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Autore: hp_in_my_heart    10/10/2014    0 recensioni
Buonasera a tutti! Pubblico la storia per il secondo turno del contest "Il nuovo esame" indetto da _Aras_ sul forum di EFP. Stavolta il protagonista è un soldato della seconda guerra mondiale... Ce la farà? Bè, per scoprirlo, leggete!
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Genere romantico
genere erotico
rating arancione
contesto storico
citazione: “La storia si ricorda dei re, non dei soldati.”
prompt lacrime

 

 

 


Autore: hp_in_my_heart
Titolo: Thousand nine hundred and fourty.
Genere: erotico, storico, romantico
Rating: arancione
NDA: bene, anche in questo turno sono riuscita a scrivere una... cosa (perchè onestamente questo obbrobrio non può essere definito song-fic) che spero ti piaccia. Prendila come i pensieri di questo soldato, che ritorna indietro nel tempo ascoltando la canzone, ma è distratto, e gli sfuggono alcune strofe. Ok, è una schifezza come trucco narrativo, ma non mi veniva in mente altro. Che dire, spero ti piaccia!


Thousand nine hundred and fourty

 

 

 


                                                                                    Mia madre aspetta l'autobus
nell'estate cominciata da poco
e il mattino la veste di bianco.


Attraversavo la strada per raggiungere mia madre alla fermata, il 12 Giugno millenovecentoquaranta.  Aveva un vestito chiaro che sembrava bianco coi raggi del sole. C'era gente per strada, tutti parlavano eccitati di Hitler e della sua guerra. A me non importava poi molto, mi limitavo a fissare mia madre come se non ci fosse nessun altro.
“ Madre, è appena arrivata questa.” Dissi, porgendole una lettera dall'aria ufficiale che era arrivata proprio quella mattina. Cercai di fare in modo che non vedesse le lacrime sul mio viso, stando a testa bassa, ma non seppi mai se le avesse viste lo stesso o no.
“Cos'è?” Chiese, preoccupata.
“Aprila. Comunque, non sono buone notizie.”
Mia madre aprì la lettera e la sua espressione si scuriva via via che leggeva. “Leva militare. Figlio mio, stavolta non posso fare niente per te. Devi andare.”
“Sì, lo so. Pregherete per me, voi e il papà?” Chiesi, la voce un po' tremante di paura.
“Certamente, ma sarà l'unica cosa che potremo fare. Buona fortuna figlio mio.”
“Addio, madre.” Risposi, tremante, andando poi a cercare mio padre per dargli la medesima notizia.
Era passato qualche giorno ed ero ormai partito, mi trovavo in treno con altri soldati, tutti italiani, che si sentivano più o meno come me, cioè spaventati, incerti e preoccupati. Il treno era pieno, tutti erano ansiosi di arrivare, ma anche preoccupati. Io non sapevo una parola di francese e neppure la maggioranza degli altri soldati. Questo secondo me era un grosso limite per un esercito che doveva conquistare la Francia, ma la leva era obbligatoria e solo Dio sapeva in base a quale criterio smistavano i soldati nei vari posti. I comandanti già in Francia che ci accolsero non parlavano italiano, ma si facevano capire comunque. Fu un periodo da lacrime e sangue, allenamenti massacranti e turni di guardia improponibili. Non che la guerra successiva sia stata migliore, ma aveva delle cose buone. Mentre la vita in caserma proprio non faceva per me, preferivo combattere all'aria aperta piuttosto che starmene lì al chiuso a fare la gavetta e a piangere calde lacrime la sera nel cuscino.
Non dovetti aspettare molto per essere accontentato, comunque. Solo due settimane di questa vita, ci chiamarono al fronte. Colpi di mortaio, di cannone, sangue e cadaveri ovunque. Può sembrare strano, ma mi sentivo più vivo proprio quando ero più vicino alla morte. Sono stato colpito due volte, nulla di letale e nemmeno di grave. Un paio di proiettili di striscio. Niente di che. Alcuni sono stati ben più sfortunati, ho visto diversi amici morire davanti ai miei occhi. Tutte le sere pregavo per le loro anime e per restare vivo un altro giorno.


            I soldati bevono birra
e corteggiano donne francesi
non è vero che siano diverse

La mia prima licenza me la ricordo ancora, una settimana a Parigi. Tutto di tasca mia, ma era già qualcosa averla, la licenza. Di tornare in Italia non se ne parlava nemmeno prima di un anno, per cui mi ero dovuto accontentare di una meta più facilmente raggiungibile. Grazie a una cugina di mio padre, trasferitasi in Francia da piccola, trovai una stanza da una ragazza molto simpatica che conosceva l'italiano, perchè aveva molte amiche italiane che le avevano insegnato la loro lingua. Non si poteva dire che la corteggiassi in senso stretto, ma era una bella ragazza e mi piaceva molto; alta, capelli castani e occhi verdi. Parlavamo molto, a lei piaceva farmi molte domande sulla mia vita e io, da parte mia, rispondevo volentieri. Una sera il discorso si fece serio, seduti al tavolo della cucina, con ancora tutti i piatti da lavare.
“Perchè fai il soldato?”
“Principalmente perchè sono costretto; la vita di caserma non mi piace e solo un pazzo direbbe che ama combattere al fronte.”
“Non ti interessa la gloria?”
“Quale gloria? La storia si ricorda dei re, non dei soldati.”
La ragazza annuì, era solo curiosa. Da allora prendemmo l'abitudine di cenare insieme a lume di candela per creare un po' d'atmosfera romantica che a lei piaceva molto. Non che a me non piacesse, ma insomma, io ero pur sempre un soldato e dovevo mantenere un po' di contegno.
La terzultima sera finimmo a letto assieme. Quasi me lo aspettavo, diciamo, e comunque non avrei ferito nessuno, visto che sia lei che io eravamo liberi e non più vergini. Certo, poteva rimanerci male al pensiero che andassi vis tre giorni dopo, ma sapeva la situazione e io non  l'ho forzata a  fare l'amore con me. Problemi suo. Magari dopo la guerra sarei tornato a trovarla, ammesso che ne fossi uscito vivo.
Quella sera ero uscito a fare delle commissioni, visto che ormai qualche frase di francese la sapevo dire, ed ero tornato subito a casa. Lei non era uscita per niente quel giorno, mi disse che aveva delle cose da fare. Quando rientrai, però, la trovai sdraiata sul divano con una vestaglia striminzita e nient'altro addosso. Pensai che volesse semplicemente riposarsi dalle fatiche domestiche stando comoda, ma mi sbagliavo. Mi venne incontro e, guardandomi dritto negli occhi, avvicinò i nostri visi finchè non ci baciammo. A quel punto lo presi come un invito e, anche se avesse voluto fermarmi, non so se ci sarebbe riuscita. Non che fosse violento, ma una volta che ero partito poteva essere difficile fermarmi.
Ci spogliammo a vicenda e notai che apprezzò la situazione; evidentemente, era una di quelle a cui piaceva spogliare e farsi spogliare. Fu lei a prendere l'iniziativa baciandomi il collo, comunque. Le piaceva anche prendere l'iniziativa: stavolta fui io a dover apprezzare il trattamento. Mi baciò il petto, mentre io le accarezzavo i fianchi e il seno. Questi erano preliminari spinti per l'epoca. Restammo così per un po', poi la presi in braccio e la portai in camera da letto. Nella sua camera da letto. Fino a quel momento avevo dormito nella stanza per gli ospiti, ma da quel momento in poi rimasi a letto con lei. E furono notti fantastiche. Ogni sera cambiava intimo e vestaglia, diceva che così era più divertente spogliarsi, ma la prima sera fu la migliore. Forse perchè fu u regalo gradito, o forse perchè il sesso fu effettivamente migliore. O forse perchè era la prima volta con lei. Fatto sta che quella sera raggiungemmo insieme l'apice del piacere, circostanza che non capitò più le sere successive. No, le donne francesi non sono diverse, almeno non nel fare l'amore.
Ricordo ancora le nostre lacrime quando partii, tre giorni dopo. Lei mi accompagnò alla stazione aggrappata al mio braccio. Non voleva che andassi via. Nemmeno io volevo andar via, ma la licenza era finita, il dovere mi chiamava. Piangevo anche io, ma come sempre cercai di non farmi notare da lei. Non la guardai in faccia finchè, arrivati in stazione e con la scusa di portare i miei bagagli sul treno, potei allontanarmi e asciugarmi. Lei aveva visto benissimo le lacrime solcarmi il viso, ma finse di non averle notate. L'apprezzai anche per questo.
Quando alla fine salii sul treno e quello partì, la salutai dal finestrino mandandole baci con la mano finchè lei non svanì. Durante i saluti, cercai di non piangere ancora e ci riuscii, ma poi mi accoccolai in un angolo e piansi. Tanto lo scompartimento era vuoto, nessuno poteva vedere le mie lacrime.
Passai altri dieci mesi al fronte, dieci mesi in cui non vennero concesse licenze perchè la guerra era entrata nel suo punto più vivo. L'unica speranza di lasciare il fronte era essere riformati perchè feriti, e fu proprio così che andò.
Mi avevano colpito molte volte in precedenza, ma nulla di grave. Finchè, un giorno come tanti altri, una granata mi scoppiò vicino. Dei frammenti mi colpirono a braccia e gambe. Niente di mortale, ma comunque non ero più in grado di combattere e mi mandarono a casa.
Fu un viaggio interminabile, ma alla fine tornai a casa, da mia madre e mio padre. Era molto più di quanto mi aspettassi quando ero partito, due anni prima. Avvertii mia madre con una lettera e venne a prendermi in stazione. Ci abbracciammo in lacrime, di gioia questa volta.
Guarii in fretta, fui fortunato. Raccontai tutto a mia madre e tornai a trovare la ragazza francese. Dissi ai miei che la volevo sposare e l'avrei anche fatto, ma non andò bene. Ci restai male per un po', ma poi la gioia di essere vivo prese il sopravvento. Il mio vero, grande amore fu una ragazza italiana, ma questa è un'altra storia.
Spengo la radio con un mezzo sorriso, tra amarezza e nostalgia. Ora che sono vecchio, e i miei figli e i miei nipoti vengono a trovarmi solo ogni tanto, l'unica cosa a cui aggrapparmi per passare il tempo sono i ricordi della mia gioventù.

  
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