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Autore: fireslight    09/10/2014    3 recensioni
«James.»
Il Soldato non ricordava potesse essere così strano sentire il proprio nome − quello vero, quello che faceva di lui un ragazzo come tanti, in uno dei quartieri di Brooklyn prima di arruolarsi per la guerra − e trema, impercettibilmente, i muscoli tesi al massimo al di sotto della stoffa ruvida dell’uniforme.
[..]
Nell'istante in cui incrocia lo sguardo della donna − occhi verdi, pelle d’alabastro, capelli rossi del fuoco della Rivoluzione − capisce di averla perduta, probabilmente per sempre.
Consapevole del fatto che quegli occhi, quello sguardo, non sono più suoi, non vogliono − ne possono − più appartenergli. Perchè qualcun altro le è stato accanto, quando aveva i suoi incubi, qualcun altro l’ha riportate sulla retta via, e tanto gli basta.

[Bucky/Natasha, and WinterWidow| hints at Clint/Natasha♥][TheWinterSoldier/Pre-TheAvengers][WinterSoldier!Centric]
Genere: Azione, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Lost and found.
 


Si guarda intorno, mentre sul ponte le auto continuano la loro lenta, discesa nella rovina.
Avrebbe dovuto eliminarli con discrezione, certo, ma ormai è troppo tardi.
Troppo tardi per nutrire il minimo ripensamento, perché colui per il quale lavora non ama che lo si faccia attendere.
Quando l’auto sulla quale viaggiano esplode, il Soldato reprime l’assurda sensazione di voler sorridere; sa che non c’è alcuna giustizia in ciò che fa, ma chi ha avuto giustizia nei suoi confronti, chi si è premurato di raccoglierlo dopo la caduta da quello strapiombo e curarlo per farne un’arma vivente, piuttosto che lasciarlo morire?
Nessuno. O, forse, qualcuno che pensava − ne è certo, ma sarà sempre troppo tardi − che la morte sarebbe stata l’alternativa sbagliata, un’opportunità così preziosa da non poterla sprecare.
 
Tra il sibilo dei proiettili delle mitragliatrici, osserva una fiamma rossa che improvvisamente, − quasi con prepotenza −, invade il suo campo visivo.
L’espressione diviene di ghiaccio, pietra, come ciò di cui è fatto il suo cuore.
Il Soldato cade vittima di un flashback, immagini sfuocate che attraversano la sua mente alla velocità della luce, frammenti impossibili da decifrare.
Vede qualcosa, − qualcuno − di cui non ricorda potesse serbare memoria.
 
«Chi sei?»
La ragazza pone quella domanda da settimane, senza ottenere risposta che non sia una gelida occhiata ammonitrice, un avvertimento a non spingersi più nell’occulto di un nome − o leggenda − che ormai affolla i suoi pensieri.
Con un calcio ben calibrato, il Soldato prova a mandarla a terra, ma lei è sorprendentemente agile e veloce, riesce a schivarlo con un sorriso felino in volto.
«Chi sei?»
«Nessuno.»
Il Soldato ricorda una fiamma con il potere di sciogliere anche la neve, ricorda capelli lunghi, morbidi come seta, rossi come il fuoco della rivoluzione.
 
Non è quello che gli avevano detto, si accorge.
Lentamente strizza gli occhi, cercando di rimuovere quel ricordo malsano. Non è questo il momento giusto perché antiche memorie vengano riportate bruscamente in superficie e sa, che alla fine della missione, dovrà recarsi in un qualche magazzino abbandonato di copertura, perché loro possano riprogrammarlo.
Si accorge improvvisamente di non voler dimenticare ulteriormente. Quella ragazza, − sarebbe meglio definirla donna − è come lui. Se ne ha memoria dal periodo trascorso in Russia, vuol dire che, come successo a lui, le hanno preso il cervello per giocarci, per i loro futili esperimenti e per quanto consideri effimere le vite altrui, non augurerebbe a nessuno la sua sorte di marionetta.
È difficile concentrarsi tra il sibilo dei proiettili, gli ordini gridati al vento, le macerie e la polvere della strada negli occhi.
Si ritrova sulla carreggiata, dall’altra parte del ponte c’è lei, i capelli rossi più corti di come li ricordava; lei è un nome che non ricorda, un’identità che deve pur aver significato qualcosa.
Lei è probabilmente la persona più ostinata che abbia conosciuto.
Senza che possa impedirselo, fa diversi passi finchè non se la ritrova a pochi metri.
«Mi ricordo di te.» non sa perché lo dice, anche se ha poca importanza.
«Anche io.» lei preme il grilletto della semiautomatica, ed il Soldato non si aspetta che avesse potuto farlo. Scarta velocemente di lato, afferrandole il braccio e torcendolo forte, la schiena della donna contro il giubbotto antiproiettile.
 
La piccola isba sperduta nella neve è gelida, come l’inverno di Mosca miete le sue vittime fra sangue ed un ultimo, agognato respiro.
«Hai un accento strano.»
«Non sei la prima a dirmelo.»
Lei lo osserva impertinente, i lunghi capelli sciolti sulle spalle minute, a coprirle il petto. Il Soldato conosce le regole, sa quanto è sbagliato ciò che sta facendo, ma lei, lei che ormai è un ragno − è la Vedova Nera − lo ha irrimediabilmente catturato nella sua rete di predatore.
Le armi sono abbandonate sul piccolo tavolino all’angolo della stanza, lui appare fintamente rilassato con la schiena contro la testiera del minuscolo letto.
Sa che in tali situazioni, non sono le armi che servono.
Sinuosa come un gatto, Natalia si poggia al suo petto nudo, vedendosi circondare dall’arto di metallo, avvertendo il freddo sulla pelle.
«Non voglio andare, James.»
James. Il suo nome, pronunciato da quelle labbra che sanno di promesse, di rivalsa, di fuoco, del sangue della rivoluzione, è come una pugnalata al petto, un proiettile nello stomaco.
È dolore puro, perché James, − no, non James, il Soldato d’Inverno − non può o forse non vuole permettersi debolezze d’ogni genere.
«Non vorrei andare neanche io, lo sai. Ma sono gli ordini.»
«Non abbiamo mai fatto altro che prendere ordini per tutta la vita. Non pensi mai di tornare?»
Il suo tono esprime miliardi di emozioni, così tante che lui riesce ancora a stupirsi di come possa fare. È un tono ingenuo e consapevole, fintamente dolce, un po’ provocatorio e con un pizzico di malcelata nostalgia.
Il Soldato sospira, sorpreso del fatto che lei possa chiedergli − o anche solo parlargli − di simili argomenti.
«Come vuoi che possano accogliermi in America, Natalia?» Si mette rapidamente a sedere sul bordo del piccolo letto, e lei riesce a percepire il disgusto che prova verso sé stesso, seguirlo come un predatore segue la sua preda. Non riesce quasi a pensare lucidamente in sua presenza, e sa che è sbagliato, sa bene che il Soldato dovrebbe unicamente addestrarla per renderla un’arma ancor più mortale di quanto già non sia, ma al contrario, sa che non sarebbe più in grado di continuare ad affrontare nulla, senza la sua presenza.
È come una droga, qualcosa di estremamente piacevole e capace di regalarle un minimo di serenità − piccolo scorcio di quella normalità mai avuta del tutto.
 
C’è troppo della giovane ragazza conosciuta in Russia, in quella sconosciuta sul ponte.
Troppo e niente, ed il Soldato se ne rende conto con amarezza. L’arma vivente del KGB è sopravvissuta al suo personale inverno, è sopravvissuta ad ogni cosa, anche a loro.
Se solo avessero rimosso anche quei ricordi, forse la mano destra non avrebbe quel tentennamento a stringerla contro di sé.
Forse, certo. Ha dimenticato da quanto tempo non si ferma a decidere autonomamente della sua vita, del suo potenziale.
Sa fin troppo bene, che prima o poi, i ricordi vengono irrimediabilmente a galla, simili a stilettate roventi sulla pelle. E sa che non può fare niente, assolutamente niente, per impedirsi di ricordare.
Sul ponte, le macerie bloccano il passaggio da entrambi le parti della strada, Vedova e Soldato sembrano immersi in quella bolla di calma piatta che precede la tempesta. Alla minima esitazione, lei riesce a liberarsi con uno scatto felino e a lui, al Soldato, ricorda quella giovane donna, in un’altra epoca ed in un’altra situazione, compiere quella medesima mossa.
Lotta con le unghie e con i denti pur di non soccombere a lui, personificazione vera e tangibile di un inverno che ha tentato di collocare in un antro remoto e lontano della propria mente. Il Soldato può rendersi conto del fatto che stile, tecniche di combattimento non siano cambiate affatto, e che forse, dietro quella maschera di compostezza che indossa sempre, − come la indossava tempo addietro per nascondere al mondo, ai loro stessi capi, cos’erano diventati − forse, può ancora recuperarla, riportarla indietro.
Indietro, e dove?
 
Non vuole rivivere ogni cosa, e non vorrebbe neanche tornare indietro, perché sa che tutto ciò che erano è un’entità troppo astratta, effimera da ricordare.
Ma al tempo stesso, sa che non dovrebbe farsi coinvolgere.
Per lui non esistono colpevoli e innocenti, ma solo vittime e carnefici. Non c’è esitazione alcuna nell’eliminare chi diventa pericoloso, nessun rimorso nel decidere come un dio, di vita e di m0rte per altre persone.
E dire che avrebbe dovuto far tesoro della sua esperienza.
Quando lo avevano ritrovato in quel crepaccio, più morto che vivo, un piede in questo mondo e un altro nell’aldilà, − o qualsiasi cosa ci sia stato dall’altra parte − il suo destino era stato segnato, sin da subito.
 
Il sergente Barnes sente il freddo insinuarsi nelle ossa, nient’altro che possa aiutarlo a identificare il luogo del suo schianto.
Piccole luci cominciano a danzare sul suo campo visivo, ma non sa né può distinguere se quelle luci siano reali, o solo frutto della sua mente, colpita dal forte impatto. La neve è gelida, fredda contro le poche parti di pelle scoperta dalla divisa, si insinua nei muscoli, fin dentro le ossa, e fa male.
Sente forse delle voci lontane, in una lingua a lui poco nota.
Russo? Tedesco? Forse entrambi, o nessuna delle due, ma niente che possa dargli sicurezza di un buon accento inglese.
«Этот человек жив.»* (Quest’uomo è vivo.)
Le parole si susseguono velocemente, il sergente non desidera sprecare forze per cercare di identificare qualcosa di cui non serba conoscenza.
Poi, gli sembra di avvertire alcune parole in un inglese stentato, dal forte accento tedesco.
«Sergente Barnes..» sussurra la voce, e l’americano reprime un brivido che non è freddo, − è terrore −.
«.. sarai la nuova arma dell’Hydra.»
Poi, d’improvviso, avverte un ago nel braccio, al di sotto del tessuto pesante della divisa, ed è subito buio.
 
La donna gli punta nuovamente la semiautomatica contro, lui è disarmato.
«Non ti è mai servita una pistola per fermarmi.»
Lo ignora, continuando a fissare il suo obiettivo, il braccio con il quale tiene l’arma è teso, forse troppo.  Le ha insegnato a mantenere i muscoli rilassati durante una sparatoria, ed è quello che fa, lo vede bene.
Tutti quegli anni nell’ombra, ad addestrare quella che era poco più di una bambina impaurita dalla troppa violenza di azioni e reazioni cui certamente non aveva mai assistito, danno i loro frutti.
«Per quello che ho visto finora, non ti saresti fatto fermare da qualche ricordo di troppo.»
Scatta in una frazione di secondo, colpendolo alla gola e dandogli così occasione di ferirla a sua volta, mentre lei gli si arrampica addosso, imprigionandolo nella morsa delle sue gambe.
Il Soldato non ricordava quanto quella mossa potesse danneggiarlo; quando la Vedova stringeva nella sua morsa di predatore, avere un braccio di metallo non avrebbe aiutato nessuno, men che meno uno come lui. Né le molteplici tecniche di autodifesa o attacco, potrebbero impedirgli di perdere il minimo equilibrio.
Entrambi rovinano a terra, lui su di lei.
Si guardano, un istante in cui i ricordi di una vita mai del tutto rimossi scorrono nei loro occhi, come frammenti di vetro che graffiano la pelle, dolorosamente.
«James.»
Una constatazione, non una domanda.
Il Soldato non ricordava potesse essere così strano sentire il proprio nome − quello vero, quello che faceva di lui un ragazzo come tanti, in uno dei quartieri di Brooklyn prima di arruolarsi per la guerra − e trema, impercettibilmente, i muscoli tesi al massimo al di sotto della stoffa ruvida dell’uniforme.
«Natalia.»
La sua, più che un’affermazione, è una domanda.
È diverse domande, troppo importanti, troppe e troppe poche da poter essere collocate in un unico nome, il suo.
Vorrebbe chiederle tutto e niente, vorrebbe capire davvero come sono arrivati a quel punto, a cercare di riconoscersi a vicenda, dopo tutti gli anni passati insieme − vicini e lontani, persi e ritrovati −.
Persi e ritrovati.
Sono parole prive di significato, lo riconosce sin da subito.
Persi e ritrovati possono avere mille ed un significato.
Persi e ritrovati riassume perfettamente il loro rapporto incerto e travagliato; le duplici missioni, sempre a coprirsi le spalle reciprocamente, come se la missione in sé non fosse importante, ma ciò che contava fosse ritornare alla base integri. Come gli allenamenti estenuanti in piena notte, nel gelo di Mosca, o di San Pietroburgo, fra la neve e la pioggia, perché niente avrebbe dovuto fermarli.
Persi, separati dagli eventi catastrofici di una storia infame, ritrovati dopo una lontananza venefica e manipolatrice, dopo troppi anni persi nel dimenticatoio di ricordi cancellati, rimossi da un filo di elettricità.
 
Ma dopotutto, il Soldato pensa che se per lui quei ricordi hanno la parvenza di poter significare qualcosa, un minimo di quella vita che gli è stata rubata, per lei non è niente.
Non più, perlomeno.
La sua pupilla, la bambina che aveva addestrato nel gelido freddo della Madre Russia, all’ombra di sangue e terrore, è cambiata, ed è cresciuta.
 
Sa riconoscere una battaglia persa, quando ne scorge una all’orizzonte di qualcosa − qualcuno − altrettanto perso per sempre.
Nell’istante in cui incrocia lo sguardo della donna − Natalia Romanov, occhi verdi, pelle d’alabastro, capelli rossi del fuoco della Rivoluzione − capisce di averla davvero perduta, probabilmente per sempre.
Perché ciò di cui adesso è consapevole, è che quegli occhi, quello sguardo, non sono più suoi, non vogliono − ne possono − più appartenergli.
Qualcun altro le è stato accanto, quando aveva i suoi incubi, qualcun altro l’ha riportate sulla retta via, e tanto gli basta. Il Soldato ha l’ennesimo flash nella mente già danneggiata, prossima ad una riprogrammazione cui non vorrebbe esser sottoposto, mente i cui fili troppo frequentemente vanno in cortocircuito.
 
«Va’ via. Adesso.»
«Non ti lascio, non così.»
«Non fiatare, è un ordine, Romanov. Va’ via, adesso, finchè sei in tempo.»
«No, io non..»
«Natalia.»
«Dev’esserci un altro modo, io non posso.. James, per favore.»
«Natalia. Va’ via. Adesso.»
«Non posso, se dovessero catturarti..»
«Non succederà. Posso anche accettare che facciano il lavaggio del cervello a me − un’altra volta −, tuttavia mi rifiuto di permettere che possano anche soltanto torcerti un capello. Va’ via, Natalia.»
 
E lei lo aveva  guardato, con quegli occhi verdi come smeraldi, la preoccupazione che l’arma vivente del KGB non avrebbe dovuto mai provare, tantomeno per lui.
Vedova Nera ed il Soldato d’Inverno.
Improbabili quanto una calda estate nel gelo della Russia.
 
«Mi dispiace, James.»
«Va’ via. Corri, adesso.»
 
Ed è quella stessa scena che vaga come un’anima in pena nei suoi pensieri, fra le macerie del ponte a Washington, dopo così tanti anni, persi e ritrovati.
«Mi dispiace, Natalia
Ha almeno il buon cuore − puro eufemismo, lui un cuore non l’ha mai avuto. O forse si? − di chiamarla con il suo nome, quello di un tempo, prima che entrasse nello SHIELD, e prima che inscatolasse l’inverno, rilegandolo in un antro remoto della sua mente.
Lei lo libera dalla presa delle sue cosce, e sa di star commettendo un errore, forse madornale, qualcosa che rimpiangerà sino alla fine.
«Va’ via. Corri, adesso
 
Erano passati quasi quarant’anni dal periodo in cui si erano separati, eppure, il Soldato trova la forza di sorridere, al pensiero funesto del fatto che lei non abbia mai davvero dimenticato del tutto.












Note dell'autrice.
Si, dovevo. Non chidetemi perchè, ma piuttosto fatemi sapere se questa cosetta ha un minimo di senso, ma so già che non ce l'ha. (?)
Comunque, ho cominciato a shippare la WinterWidow 
− aw, quanto posso amare questo termine − leggendo una drabble carina carina proprio in questa sezione, e quindi mi sono imposta di scrivere qualcosa a riguardo, anche perchè amo il Soldato d'Inverno, Bucky Barnes e la sua crisi di sdoppiamento personalità. Come avrete afferrato, − sono ripetitiva, si − ho ambientato il tutto durante l'ultimo film della Marvel e a proposito, inginocchiamoci davanti al dio supremo che è la Marvel; in particolare, durante la scena del combattimento sul ponte, ricordate, si? Si.
Offrirò scorte industriali di nutella, dolci, biscotti al cioccolato e qualsiasi dolce mi proporrete, in cambio anche di una piccola recensioncina, ewe. So di essere ruffiana, ma voglio bene a tutti, aw.
Alla prossima, fatemi sapere cosa ne pensate,
fireslight.

 
  
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