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Autore: ales_sja    10/10/2014    3 recensioni
Quando il ghiaccio incotra il caldo.
Quando l'azzurro incontra il nocciola.
Quando la scrittura incontra la fotografia.
Quando i sentimenti incontrano un muro di vetro. Basta un pugno, e crolla in mille pezzi.
Quando il passato incombe su delle vite che invece voglio andare avanti.
Storie diverse, trascorsi confusi e lontani, presenti che un giorno - per volere superiore - si sfioreranno, si accarezzeranno ma non avranno il tempo di stringersi.
Ma vorranno?
Vorranno davvero salutarsi?
Lasciarsi? Sfiorarsi ma non tenersi?
Per chi crede che il destino faccia incontrare, ma che l'uomo sia costretto a lottare.
E' una storia scritta un po' così, forse per caso, o forse con uno scopo. Il mio, per adesso, è provare a farvi emozionare.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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                                             I tuoi occhi sulla pelle.

                                                      di ales_sja



 
"Sulle ali leggere dell'amore ho superato queste mura:
non ci sono limiti di pietra che possano impedire il passo dell'amore,
e ciò che l'amore può fare, l'amore possa tentarlo."

                                               
                                               Shakespeare, Romeo e Giulietta,
                                                       atto II, scena seconda,
                                                                  vv. 61-63





1. In alto i calici





16 marzo 2014, Firenze.






"E adesso, signorina Lombardi, possiamo finalmente brindare!" Il signor Ferrari sollevò in alto il calice di vino bianco, mentre la ragazza lo imitava con gesti eleganti, sorridendo gentile e felice.
Il contratto era stato firmato, il primo passo era compiuto. Da quel momento in avanti, quello che sarebbe diventata da lì al prossimo anno, sarebbe dipeso tutto da lei.
Sentiva il suo futuro solido tra le mani - seta soffice, macigno pesante, creta modellabile tra le sue dita incerte - e mai si era sentita così in vita sua. Non c'era, tra tutte le parole, una sola che potesse descrivere come si sentisse in quel preciso istante.
Gioia infinita.
Paura che attanaglia lo stomaco.
Entrambi portarono il bicchiere alla bocca. Labbra sul vetro, nettare degli dèi che bagna la lingua, brucia in gola, inonda il corpo, scalda l'anima.
"A me, a lei, e al nostro libro."
Di nuovo i calici in alto.
Un altro sorso, un ultimo ancora.
Emma era quasi tentata di correggerlo - attenta com'era all'uso delle parole. Teoricamente, e anche praticamente, quello che il signor Ferrari aveva appena definito "il nostro libro" era solo suo, in quanto nei mesi a seguire l'avrebbe scritto, cancellato, scritto di nuovo, riletto, corretto, sistemato e riscritto solo lei.
Ma evitò di puntualizzare, non sarebbe stato furbo da parte sua mettersi contro il capo di una delle più importanti case editrici internazionali - che per non si sa ancora quale miracolo - l'aveva contattata per "lanciarla nel mondo della scrittura", come le aveva detto lui stesso durante la loro prima telefonata.
In realtà ad Emma quello che interessava era ben altro. Tutto quello che lei voleva era semplicemente scrivere, scrivere, scrivere e ancora scrivere, far emozionare, raccontare tutto quello che nella sua mente e nella parte più profonda del suo corpo viveva attraverso la sua immaginazione.
Paesi lontani.
Storie straordinarie.
Amori devastanti.
Amicizie infinite.
Partenze dolorose.
Arrivi inaspettati.
Era tutto collegato, dentro di sé, al fine che quello che non poteva vivere lei stessa, glielo avrebbero fatto vivere le sue parole.
Era un regno bellissimo, il suo interno. Abitato solo da lei. Frutto di ogni fantastia terrestre. Paradiso nascosto. Raggiunta del Nirvana.
Congiuse le mani davanti a sé, dita tra le dita, appoggiando gli avambracci sul bordo del tavolo in legno.
"Spero tanto di non deluderla, invece. E' tutto qua - picchiettò due dita affusolate, dalle unghie curate, sulla tempia e poi sul cuore - quello che mi preoccupa adesso è essere in grado di metterlo correttamente per iscritto."
Si mise un po' a nudo, in quel modo, di fronte a quell'uomo. Le era costata un'immensa fatica quella confessione, l'ammissione di una sua paura la faceva sentire debole, facilmente attaccabile. Per questo lo disse con voce ferma - quasi con noncuranza apparente - in modo da non esporsi troppo, per proteggersi un po'.
Voce sicura, sguardo che vacilla.
Ma il suo interlocutore sembrò non accorgersi di suoi occhi, abisso profondo.
"Oh, di questo non deve proprio preoccuparsi, signorina. Abbiamo visto, e sappiamo entrambi, quanto successo ha riscosso e riscuote tutt'ora pubblicando su internet. Le persone praticamente già la amano, la seguono e la rispettano. Un libro è il passo successivo. Un segno che rimarrà per sempre."
Le tremavano le vene, i polsi battevano al ritmo del cuore. Apparì comunque calma, come se nel suo corpo quelle sensazioni non si fossero mai manifestate. Aveva imparato a mantenere il controllo su sé stessa, in determinate situazioni. E aveva capito che quasi mai bisognava dimostrarsi deboli.
"Amano le mie parole, forse. Non me. Seguono e rispettano le mie parole, non me. Di questo, ne sono sicura."
Non fece in tempo a finire che la voce calda e amichevole dell'uomo si sovrappose alla sua.
"Ma c'è lei dietro alle sue parole."
In parte era vero, ma era come se si impossessassero del suo corpo e prendessero vita propria, fuori da lei. E indipendenti vivevano nel presente, nel futuro e nel passato. Vivevano sempre e per sempre.
Sorvolò. Non voleva affrontare un argomento tanto delicato, profondo e intimo per lei, con quell'uomo.
"Quelli che ho sempre postato su internet sono pensieri, sensazioni e vicende vissute, scritti di media lunghezza. Un libro, come ha detto lei, è un altro passo, è un segno che rimarrà per sempre. E' vita che nasce, scorre, e non muore mai."
"E' brava, signorina Lombardi. Sarà una passeggiata per lei scrivere un romanzo."

Intanto la sua firma bruciava nera sopra quel foglio bianco.


                                                                                                                                                                           




Era da poco uscita dal ristorante dopo aver elegantemente rifiutato il passaggio offertole dal signor Ferrari, scusandosi e dicendo che casa sua non era molto distante da lì e che quindi una breve passeggiata notturna non le avrebbe fatto alcun male. In realtà, casa sua si trovava esattamente dalla parte opposta della città, ma questo si premurò bene di non dirlo.
Era da più o meno una decina di minuti che il suono dei suoi tacchi sull'asfalto determinava il ritmo dei suo passi, e l'orologio segnava le ventitré passate da pochi secondi, quando attirata da un vociare fitto e sottomesso, si voltò alla sua destra, notando l'entrata di una galleria illuminata. C'erano stati dei lavori di ristrutturazione, in quel posto, terminati evidentemente qualche settimana prima. Emma aveva il vago ricordo di ponti e muratori che entravano e uscivano chiamandosi a gran voce e intrattenendo conversazioni dal basso all'alto, rendendo praticamente partecipi tutti i passanti che percorrevano il centro. Si ricordava di averlo trovato comico, il modo in cui quei lavoratori, imprecavano e urlavano - letteralmente - a tutta la città i loro problemi. Adesso quella confusione era stata sostituita da un ambiente chiaro, luminoso e regale. La ragazza si avvicinò all'entrata quasi senza accorgersene, e spinta da non si sa quale interesse, salì il piccolo scalino che ufficialmente le diede accesso al locale. La musica di un pianoforte si diffuse nell'aria, ed Emma notò lo strumento in un angolo della stanza, alla sua sinistra. La prima cosa a colpirla fu, quasi per assurdo, tutto quel bianco che incombeva silenzioso e avvolgeva chiunque si trovasse all'interno.
Luce che combatteva contro buio che regnava sovrano fuori. Le piacque quel contrasto.
Era come un universo a parte, quel posto. Come se non avesse niente a che fare con tutto quello che lo circondava. Forse era proprio questo ad attrarla. Era questo che la incuriosiva.
Davanti a lei una scritta nera viveva su quel muro bianco: Mostra Fotografica di Andrea Bonfini.
A fianco ad essa, un giovane uomo la osservava penetrante e quasi divertito. Emma sentì addosso tutto il peso di quello sguardo. E arrossì, inevitabilmente, sotto la potenza di quegli occhi. Combattè contro sé stessa per non abbassare il capo e dargli la soddisfazione di vederla cedere. Osservò, stregata, quel corpo statuario. Accarezzò con gli occhi l'ampiezza delle spalle, la linea definita del collo, la durezza della mascella e i capelli castani che ribelli si adagiavano sulla sua fronte e leggeri gli solleticavano il collo. Per un millesimo di secondo si ritrovò a pensare a come sarebbe stato passare le mani in quella chioma scura. Si soffermò, forse più di quanto avrebbe voluto, a guardare quelle labbra piene incurvarsi in un sorriso di cortesia verso l'anziano che al suo fianco cercava di interloquire con lui. Fu rapita dal movimento lento e deciso con cui la sua mano aveva afferrato un calice di vino bianco, e si ritrovò a seguire quelle dita affusolate che stringevano con delicatezza l'oggetto e lentamente lo guidavano fino alla bocca. Spostò la sua attenzione sul pomo d'adamo che si spostò dal basso all'alto e dall'alto al basso mentre l'uomo deglutiva. Ed improvvisamente si sentì troppo accaldata. Non ce la fece, non abbassò lo sguardo, ma lo deviò alla sua destra, dove una serie di scatti erano esposti e governavano le pareti bianche. Si sentì leggera, quasi le parve di volare e viaggiare fino a dove quelle fotografie riuscivano a portarla.
Si mosse lenta ed elegante, tra quelle istantanee, mentre dentro di sé prendeva vita qualcosa di inaspettato.
Si ritrovò, così, dopo aver visitato tutta la sala, davanti all'uomo che poco prima l'aveva destabilizzata a tal modo semplicemente guardandola.
"Prego, signorina."
Prese il calice dal vassoio di un cameriere e glielo porse. Per una frazione di secondo le loro mani si toccarono, sfiorandosi. Rabbrividirono entrambi, cercondo l'uno gli occhi dell'altra.
Emma accettò il vino, portando il bicchiere alle labbra. Lo assaggiò con lentezza, bevendo a piccoli sorsi come le era stato insegnato dai suoi genitori. Chiuse gli occhi, assaporando ogni sua sfumatura.
"Vin Santo Del Chianti." sussurrò Emma facendo girare il liquido bianco all'interno del vetro.
"Colline fiorentine, esatto. Si intende di vini?" domandò lasciando trasparire dalle iridi scure e tormentate una sorta di piacevole sorpresa.
Emma sorrise. Infondo, molto infondo, si era presa la sua piccola rivincita.
"Credo che il gusto sia inequivocabile. E' lei il fotografo?"
L'uomo annuì, guardandosi attorno come se non credesse che davvero le sue foto fossero esposte.
"E' esperta anche di fotografia?"
Entrambi posarono i calici vuoti sopra al vassoio di un altro cameriere vestito di bianco. Emma si sorprese di come quel posto risultasse tremendamente etereo. Osservò di nuovo, per qualche secondo, il corpo del suo interlecutore. La camicia nera era ordinatamente infilata all'interno dei pantaloni chiari e le maniche erano arrotolate fino ai gomiti. Le bretelle donavano all'abbigliamento qualcosa di giocoso ed infantile ma elegante. Era sempre stata, senza una ragione ben precisa, segretamente attratta dalle spalle e dalle braccia degli uomini.
Non si dilungò molto su quei pensieri, preoccupandosi invece di dargli una risposta.
"No. No, assolutamente. Non è il mio campo quello." Scosse la testa facendo ondeggiare i capelli scuri sulle spalle, fino a farli adagiare sul seno.
L'uomo seguì quel movimento, e di nuovo Emma lo vide deglutire.
"Devo... Si, credo di doverle dire grazie." la voce, nonostante Emma sentisse una leggera agitazione attanagliarle lo stomaco, risultò tranquilla e decisa.
"Per cosa, esattamente?"
"Avevo bisogno di queste foto. Ne avevo proprio bisogno."
Poi non lo lasciò rispondere che già era fuori dalla galleria, a respirare di nuovo l'aria notturna di Firenze.







17 marzo 2014, Firenze.





La notte stava lasciando con timidezza il posto al nuovo giorno. Non era buio ma non era neanche luce. Era una terra di mezzo in cui i due mondi si incontravano per salutarsi. Protetta da quella pace momentanea, camminava a passi lenti per le strade della bella Firenze.
La brezza primaverile le accarezzava il corpo facendola sentire un po' più viva. Dall'apparenza regale, come una benevole regina di un Paese lontano, si muoveva con eleganza e maestosità, raggiungendo il Parco delle Cascine quando all'orizzonte il sole era indeciso se svegliarsi o tornare a dormire.
Reduce da una notte dominata dall'insonnia, il cui unico vantaggio era stato scrivere e definire a grandi linee i caratteri dei protagnosti, Emma aveva solo la necessità di rimanere per un po' sola con sé stessa e il suo mondo nascosto.
Quella notte - dopo la cena con il capo della casa editrice e l'incontro con il fotografo, dal quale si sentiva ancora piacevolmente e paurosamente destabilizzata - aveva costretto, ancora, Luca a rimanere sveglio con lei. Lo aveva invaso con le sue preoccupazioni e i suoi complessi di inferiorità con cui il povero ragazzo combatteva da una vita.
Si era sdraiato sul letto a fianco a lei, l'aveva stretta per un po' tra le braccia e lei si era lasciata andare ad un fiume di parole che straripava solo con lui. Stretta familiare, corpi che si incastrano, mani che si cercano, cuori vicini, anime che si toccano. Era bello, il rapporto che erano riusciti a creare con il tempo.
"Non posso, Luca. Mi sono laureata solo l'anno scorso! Ho 25 anni! E' troppo presto, forse ho fatto una scelta troppo affrettata. Non riuscirò a riordinare bene le idee scrivendo un romanzo che abbia un filo logico. La mia vita non ha un filo logico, come posso pretendere che lo abbia quello che scrivo? Farò confusione, mi passerà l'ispirazione, e.. e.."  era la seconda volta, nella stessa sera, che si mostrava debole davanti a qualcuno. Non le pesava, però, farsi vedere debole da lui.
Aveva affondato la testa nel petto caldo dell'uomo che la teneva tra le braccia, debitrice per sempre a quell'angelo che la vita aveva deciso di metterle accanto.
Luca l'aveva interrotta prima che il suo monologo si facesse troppo esilarante. Era divertente, per lui, vedere la sua piccola Emma disperarsi senza ragione. Era ingenua e fin troppo modesta, tanto che a volte sembrava non vedere la sua bravura nello scrivere. E forse, molto probabilmente, non la vedeva davvero.
"Ok, ferma. Stai delirando. Emma respira. Non è una scelta affrettata, e te lo dico io. Devi credermi. Ci sai fare, con le parole. Solo perché, a detta tua, la tua vita non ha un filo logico, non significa che il tuo libro non ce lo possa avere. Sei brava. Mettitelo in quella testolina che mamma e papà ti hanno fatto. E se l'ispirazione verrà a mancare per qualche giorno, sappiamo entrambi come farla tornare. Non devi preoccuparti, sei una bestia." aveva scherzato facendole il solletico sui fianchi bianchi e caldi. Voce dolce, sussurri lenti che entrano sotto pelle e cominciano a far parte di te. L'aveva portata a sorridere, cielo scuro che si spalanca, stelle che brillano, suono melodioso che riempie il cuore.
Erano rimasti a parlare ancora un po', l'uno stretto nelle braccia dell'altra, fino a quando Luca non si era addormentato silenziosamente mentre lei gli raccontava l'interessante vita sentimentale di una sua vecchia 'amica' del liceo, che aveva incontrato di nuovo qualche giorno prima. E lui si era addormentato, inconcepibile! Emma allora era sgusciata fuori dalla quella morsa dolce, gli aveva lasciato un bacio leggero sulla fronte, e spegnendo la luce aveva abbandonato la stanza provando ad andare a scrivere qualcosa in cucina. Se Morfeo non aveva intenzione di prenderla tra le sue braccia, quella notte, lei avrebbe usufruito del tempo a disposizione per qualcosa di utile.
Era uscita di casa presto, prima che l'alba dipingesse il cielo con i suoi infiniti colori, per cercare l'ispirazione mattutina.
Il computer portatile, adesso, giaceva spento dentro la borsa. Lo portava sempre con sé, amico inseparabile, disposto a farla scrivere ogni volta che ne sentisse il bisogno.
Proprio come in quel momento.
E in più aveva appena firmato - firmato! - il contratto che le garantiva la pubblicazione del suo primo libro.
Aveva letto quel contratto così tante volte da saperne ogni minima parte a memoria, l'aveva sezionato e analizzato tutto anche con l'aiuto di Luca, per paura di perdersi qualcosa.
L'aveva costretto a passare intere notti in bianco, lamentandosi, a sfogliare e leggere e rileggere quei fogli. Mica era colpa sua, si diceva Emma, se lui aveva voluto studiare giurisprudenza. Di certo non l'aveva costretto nessuno, sicuramente non l'aveva costretto lei.
Si sedette ai piedi di un albero, la schiena a contatto con il tronco ruvido. Adagiò il portatile sopra le gambe incrociate e abbandonò accanto a sé il quaderno con gli appunti presi quella notte.
Le parole arrivarono, inaspettate, giunte da molto lontano, cariche di bellezza e unicità. Arrivarono a fiumi, e come persone in pellegrinaggio si mostrarono devote e sottomesse ad ogni suo volere.
Prese forma così, lentamente inspirato dalla brezza mattutina, il primo capitolo del suo primo romanzo.
Parole che nascono, vita che scorre, amante che non tradisce.


                                                                                                                                                                            




Emma però non si accorse di una figura che, davanti a sé, si era seduta ad una distanza di una ventina di metri, all'ombra di una pianta.
La macchina fotografica a battere sul petto ad ogni respiro. Occhi in tempesta che trovarono la loro pace posandosi su quella figura divina.
Sguardo perso, che si infrange in un punto ben preciso.
Sguardo di chi, guardando qualcosa vede tutto.
Sguardo di qualcuno che ha imparato a stare in silenzio, parlando con gli occhi.
Emma non se ne accorse, di quello sguardo, troppo presa ad esplorare un altro mondo. Ma quello sguardo si accorse di lei, e di quel mondo lontano.
E poi, nel silenzio, rimbombò il suono di uno scatto.
E in un secondo, la bellezza dell'alba, fu imprigionata in una fotografia.







Angolo ales_sja:
ciao, popolo di efp! Ero indecisa se postare o no questo mio piccolo spazio, ma poi ho pensato che una presentazione vi sia dovuta.
Allora, ho iniziato a scrivere questa storia un po' di tempo fa, ed è rimasta per circa due mesi rinchiusa in una cartella del mio computer, accessibile solo a me. Nonostante la scriva da qualche mese, sono solo al sesto capito (chiedo venia, ma sono lentissima, mi ci vogliono dei giorni e allle volte - presa da pazzia e insoddisfazione - cancello tutto e riparto da capo), in ogni caso, credo pubblicherò un capitolo a settimana, tutti i venerdi quindi avrete un aggiornamento. In questo modo avrò il tempo di portarmi avanti con la scrittura dei capitoli che mi mancano per la conclusione della storia.
Ecco, a proposito di questo, non ho ancora ben chiare le idee su quanto sarà lunga, ma non credo che supererò i 22/23 capitoli (poi ci sta vanga anche di 16 haha).
Un'altra cosa, non sono nuova su efp, nonostante questo account sia di recente creazione. Ne avevo un'altro dal 2012/13 con altre tre storie, ma ho dimenticato la password e quindi eccomi qua!
Che altro dire?
Spero mi facciate sapere cosa ne pensate in una recensione, per me significherebbe molto, anzi moltissimo!
Se volete contattarmi:
Twitter: @vivodjzayn
Tumblr: cielidicartapesta


Un bacio!
ales.
   
 
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