PROLOGO
Manhattan,
famoso quartiere dell’Upper East Side, è una città conosciuta principalmente
per essere la sede delle più costose abitazioni di New York, ma soprattutto per
essere uno dei posti al mondo con il più alto costo di vita.
Manhattan
è la città dove ciò che più conta è l’apparire e certamente è il quartiere di
ritrovo della maggior parte delle famiglie più altolocate e di tutti i figli di
papà che girano in limousine e bevono litri di champagne quasi fosse acqua.
Manhattan
per molti è il paradiso in terra, per altri l’inferno.
E
l’inferno, o ciò che più gli somiglia, lo era per Damon Salvatore, il figlio
del plurimiliardario Giuseppe Salvatore presidente delle “Salvatore Industry
Consolidated”.
Damon,
per questo, aveva abbandonato la sua città natale quattro anni prima
lasciandosi alle spalle tutto quello che essa rappresentava. Non aveva mai
avuto nulla contro la città vera e proprio, ma i rapporti non certo idilliaci
con il padre lo avevano portato a fare le valigie e andare via come se mettere
chilometri e chilometri di distanza tra lui e l’uomo che lo aveva messo al
mondo avrebbero potuto cancellare il suo cognome e ciò che esso rappresentava.
Così
un bel giorno aveva fatto le valigie e aveva preso un aereo che lo aveva condotto
lontano, in una città dove avrebbe potuto e voluto ricominciare per dimostrare
al mondo, ma soprattutto a se stesso che forse anche i figli di papà possono
ricominciare da zero se lo vogliono davvero. C’era riuscito? Sicuramente sì e
la cosa non stupiva nessuno più di tanto perché Damon era sempre stato un tipo
sveglio, intraprendente, uno che sapeva farsi spazio nel mondo.
Tutto
nella sua vita procedeva più che normalmente fino a quando una chiamata, una
semplice chiamata, lo aveva costretto a rivedere ogni suo singolo piano perché
di fronte a certe cose non poteva far finta di nulla anche se avrebbe voluto.
“Che
succede fratello?” aveva domandato proprio Damon al telefono dopo aver
controllato il mittente della chiamata, ma soprattutto dopo essersi reso conto
dell’orario.
“Ciao
Damon, come stai?” aveva risposto Stefan dall’altro capo del telefono.
“Sono
le tre del mattino, fratello. Vuoi davvero farmi credere che mi hai chiamato
solo per sapere se stavo bene?” domandò il moro sarcastico.
“Mi
dispiace. Non ho fatto caso all’ora” si scusò l’altro.
“Arriva
al punto” continuò “non per fare l’irascibile, ma non ho tutta la notte a
disposizione” aggiunse.
“Si
tratta di papà”.
“Buona
notte, Stefan” tagliò corto.
“No
aspetta Damon, non riagganciare”.
“Sono
certo che niente che riguardi quell’uomo possa interessarmi, quindi se non c’è
altro che vuoi dirmi concluderei qui la chiamata”.
“Fammi
almeno parlare. Ti prego”.
Damon
rimase in silenzio qualche istante, poi sbuffando sonoramente riprese a
parlare.
“Che
diavolo succede?”
“La
situazione è peggiorata. Non gli resta molto”.
“Ricordami
perché questo dovrebbe essere un mio problema” gli rispose il moro usando
ancora il suo solito tono sarcastico.
“I
medici dicono che è questione di giorni” continuò l’altro ignorando le parole
del fratello.
“E
cos’è che vuoi da me?”
“Ha
chiesto di te. Ti vuole vedere”.
“Io
no” rispose freddo.
“Damon
io lo so che voi due non siete mai andati d’accordo e so anche che è colpa sua
se la nostra non è mai stata una vera famiglia. So che ti ha sempre dato contro
e so che è per lui se hai messo tra te e noi chilometri e chilometri di
distanza, ma adesso è su un letto di morte che chiede di vederti. Forse sarebbe
il caso che tu venissi qui” provò a dire con estremo tatto avendo timore della
reazione del fratello.
“Non
me ne frega un cazzo se sia o meno su un letto di morte. Decisamente non verrò
lì a dargli l’estrema unzione” rispose con menefreghismo.
“Sarebbe
un modo per rivederci”.
Damon
sapeva bene che il fratello si stava aggrappando a qualunque cosa pur di farlo
andare lì, ma Stefan non poteva capire fino in fondo quanto odio lo legasse al
padre, quanto quell’uomo gli avesse rovinato la vita semplicemente perché per
il minore dei fratelli, quello dal carattere più mite, la vita era stata più
generosa e anche il padre.
“Puoi
sempre venire a trovarmi. Nessuno te lo vieta”.
Stefan
non rispose subito e ci furono un paio di secondi di silenzio, poi si decise a
riprendere la conversazione.
“Dovrai
venire comunque dopo. Non puoi lasciarmi solo per il funerale e non puoi pretendere
che mi occupi da solo di tutte le pratiche relative all’azienda e di tutto il
resto che la morte di papà comporterà”.
“Sono
sicuro che te la caverai alla grande”.
“Damon,
non puoi farmi questo. Non puoi lasciarmi affrontare tutto questo da solo. Ho
bisogno di mio fratello”.
Il
moro sbuffò sonoramente. Non pensava che il fratello sarebbe arrivato a questo
e Stefan dal canto suo sapeva che solo facendo leva sul ruolo di “fratello
maggiore” di Damon avrebbe potuto convincerlo.
“Quando
cazzo hai imparato a giocare sporco?”
“Sono
o non sono tuo fratello?” gli domandò Stefan retorico lasciandosi andare a un
mezzo sorriso.
“Ok,
hai vinto. Vedrò di essere lì il prima possibile” gli disse lasciandosi
convincere “ma sarò lì per te, non per lui” aggiunse.
“Grazie”.
“Grazie
un cazzo” rispose stizzito Damon prima di chiudere la conversazione senza dare
il tempo al fratello di aggiungere nulla.
Stefan,
accorgendosi che il moro aveva bruscamente interrotto la chiamata, scosse la
testa ripetutamente, ma un sorriso si impadronì del suo viso. Damon non sarebbe
cambiato mai, era il solito fottuto testa di cazzo, ma era suo fratello e lui,
anche se probabilmente non lo avrebbe mai ammesso a voce alta, non lo avrebbe
cambiato per nulla al mondo, nonostante tutto.
…Sic58…
NOTE:
· Era parecchio che non mi dedicavo ad una Delena, ma il ritrovato entusiasmo per la nuova stagione mi
ha convinto a scrivere nuovamente di questi due perché per quanto se ne possa
dire in giro, per me, sono entrambi il grande amore dell’altro. Spero di avervi
incuriosito con questo prologo e se così è stato ci vedremo presto per il
capitolo numero 1, nel quale entreremo già nel vivo della storia.