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Autore: Artemisia_Amore    09/10/2014    2 recensioni
"Sia pres[o costui] da un amore perdutissimo per l'ultimo degli uomini, contro il quale il destino si sia accanito nell'amore..." (La favola di Eros e Psiche)
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kou Yukina, Shouta Kisa | Coppie: Yukina/Kisa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Che razza di tema è, “il nero”? Mi sarei aspettato qualcosa di più fantasioso dal professore, non fa che dire che manchiamo di immaginazione!»
«Beh, forse vuole vedere in che modo possiamo interpretare il colore nero, ma… È il non-colore per eccellenza!»
«Per la verità… Il nero comprende tutti i colori dello spettro, è il colore per eccellenza, è praticamente ovunque! Avete mai notato quanto è scuro il cielo di notte, al punto da sembrare nero? O i fondali marini, sono così intensi che non si vede niente se non nero, e sapete quante sfumature diverse ci sono nei capelli neri? Creano un contrasto unico col colore della pelle e poi… Oh, sono così tante che sembra di contare un colore diverso per ogni capello. Alcuni sembrano castani, altri sono più chiari, quasi bion—»
«Stiamo ancora parlando della consegna del prossimo lavoro, Yukina-san?»
 
Per la terza volta nella stessa settimana, l’affascinante principe del corso di pittura a olio era stato vicinissimo al farsi scoprire dai suoi amici. Non che i suoi due compagni di corso potessero capire qualcosa di uno qualsiasi dei discorsi strambi del ragazzo più corteggiato dell’università, ma lui sapeva che non avrebbe dovuto spingersi più in là di un certo punto. Punto che puntualmente, oltrepassava. «Non. In. Pubblico.» avrebbe detto qualcuno più saggio di lui, o forse solo più timido. Ripensare a quelle parole, pronunciate da una voce precisa, gli fecero tornare in mente una domanda ricorrente dalla scorsa mattina e che aveva smesso di assillarlo solo poche ore fa. Che fine aveva fatto?
 
~
 
Essere consapevoli dei propri limiti e cercare di raggiungere i propri obbiettivi nonostante tutto, è qualcosa di positivo? O è un modo come un altro per nascondere a se stessi il fatto di non avere nessuna prospettiva all’orizzonte? In quel pomeriggio di neve non prevista, un’anonima figura seduta su un’anonima panchina di un’anonima stazione fuori Tokyo era alle prese con quella domanda che avrebbe arrovellato la mente di chiunque altro, nella sua posizione. Un ragazzino dal viso pulito, nascosto da una sciarpa di lana non proprio alla moda ma dalla calda aria rassicurante, si domandava come fosse finito in quella situazione, senza riuscire a trovare una risposta che non lo facesse sentire un fallito. Accanto a lui una borsa da lavoro un po’ consunta che sicuramente conteneva dei documenti importanti. Perché quel ragazzino lavorava in una delle più prestigiose case editrici del Giappone. E a essere sinceri, aveva anche trent’anni.
 
«Informiamo i passeggeri che il treno Shinkansen diretto a Tokyo Ebisu delle ore 17.30 è in arrivo al binario 13b. Il treno viaggia con 73 minuti di ritardo. Ci scusiamo per il disagio.»
 
Quella era la prima buona notizia dopo tre giorni di disguidi e contrattempi. L'uomo avrebbe dovuto prendere quello stesso treno due giorni fa, ma uno sciopero l'aveva lasciato lì, in un paesino senza nome, fino a quella mattina, quando era riuscito a trovare una corriera per Ina, da cui avrebbe finalmente potuto prendere il primo treno per Tokyo. Ma la neve aveva bloccato le vie di collegamento, ed era stato costretto ad attendere ancora. Niente che una telefonata o due per avvisare del ritardo non avrebbero potuto risolvere, pensò l’uomo salendo sul treno che era finalmente arrivato in stazione. Aveva il posto assegnato, ma c’era così tanta gente che il solo pensiero di sgomitare per cercare il proprio scomparto non era la soluzione più allettante. Quando però, nemmeno cinque minuti dopo il treno partì, un uomo tre volte lui perse l’equilibrio e gli rovinò addosso. L’idea di sgomitare non era poi così malvagia.
 
~
 
Il ragazzo ricontrollò il telefono per l’ennesima volta nel suo turno del giovedì. Aveva fatto appena caso alle clienti abituali, e si era reso conto troppo tardi di averne ignorata una che non era mai entrata da Marimo books e che, con solo qualche sorriso in più, avrebbe potuto sicuramente diventare un’abitué del negozio. Yoshino, il suo collega più anziano, l’aveva già rimproverato due volte, chiedendogli di mettere via quel telefono e di dare attenzione ai clienti, ma quando aveva un attimo libero, ecco che infilava la mano tra le due parti del suo vecchio cellulare, lo apriva nella speranza che lo schermo mostrasse qualcosa di diverso dal suo solito sfondo, e lo richiudeva meccanicamente.
Non ne aveva idea, ma quel pomeriggio la sua presenza era annunciata in ogni corridoio del negozio dal suono ripetitivo e ovattato di quel gesto automatico. Tutto nella speranza di trovare un’email, una telefonata. Aveva lasciato dieci messaggi in segreteria, e sperava che ne avesse ascoltato almeno uno. Era stato addirittura tentato di annunciare un incendio o qualche catastrofe, ma poi si era sentito troppo stupido. L’ultima volta che aveva ricevuto un suo sms, un giorno, nove ore e 43 minuti prima - l’aveva letto talmente tante volte da ricordare testo e dettagli a memoria - diceva semplicemente che sarebbe tornato a casa quella sera. Sera che aveva passato davanti la porta di casa sua, sperando di vederlo tornare.
 
Il mattino seguente però, le occhiaie scure e pronunciate sotto i suoi begli occhi luminosi erano la prova tangibile che le cose non erano andate come sperava. Aveva saltato la prima lezione della giornata, facendosi chiamare “ribelle” dei suoi amici, e aveva cercato sull’elenco il numero della Marukawa Publications, fingendo di avere urgenza di parlare con Kisa-san per un manoscritto su un irreale shõjo chiamato “Call me now!”, aveva dato alla segretaria il proprio numero personale e le aveva chiesto di far chiamare appena fosse tornato dal suo viaggio di lavoro. Si sarebbe arrabbiato, ma aveva bisogno di sentire che stava bene. «Kisa-san è impegnato, in questo momento, ma posso inoltrare il numero alla Emerald e farla contattare da uno qualsiasi dei nostri editori!»
Quella risposta lo colse impreparato. Se Kisa-san era impegnato, poteva voler dire solo una cosa. Era tornato senza dirgli niente.
 
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Infilando una mano nella tasca destra del cappotto, il giovane uomo ne tirò fuori un ammasso di circuiti scoperti e tasti che poco somigliavano a un telefono cellulare. Come avesse fatto a rompersi in un modo così irreparabile, Kisa non ne aveva proprio idea. Probabilmente, la caduta dal terzo piano del condominio di Fukuyama-sensei, la mangaka per cui aveva viaggiato così lontano, era stata più grave di quanto non avesse immaginato. Avrebbe potuto telefonare da uno dei pochi telefoni pubblici rimasti in Giappone, ma per farlo, avrebbe dovuto ricordare almeno un numero di telefono a memoria. «Maledetta tecnologia, quando non esistevano questi aggeggi, era tutto più semplice!» Si ritrovò a ridere delle sue stesse parole. Una frase da vecchio, pensò. Takano-san, il suo datore di lavoro, sarebbe stato furioso al proprio rientro, ma avrebbe capito. Il problema sarebbe stato spiegargli perché nella propria borsa c'era solo uno dei due manoscritti che era andato a prendere. Da quando Fukuyama-sensei aspettava il suo primo bambino, la sua produzione era calata vertiginosamente. Comprensibile, probabilmente. Sconfortante, sicuramente. Era una delle autrici più prolifiche che curava personalmente, e il pensiero che potesse ritirarsi gettava un’ombra nera come pece sulle possibilità di una carriera di successo di Kisa Shouta, trent’anni, sorpassato da qualsiasi pivellino che, entrato alla Marukawa da nemmeno due settimane, collezionava uscite di successo come se fosse un gioco da ragazzi. Quando finalmente il treno iniziò a svuotarsi, dopo parecchie fermate, si sedette su un posto a caso e desiderò di sprofondare in quelle poltrone non troppo comode di seconda classe. Riprese in mano il telefono distrutto, provocando l’ilarità di un giovane sui vent’anni seduto di fronte a lui. Guardandolo, provò un senso di vuoto nel petto. Non sentiva Yukina dal giorno prima.
 
Che razza di persona dimenticherebbe il numero di telefono del proprio fidanzato? Non uno che sostiene di esserne innamorato. A quel pensiero, Kisa arrossì violentemente, tanto che il giovane di fronte a lui gli chiese se fosse tutto a posto, con un sorriso che ricordò solo la pallida ombra del suo sorriso. Probabilmente, anche quel ragazzino l’aveva scambiato per un liceale. Distolse lo sguardo, fissando il panorama innevato e senza forma fuori dal finestrino assumere pian piano dei contorti più delineati. Riusciva a riconoscere le forme degli alberi, e di alcune case in lontananza. Non poteva essere Tokyo, non avevano ancora superato il vecchio ponte di legno.
 
«Informiamo i passeggeri che a causa delle condizioni atmosferiche, la corsa procederà a velocità ridotta fino alla stazione di Tokyo Ebisu. Ci scusiamo per il disagio.»
 
Kisa scoppiò in una risata isterica che fece voltare due dei passeggeri alla sua sinistra. Era incredibile, voleva solo tornare a casa!
 
~
 
Non era la prima volta che Yukina Kou, uno studente del corso di pittura a olio dell’università pubblica, andava al parco di Ueno, tanto che aveva ormai tacitamente conquistato un posto vicino alle file di alberi che in primavera attiravano turisti da tutto il mondo. In quel momento, però, Yukina li trovava estremamente tristi, senza nemmeno una foglia, e inclementi, costringendo i campi dei senzatetto a uscire allo scoperto. «Ancora un paio di pennellate, e quell’albero sembrerà prendere vita dalla tua tela, ragazzo» mormorò uno di loro alle spalle di Yukina, che non si scompose. Era un vecchio uomo che frequentava il parco da molto prima che lui iniziasse a disegnare dal vivo nei momenti liberi, e non aveva mai fatto altro che complimentarsi per ciò che vedeva emergere dalla tela. «Anche se… Oggi c’è molta più luce di quanta ce ne sia nel tuo disegno, sembra notte. Usa il giallo per il sole, non il blu!» Yukina si girò verso di lui troppo tardi per qualsiasi risposta: l’uomo era già lontano. Sospirò, tornando a fissare il proprio tentativo di realismo, e si rese conto che aveva ragione. Era notte fonda, in quella tela. Forse perché era notte fonda anche nella propria testa.
 
Avere vent’anni e solo pochi pensieri per la testa era un problema, pensò Yukina mentre rimetteva a posto i propri pennelli e si rassegnava a tornare a casa senza niente di degno tra le mani. Kisa-san era un uomo adulto, con un lavoro molto importante. Se non aveva avvisato del proprio ritorno dev’essere stato per una giusta causa.
Si ritrovò a sorridere al proprio riflesso in una vetrina di una pasticceria, cercando di sembrare convincente mentre pensava a quelle che, in cuor suo, sapeva essere solo giustificazioni. Una parte del suo cervello continuava a chiedersi perché, nonostante cercasse di non fargli pressioni e di non essere “assillante” e “accecante”, lui continuasse a non volerlo come parte della sua vita. Dopo tutti i mesi passati insieme. Quando aveva finito il turno alla Maribo books, andare al parco per dipingere e impegnare la mente gli era sembrata una buona idea. Adesso, di ritorno con una crosta di poco conto sotto braccio e un telefono che non squillava in mano, tutto gli sembrava meno sensato. Senza rendersene conto, il ragazzo si ritrovò sulla strada per la Marukawa, e quando lo realizzò, solo pochi incroci prima di incontrare il grande palazzo illuminato, si perse in pensieri e sogni a occhi aperti, in cui Kisa era lì, ad aspettarlo, e sarebbero andati a mangiare un hamburger dietro casa sua, e poi avrebbero passato la notte insieme… Ma quando svoltò l’ultimo angolo, le porte della casa editrice erano chiuse, e nessuno stava aspettando nelle immediate vicinanze.
 
Senza un preciso motivo, rimase lì, però. Fermo immobile nel punto da cui di solito aspettava di vedere Kisa uscire da lavoro. Forse sperava che succedesse davvero. In quelle ultime due ore e mezza aveva provato a telefonare, memorizzando persino la cadenza della voce metallica che rispondeva ogni volta. «Il cliente da lei chiamato non è raggiungibile. Riprovi più tardi.» In due occasioni il messaggio aveva tardato ad arrivare, e Yukina aveva sperato, in pochi secondi, di poter sentire la sua voce. Deluso in ognuno dei suoi dieci tentativi, decise di smettere. E quando anche l’ultimo impiegato della Marukawa era uscito dall’edificio, e le luci si erano spente, decise anche di tornare a casa.
Provava un senso di vuoto, nel petto. Si chiese, a ogni passo, il perché di quel silenzio. La segretaria gli aveva confermato che era a lavoro, eppure non aveva sentito il bisogno di scrivergli nemmeno un messaggio, anche stupido, in cui gli spiegava che aveva da lavorare. Lo faceva sempre, ormai. A meno che non fosse in compagnia. Yukina si rese conto in quel momento che quel pensiero maligno e subdolo era sempre stato lì, dietro ognuna delle sue domande e giustificazioni, aspettando solo il momento giusto per saltare fuori. Dentro di sé, sapeva che Kisa non avrebbe potuto, non adesso, non ora che gli aveva confessato di essere innamorato di lui. Eppure, quella fiamma di gelosia non si era mai spenta, e aveva continuavo a crescere, nascosta da qualche parte. In quel momento, il ragazzo si tolse il berretto di lana, alzò gli occhi al cielo che aveva ricominciato a lasciar cadere fiocchi di neve, e ne respirò l’aria fredda a pieni polmoni. Doveva darsi una calmata. Avrebbe chiesto direttamente a Kisa. Qualche minuto prima che il suo cervello decidesse di cambiare la direzione, le sue gambe avevano già deciso di dirigersi a casa sua. Avrebbe bussato, l’avrebbe visto, si sarebbero chiariti. Con quelli e molti altri pensieri in testa, Yukina attraversò il terzo cavalcavia, l’ultimo prima di raggiungere la zona residenziale in cui abitava Kisa. Si strinse il cappotto addosso quando una folata di vento lo investì in pieno, e soffiò davanti a sé. Una sinuosa voluta di fumo si espanse dalle sue labbra fino a perdere i contorni e trasformarsi in una sottile nebbiolina chiara che, per qualche secondo, gli offuscò la visuale. Sorrise, tornando bambino per un attimo, e ci riprovò, cercando di espirare più a lungo. Questa volta, il respiro era più denso, e annebbiò per un attimo l’immagine delle poche persone che tornavano a casa, dall’altro lato della strada. Sorrise ancora, più triste questa volta, quando si rese conto che cercava Kisa nel volto di ognuna di quelle persone.
Sgranò gli occhi, però, quando lo trovò.
 
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«E inglese? Quando andavo a scuola, odiavo inglese! Scommetto che sei più un tipo da letteratura, vero? Hai uno sguardo così carino!»
Era il cliché di se stesso, pensava Kisa mentre il ragazzo di fronte a lui lo bombardava con la terza serie di domande a raffica. Gli aveva chiesto quanti anni avesse, e lui aveva risposto che frequentava l’ultimo anno delle superiori. Scontato, eppure non era riuscito a evitare di mentire. Forse perché non trovava importante dire la verità, o forse perché non voleva impegnarsi dicendola, ma nel momento in cui il giovane dal viso più carino di tutto lo scompartimento gli si era avvicinato troppo, e gli aveva sussurrato che era davvero un bel ragazzo, Kisa si rese conto di esserci ricaduto. Non ricordava nemmeno quale fosse il suo nome, eppure sapeva di averlo sentito solo poche decine di minuti prima, e sapeva che il treno procedeva lentamente verso casa, posto che voleva raggiungere sempre più disperatamente. Sospirò.
«Ti andrebbe di andare con me e alcuni amici in quel nuovo locale di Shibuya…? Non farebbero entrare i minorenni, ma conosco il buttafuori, posso far finta che sei il mio ragazzo e…» Mentre una delle guance del ragazzo carino si piegò in un ghigno seducente, Kisa pensò che quando aveva avuto la sua età, quel ragazzo probabilmente era ancora alle prese con i gakushu kanji di sesto anno. O forse di quinto.
«Non mi piace andare nei locali, e poi… Non voglio far finta di essere il tuo ragazzo, sono già impegnato» Nel pronunciare quelle parole, Kisa si coprì la bocca con entrambe le mani, arrossendo in un modo che, chiunque l’avesse visto in quel momento, non avrebbe potuto fare a meno di definirlo “carino”. Era stato davvero così avventato da dire una cosa del genere a un perfetto sconosciuto su un treno? Doveva essere davvero impazzito. Abbassò lo sguardo, fissando le proprie mani nascoste dai guanti di lana neri e grigi che Yukina gli aveva regalato nemmeno due settimane prima, dopo aver sopportato le sue lamentele per tutta la sera perché aveva perso i propri guanti preferiti. Rigirò le mani, fissandone i palmi, e sospirò, trovando una pennellata di tempera tra l’indice e il pollice sinistro. Quelli che gli aveva regalato non erano dei guanti qualsiasi, erano i suoi. Strinse le mani a pugno, sentendo riaffiorare la rabbia per essere ancora su quel dannato treno, invece che a casa. In quel momento, si rese conto di quanta voglia avesse di rivedere Yukina, dopo tre giorni infernali al gelo, e di quanto bisogno avesse di sentire una sua carezza sulla pelle, e un suo bacio sulle labbra. Si, doveva essere impazzito, pensò. Nessun uomo adulto e sano di mente penserebbe a cose così sdolcinate… Da manga!
 
«Informiamo i passeggeri che siamo in arrivo a Tokyo Ebisu. Tokyo Ebisu. Grazie per aver viaggiato con noi.»
 
Per Kisa, quello era l’annuncio più bello delle ultime 72 ore. Per il giovane che gli sedeva di fronte, molto probabilmente, no.
 
«Dove vai, adesso?»
«A casa»
Il giovane rise. «E che strada fai per andarci? Io passo per la scuola elementare»
Kisa ringraziò mentalmente la sorte. Le due direzioni non potevano essere più opposte. «Io devo andare oltre il ponte, verso l’ufficio postale»
«Nessun problema! Posso accompagnarti!»
 
Avvenne tutto in fretta. In quello che a Kisa sembrò un solo momento, il treno si fermò, le porte si aprirono e il giovane corse giù in stazione, con la propria borsa in mano. Quando si rese conto che non era più ai propri piedi, lo raggiunse, trovandolo a ridere in cima alle scale per il sottopassaggio.
«Dovresti fare più attenzione, ragazzino, i treni sono pieni di borseggiatori. Che ci hai messo dentro? È pesantissima! Te la porto io fino a casa, sta’ tranquillo!»
 
Che male c’era a sfruttare l’aiuto di un ragazzo giovane e carino? In fondo, era solo una borsa, e solo fino a casa. «Non lascerei mai tornare un liceale così carino a casa da solo, sai?” Superato l’ufficio postale e imboccate le piccole stradine a Kisa familiari, non gli era ancora venuto in mente un motivo valido per non farlo.
 
Per l’ultima volta in quella lunghissima giornata, Kisa batté le dita contro il suo ormai defunto telefono cellulare, nella tasca del cappotto, e in quel momento, il ragazzo accanto a lui lo fece sobbalzare, chiedendogli proprio del suo telefono. «Come hai fatto a romperlo così? I tuoi genitori lo sanno? Vivi con loro?» Kisa scosse la testa, cercando di limitare al minimo la conversazione con il suo accompagnatore. Non aveva voglia di inventare bugie, e non aveva voglia di dargli informazioni. Tornare a casa, recuperare il numero di Yukina e farsi una doccia. In ordine, queste erano le uniche cose importanti per Kisa, in quel momento.
 
«Stai in una bella zona… Che ci fa un ragazzino così lontano da casa, su un treno, tutto da solo?»
«Tornavo a casa, appunto» Kisa si rese conto senza pensarci troppo che spesso un bel viso non è per niente sinonimo di simpatia o intelligenza. Dentro gli occhi, però, il viso di Yukina si materializzò come a dimostrargli che sbagliava. Arrossì, e nessuno lo notò, pensando che anche Kou a volte era un idiota. Kou. Aveva pensato a lui chiamandolo per nome. Per Kisa, quel ragazzo era diventato così importante da non riuscire a pensarsi diviso da lui. Quando il suo accompagnatore gli chiese perché avesse messo il broncio, si rese conto di aver assunto un’aria pensierosa. Sdrammatizzò, quindi, riflettendo su quante scuse e spiegazioni avrebbe dovuto dare a Yukina, non appena si fossero visti.
 
In quel preciso istante, Kisa non poteva immaginare che quel momento sarebbe arrivato solo tre minuti più tardi, quando il suo viso gli riempì gli occhi, e la sua espressione arrabbiata glieli fece spalancare.
 
«Kisa-san! Che fine avevi fa-e chi è ques-perché non hai chiamato quando sei tornato?!»
«Y-Yuki—Non è come… Mi sta accompagnando a cas-»
«Potevi chiamare me. Ti avrei accompagnato io.»
 
Quanto surreale poteva sembrare, quella conversazione, per chiunque fosse arrivato in quel momento in quella stradina deserta se non per quei tre individui, di cui uno non faceva che ridere, e gli altri due continuavano a parlarsi sopra l’un l’altro? Il più alto dei tre abbandonò la tela che aveva in mano per terra, e di scatto prese il polso del più piccolo e apparentemente indifeso, trascinandolo via dall’altra figura. Che iniziò a lamentarsi. «Ehi! Chi ti credi di essere? Ehi, dico a te! Ehi» Kisa riuscì a strappare la propria borsa dalle mani di quel ragazzo un attimo prima che Yukina lo portasse via e lo allontanasse da casa propria. Non gli piacevano quelle scenate in pubblico. Non gli piaceva che Yukina fosse così irruento e impulsivo, e non gli piaceva dover ammettere che aveva tutte le buone ragioni per esserlo, questa volta.
 
Quando Yukina si fermò, svoltando a destra per la piccola stradina che porta al vecchio campetto di calcio, Kisa non fece in tempo a riprendere fiato, perché il respiro gli fu mozzato da uno dei baci più inaspettati e densi della sua vita. Non poté decidere di schiudere le labbra, perché la lingua di Yukina si era già fatta spazio nella sua bocca come se volesse confermarne il possesso. Nella mente di Kisa c’erano solo stralci di pensieri senza senso. Pensava che non aveva mai visto quell’espressione sul suo viso, e anche che aveva cambiato profumo. Quando lo spinse contro il muro freddo di una delle abitazioni laterali al proprio condominio, però, riprese perfettamente consapevolezza di ciò che stava succedendo, e lo spinse via. «Sei diventato pazzo?! Datti una calmata, era solo un tizio che ho conosciuto sul treno e che ha voluto accompagnarmi a casa! E poi… Siamo in mezzo alla strada, non puoi assolutamente fare certe cose!» Mentre parlava, il volume della voce di Kisa aumentava. Sapeva che aggredire Yukina non era la scelta più saggia, non quando aveva pienamente ragione per avercela con lui, eppure non riusciva a controllarlo. In un attimo, immaginò un immediato futuro in cui Kisa si sarebbe talmente arrabbiato che l’avrebbe lasciato lì. In un solo istante, ebbe la sensazione che fosse finita, tutto per uno stupido telefono rotto e uno stupido ragazzino invadente. Ma quella doveva essere la notte delle sorprese, perché il giovane uomo che Kisa aveva di fronte abbassò semplicemente la testa, gli prese la borsa dalle mani e uscì dal vicolo, voltandosi a guardarlo solo quando la luce dei lampioni della strada principale ne sfuocava i lineamenti. «Andiamo a casa a farle, allora.» Quando Yukina sparì dalla visuale del vicolo, Kisa fu convinto di aver visto un sorriso sulle sue labbra, e ne fu attratto al punto da rincorrerlo.
 
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Era un appartamento modesto, piccolo ma confortevole, troppo in disordine per dare l’idea di essere vissuto con frequenza. Due giorni o tre a settimana e, forse, con i ritmi di lavoro della Marukawa Publications, l’appartamento di Kisa Shouta vedeva il suo proprietario anche meno. In quel momento, l’unica fonte di luce era quella dei lampioni della strada che filtrava dalle fessure delle persiane, e il silenzio era rotto solo dagli ansimi caldi dei due amanti. Ci sarebbe stato un tempo per le incomprensioni e le spiegazioni, forse, dopo. In quel momento, c’erano solo parole sussurrate sulle labbra, baci e morsi mescolati a gemiti e sospiri, e i loro due corpi, fusi in uno solo.
 
«Mio, Shouta»
«Mh…?»
«Sei mio.»
 
 
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"Sia pres[o costui] da un amore perdutissimo per l'ultimo degli uomini,
contro il quale il destino si sia accanito nell'amore..."
(La favola di Eros e Psiche)
 
 
Angolo dellAutore
Grazie per essere arrivati in fondo a questa lunga oneshot. Questa è la prima che scrivo su Kisa e Yukina, due personaggi di cui mi sono innamorata dalla prima puntata dell’anime e da cui sono ancora dipendente grazie al manga. La storia è nata come regalo a mia sorella, che pubblica sotto lo stesso nickname, e con cui pubblichiamo insieme da mesi, ma poi abbiamo deciso di renderla disponibile per chiunque avesse avuto piacere di leggerla, così eccola qui.
 
Spero di poter leggere le vostre opinioni e i vostri consigli.
Un abbraccio <3
Artemisia. 
   
 
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