Anime & Manga > Dragon Ball
Ricorda la storia  |      
Autore: angelo_nero    07/10/2014    1 recensioni
Dal testo: "Si accese l'ennesima sigaretta, imprecando quando si scottò con l'accendino. Il fumo grigio le oscurò la vista del cielo che piangeva per lei – Fanculo! Anche il tempo ci si mette!-
Si alzò dal gradino e cominciò a camminare, non le importava dei capelli che le si appiccivano al volto, non le importava dei vestiti bagnati, degli sguardi della gente, delle scarpe ormai zuppe, non le importava più nulla ormai."

Questa storia ha partecipato al contest "Contest Anime e Manga Song's" indetto da bakakitsune.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Stay Strong

 

Nick Autore (forum e efp): bulma97 (forum) angelo_nero (efp)

Titolo: Stay Strong – Sii forte

Fandom: Drangonball

Personaggi: Bulma, Vegeta

Genere: Triste, drammatica, romantica

Rating: arancione

Note/Avvertimenti: AU, Whati if?, contenuti forti, tematiche delicate, violenza

Pacchetti scelti: Gruppo 9- Gemelli diversi: Mary

NdA: Era una storia che avevo in testa da tempo ma non ero mai riuscita a buttare giù una riga. Questo contest è stata l'opportunità per tirare fuori ciò che la mia mente rimuginava da tempo.

È una storia veritiera in un certo senso, dato che molti adolescenti vivono questa situazione. Spero di essere riuscita ad esprimere la canzone a pieno senza uscire dai personaggi o andare sul pesante :)

 

 

 

I think scars are like

battle wounds- beatiful,

in a way.They show what

you've been through and

how strong you are for

coming out of it.”

cit. Demi Lovato

"Penso che le cicatrici siano

come ferite di battaglia - belle

in un certo senso. Esse mostrano ciò

che hai passato e

quanto sei forte

essendone venuto/a fuori."

 

 

 

Fissava dritto davanti a sé, con lo sguardo perso nel vuoto.

L'aveva fatto.. di nuovo.

Nessuno aveva provato a fermarlo, nessuno aveva provato a difenderla, nessuno gli aveva detto niente, nessuno. Nemmeno lei. Lei che avrebbe dovuto proteggerla a costo della vita, lei che aveva giurato fedeltà eterna a quel mostro, lei che non l'aveva neanche guardata negli occhi quando, ormai distrutta, le aveva sbattuto in faccia quei segni, lei che non aveva osato pronunciare parola in suo favore, lei che invece si è comportata da vigliacca, lei che le aveva fatto più male di quanto non ne avesse subito da lui.

Si accese l'ennesima sigaretta, imprecando quando si scottò con l'accendino. Il fumo grigio le oscurò la vista del cielo che piangeva per lei – Fanculo! Anche il tempo ci si mette!-

Si alzò dal gradino e cominciò a camminare, non le importava dei capelli che le si appiccivano al volto, non le importava dei vestiti bagnati, degli sguardi della gente, delle scarpe ormai zuppe, non le importava più nulla ormai.

Buttò via la sigaretta, ormai ridotta a un mozzicone fradicio, e si mise le mani in tasca per riscaldarsi almeno un minimo.

Camminava lenta e ripensava: tutto ciò che era accaduto negli ultimi anni non le sembrava vero. Come è successo? Come si era arrivati a quello? Non lo sapeva e non lo voleva neanche sapere. Ormai ciò che è fatto è fatto, non si può più tornare indietro.

Si sedette su uno scalino, sotto la tettoia di un portone, e ,mettendosi in un angolo per non intralciare il via vai degli abitanti, si abbracciò le ginocchia posandovi il mento fissando un punto immaginario davanti a lei: l'ultima settimana era stata la peggiore.

Non riusciva a non pensare a ciò che era successo, ciò che da ormai 5 anni la tormentava. Gli insegnanti l'aveva vista strana, aveva provato a chiederle cosa fosse successo se ci fossero problemi in famiglia ma lei continuava a negare dicendo che era tutto apposto mentre la sua anima, oramai lacerata, gridava che dovesse parlare con qualcuno. Ma lei si rifiutava di aprire bocca, credendo che fosse solo un breve periodo che sarebbe presto scomparso.

Il tempo passava ma la situazione non migliorava: suo padre, colui che aveva sempre ammirato e stimato, aveva cominciato a bere diventando violento con la madre e con lei. La situazione degenerò quando, una sera, il padre tornò ubriaco e strafatto da un convegno di lavoro:

 

Erano all'incirca le 22:00 e lei si trovava ancora in cucina a finire di studiare mentre la madre lavava i piatti della cena consumata.

D'un tratto la porta si spalancò e suo padre entrò barcollante in casa, lanciò la ventiquattrore su divano e si appoggiò ad esso colto da un capogiro.

-Ciao tesoro! Come è andato il convegno?- lo salutò la maglie asciugandosi le mani -Ciao papà!- disse la ragazza senza staccare gli occhi dal libro. L'uomo non rispose.

La ragazza si voltò preoccupata dalla mancata risposta del padre -Papà? Ti senti bene?- gli chiese. Per tutta risposta l'uomo drizzò le spalle come se si fosse improvvisamente ripreso -sto benissimo...- rispose biascicando.

Cominciò a camminare nella loro direzione a passo svelto e barcollante. Si avvicinò alla moglie e l'unica cosa che si sentì fu uno schiocco rimbombare e poi un tonfo. -Puttana..!- disse a bassa voce -Sei solo una puttana! Lo so che te la fai con un altro! Mi fai schifo!- le sputò in faccia tutto il disprezzo. La donna si limitava ad abbassare la testa e subire gli insulti del marito, in silenzio. -Cosa stai dicendo papà! Tu no..- -Zitta Bulma!- le urlò la madre. La ragazza spalancò gli occhi, strinse i pugni e i denti, ma non proferì parola. Intanto il padre aveva preso per i capelli la madre, facendole sfuggire un gemito di dolore -Allora a qualcosa servi... Dato che non sei più in grado di soddisfarmi almeno la madre pensavo la sapessi fare bene. Invece fai schifo anche in quello.- lasciò i capelli della moglie che ricadde a terra dolorante e si diresse verso la ragazza che cercò di scappare: ma lui fu più veloce e l'afferrò per i capelli facendola gridare di dolore -Dove credi di scappare, stronzetta? Pensi di passarla liscia?- sempre tenendola dai capelli la trascinò sul divano poco distante. Da quel momento in poi solo un tremendo dolore, fisico e morale.

Il carnefice aveva trovato la sua vittima con cui giocare e solo quando sentì il liquido cremisi macchiargli la pelle si staccò da lei. La madre aveva assistito impotente.

 

Da lì in poi le cose erano peggiorate: il padre tornava sempre più spesso a casa ubriaco e/o drogato, picchiava e insultava la madre, prendeva a calci qualsiasi cosa bestemmiando e solo alla fine abusava di lei, togliendole quella poca dignità che ancora le era rimasta.

Si strinse nelle spalle quando una folata di vento gelido la colpì in pieno facendola tremare di freddo e buttando sotto la pioggia la sua borsa, rovesciandone il contenuto. -Merda! Destino infame ce l'hai proprio con me!- disse andando a recuperare la borsa fradicia. -I vestiti sono tutti bagnati adesso! Fanculo giornata di merda!- buttò la sacca sullo scalino e si risedette tremando come una foglia.

-Cosa ci fai tu qui?- chiese una voce. La ragazza si voltò verso il ragazzo che sostava in piedi di fianco a lei. Poi tornò a fissare il vuoto. -Non ce l'hai una casa?- chiese ancora non ricevendo una risposta.

La ragazza continuava a fissare dritto davanti a sé senza degnare il ragazzo di una risposta -Sembri una barbona con i vestiti fradici seduta sullo scalino- ancora nessuna risposta -Ehi dico a te! Pronto? C'è qualcuno in casa?- disse dandole dei leggeri colpetti sulla testa. -Fottiti, Vegeta!- gli rispose – Allora ce l'hai la lingua! Che ci fai qui, Brief? Mi sembra che tu abbia una casa e dei genitori, o no?- chiese ancora lui -Possono andare a farsi fottere per quel che mi riguarda- rispose digrignando i denti -La tua vita perfetta è andata in fumo? Povera stella cosa ti è successo? Papino non ti ha comprato il vestitino? O la tua mammina non ti ha voluto prestare i suoi trucchi?- infierì lui. Lei si alzò di scatto stringendo i pugni fino a far diventare le nocche bianche -Cosa ne sai tu di me? Cosa, cazzo, ne sai di me!? Cosa sai della mia vita!? È?! Tu che vivi nel lusso più schifoso! Circondato da deficienti che ti seguono come cagnolini! Cosa ne sai tu di ciò che sto provando!? Cosa ne sai tu del dolore?!- rispose infuriata. Il ragazzo la guardò alzarsi,stringere i pugni e combattere con la tentazione di tirargliene uno. -Ne so più di quanto pensi.- la ragazza tornò seduta tirando bestemmie qua e la. -Dove stai andando? Anzi, dove credi di andare?- -Non lo so.. Ovunque basta che sia lontano da qui.- rispose. Mise una mano in tasca e tirò fuori il pacchetto di sigarette completamente zuppo: ormai le sigarette erano andate. Lanciò il pacchetto inutilizzabile nel cestino davanti a lei, mancandolo -10 € di sigarette buttati al vento..!- tornò a rannicchiarsi più infuriata di prima fissando il traffico della città. Una mano le si materializzò davanti: reggeva un pacchetto nuovo di sigarette mai viste. Ne prese una e se l'accese. Vegeta si sedette a fianco a lei sullo scalino umido, accendendo la propria. Bulma gli porse il pacchetto -Tienilo- disse buttando fuori il fumo -ne ho una marea a casa- la ragazza si rigirò il pacchetto tra le mani per cercare di capire a che marca appartenesse. -E' una marca che nel nostro paese non esiste, non è stata esportata. Credo sia ungherese o russa... una di quelle parti là- -E cosa ci fai tu con un pacchetto dell'europa dell'est?- chiese Bulma incuriosita. Il ragazzo alzò le spalle non curante -Mio padre viaggia spesso per lavoro. Ogni volta che torna porta qualcosa dal posto in cui è stato.- calò un silenzio imbarazzante tra i due. Solo il rumore del traffico riempiva quel silenzio.

-Posso sapere il motivo per il quale sei scappata di casa?- chiese all'improvviso lui. La ragazza si destò dal trans in cui era caduta – Non sono affari che ti rigurdano...- rispose acida. Doveva dirglielo? Poteva? No.. non avrebbe capito. Il ricordo le faceva male, la ferita era ancora aperta e la sua psiche non era ancora pronta a tirare fuori di nuovo tutta quella merda. -Allora cambiamo domanda: Cosa ti ha portato qui?- Cosa poteva dirgli? Che era scappata? Che non sapeva dove andare? - Ho deciso di dare un taglio alla mia vita.. voglio ricominciare da capo... non qui- Si guardò i polsi: in quei lunghi anni la lametta era diventata la sua unica amica, lasciando su di lei dei segni indelebili. L'aveva fatta sentire viva e per qualche minuto poteva dimenticarsi di ciò che al di fuori di quella porta succedeva, beandosi della sensazione di libertà. Quando notò che lui le guardava le cicatrici nascose le mani nella felpa, cercando di celare ciò che aveva passato e che stava passando. Non poteva, le avrebbe dato della stupida, nessuno avrebbe capito, neanche lui.

Prese la sua tracolla bagnata e si mise a frugare all'interno, in cerca dell'unico che sappia cosa sia successo realmente.

Il moro la guardò frugare in quel pezzo di stoffa, che sembrava dover strapparsi da un momento all'altro, curioso di cosa volesse tirar fuori.

Nella foga di cercare caddero delle cose dai numerosi buchi: penne, forcine, polsini, fazzoletti. Qualcosa di luccicante attirò la sua attenzione tanto da chinarsi a raccoglierlo per studiarlo meglio.

Una volta preso in mano l'oggetto misterioso tutti i suoi dubbi furono risolti: una lama, che una volta doveva essere stata appartenuta ad un temperino, piccola quanto una gomma da cancellare, con tracce di sangue rappreso. Si era portata dietro la lametta? Allora voleva continuare quel circolo vizioso, facendolo diventare irrinunciabile. Non poteva permetterle di fare la sua stessa fine. Di diventare dipendente dal dolore.

-E questa?- chiese mostrandole il pezzo di ferro. La ragazza sbiancò poi tornò a cercare dentro la sacca come una forsennata, come se volesse nascondersi al suo interno. Di cosa aveva paura? Del suo giudizio? -Ehi parlo con te! Cosa pensavi di combinare portandoti dietro questa?- Non rispondeva, non voleva rispondergli. Continuava a cercare qualcosa che neanche lei sapeva bene cosa, pur di non alzare la testa, pur di non fargli vedere le lacrime, pur di non farsi schernire, pur di non farsi vedere debole, avrebbe continuato a cercare il nulla in eterno. Purtroppo per lei il destino aveva altri piani.

Le strappò dalle mani la borsa logora cercando di farsi ascoltare -Allora!? Cos'è questa?! Cosa pensavi di fare!? Intendevi portartela dietro!!? Avevi detto di voler cambiare vita! Beh questa non è la strada giusta! Ti stai ammazzando con le tue mani! Mi stai ascoltando!?- le urlava a pochi centimetri ma lei sembrava non esserci, continuava a fissare il vuoto tra le mani lasciato dalla sacca. Lei c'era ma non lo stava ascoltando, lo sentiva ma non comprendeva una singola sillaba. Disastro. Solo questa parola aleggiava nella sua mente. Un disastro! Aveva scoperto il suo segreto. La sua unica dipendenza, il suo più grande tormento, la sua più grande fonte di liberazione. Tutto ciò che aveva costruito in quegli anni, tutto ciò che non voleva trapelasse. Tutto distrutto.

Un dolore alla nuca la fece tornare al presente -Ma che cazz..!?- -Ti decidi a rispondermi? O vuoi continuare a restare chiusa nel tuo mondo!?- Lei continuava a guardarsi la punta delle scarpe -Il mio mondo è sicuramente più bello di questo... Adesso che hai scoperto il mio segreto ti sentirai soddisfatto. Se devi cominciare a prendermi in giro risparmia il fiato: non mi fa ne caldo ne freddo.- Si aspettava di cominciare a sentirlo ridere, insultarla e prenderla in giro. Invece calò il silenzio. Lei continuava a fissarsi le scarpe illuminate da un timido sole spuntato dopo il temporale. -Sai che ti dico? Fai come ti pare. Dopotutto chi sono io per impedirti di distruggerti con le tue stesse mani? Continua a farti del male, a fare la povera vittima, a cercare di attirare le attenzioni, a chiuderti nel tuo mondo! Continua a fare la ragazzina dato che non sei altro!- si scaldò lui gettando la lametta a terra.

Fare la vittima? Ma cosa cazzo stava blaterando!? -Fare la vittima, cercare attenzioni..! Pensi che sia veramente questo che sto facendo!? Credi veramente che mi sia procurata quei tagli per poi andare a fare la povera vittima con i problemi adolescenziali!? Credi sul serio che stia facendo tutto questo per poi vantarmene?!- si era alzata in piedi, guardando il ragazzo dritto in faccia, stringendo i pugni e urlando tutto il suo dolore -Tu cosa ne sai di ciò che sto passando!?! cosa ne sai di me!? Un cazzo! Non sono la mocciosa viziata che credi.- -A no? Beh era quello che sembrava, dato che invece che affrontare il problema te lo stai portando dietro. Ti stai facendo del male inutilmente. Cosa ti sarà mai successo di così drammatico da arrivare a tagliarti? Ma fammi il piacere! Tu non hai idea di cosa voglia dire soffrire.- sentenziò lui -Sono stata picchiata e stuprata dal mio stesso padre! Contento ora!? Ti sembra un motivo abbastanza valido!?- aveva buttato fuori tutto d'un colpo. Era furiosa, nessuno doveva permettersi di svilire ciò che provava in quei momenti delicati.

Lo vide alzare la testa e guardarla negli occhi, senza dire una parola. Lei distolse lo sguardo stizzita e si risedette sullo scalino, accendendosi un'altra sigaretta. Aspirò poi buttò fuori il fumo grigio.

Silenzio. Nessuno osava parlare. I clacson delle macchine e le imprecazioni dei passanti sembravano fuori luogo in quel silenzio.

Qualcosa di bagnato le cadde in grembo: la sua borsa, fradicia e vecchia, conteneva tutti i ricordi, felici e non, che si portava dietro da quella casa ormai divenuta un inferno.

Lo guardò con uno sguardo interrogativo, le aveva restituito la borsa allora perché sentiva che le voleva chiedere qualcosa?

-Stavi cercando qualcosa prima, penso di importante.- disse lui. Ah già! Ora ricordava! Tornò a frugare come una forsennata in quella sacca logora e umida, doveva trovarlo!

Doveva essere lì, era sicura al centodieci percento di averlo portato con se, dov'era finito? -Eccolo!- esclamò mentre il suo sguardo si illuminò. Tirò fuori un quaderno con la copertina rigida non più grande di metà foglio A4. Accarezzò la copertina come fosse preziosa e delicata. Per fortuna almeno quello si era salvato dalla pioggia battente. Notando lo sguardo pensieroso del ragazzo accanto a lei spiegò -Questo è il mio diario. Ci scrivo tutto ciò che succede nella mia vita: cose brutte, belle, amori, delusioni, amicizie e cose varie. È come un migliore amico a cui posso confidare tutto.- -per considerare un oggetto il tuo migliore amico devi essere proprio scarsa nelle relazioni sociali.- lei rise cristallina, come non rideva da giorni, mesi forse anni. Anche se l'aveva presa in giro, a lei sembrò più una sorta di preoccupazione per lei che una critica. -Di amici ne ho tanti. Però come posso essere certa che nessuno di loro apra mai bocca con qualcuno rivelando i miei segreti? Dopo tante delusioni da amici falsi ho deciso di raccontare tutto a un oggetto inanimato, sicura che lui di certo non andrà in giro a spifferare i miei segreti.- Non sapeva perché ne stava parlando con lui. Forse perché era l'unica persona che conoscesse nell'arco di chilometri, forse perché aveva bisogno di parlare, forse perché le era sembrato una persona con cui si poteva parlare o forse semplicemente perché voleva parlare proprio con lui.

Lo conosceva da 6 anni, incontrandolo ancora ragazzino in prima media, portandoselo dietro anche alle superiori, non le era mai sembrato simpatico: quello sguardo serio e scorbutico non era molto rassicurante in un ragazzino di 11 anni. Avevano passato le medie nella stessa classe poi per i primi due anni delle superiori era come scomparso, per poi ricomparire, cresciuto e maturato, quell'anno.

Nonostante il tanto tempo passato insieme in classe non si erano mai parlati più di quanto necessario, credendo che non ci fossero argomenti in comune. E invece..

E invece adesso si ritrovava a raccontarle ciò che ha provato in quegli attimi di dolore, disperazione, credendo veramente che lui la potesse comprendere.

-Perchè hai cominciato a farti questo?- le chiese indicandole i polsi martoriati dalle cicatrici e dagli ematomi. Lei scosse le spalle. In realtà neanche lei sapeva il perché, ne il quando, sapeva solo che una sera aveva trovato un temperino e da lì era cominciato tutto. -Non ne ho idea. So soltanto che quando lo faccio mi sento...- -...Libero- concluse per lei. -Come se in quel momento, in quel mondo, nessuno potesse farti male. Perché del male te lo stai già facendo da solo...-continuò. La ragazza sbarrò gli occhi. Come faceva? Le aveva letto nel pensiero. -Come sai queste cose..?- il ragazzo si limitò a togliersi il giubbotto ed alzare la manica della maglietta per rispondere -Ooh..- fu il suo commento. Il bracci destro di lui era pieno di tagli cicatrizzati, alcuni anche recenti, alcuni profondi, fino alla piega del gomito. - E anche di qua..- disse sollevando l'altra manica. Anche il braccio sinistro era nelle stesse condizioni del destro, se non messo peggio. -Adesso capisci?- le chiese tirando giù le maniche e rinfilandosi il giubbotto.

Non se lo era mai immaginato. Quindi anche lui aveva provato quello? Non ci poteva credere. Era forse quello il motivo del suo carattere schivo e chiuso? Non resistette dal chiederglielo -Quando? Perchè? Cosa è successo?- - 6 anni fa. Mio padre mi incolpava della malattia di mia madre e mi picchiava, e io ero solo un bambino di 11 anni. Mi sentivo in colpa per ciò che era successo a mia madre e pensai di meritare gli insulti e le botte. Qualche mese dopo mia madre morì. Mio padre mi picchiò ancor più forte, poi partì e non lo rividi per mesi. Depressione, sensi di colpa, un po' un insieme delle cose.- rispose tranquillo. -Ormai sono 3 mesi che non lo faccio più. Ne sto uscendo.- lei rimase imbambolata a fissare le braccia coperte dalla pelle sintetica del giubbotto. Migliaia di pensieri aleggiavano nella sua testa.

Una sirena li destò dal trance. -Cazzo! Gli sbirri!- esclamò. Raccolse lo zaino da terra e invitò lei a fare altrettanto -Se non vuoi essere riportata a casa e rivivere lo stesso incubo, alzati e comincia a correre!- Si mise la borsa a tracolla, buttò la sigaretta e, prendendo la mano che lui le porgeva, si alzò da terra. Cominciarono a correre.

Corsero per chilometri, per ore, minuti o forse erano solo pochi secondi. Sentivano le gambe cedere ma non si fermarono. La vista si offuscava dal troppo sforzo ma non rallentarono. Il cuore minacciava di scoppiare nei loro petti ma non smisero di correre. Nemmeno quando, ormai accerchiati dalle autorità, pensarono di non aver scampo. Svoltando in una strada secondaria riuscirono a sparire dalla loro visuale.

Corsero fino alla stazione centrale e salirono sul primo treno in partenza: senza biglietti, senza meta, senza sapere dove sarebbero andati a finire. Ma non gli importava. La cosa che premeva di più era andare via di lì, dove non lo sapevano ma lontano, molto lontano.

Erano insieme. Si sostenevano a vicenda. Non avevano bisogno di altro.

-Perché avevi lo zaino pronto? Volevi andartene anche tu?- chiese all'improvviso lei -Sono anni che mi porto dietro questo zaino, sperando di trovare il coraggio di andarmene e lasciare tutto alle spalle. Quando ti ho vista lì ho colto l'occasione per fuggire.- rispose. Lei continuava a guardare fuori, intenta ad osservare il paesaggio che cambiava, lasciandosi alle spalle la città in cui era nata e in cui non avrebbe voluto tornare. Almeno non subito.

 

**

Il sole alto nel cielo in quella uggiosa giornata di Gennaio cercava ,inutilmente di imporsi sulle nuvole che lo opprimevano da giorni.

Quanti anni erano passati? 10 o 12 sicuramente. Si guardò intorno riconoscendo a malapena il paesaggio. Quanti cambiamenti erano stati fatti in 12 anni di assenza.

Quanti ricordi aveva in quel posto: la corsa disperata, il treno, il viaggio, le autorità, i pianti.

Si sentì tirare i pantaloni verso il basso -Mamma, ho fame.- disse un bambino con non più di 6 anni. La donna si abbassò guardando il bimbo negli occhioni azzurri, identici ai suoi -Ho un panino nella borsa, lo vuoi?- Il bimbo annuì con vigore e allungò le mani verso la madre quando, quest'ultima, tirò fuori il panino. Lo prese e lo morse con vigore, per quanto i suoi denti da latte tremolanti gli permettessero.

Gli diede un bacio sulla fronte e si rialzò -Poteva benissimo aspettare l'ora di pranzo dato che abbiamo fatto colazione per le 11.- La donna guardò il bambino poi passò lo sguardo sull'uomo che le sostava affianco -È solo un bambino. Poi senti chi parla: tu hai fatto fuori due panini neanche 10 minuti fa!- l'uomo scostò lo sguardo colto sul fatto.

La giovane mamma gli sorrise, non sarebbe mai cambiato. Voltò lo sguardo alla sua destra riconoscendo l'entrata di cemento e il cancello di ferro battuto, ormai arrugginito -Sei sicura che vuoi farlo?- le chiese incrociando il suo sguardo. La donna annuì con vigore per poi dirigersi verso il cimitero, andando a trovare l'ultima persona che voleva ricordare.

Camminò tra le lapidi, alcune vecchie e piene di terra altre più nuove con foto a colori del defunto, fino a fermarsi davanti a una vecchiotta: sembrava non vedesse un po' d'acqua da secoli però c'erano dei fiori freschi nel vaso di fianco.

Lesse il nome sulla lapide e si convinse che ciò che la madre le aveva detto era veritiero: il padre era morto di cancro 4 anni fa. Avrebbe dovuto piangere, disperarsi, gridare, fare qualcosa, testimoniare l'affetto che l'aveva legata al genitore, liberare il dolore che avrebbe dovuto attanagliarle il cuore fin dalla notizia della sua morte. Invece non fece nulla, non una lacrima solcò il suo viso, non una parola uscì dalla sua bocca, nessun muscolo del suo viso fece trasparire la tristezza che, in effetti, non provava. Dopo tutto ciò che le aveva fatto sarebbe stato giusto piangere la sua morte sulla sua tomba? Si era rovinato con le sue stesse mani: alcol e droga furono la sua rovina. La madre le aveva raccontato che dopo la sua scomparsa il padre era caduto in depressione ed aveva cominciato a bere sempre di più; le sigarette e i sigari che non aveva mai toccato avevano cominciato ad essere una presenza costante nella sua vita e sulle sue labbra, fin quando il cancro lo aveva stroncato.

Caduto in depressione? Non ci credeva. Un uomo che rovina la vita alla propria figlia non poteva cadere in depressione per la sua scomparsa, un uomo del genere non ha sentimenti, un uomo che rovina la sua famiglia non meritava di essere pianto, un uomo che uccide la vitalità di chi gli sta intorno non merita neanche di essere ricordato.

Rimase lì a fissare la lapide per un tempo che le parve lunghissimo. Non lo avrebbe mai perdonato. -Intendi restare qui a fissare questo pezzo di marmo per molto ancora?- il marito l'aveva raggiunta con il figlio in braccio -No, ho finito, possiamo andare- rispose la donna ancora persa nei suoi pensieri. Camminarono in silenzio fino all'uscita del cimitero -Papà voglio scendere!- il bambino si divincolò dalla presa del genitore, che lo mise giù, e poi corse a perdifiato per lo spiazzale davanti a loro -Allora?- la donna lo guardò interrogativo -Allora cosa?- -Non so, sei andata a trovare tuo padre al cimitero: non dovresti essere in lacrime col cuore spezzato?- la prese in giro lui -No. Non ho provato assolutamente nulla. Certo non posso perdonarlo ma non ho provato nulla. Né rabbia né tristezza. Solo...il nulla- prese la mano del compagno e la strinse forte. Lui le regalò un bacio sui capelli azzurri, leggero come una piuma, differente dai suoi soliti impeti di passione sfrenata, diverso dai freddi baci a stampo fatti solo per accontentarla.

La donna alzò la testa e incrociò gli occhi neri del marito -Come avrei fatto senza di te, quel giorno? Dove sarei finita? Dove sarei ora?- -Saresti finita o in mano delle autorità o nelle mani di qualche pedofilo che si diverte con le 17enni.- sentenziò lui fermandosi. La donna lo abbracciò e si lasciò stringere dalle braccia forti del marito. -Ti devo tutto, Vegeta. Mi hai salvato da una vita che non volevo- si alzò sulle punte e baciò l'uomo sulle labbra, con amore, con affetto, con gratitudine.

Quell'uomo, a quel tempo solo un ragazzo, aveva vissuto la sua stessa vita, aveva sentito lo stesso dolore, aveva avuto fiducia solo in se stesso e in lei. L'aveva aiutata a salvarsi e a salvarlo, erano fuggiti insieme e, insieme, avevano affrontato la vita con le sue difficoltà. Si erano sostenuti a vicenda, confortandosi, crescendo lontano da una vita che li aveva solo logorati, lontani da chi, invidioso della loro innocenza, voleva il loro male. E mentre loro crescevano i sentimento che li legava era cresciuto con loro trasformandosi da una semplice amicizia a un'amore fraterno per poi, alla fine, sbocciare in un amore passionale vero e proprio. Tra litigi e notti passate a rotolarsi nelle coperte avevano scoperto l'altra faccia della medaglia che riportava il loro dolore.

Da allora niente li aveva più separati. Nulla era stato in grado di distruggere il loro legame, forgiato dal dolore più grande e dall'amore più intenso. E Trunks, il loro primogenito, era il frutto di quel legame così intenso: si erano promessi e giurati che non avrebbero permesso che il loro bambino passasse ciò che avevano passato loro. Sarebbero morti di dolore.

Adesso che, dopo aver toccato il fondo, si erano rialzati avrebbero fatto di tutto per mantenere quell'equilibrio nelle loro vite.

Certo ciò che hanno subito non si poteva cancellare, né nelle menti né sulla loro pelle. Però si poteva andare avanti, voltare pagina e non pensarci più.

 

I'm a warrior

and you can never

hurt me again.”

Io sono una guerriera

e tu non potrai

ferirmi ancora”

 

 

 

 

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: angelo_nero