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Autore: dark nightmare    10/10/2014    0 recensioni
Era un altro mondo, quello dei libri, purtroppo molto diverso dalla realtà.
Era stato anche il suo mondo, fino a che non era stato scelto come membro dell'Esercito, ed erano passati ormai due anni. "Il Soldato Perfetto", così era chiamato. Aveva anche un altro nome, che però nessuno osava pronunciare. Suonava come "Black Wolf" ma non aveva mai capito il suo significato. Da quando era entrato nell’esercito, il suo ruolo era stato fondamentale in molte azioni, grazie al suo corpo, che gli permetteva di andare oltre l’umano. Sterminare i nemici era il suo compito. Salvare gli amici era solo una conseguenza.
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole già splendeva alto nel cielo, quando a Maya arrivò la lettera di arruolamento nell'Esercito di Sopravvivenza. Era in casa da sola quando il postino suonò per consegnarle la lettera. Quando vide il marchio dell’Esercito, le mani cominciarono a tremarle mentre apriva la busta.  Sapeva che ormai l'Esercito era a corto di uomini, ma non sospettava che chiamassero anche femmine; soprattutto lei, che aveva solo sedici anni. Lesse la lettera tutta d’un fiato, carica d’emozione. Quando ebbe finito, uscì di casa e corse a dirlo a sua madre e suo padre, che si trovavano sul promontorio non molto lontano da casa sua. Arrivò lì con il fiatone, ma aveva abbastanza voce per gridare
– Mamma, papà, mi hanno arruolata! –
Dalle loro tombe non giunse risposta ,ma sicuramente erano fieri di lei, pensò. Finalmente avrebbe potuto vendicarli. E anche suo fratello, sì, anche lui...
L'Esercito era nato molti anni prima. Da quando i Vampiri avevano preso possesso della Terra. A dire il vero, questi alieni non avevano un nome, ma venivano chiamati così per il loro pallore, e per la brutta abitudine di bere il sangue delle loro vittime. La città di Fanfar era uno dei pochi baluardi rimasti contro gli alieni, una delle poche città di confine ancora in piedi per impedire che le Libellule proseguissero verso il centro del continente.
E Maya, da quel giorno, faceva parte dell'esercito che serviva a contrastarle. Andò per l'ultimo giorno a scuola, dove salutò le sue compagne. Molte la abbracciarono piangendo, temendo per la sua sorte. A maya non importava di rischiare la vita: le interessava solamente avere un’opportunità di vendicarsi di quei mostri che si erano portati via la sua famiglia.
Suo padre e suo fratello erano stati entrambi uccisi in combattimento. Mentre sua madre…
Dopo la scuola, si recò da Haruka. Haruka era una sua amica fin dall'infanzia e compagna di scuola, ma era costretta sulla sedia a rotelle da una paralisi alle gambe, e spesso non andava a scuola. Quando suonò a casa sua fu la madre ad aprirle.
– Ciao Maya – la accorse sorridendo.
– Buongiorno signora Treybar – rispose Maya – Haruka è in casa? –
– Sì, è in camera sua, raggiungila pure –
Salì le scale e raggiunse la camera di Haruka. sedette su di una sedia accanto al letto dove Haruka era sdraiata.
– Ciao Maya – la salutò Haruka.
– Ciao – rispose – come mai non sei venuta a scuola oggi? –
– Il dolore alle gambe era molto forte – si lamentò Haruka cercando di mettersi seduta – sono dovuta rimanere sdraiata tutta la mattina –
Maya annuì e le guardò le gambe. Si chiese perché doveva capitare proprio a lei una cosa del genere. Avrebbe voluto poter correre ed uscire senza problemi insieme ad Haruka. Ma anche così, era la sua migliore amica. Per un attimo fu indecisa se darle la notizia: non voleva che Haruka si sentisse a disagio perché lei non poteva essere reclutata. Ma poi pensò che l’avrebbe comunque saputo, e che dirglielo subito era meglio che se glielo avesse detto qualcun altro.
– Haruka, sono stata selezionata per l'Esercito – disse – mi è arrivata la lettere questa mattina –
–Cosa? Stai scherzando? L'esercito non chiama le donne! –
–Così pensavo anch'io. Ma ecco la lettera – così dicendo tirò fuori la lettere da una tasca dei pantaloni e gliela porse – Sembra che da oggi anche io aiuterò gli altri a difendere la nostra pace. In fondo,sono contenta di fare qualcosa –
L'amica era evidentemente preoccupata. Ma vedendo l’espressione felice di Maya, si tranquillizzò, e disse –– Sai, vorrei venire anche io con te. Così, anche nel pericolo, saremmo insieme. Invece..."– . Abbassò lo sguardo sulle gambe immobili. Sospirò.
Maya scosse la testa –Avanti, Haruka! Tu devi rimanere qua, altrimenti tua madre rimarrebbe sola! E poi lo sai che tutti i nostri compagni di classe ti vogliono bene! Starai con loro, e aspetterete il mio ritorno. Altrimenti chi baderebbe alla città? –
Haruka annuì senza troppa convinzione – Per quanto starai via? –
– Non lo so. Potrebbero essere giorni, come settimane, come mesi –
"Sempre che torni viva" pensò, ma non aggiunse altro.
Parlarono di altro per un po’, e prima di separarsi si abbracciarono a lungo. Maya promise che sarebbe andata a trovarla ogni volta che avrebbe potuto. Salutò anche la madre di Haruka, spiegandole la situazione. La donna pianse per la commozione: teneva molto a lei, ed aveva paura che non sarebbe mai tornata dal fronte.
Fu costretta a separarsi da lei: alle 18:00 doveva essere al Quartier Generale, che si trovava fuori dalla città, e rischiava di arrivare in ritardo.

–Sono come Marik!– urlò Christopher nel cortile di casa sua. Stava praticando scherma con l'amico Ken, ed aveva appena eseguito un attacco in salto.
– Chris, quando la smetterai di voler emulare Marik?– chiese Ken, annoiato.
– Ma lui è un eroe! Ci difende dai Vampiri ogni giorno! Non hai sentito anche oggi cos'ha fatto?–
–Sì– rispose –ma non lo trovo un buon motivo per vederlo come un eroe –
Marik quel giorno aveva guidato con successo un’incursione contro un covo di Vampiri che stava pianificando un attacco contro Fanfar per la notte seguente, e aveva fatto tutto da solo. Era un soldato molto giovane, ma si diceva che avesse più esperienza di un veterano delle guerre Fatum. Ken pensava che fosse solamente un personaggio mediatico, un eroe creato dalla stampa e dalla tv per dare speranza ai giovani allievi dell’esercito. Non credeva che ci fosse molto di vero dietro la sua figura. Lui e Chris avevano entrambi diciotto anni, ma Chris in alcune cose si comportava da bambino. Per lui Marik era semplicemente un eroe, e voleva imitarlo ad ogni costo. Ken invidiava un po’ il suo spirito ingenuo ed innocente, tuttavia pensava che avrebbe dovuto crescere un po’. Altrimenti, la vita gli avrebbe riservato solo delusioni.
 Ken non si sognava neanche di combattere. Era talmente scansafatiche che avrebbe preferito nascondersi da qualche parte nel continente piuttosto che andare al confine. Avrebbe preferito starsene nelle retrovie, al massimo fare lo stratega delle battaglie. Ma più si teneva lontano dal campo di battaglia, meglio era. Non era posto per lui, quello .
– Ehi, Ken, dì un po’...chiedi che ci chiameranno nell'Esercito?"– chiese Chris togliendosi la maschera da scherma. I suoi occhi erano speranzosi. Teneva molto a partecipare a quella guerra, anche se Ken pensava che non si rendesse conto di cosa significasse quella parola, “guerra”.
– Non lo so, ma spero di no. Per ora hanno chiamato solo adulti, e se la fortuna ci assiste non cambieranno idea – Cenarono insieme a casa di Chris, poi Ken tornò a casa. Erano amici ormai da molto tempo e spesso capitava che Ken rimanesse per qualche tempo a casa di Chris. Non amava molto tornare a casa, ma doveva farlo.
Rientrò in casa cercando di non svegliare la matrigna e si stese sul letto, pensando a che cosa avrebbe fatto se avesse ricevuto la lettera di arruolamento. Probabilmente sarebbe scappato, pensò. Si sarebbe potuto rifugiare in qualche città del sud, lontano dalla frontiera. Era pure vero che anche da lì venivano molti soldati… Mentre pensava queste cose lo colse il sonno, e si addormentò senza accorgersene.
Sia Ken che Chris ricevettero la lettera di arruolamento il mattino seguente.
– Diamine, siete dei buoni a nulla!– Disse Eileen rivolgendosi agli alunni del suo corso di karate.
– La lezione di oggi è finita. Tornate pure a casa, imbranati –
Il suo carattere scontroso e provocatorio la rendeva antipatica a tutti, ma era l'unica che insegnasse karate nella scuola. A dire il vero, non insegnava per conto della scuola, ma gli insegnanti le lasciavano usare il cortile per quei corsi di karate improvvisati. La palestra della scuola era stata distrutta un anno prima, e non c’era mai stato tempo per ricostruirla.
Quel giorno Eileen compiva diciotto anni, ma nessuno, a parte i genitori, le fece fatto gli auguri. Infatti, con i suoi genitori Eileen era totalmente diversa, una ragazza, affettuosa e premurosa. Ma, per qualche ragione, con i compagni cambiava. Non sapeva neanche lei il perché del suo comportamento, ma ormai ci aveva fatto l’abitudine, e non si curava più di tanto della sua solitudine.
Tornò a casa. I genitori la accolsero calorosamente, ma durante il pranzo furono stranamente silenziosi. Continuavano a lanciarsi delle occhiate a vicenda, come se ci fosse qualcosa che non andava.
– Qualcosa non va? – chiese Eileen tra un boccone e l’altro.
– Niente, cara – rispose suo padre Walker – non ti preoccupare –
Le sorrise, ma il suo sorriso era forzato. Non poteva mentire, non a lei.
Decise di ignorare la questione per il momento, e parlò della sua giornata scolastica.
– Oggi la professoressa ha riportato i compiti di letteratura – disse – il mio era praticamente perfetto, non ha fatto neanche una correzione –
– Bravissima, Eileen – disse la madre, alzando solo un attimo lo sguardo su di lei per poi distoglierlo subito.
“Qualcosa non va” pensò “c’è decisamente  qualcosa di sbagliato”.
Durante tutta la giornata, non parlò più con i suoi genitori, e rimase nella sua camera a leggere un po’ di fumetti. Adorava leggerli anche in tempo di guerra, soprattutto i vecchi fumetti sui super-eroi. Lì tutto sembrava andare bene, a differenza della realtà.
Quella sera sentì bussare alla porta. Eileen stava andando ad aprire, quando suo padre uscì di corsa dal salotto urlando – No, non aprire! –
Eileen lo ignorò ed aprì la porta. Si trovò di fronte due uomini vestiti di nero.
– Sei tu Eileen Yvegard? –
– Sì,perchè? –
– Abbiamo spedito una lettera di arruolamento per l'Esercito più di una settimana fa. Lo sai che la mancata presenza può considerata una forma di ostilità verso il governo? –
– Ma di che state parlando? Io non ho ricevuto alcuna lettera! –
Il padre la spinse via bruscamente e si parò davanti ai due uomini – Non la porterete via, mai! –
Uno dei due uomini si fece avanti – Signore, capiamo la sua preoccupazione. Ma non è l’unica ragazza che è stata chiamata al fronte. Chiunque ne ha la possibilità deve dare il suo aiuto in questo momento di bisogno. Altrimenti, moriremo tutti senza neanche combattere –
Walker sapeva che l’uomo aveva ragione. Scoppiò a piangere, mentre la moglie Elora entrava nella stanza, e alla vista dei due uomini corse ad abbracciare il marito, cercando consolazione l’uno nell’altra.
Eileen ebbe solamente un attimo per capire cosa stava succedendo, ma capì che doveva dire qualcosa.
– Mamma, papà  – disse – quest’uomo ha ragione. Se l’esercito ha bisogno di me, devo andare. Non ha senso rimanere qui ed aspettare la fine –
Si avvicinò a loro ed aggiunse – Vi prometto che tornerò –
I tre si abbracciarono, e i due uomini dell’esercito uscirono in attesa che Eileen fosse pronta. In breve tempo, si preparò una valigia con qualche ricambio e pochi oggetti.
Quando ebbe preparato tutto, si congedò dai suoi e raggiunse i due uomini.
– Sei pronta? –
Eileen annuì  – Sì, andiamo –
 
–Abbiamo mandato a chiamare la prima squadra composta esclusivamente da ragazzi, capitano Witt – disse la dottoressa Katler.
Erano nel secondo piano sotterraneo del Quartier Generale, dove si trovavano i laboratori di ricerca. Se numericamente non avrebbero mai potuto sconfiggere i Vampiri, dovevano puntare sulla qualità dei loro soldati. E la ricerca avrebbe potuti portare a questo. O almeno, così la pensava il capitano Witt.
– Bene. Entro domani li voglio operativi – rispose Witt buttando fuori il fumo del suo sigaro.
–Chi intende mettere a capo di questo manipolo?–
– Marik –
– Marik? Quel tipo non ha alcuna esperienza in fatto di comando! E’ un lupo solitario, e lei lo sa bene! –
– Quel ragazzo è più adatto alla guerra di qualunque adulto. In fondo, possiamo dire che esiste appositamente per questo. Il ruolo di leader è solamente un nuovo aspetto della sua vita da combattente –
La dottoressa Katler sorrise – E’ proprio questo il punto. Marik non è un uomo nel senso proprio del termine. Quell’uomo l’ha creato per distruggere, e lei lo sa bene. E’ un’arma pericolosa tanto per il nemico quanto per noi –
Witt si strinse nelle spalle – Credo che lo stesso si possa dire di ogni persona. Quando la paura ci attanaglia, potremmo tradire anche il nostro amico più caro. Marik ha il pregio di non conoscere sentimenti come la paura, per cui non ha motivo di tradirci –
Katler scosse la testa – A meno che chi l’ha creato non riesca a manipolare la sua mente –
– Quell’uomo non è qui. Forse è morto, non possiamo saperlo. Quello che sappiamo è che Marik può aiutarci a vincere questa guerra, e data la situazione non possiamo permetterci di essere schizzinosi – concluse Witt diventando paonazzo.
La dottoressa attese in silenzio che si calmasse.
Poi riprese – I ragazzi che ha fatto chiamare hanno un codice genetico simile a quello di Marik. Dovrei essere in grado di intervenire su di loro, di modo da far replicare i suoi poteri. Certo, non saranno mai come l’originale –
Witt annuì – Dobbiamo tentare lo stesso. E’ la nostra unica speranza –
Seguì qualche minuto di silenzio, poi Witt ordinò – Vai a chiamare Marik –
Marik era sul promontorio che si trovava sul lato Est della città di Fanfar. Osservava il mare, quella lunga distesa azzurra che si stagliava davanti a lui, infinita nella sua lucentezza. Pensava che fosse strano che una macchina da guerra come lui potesse trovarsi ad osservare paesaggi. E ad esserne emozionato. Ma in fondo non era strano. Quei posti offrivano quella solitudine che Marik cercava. Non voleva altri intorno a sè, voleva poter essere solo. Nella natura, il contrario della sua artificialità, sentiva di poter trovare il suo unico complemento. Era immerso in questi pensieri quando udì dei passi alle sue spalle.
– Non vi basta quello che ho fatto oggi? Volete che torni subito in azione? – chiese senza voltarsi.
La dottoressa Katler rimase un attimo in silenzio ad osservarlo. I capelli corti e neri del ragazzo erano mossi dalla leggera brezza che soffiava nell'aria ,e quando si voltò, si specchiò in quei due occhi neri come la pece.
– Sì, Marik. Abbiamo bisogno di te. Abbiamo allestito una nuova squadra di ragazzi –
– Non vi sono bastati i vostri precedenti sbagli? –
– Stavolta è diverso. Abbiamo trovato qualcosa che potrebbe ribaltare le sorti della guerra, ma per farlo ci serve una squadra di ragazzi. E ci serve che sia tu a guidarli –
 Marik ebbe un fremito. Se fosse dovuto alla paura o all’eccitazione di tornare in battaglia, la dottoressa non avrebbe saputo dirlo.
– Anche se rifiutassi non avrei scelta, suppongo – disse Marik – le armi come me non hanno possibilità di scegliere –
La dottoressa rimase in silenzio. Per quanto cruda, era la verità .
Marik abbassò lo sguardo. In mano aveva un libro di poesie. Per quanto ne ricordasse, era sempre vissuto nei laboratori. Fino a sedici anni, era vissuto in un calvario di operazioni. L’unica sua consolazione erano stati i libri. Non sapeva chi fosse stato a portarglieli la prima volta, ma da quando aveva preso l’abitudine a leggere gli scienziati erano ben contenti di fornirgli nuovi libri.
Era un altro mondo, quello dei libri, purtroppo molto diverso dalla realtà. Era stato anche il suo mondo, fino a che non era stato scelto come membro dell'Esercito, ed  erano passati ormai due anni. "Il Soldato Perfetto", così era chiamato. Aveva anche un altro nome, che però nessuno osava pronunciare. Suonava come "Black Wolf" ma non aveva mai capito il suo significato. Da quando era entrato nell’esercito, il suo ruolo era stato fondamentale in molte azioni, grazie al suo corpo, che gli permetteva di andare oltre l’umano. Sterminare i nemici era il suo compito. Salvare gli amici era solo una conseguenza.
"Non possiamo salvare tutti!" queste parole gli rimbombavano continuamente in testa .Ogni volta che pensava alle battaglie, al momento in cui sarebbe dovuto rientrare in guerra, le sentiva.
Ed ogni volta si costringeva ad ignorarle. Rientrò con la dottoressa al Quartier Generale, e durante il tragitto non si scambiarono molte parole. Marik sapeva bene come la donna diffidasse di lui. Non poteva biasimarla, per questo.
– Questa volta – esordì Witt quando si incontrarono – possiamo davvero arrivare ad una svolta nella guerra con i Vampiri –
Già, i Vampiri. Ricordava il loro odore di marcio, i loro volti tumefatti e i loro fucili. Già, da vicino amavano il combattimento corpo a corpo, ma visto che gli umani erano attrezzati con armi a distanza si erano adattati. – La prima operazione avrà inizio domani, Marik, abbiamo predisposto stanze per te e la tua squadra nel primo livello sotterraneo. Loro sono già arrivati, approfittane per conoscerli –
– Devo condurli in guerra, non essere loro amico – disse Marik, freddo – il mio compito comincia e finisce sul campo di battaglia. E là, un soldato vale l’altro, chiunque sia –
Dopo queste parole, la dottoressa Katler gli tirò uno schiaffo. In pieno viso. Marik non reagì, e dopo qualche secondo si avviò verso l’ascensore.
– Marik, non puoi lasciare che i tuoi demoni ti seguano per sempre – disse la dottoressa.
Ma Marik stava già entrando nell’ascensore, e le sue parole scivolarono su di lui senza lasciare niente.
  
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