Fanfic su artisti musicali > The GazettE
Ricorda la storia  |      
Autore: namineko    06/10/2014    1 recensioni
« Sei sempre stato un ragazzo strano e ti dirò, probabilmente mi piacevi - e mi piaci - proprio perché sei strano. Ma è quello strano bello, quel tipo di stranezza che in un certo senso colpisce e ti arriva dritto a cuore, e non ti lascia scampo, quando lo fa. »
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Ruki
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Mi sono sempre chiesta per quanto ancora quella storia sarebbe andata avanti, sai, Takanori?
Non ho mai smesso di pensare a quelle condizioni così disastrose in cui ogni sacrosanta volta ti riducevi; puntualmente finivi nella stanza di quell’ospedale, sempre la stessa, la 219.
Solitamente non ho una memoria così ferrea, ma sai com’è, a tornare e ritornare nello stesso posto, dopo un po’ le cose iniziano a stampartisi in mente. Nemmeno so come sia possibile, in realtà, che adesso mi ritrovi da sola con me stessa accanto alla finestra, che osservo la luna ed ascolto quelle goccioline di pioggia che, lente ed inesorabili, finiscono al suolo, schiantandosi: proprio come ho fatto io, il giorno in cui ti ho incontrato.
Non era difficile, a dirla tutta, immaginare come sarebbe finita quella sera: il concerto era finito ed io me ne stavo dietro le quinte, aspettando che voi faceste la vostra comparsa lì e come al solito vi apprestaste a dare un po’ di attenzione ai fan e tutto il resto.
Ma quella volta, proprio quella, tu eri diverso; avevi un non so che di strano, sembravi triste. Forse ti erano tornate in mente cose non proprio allegre, o probabilmente non eri soddisfatto appieno di quella che doveva essere una grande esibizione - ma, lasciatelo dire, quella fu grande davvero. E non sono di parte, lo giuro. Forse solo un po’, ma facciamo finta di niente.
Io me ne accorsi, sai? Come al solito feci finta di niente, ma non era esattamente così: mi soffermai a guardare il tuo viso, un po’ più accigliato del normale, e notai distintamente la freddezza con cui trattasti sia i tuoi ammiratori, sia i tuoi compagni. Per quanto riguarda me, io restai al mio posto, come sempre, ad osservare in silenzio, da lontano.
E diversamente dalle volte precedenti, provai un senso di tristezza, a vederti così. Non so spiegartene il motivo, sinceramente, ma fu esattamente così.
Le goccioline continuano a sbattere contro l’asfalto e sulla finestra, che sembra essere succube del loro tocco. Chissà se potesse parlare cosa direbbe, poverina, che ogni volta è costretta a questa lieve tortura.
Mi ricorda un po’ quella situazione, quella creatasi nel momento in cui abbiamo iniziato a conoscerci un po’, quella stessa sera. 
Eri scostante, e non nego che avrei tanto voluto tirarti l’asta del microfono in testa, per quanto mi davi fastidio… Ma nonostante questo, volevo interessarmi al tuo stato d’animo e volevo capire qualcosa in più riguardo la tua persona che, puntualmente, tendeva a nascondersi dietro una fitta maschera, solo e soltanto per far piacere ai fan e alla gente della casa discografica; non l’ho mai trovato giusto, assolutamente.
Sono sempre stata dell’opinione che gli artisti dovrebbero essere liberi di esprimere se stessi, e che dovrebbero ribellarsi a questa sorta di “dittatura” a cui sono sottoposti: proprio come te, che quella sera dovesti far finta che andasse tutto bene… Ma sai? Il tentativo non ti riuscì proprio alla grande, siccome in seguito sentii anche delle persone lamentarsi a causa del tuo comportamento distaccato, distante, quasi come se ti facessero schifo.
Ah, se solo avessero saputo cosa stavi passando. Probabilmente sarebbero rimasti tutti zitti e, magari, ti avrebbero chiesto scusa.
E ti dirò di più, se lo avessi saputo anche io, quasi sicuramente l’asta del microfono l’avrei tirata in testa a loro, ed a te avrei portato qualcosa di dolce nel tentativo di farti calmare un po’; ma purtroppo, ahimè, non fu possibile.
Però beh, col senno di poi è tutto facile, ed è tutto relativo. Ma mi perdoni, per questo, non è vero? Mi perdonerai sempre, giusto? Come hai fatto quel giorno e come hai fatto in quelli a venire, quando continuavo ad incocciare su delle cose che credevo di sapere, ma che invece mi erano del tutto sconosciute.
Il fatto è che da quella sera, possiamo dire, tutto è cambiato: io ho iniziato ad insistere per capirti e tu, in un qualche modo a me ancora ignoto, hai provato a fidarti di me. Mi hai raccontato spaccati di vita che ti riguardavano, mi hai spiegato determinate cose che nemmeno gli altri ragazzi potrebbero immaginare… Ed inoltre, mi hai regalato quei sorrisi che non hai mai mostrato a nessuno. Insomma, Takanori, da quella sera in poi tu mi hai mostrato te stesso.
Ed ho visto un piccolo uomo, alto un metro e sessantadue, diventare un gigante nei momenti in cui sentivi che qualcuno mi aveva fatto arrabbiare; ti ho visto diventare grande e grosso, così grande da essere in grado di avvolgermi tra le tue braccia quando le lacrime mi solcavano il viso, nei momenti di sconforto totale.
Buffo, eh? Io volevo essere forte per te, e invece il più delle volte lo sei stato tu per me. 
In quelle situazioni, a volte, mi sono sentita davvero tanto, tanto egoista.
Ma ti voglio dire una cosa: non rimpiango né una carezza, né un abbraccio, né un singolo bacio avuto da quella sera in poi.
Non lo rimpiango nemmeno quando ripenso ai momenti in cui ti ho visto distruggerti con le tue stesse mani, quando prendevi la bottiglia e la riducevi all’osso nel giro di pochi minuti; io ero impotente, inutile e non sapevo che fare.
Stessa stanza, stessa casa, stesso tutto. E pensare che mi ero guadagnata quell’amore, o perlomeno quel qualcosa che gli somigliava, passo dopo passo, giorno dopo giorno e mese dopo mese. 
Mesi che sono diventati poi anni, e che ti hanno portato ad essere più grande di quanto tu non sia mai stato - e non parlo della statura, quella non la si cambia, purtroppo per te. E mentre scrivo queste cose, sai, mi viene da ridere… Mi ricordo quando ti prendevo in giro per il fatto che fossi più alto di me soltanto di qualche centimetro, e tu ti arrabbiavi perché dicevi che non era colpa tua. 
Ti infuriavi proprio, ma più ti infuriavi e più ridevo, e più ridevo e più incocciavi… Fino a quando non scoppiavi a ridere di conseguenza, perché non riuscivo a fermarmi nemmeno per qualche istante, arrivando fino alle lacrime tanta l’ilarità della situazione. Ed il bello è che tutto ciò accadeva nei momenti meno aspettati, magari anche mentre ci trovavamo nel bel mezzo di una discussione simil-seria o che so io. Era divertente, perché riuscivamo sempre ad uscirne - e pensare che era anche una motivazione idiota, per smettere di litigare. Ma funzionava sempre, alla fine.
Sei sempre stato un ragazzo strano e ti dirò, probabilmente mi piacevi - e mi piaci - proprio perché sei strano. Ma è quello strano bello, quel tipo di stranezza che in un certo senso colpisce e ti arriva dritto a cuore, e non ti lascia scampo, quando lo fa. 
Ecco, vedi? Tu non mi hai lasciato scampo. E non me lo hai lasciato, perché a causa tua mi sono ritrovata ad allontanare quelle che avrebbero dovuto essere le mie priorità principali… E invece, quella principale sei diventato tu: tu e i tuoi problemi, tu e quello stramaledetto vizio che avevi e che ti ha portato a questa situazione del cazzo. Eppure, non me ne sono mai pentita e non te l’ho mai fatto pesare.
Perché? Semplicemente perché quello che ho sempre provato per te, mi dava la forza per perseverare in quello che credevo giusto: starti accanto, a discapito di tutto e tutti.
Mi ricordo quel giorno in cui tornai a casa, dopo una giornata di lavoro, ed entrando si sentiva un odore acre e molto poco piacevole, assieme a quella cappa di fumo che annebbiava la vista in modo praticamente immediato; venni a cercarti in tutte le stanze, e ti trovai per terra in camera da letto, con la solita bottiglia di birra… Accompagnata da altre bottiglie poste accanto a te. 
Immediatamente mi chiesi il perché ed il motivo di quella autodistruzione… Insomma, tra noi le cose andavano bene e la tua carriera era alle stelle: allora perché, ancora una volta, avevi cercato di farti del male in quel modo? Soprattutto, dopo che avevi promesso e ripromesso di smetterla. Dicevi che sarebbe cambiato tutto, che la mia presenza ti avrebbe giovato, che io ti facevo bene all’anima.
E invece, quel giorno, altro non facesti che sputarmi cose orribili addosso, dicendomi che dovevo farmi i cazzi miei, che la tua vita non mi riguardava. E fu anche la prima ed ultima volta che mi mettesti le mani addosso, nel modo più atroce che mai avrei potuto pensare, da parte tua.
Non mi avevi mai toccata, non ti eri mai permesso. E invece, mi ritrovai con delle lesioni e delle contusioni; ti alzasti dal pavimento e mi prendesti di forza, facendomi cadere a terra, per poi prendermi a calci mentre piangevi e ripetevi che era tutto sbagliato. E continuavi, mentre io urlavo e ti chiedevo di smetterla.
Ma tu non smettevi.
Credo che quello sia stato il giorno più brutto della mia vita, lo sai? Ho seriamente pensato che l’avresti fatto ancora, che avrei potuto rischiare sul serio a starti ancora accanto. Ma poi cadesti nuovamente e ti accucciasti portandoti le mani in viso, piangendo.
In quel momento non riuscii a dire nulla, ero troppo spaventata. Il mio respiro era corto e avevo la tachicardia. Avevo paura di te, lo ammetto, e non mi sono mai sentita così uno schifo per quello; anche perché il giorno seguente a tutta quella situazione, ci svegliammo lì sul pavimento e tu mi guardasti con gli occhi di qualcuno che aveva commesso un omicidio e non se ne era reso conto. Da lì, ho capito.
Perché i tuoi occhi non hanno mai saputo mentirmi, nemmeno quando ci mettevi tutto te stesso. Non sei mai riuscito a sfuggire alla mia capacità di comprendere ogni tuo gesto, non è vero? E quanto ti poteva dare fastidio, lo sappiamo solo noi.
Sei sempre stato un tipo che amava starsene per fatti suoi, ed al contempo amava far sì che nessuno capisse ciò che gli passava per la testa. Ma con me, tutto ciò non è mai stato possibile. E credo che, probabilmente, facessi più paura io a te di quanta quel giorno ne facesti tu a me.
Era quasi assurda, la cosa.
Eppure, nonostante tutto, mi hai sempre apprezzata e io l’ho capito tardi, forse.
L’ho capito quando non ho più avuto la possibilità di guardarti negli occhi, nel momento in cui mi hai lasciata da sola a bruciare nelle fiamme ardenti della frustrazione. Un po’ drastica, eh? Sembrerebbe di sì, ma ti posso assicurare che quando trovai quel tuo biglietto che diceva che saresti andato via, che era meglio così, mi sono sentita mancare l’aria, l’ossigeno e la vita stessa.
Provai a chiamarti, ma non è mai servito a nulla. Evidentemente avrai cambiato numero, e nemmeno gli altri erano reperibili, in alcun modo; non rispondevi alle mie email e non ho mai più avuto tue notizie.
E la sai l’assurdità della situazione, Takanori? In quella stanza di ospedale, la 219, ci sono finita io. Mi ci trovo anche adesso, e non per una visita occasionale, e nemmeno perché sono innamorata di quest’ospedale.
Questa è la stanza riservata alla riabilitazione, alle terapie di disintossicazione. Una pacchia, eh? Tu lo sai bene, perché qui ti ci ritrovavi più che spesso. E l’ultima volta che hai visto questa stanza, ero abbastanza soddisfatta dei risultati che avevi ottenuto. 
Sembrava che fossi guarito, per così dire. Ed in effetti lo eri; da quella volta cambiarono un bel po’ di cose e ne ero sinceramente contenta, perché sorridevi ed eri decisamente più tranquillo. Stavi bene, e quindi stavo bene anche io.
Ma quando te ne sei andato… Quella che è crollata, quella che si è persa sono stata io. Non mi ricordo nemmeno com’è che ci sono finita, qui. Perché certamente io non ne avevo parlato a nessuno, dato che ero ben consapevole, nonostante tutto, di avere problemi ed avevo timore di crearne a mia volta ad altre persone - come al solito, e come tu ben sai.
E quindi adesso mi ritrovo in questa camera completamente bianca, arredata con mobili del medesimo colore e che mi mettono una tristezza assurda, più della pioggia che fuori si infrange contro gli oggetti, contro le piante, contro le pozzanghere sì da creare piccole increspature, difficilmente visibili da qui.
Magari questa lettera ti arriverà, magari no; e sappi solo che ti scrivo da qui per dirti che non ti ho mai dimenticato, amore mio. E mai ti dimenticherò, perché tu sei stato “il mio ombrello e la mia pioggia”, mi distruggevi e mi ridavi vita ad intermittenza.
Ma, assurdamente, posso dirti che ho vissuto più di quel credevo di poter vivere.
E per questo ti ringrazio, perché così mi sto rendendo conto di tante e tante cose: io dipendevo da te, e sono in crisi di astinenza. Lo ammetto, non è positivo.
Ma tu eri e sei la mia droga, e per questo tipo di cose non c’è riabilitazione che regga.
Aspetto il tuo ritorno, mi basta anche un “okay” come risposta a queste righe che forse ti raggiungeranno, forse no.
Sboccerò, mi rialzerò, e spero che tu possa vedermi fiorire proprio come i ciliegi in primavera. E come i fiori di ciliegio, colorerò quei momenti di grigiore che ti prenderanno quando, magari, penserai a me di conseguenza, quando il mio stesso pensiero ti arriverà dritto al cuore.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > The GazettE / Vai alla pagina dell'autore: namineko