo un lontano ricordo e gli unici suoni provengono dalla risacca delle onde contro le chiglie delle barche ormeggiate, che schiaffeggiano le fiancate. Soffia una brezza abbastanza fredda, è il Mistral che comincia a farsi sentire. 

Alcune coppiette stanno camminando cercando un posto riservato dove scambiarsi, probabilmente, effusioni più o meno spinte.

 

Dopo qualche minuto Napoleon si ferma davanti ad un minuscolo caffè. Sembra un posto senza troppe pretese, piccolo e fuori moda.

Proprio quello di cui ha bisogno.

Di solito predilige esclusivamente i locali alla moda, con la musica in sottofondo, pieni di gente pronta a ridere, a divertirsi e, soprattutto, di belle ragazze compiacenti che fanno a gara per attirarsi le sue attenzioni. Ma non questa sera.

Vuole solo un posto dove nessuno lo conosca e lo infastidisca, un luogo dove poter affrontare i fantasmi del suo passato, che proprio quel giorno hanno deciso di fargli visita.

 

Qui non ci sono molti clienti. In un angolo alcuni uomini stanno giocando a carte. La loro pelle è scura, bruciata dal sole, probabilmente sono dei pescatori locali. Dopo aver dato un'occhiata intorno si avvicina fino al bancone, sedendosi su uno degli alti sgabelli. Qualche secondo più tardi si avvicina il barman.

"Cosa desidera?"

"Un bicchiere di pastis con ghiaccio"

"Glielo preparo subito"

Louis si passa una mano nei capelli biondi nervosamente. Dopo un tempo che a lui pare infinito, anche se in realtà è passato appena un minuto, il cameriere gli appoggia sul bancone, davanti, quanto ha ordinato. Immediatamente afferra con decisione il bicchiere e ingoia un lungo sorso tutto d'un fiato. Il liquido giallo chiaro è come fuoco mentre scende giù per la gola, fino ad arrivare allo stomaco, forte come se avesse ricevuto un pugno. Chiude gli occhi cercando di assorbire il colpo, mormorando una parolaccia a denti stretti.

Brucia dannazione!

Ma non è niente se paragonato alla rabbia che ha in corpo.

 

Nel pomeriggio c'è stata un'amichevole tra la sua squadra, il Bordeaux, e l’Olimpique Marsiglia allo Stade Vélodrome.

Tutti i pronostici li davano favoriti. L’attaccante di punta dei loro avversari, Jean-Pierre Croix, era rientrato da poco in seguito ad un infortunio. Non sapevano ancora se avrebbe giocato, ma in ogni caso, non era importante perché sarebbe stato lui, il grande Louis Napoleon, a dettare le regole e a segnare i goal. A due minuti dalla fine del primo tempo il Bordeaux stava vincendo per due reti a zero. Grazie ad una doppietta che portava la sua firma, modestamente.

 

Nessuno poteva sapere quanto fosse importante per lui il risultato di quella partita. Non aveva a che fare con la reputazione della sua squadra né ci teneva per un semplice vanto. Era una questione più profonda e personale. Inconsciamente si lasciò sfuggire una smorfia. Era qui, da solo, arrabbiato con sé stesso per colpa del calcio.

Del calcio.

Tutto ciò era molto ironico dato che, all’inizio, aveva odiato quello sport.

 

La sua famiglia era vissuta a Marsiglia per diverso tempo, prima che suo padre venisse trasferito per lavoro. Aveva all’incirca otto anni in quel periodo ed era un bambino abbastanza solitario. Forse quell’atteggiamento era dovuto alla sua timidezza, all’essere figlio unico oppure ai frequenti spostamenti in seguito all’impiego paterno. Non lo sapeva e non era molto importante ormai.

 

Il fatto che fosse piuttosto chiuso era stato sempre un cruccio per il padre. Lui non riusciva a comprendere come potesse divertirsi da solo e non mancava mai di farglielo notare.

Più volte si era lamentato.

"Louis perchè non vai a giocare con gli altri bambini?"

Non aveva mai capito il disagio che provava quando stava insieme agli altri, quell’insicurezza che lo bloccava e non gli permetteva di esprimersi.

 

Se l'ultima volta che avevano avuto quel tipo di conversazione Napoleon lo avesse guardato negli occhi forse avrebbe visto la luce diversa che lo animava e si sarebbe preoccupato. Invece quando, qualche giorno più tardi, tornò da lui furono un fulmine a cielo sereno le sue parole.

"Ho una sorpresa per te Louis: ti ho iscritto in una squadra di calcio"

Il figlio, incredulo di fronte a quella notizia, aveva aperto la bocca senza dire nemmeno una sillaba. Henri aveva interpretato quel comportamento in modo positivo e aveva continuato il suo discorso.

"Sono sicuro che ti troverai bene. E' importante che tu faccia un po' di esercizio fisico e, soprattutto, sarà un modo per farti degli amici. Vedrai che mi ringrazierai fra qualche settimana"

 

Mai affermazione fu più falsa.

Il primo giorno era stato presentato agli altri giocatori, che l'avevano guardato sospettosi, assumendo il normale comportamento tenuto da chiunque di fronte ad un estraneo che arriva a spezzare gli equilibri. Dopo aver corso varie volte intorno al campo come riscaldamento, erano cominciati i tiri con il pallone.

Quando era arrivato il suo turno, Louis aveva sentito su di sé gli occhi di tutti. Si era ripetuto più volte che era normale, che era solo un gioco e basta. L'agitazione, purtroppo, gli aveva fatto sbagliare mira e la sfera che aveva calciato era rotolata, come una trottola, senza nemmeno arrivare vicino allo specchio della porta.

Un disastro.

Dietro di sé aveva sentito i suoi compagni ridacchiare e anche mormorare delle battutine su di lui.

Quella sera, andando a dormire, aveva capito di odiare il calcio.

 

Negli allenamenti seguenti il copione si era ripetuto uguale, come un film che viene trasmesso più volte. Non era capace di giocare e, ovviamente, gli altri ragazzi se ne approfittavano prendendolo in giro ogni volta che mancava un passaggio o tirava la palla in una direzione sbagliata.

Si sentiva umiliato.

Tutti i giorni era costretto ad andare in quel campo ed essere deriso da quelli che suo padre sperava diventassero amici. Più di una volta aveva fantasticato di andare dalla madre e raccontarle ogni cosa, pregandola di portarlo via da lì.

Ma non l’aveva mai fatto.

Per quanto fosse una sofferenza, chiedere aiuto sarebbe equivalso ad essere un debole e lui non voleva esserlo. Non lo era.

 

Poi, un giorno, tutto cambiò.

 

L’allenatore li aveva divisi in due squadre per giocare una vera partita. Durante il primo tempo un avversario aveva tirato in porta e, più o meno volutamente, l’aveva colpito allo stomaco. Il colpo l’aveva fatto cadere ed era rimasto riverso a terra, con un dolore sordo che quasi gli impediva di respirare. Le lacrime pungevano negli occhi mentre cercava con tutte le forze di trattenerle.

Ironicamente i suoi compagni, con quel gesto, gli avevano fatto un favore.

In quel lungo minuto trascorso a terra, tra l’erba e la polvere del campo, aveva sentito crescere nel suo animo tutta la rabbia accumulata, trovando infine la forza di reagire e combattere.

 

Aveva giurato dentro di sé, in quell’istante, di diventare un grande calciatore e ripagare con la stessa moneta i suoi cari compagni.

 

Si era impegnato con tutte le sue forze durante gli allenamenti e, anche a casa, ogni momento libero era dedicato al calcio. Giorno dopo giorno, con sorpresa, si era reso conto di come gli riuscisse facile gestire il pallone. Non sembrava nemmeno lo stesso ragazzino che, qualche mese prima, non riusciva a calciare la sfera nella direzione giusta. Aver acquisito sicurezza e fiducia in sé stesso aveva portato a galla le sue vere attitudini.

Giocare a calcio era diventata la cosa più facile del mondo.

Nell’ultima partita di allenamento era riuscito ad impossessarsi del gioco e aveva dribblato tutti i suoi avversari, lasciandoli di stucco, fino a giungere davanti alla porta. Ricordava ancora, come fosse ieri, lo sguardo ironico del portiere che lo fissava con indulgenza, ritenendolo incapace di centrare persino lo specchio della porta. Quei pochi secondi trascorsi prima di tirare se li era gustati fino in fondo. Aveva stretto gli occhi e sorriso con strafottenza al suo compagno, prima di tirare una bordata che si era insaccata alle sue spalle, senza che questi riuscisse nemmeno a muoversi per tentare di pararlo.

Soddisfatto si era leccato le labbra assaporando virtualmente il sapore della rivincita e della vendetta, scoprendo quanto dolci fossero.

 

Quella sera, per la prima volta da mesi, era riuscito a chiudere gli occhi e ad addormentarsi serenamente perché aveva finalmente uno scopo.

Ma la cosa più importante era stata aver capito di non odiare il calcio, anzi

 

Purtroppo la sua battaglia per emergere non era ancora finita. L’allenatore era rimasto sorpreso dal suo modo di giocare ma aveva deciso di impiegarlo in difesa. C’erano altri ragazzi, in squadra da molto più tempo, già abituati a stare in attacco e lui non se la sentiva di rischiare il campionato solo perché aveva mostrato di saper finalizzare un’azione.

Ma Louis non era per niente d’accordo. Aveva capito di non essere fatto per stare nella retroguardia, a contrastare gli attaccanti avversari e recuperare la palla da passare al centrocampo. Non sopportava di dover faticare, riguadagnando il gioco, e poi rimanere a guardare mentre i suoi compagni correvano verso l'area di rigore e segnavano un goal, raccogliendo gli applausi e il tifo del pubblico.

Lui voleva essere un protagonista.

Desiderava correre lungo il campo, scartare i giocatori che cercavano di bloccarlo e arrivare fino alla porta, insaccando con un'azione spettacolare la palla in rete.

Questo voleva fare.

Sapeva di avere le qualità necessarie, l’abilità e l’intelligenza per essere un grande goleador.

Così aveva insistito con l’allenatore, arrivando anche a scontrarsi duramente con lui, rimanendo fermo nelle proprie convinzioni. Poteva fare la differenza in campo, ne era più che certo. Era sicuro che non fosse un caso il fatto che si chiamasse come un grande condottiero.

Era nato per essere un leader e portare alla vittoria la sua squadra.

 

Non avrebbe mai dimenticato la sua prima partita da attaccante. Si era rifiutato di impegnarsi nel ruolo di difensore ma quell’atteggiamento, però, era servito a fargli ottenere solo la panchina. Furente per la sua cocciutaggine, l’allenatore lo aveva estromesso affermando che non voleva un giocatore in campo così indisciplinato. Lui aveva serrato le labbra e aveva accettato, senza commentare, quella decisione.

Tutto o niente.

Avrebbe giocato da attaccante o non avrebbe giocato affatto.

L’amichevole prevista si sarebbe svolta nel prestigioso Stade Velodrome, riaperto di recente dopo essere stato ristrutturato.

 

A pochi minuti dalla fine del primo tempo la loro squadra stava perdendo per 2-0. Chiaramente i loro avversari erano superiori come gioco. Lui era rimasto seduto, a braccia conserte, quasi contento di quel risultato. Era la giusta punizione per averlo estromesso. Durante la pausa il mister aveva cercato di caricare i ragazzi, spronandoli a reagire. Poi si era zittito per qualche secondo e, infine, aveva girato il capo nella sua direzione.

“Preparati Napoleon, entri tu nel secondo tempo… al posto di Fontaine”

Un sorriso di trionfo era comparso sulle sue labbra.

Finalmente sarebbe entrato come punta.

I successivi quarantacinque minuti videro una squadra completamente diversa. Prima di tornare in campo aveva ammonito i suoi compagni: dovevano passargli ogni palla recuperata, ci avrebbe pensato a lui a segnare.

Il primo tempo, passato in panchina, gli era servito per studiare il modo di muoversi dei loro avversari. Per questo motivo era stato un gioco da ragazzi aggirare la difesa, entrare con facilità nell’area di rigore e infine caricare il piede destro per un micidiale tiro ad effetto. Il portiere si era lanciato verso il secondo palo a sinistra, convinto di poterlo intercettare ma, all’improvviso, il pallone si era spostato insaccandosi nel lato opposto della porta. I loro tifosi, ormai rassegnati alla sconfitta, erano rimasti stupiti e increduli per qualche secondo di fronte alla sua azione perfetta. Poco dopo però l’urlo di gioia, che si era alzato dagli spalti, lo aveva avvolto come un abbraccio e lui si era goduto il trionfo, soffermandosi per un momento a guardare il mister, con espressione soddisfatta. La partita si era conclusa con l’inaspettato risultato di 3-2 per il Marsiglia, con una tripletta siglata dalla nuova stella nascente Louis Napoleon.

Quell’incontro aveva rappresentato la sua prima vittoria e l’inizio della sua carriera.

 

Era stata inebriante la sensazione di sentirsi un grande calciatore, di entrare in campo e fare la differenza in mezzo a tanti giocatori mediocri. Nel corso degli anni aveva anche scoperto di provare un perverso piacere nell’umiliare gli avversari che non erano alla sua altezza.

 

Il calcio aveva trasformato totalmente la sua vita.

L’aveva reso sicuro di sé. Aveva fatto emergere la sua vera personalità e questo nuovo Louis gli piaceva molto.

 

Napoleon beve l’ultimo sorso di whisky tornando al presente.

E’ questo il motivo per cui teneva particolarmente a quella partita. Lì era nato come attaccante e avrebbe voluto dimostrare una volta di più la sua superiorità, invece di farsi buttare fuori nel tentativo di eguagliare la prima tripletta. Forse è stata una parte del vecchio sé stesso, timido e insicuro, a farlo reagire in quel modo falloso nel tentativo di ottenere il terzo goal.

 

Piano piano si accorge che la rabbia sta svanendo, probabilmente gli alcolici bevuti iniziano a fare il loro effetto o forse ha accumulato troppa stanchezza, non può spiegare in altro modo il momento di debolezza di questa sera. Non gli piace commiserarsi e ripensare al passato.

 

Piega il braccio controllando le lancette del suo costoso orologio. Ormai è tardi per tornare in centro, in qualche locale un po’ più movimentato. Tanto vale rimanere qui e bersi un altro bicchiere di pastis, piuttosto buono considerato il posto in cui viene servito.

Da tanto non si gode una serata tranquilla. Nemmeno se lo ricorda più da quanto tempo non sta da solo!

 

Questa sera, proprio a Marsiglia, prova a riassaporare il piacere della solitudine, del rimanere semplicemente con i propri pensieri.

Solo per questa notte.

Da domani tornerà ad essere di nuovo sé stesso, l’attaccante francese osannato dalla folla, capace di stupire il pubblico e far vincere la propria squadra.

 

Perché lui è, e sarà sempre, il grande Louis Napoleon.

 

 

Stood there boldly

Sweatin' in the sun

Felt like a million

Felt like number one

 

Rimanevo là con coraggio

Sudando sotto il sole

Sentendomi come uno in un milione

Sentendomi come il numero uno

 

My hands were steady

My eyes were clear and bright

My walk had purpose

My steps were quick and light

And I held firmly

To what I felt was right

Like a rock

 

Le mie mani erano salde

I miei occhi limpidi e luminosi

Il mio camminare aveva uno scopo

I miei passi erano rapidi e leggeri

E sostenevo con fermezza ciò che pensavo fosse giusto

Come una roccia

 

 

“Like A Rock” di Bob Seger

 

  
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