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Autore: Alley    09/10/2014    2 recensioni
C’era stato un tempo in cui l’impronta sulla spalla di Dean aveva significato qualcosa.
[end!verse]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione
- Questa storia fa parte della serie 'This is the end, my only friend, the end'
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C’era stato un tempo in cui l’impronta sulla spalla di Dean aveva significato qualcosa – qualcosa di simile all’appartenenza.
Era stata il suggello di un legame nato tra le fiamme dell’Inferno, quando Dean era solo un compito da portare a termine e lui un soldato incapace di disattendere gli ordini – vorrebbe non aver mai smesso di esserlo, perché quel Castiel non si sarebbe spezzato, quel Castiel avrebbe saputo indicare a Dean la strada giusta da seguire.
È una menzogna e Castiel ne è consapevole, ma le illusioni sono un lusso a cui non può rinunciare, non adesso che non gli resta altro a cui aggrapparsi – oltre alle spalle di Dean, che tocca e stringe e graffia come se avesse qualche significato, come se stessero davvero condividendo qualcosa.
Dean si spinge dentro di lui, all’improvviso e senza nessuna gentilezza – senza niente che non sia rabbia o frustrazione –, e Castiel chiude gli occhi e fa scivolare le dita lungo il suo braccio, fino a quando non sfiora il marchio che lui stesso – no, non lui, quello che era prima – ha impresso. Forse quel qualcosa c’è ancora, forse la pelle ha conservato ciò che Lucifero ha distrutto – che loro hanno distrutto, con la loro stupida ostinazione e con errori ripetuti mille e mille volte.
Quel Castiel non sarebbe stato così sciocco – così cieco.
“No” gli ringhia Dean all’orecchio, un sibilo feroce che non ammette repliche, e Castiel ritrae la mano mentre un altro affondo minaccia di spezzarlo in due. “Non la toccare.”                                                                                      
È come consumare una vendetta, per Dean. Castiel lo sa ma non protesta, forse perché pensa di meritarlo o forse perché non riuscirebbe a farne a meno – di quello, non di Dean. Di Dean non ha bisogno.  
C’era stato un tempo in cui l’impronta sulla spalla di Dean aveva significato qualcosa. Adesso è solo una delle tante cicatrici che si portano addosso – la più dolorosa.

*

“Non credo sia una buona idea.”
Di solito non discute le decisioni di Dean – il più delle volte non è abbastanza lucido nemmeno per valutarle, e in ogni caso non vede per quale motivo dovrebbe farlo. Non ci sono idee buone e idee cattive, lì; l’esito sarà lo stesso a prescindere da quello che Dean ordinerà.
È passato il tempo in cui avrebbero potuto cambiare le cose, quello in cui avrebbero potuto fare la differenza.
“Non dovresti mandarli lì.”
Ogni tanto, però, non riesce a sopportare la disillusione spietata che guida le sue scelte, perché è troppo diversa da ciò che Dean era prima, e allora, invece di acconsentire con la consueta indolenza, muove un’obiezione destinata a restare inascoltata. Poco male, in fondo il suo scopo non è dissuaderlo. Non ce l’ha uno scopo, ha solo bisogno di illudersi per un momento che Dean possa tornare ad essere quello di un tempo – quello per cui mettere a rischio la vita di un compagno non sarebbe stata nemmeno un’opzione.
“Potrebbero morire.”
“E allora?” replica Dean, il tono sprezzante e lo sguardo fisso sulla pistola che sta lucidando. Non lo guarda negli occhi, non lo fa più da tanto tempo. “Tutti sono sacrificabili.”
Anch’io?
Meglio non porre domande di cui non si vuol conoscere la risposta.

*

È notte fonda quando Castiel li sente.
All’inizio pensa che siano frutto della sua immaginazione – o più probabilmente di tutto l’alcol e le anfetamine che ha in corpo -, ma nel silenzio dell’accampamento addormentato i tonfi risuonano sempre più nitidi e fragorosi, troppo per non essere reali. Si solleva a fatica – dal pavimento, non dal letto. Dev’essere crollato prima di raggiungerlo -, barcolla per qualche istante e poi riesce miracolosamente ad uscire, e l’aria gelida della notte è come uno schiaffo in pieno volto. Un po’ lo rimette in sesto, gli strappa di dosso il torpore restituendogli il briciolo di lucidità necessario per procedere nella direzione da cui i colpi provengono.
Supera qualche baracca e il rumore si fa più forte, acuendo il mal di testa dovuto alla sbornia non ancora smaltita. Per fortuna si tratta di qualcosa di pressoché cronico, per Castiel, altrimenti non potrebbe fare a meno di accasciarsi al suolo e premere i palmi contro le tempie per comprimere il dolore.
All’improvviso, lo vede. Si ferma e pensa che dev’essere addirittura più ubriaco del solito, perché gli sembra di avere davanti agli occhi Dean che prende a calci e pugni l’Impala e Dean non farebbe mai una cosa del genere.
Sbatte le palpebre ma Dean è ancora lì, e i tonfi continuano ad esplodergli in testa.
Non è un’allucinazione, ma soltanto l’ennesima discrepanza tra il nuovo e il vecchio Dean, e sarebbe il momento di smetterla di confonderli e sovrapporli e illudersi che possano coincidere.
Il pugno di Dean impatta contro il finestrino dell’Impala e il vetro si frantuma in un frastuono di stridii taglienti. Risuona qualcos’altro assieme al tintinnare delle schegge, qualcosa che assomiglia a un singhiozzo e che risveglia vecchie immagini e vecchi ricordi appartenenti a quello che Castiel è stato un tempo: pareti immacolate, un letto d'ospedale e Dean che lo invita a cercare qualcun altro, Dean che non crede di essere abbastanza.
Castiel aveva pensato che si sbagliasse, ma non gliel’aveva detto. Forse avrebbe dovuto. Forse potrebbe dirglielo adesso.
Dean tira un altro calcio all’automobile, provocando una profonda ammaccatura alla carrozzeria. Ha le nocche ricoperte di sangue, sangue che gocciola sul terriccio e gli sporca il viso quando se lo strofina con la mano.
Adesso è tardi, e non solo per quelle parole.
Ancora un calcio, poi un pugno; lo sportello si tinge di rosso all’altezza della maniglia.
Castiel resta lì, immobile, senza il coraggio di avvicinarsi né quello di andar via.
  
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